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Autore: teabox    21/05/2013    7 recensioni
Un giorno, in futuro, quando Sherlock Holmes sarebbe diventato solo una storia da raccontare ai più curiosi, Pip avrebbe puntato il dito ad una foto appesa al muro. Avrebbe indicato l’uomo di spalle ed avrebbe detto: “quello è Sherlock”. E quando inevitabilmente le avrebbero chiesto della donna accanto a lui, Pip avrebbe risposto: “quella è Miss H., ovviamente”. Avrebbe sorriso, poi, al ricordo di quei giorni e avrebbe raccontato del modo stravagante in cui li aveva conosciuti.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: vi prendo 30 secondi prima di lasciarvi all’ultimo capitolo, per dirvi grazie di cuore per tutti i commenti, le opinioni, le osservazioni e i punti di vista che siete stati così gentili da lasciarmi. E grazie di cuore per la pazienza, per l’aiuto e per il supporto - grazie mille davvero. Vi lascio, allora, alla storia e al gioco. Di nuovo, grazie :)




Keswick

 

Molly era scesa dal treno a Penrith e da lì aveva preso un autobus per Keswick.

Il B&B era molto grazioso e il paese sembrava uscito da una favola. Il posto ideale per fare una gita con la famiglia o con un fidanzato - entrambi settori in cui Molly era al momento carente.

Nella camera dell’albergo aveva aperto la borsa e preso la cartolina, cercando di immaginare cosa avrebbe dovuto fare a quel punto. Non c’erano indicazioni di luoghi o orari, né le era stato chiesto di portare qualcosa con sé. Si era lasciata cadere sul letto, chiedendosi se valeva la pena uscire a fare un giro o no, quando il telefono sul piccolo comodino della stanza aveva preso a squillare. 

«Sì?», aveva risposto Molly praticamente saltando giù dal letto.

«Miss Hooper? E’ arrivata una busta per lei.»

«Oh, ok. Scendo subito», aveva detto sentendosi, nonostante tutto, delusa. Una notte insonne e ore di viaggio in treno e in autobus per quello. Per prendere una busta. Aveva sceso le scale lentamente, cercando di ignorare come si sentiva e ripetendosi quello che si ripeteva ormai da mesi. Stava aiutando Sherlock, in qualche modo, e quella era la cosa importante.

La signora alla reception le aveva sorriso porgendole la busta, e Molly era riuscita rispondere con un sorriso. Non si era fermata a chiedere chi l’avesse consegnata né se le fosse stato lasciato anche un messaggio, perché a quel punto le sembravano solo domande sciocche. Sherlock prima o poi cosa le avrebbe fatto sapere fare, e tanto le bastava. E tanto le doveva bastare. Era quindi tornata a salire le scale con gli occhi fissi sui gradini e, arrivata al suo piano, si era chiusa nella camera. 

Senza notare la porta socchiusa della stanza accanto alla sua. 

Senza notare l’uomo che l’aveva osservata rientrare. 

 

*

 

Sherlock aveva atteso qualche minuto prima di aprire la porta della camera di Molly. Sapeva che era nel bagno - l’acqua nelle tubature aveva fatto un rumore infernale - ma aveva comunque preferito entrare con cautela.

Non c’era modo di avvisarla della sua presenza senza spaventarla, quindi si era semplicemente avvicinato alla porta del bagno e l’aveva chiamata.

«Molly?»

Lei non aveva risposto subito. «...Sherlock? Sei tu?»

«Sì, Molly. Se volessi uscire.»

«Arrivo subito», aveva risposto lei con un tono agitato. Dopo pochi istanti l’aveva sentita mormorare qualcosa, prima di spuntare dalla porta appena socchiusa. 

«Sherlock? Ho lasciato i miei vestiti nella borsa. Sul letto.»

«Molly», aveva risposto lui secco, «conosco l’anatomia del corpo umano femminile. Sono sicuro che quello che l’asciugamano non riuscirà a coprire non rappresenterà nulla di nuovo per me.»

Molly era arrossita, ma aveva aperto la porta e aveva fatto qualche passo nella stanza. Aveva esitato - Sherlock l’aveva notato - divisa tra l’istinto di volerlo abbracciare e il fatto che avesse solo un asciugamano addosso. Si era spostata una ciocca di capelli umidi dietro ad un orecchio e lui aveva registrato tutto. La pelle bagnata, il rossore sulle guance, le clavicole, le gambe nude. 

«Potresti girarti un attimo?», aveva chiesto lei senza riuscire a guardarlo.

«Molly, guarda che-»

«Per l’amor del cielo, Sherlock, girati. Voglio indossare qualcosa», l’aveva interrotto lei arrossendo di nuovo.

E Sherlock l’aveva intuito, ma quello che aveva cercato di dirle era che girarsi non avrebbe fatto nessuna differenza, perché lo specchio nell’angolo della stanza avrebbe riflesso la sua immagine e lui l’avrebbe vista comunque. 

Ma non aveva detto nulla, invece, e si era girato. E anche se avrebbe potuto guardare altrove o chiudere gli occhi, aveva deciso di non farlo. Perché anche se conosceva l’anatomia di un corpo umano femminile, sentiva la ridicola necessità di dimostrarsi che Molly davvero non rappresentava una novità. Che non c’era nulla in lei che poteva distrarlo.

L’aveva osservata prendere una camicia dalla borsa - una camicia da uomo, forse un ricordo del padre o di un ex fidanzato - e lasciar cadere l’asciugamano per terra. Per qualche istante il suo corpo era rimasto completamente nudo e lui aveva lasciato scorrere gli occhi lungo la schiena e sul fondoschiena, lungo le forme proporzionate e la pelle candida. Poi la camicia aveva nascosto tutto e lei aveva cercato un paio di slip da indossare e un elastico con cui legarsi i capelli. Quando gli aveva detto che poteva voltarsi, stava ancora cercando di annodarli in modo disordinato.

Lui non aveva detto nulla e lei era rimasta incerta - con quel suo incessante tormentarsi le dita - a pochi passi da lui, ancora visibilmente indecisa se abbracciarlo o meno. Ma doveva averlo capito anche lei che l’attimo era ormai passato e che abbracciarlo in quel momento sarebbe stato solo strano. 

«Come stai?», gli aveva chiesto alla fine.

«Bene», aveva risposto lui asciutto. Gli occhi si erano spostati dalla gola di lei ai seni, che si intravedevano un poco attraverso il tessuto sottile della camicia. Aveva spostato lo sguardo. «Ho bisogno della busta che hai ricevuto.»

Lei aveva accennato un sì e gli era passata accanto - il braccio aveva sfiorato il suo braccio - e si era piegata su di un cassettone, spostandolo un po’. «L’ho nascosta qui dietro.»

Non si era resa conto che la camicia le era salita lungo i fianchi, scoprendo un po’ gli slip. Non se n’era accorta e forse era stato proprio quel particolare a rendere quell’attimo così difficile da controllare per Sherlock - una parte del suo cervello che lo spingeva ad andare dove lui non voleva.

Aveva avuto a che fare con Irene Adler, che era stata più che esplicita e aveva indossato i suoi abiti e dormito nel suo letto e non ne aveva di certo fatto un segreto il fatto di essere attratta da lui. Molly Hooper, di contrasto, aveva a volte un modo di essere oggettivamente attraente, ma senza contraffazione o adulteramento. Era semplice - “genuina”, avrebbe detto, e “pura”, se fosse stato un altro genere di uomo.

Per dirla in un linguaggio che non gli apparteneva, Irene Adler aveva cercato di fotterlo a livello mentale. Molly Hooper, invece, per un attimo era diventata un’inaspettata tentazione a livello fisico. Forse era quella sua corrotta necessità di prendere dagli altri quello che lui non aveva mai avuto e rovinarlo. Forse era solo l’euforia dovuta dal sapere che aveva quasi finito, che era quasi giunto alla fine di quel suo nascondersi, vendicarsi e vagabondare. Forse era solo la fame mentale per una sensazione, qualcosa di simile alla necessità di fumare o assumere droghe.

Quale fosse la ragione, Sherlock non sapeva e per una volta non intendeva sapere. Quindi quando Molly aveva recuperato la busta e gliela aveva passata, Sherlock non l’aveva nemmeno ringraziata. Si era spostato di lato facendola passare ed evitando accuratamente qualsiasi contatto fisico, e si era avviato verso la porta. 

Ma Molly - sciocca, sciocca Molly - lo aveva fermato sulla soglia, chiamandolo. E quando lui si era voltato, lei lo aveva abbracciato. Corpo contro corpo, braccia attorno al collo, in punta di piedi, le gambe appoggiate alle sue. E il calore della pelle, la morbidezza dei seni, il profumo di sapone e - semplice, profonda - la necessità di stringerlo. Non gli aveva detto nulla, ma Sherlock aveva comunque sentito il sospiro che le era sfuggito.

E lui aveva riconosciuto la reazione del suo corpo, la feniletilamina che invadeva il cervello e la dopamina che si metteva a lavoro subito dopo, il leggero senso di vertigine e il sangue che iniziava a scorrere più veloce di quanto avrebbe dovuto. 

Ma conosceva quelle reazioni e sapeva come controllarle. Così si era ricomposto quasi subito, appoggiando le mani sulle braccia di Molly e allontanandola da sé. Le aveva addirittura sorriso. Più o meno. E se n’era andato senza dire nulla.

Cosa avrebbe dovuto dire, comunque. 

 

*

Cosa avrebbe dovuto dire, comunque.

Molly se lo era chiesto. Forse un grazie o forse una rassicurazione, una bugia o una falsa promessa. Avrebbe accettato volentieri qualsiasi cosa. Tranne, forse, la verità - che già conosceva, già immaginava, già custodiva nascosta in una cartellina che portava sempre con sé.

La prendeva di tanto in tanto, aprendola sempre con apprensione.

Aveva iniziato a raccogliere articoli e informazioni fin da quando Sherlock le aveva detto di Sebastian Moran. Non era stato difficile, poi, trovare gli altri.

Aleister Crowley - il cadavere da cui aveva preso i campioni di alcuni organi - era stato una delle persone più vicine a Moriarty. La salma era comparsa dal nulla al Barts.

Lo stesso era successo con un tale Culverton Smith - un’altro uomo di Moriarty, aveva poi scoperto Molly. Pochi giorni dopo aver preso il pacchetto nell’appartamento ad Hampstead Heath e averlo lasciato a Charing Cross, il cadavere dell’uomo era arrivato all’ospedale.

Il Dottor Roylott, invece, era stato ucciso la notte in cui Molly aveva ripetuto quella frase senza senso a chiunque si fosse trovato dall’altra parte della linea - lo aveva capito solo dopo, quando i giornali avevano parlato di “esecuzione”, che la frase era stata l’ordine in codice di uccidere e l’uomo dall’altra parte della linea il cecchino incaricato di farlo.

Poi c’era stato Sebastian Moran, ma Molly non aveva idea di cosa gli fosse capitato. E dopo di lui era stato il turno di J. Rucastle e degli agenti chimici, e del cadavere di Charles Milverton. 

Dunque sì, un grazie o una rassicurazione sarebbero state parole che forse Molly avrebbe accolto volentieri da parte di Sherlock - ma, francamente, dubitava che sarebbero mai state abbastanza per farla sentire meglio. Perché anche se razionalmente sapeva di non aver ucciso nessuno, Molly non riusciva comunque a scacciare l’idea di aver fatto parte del meccanismo che Sherlock aveva messo in moto per eliminare alcune persone che, sospettava, avevano avuto a che fare con Moriarty. Che, in qualche misura, Sherlock l’avesse usata - resa complice, avrebbe forse detto Greg - per uccidere dei nemici. E quello era un pensiero che Molly non riusciva a sostenere ancora bene. 

Eppure, proprio il fatto che lui non le avesse mai detto nulla - non un grazie o una rassicurazione, ma nemmeno un accenno a quelle persone e a cosa fosse successo loro - era l’unica cosa che permetteva a Molly di cacciare in un angolo la verità e pretendere di non sapere o di non aver capito. E di conseguenza rendeva quella decisione la cosa più sensibile che Sherlock avesse mai fatto nei suoi confronti.

Che non era molto, ma era pur sempre qualcosa.

  

*

 

Pip gli adulti non li capiva e quello era un dato di fatto. 

Ma Miss H. e Sherlock erano decisamente fuori dall’ordinario. Certo, entrambi erano stati molto gentili con lei - più Miss H. che Sherlock, ma Pip l’aveva capito da tempo che lui era fatto così e basta. 

E comunque lui aveva mantenuto la sua promessa e l’aveva fatta entrare in quella scuola privata - e le aveva anche fatto avere una camera nel dormitorio e tutto pagato - e tutto sommato lei non si sentiva neanche troppo stupida lì.

Miss H., invece, le aveva regalato un cellulare - “per festeggiare!”, aveva detto - e le mandava regolarmente messaggi per sapere come stava e se aveva bisogno di qualcosa e come procedevano gli studi. 

Era stato così che aveva scoperto che quel giorno Sherlock e Miss H. si sarebbero visti, perché lei le aveva scritto che glielo avrebbe salutato “per primissima cosa oggi, appena mette piede in laboratorio”.

E se era ormai da tempo che Pip non faceva più quello che faceva prima - nell’altra vita che ormai sembrava secoli fa - ogni tanto, se la ragione era buona, ancora sgattaiolava fuori dalla scuola quando non avrebbe dovuto.

E quella, francamente, non le sembrava una buona ragione. Le sembrava ottima.  

Era arrivata in tempo per vedere Sherlock entrare nell’ospedale - e anche se lo aveva visto solo di schiena, Pip non aveva dubbi che si fosse trattato di lui perché Sherlock era davvero inconfondibile. Quindi si era seduta su di una panchina di fronte all’ingresso e aveva aspettato pazientemente, prendendo il cellulare e aprendo l’applicazione che lui le aveva praticamente ordinato di installare - un dizionario che doveva usare per imparare un vocabolo nuovo ogni giorno (esatte istruzioni). 

Aveva studiato la parola della giornata e stava cercando di pensare ad una frase in cui utilizzarla, quando li aveva visti uscire insieme dall’ospedale. Quindi si era affrettata a riporre il cellulare nella tasca dei pantaloni e si era messa a seguirli discretamente. 

Camminavano abbastanza vicini perché le loro mani si sfiorassero, ma non abbastanza vicini da toccarsi veramente. Miss H. stava parlando, tutta la sua attenzione concentrata su Sherlock. Lui, invece, non sembrava nemmeno ascoltarla.

Pip aveva alzato gli occhi al cielo.

Solo qualche attimo più tardi, però, Sherlock aveva preso Miss H. per un braccio e l’aveva tirata a sé, evitandole così di andare a sbattere contro una persona che stava camminando nella direzione opposta. Sherlock l’aveva poi sgridata - «Molly, ti è stato dato il dono della vista, usalo per guardare dove vai» - e Miss H. aveva accennato un sì e si era messa a guardare di fronte a lei.

Ma Pip aveva visto. Sherlock poteva dire tutto quello che voleva, ma Pip aveva osservato e aveva visto.

Prima che Sherlock la tirasse a sé, Miss H. si stava già spostando per evitare l’altra persona. Anche Sherlock doveva averlo notato, ma aveva scelto di tirarla a sé lo stesso chiudendola in un mezzo abbraccio. Inoltre, Pip era sicura che nell’attimo in cui Sherlock aveva trattenuto Miss H. contro il suo corpo, le avesse accarezzato appena il braccio lasciando scivolare le dita sulla pelle di lei. 

Pip aveva sorriso, domandandosi se anche Miss H. si fosse resa conto di quello che era successo. Probabilmente no, si era detta. Miss H. era fatta così.

Aveva allora estratto il cellulare dalla tasca e aveva scattato una fotografia di quei due adulti incomprensibili, che camminavano abbastanza vicini da sfiorarsi ma non abbastanza vicini da toccarsi veramente. L’avrebbe mandata a Miss H. più tardi. 

Invece quello che doveva fare subito, aveva pensato, era mandare un messaggio a Sherlock. L’aveva scritto velocemente, cercando di non ridere.

 

A: Sherlock

Parola del giorno: negazione. Esempio: meccanismo mentale inconscio adoperato per risolvere un conflitto emotivo e per diminuire l’ansia che ne deriva negando uno degli elementi costituivi. E’ così negata la presenza di un pensiero, di un desiderio, di una necessità. Tipo: essere innamorati di Miss H. ma negarlo.

 

Davanti a lei, Sherlock e Miss H. avevano raggiunto un angolo e lo avevano girato. Pip aveva fatto in tempo a vedere Sherlock estrarre il cellulare e leggere il messaggio, ma non a vedere la sua espressione. Aveva comunque deciso che non era necessario seguirli oltre e si era voltata per tornare verso la scuola e il dormitorio. 

E non avrebbe nemmeno controllato il cellulare, perché era piuttosto certa che Sherlock non le avrebbe mai risposto. Che, agli occhi di Pip, rimaneva comunque la risposta migliore. 

 

Anche in seguito, quando ebbe modo di incontrare Sherlock di nuovo, la cosa non venne mai menzionata. E quando Pip gli disse che in fondo lui sapeva che lei sapeva che lui sapeva, la risposta di Sherlock era stata piuttosto secca.

«La tua frase è un’osceno abuso della parola “sapere”. E sei pregata di smetterla di sorridere a quel modo.»

E Pip, allora, si era messa ridere.

 

 

Fin.

 

 

 

 

 

*

Il Gioco

*

 

 

Il gioco è chiuso! Complimenti a IrregolarediBakerStreet, emme e EbeSposaDiErcole per essere state le prime tre ad indovinare! 

Per ringraziarvi e in onore della terza stagione di Sherlock e “perché no”, ecco un piccolo gioco di deduzione per voi. 

 

E’ molto semplice. Ho nascosto un dettaglio all’interno della storia, qualcosa che dovete scoprire basandovi su questi tre indizi:

  1. la risposta è un insieme di elementi che vanno uniti.
  2. ogni elemento è proprio sotto i vostri occhi.
  3. tutto è cominciato con il primo capitolo e si è concluso nell’ultimo.

 

Se avete la risposta, contattami qui su EFP (privatamente, non nei commenti) e fatemi sapere la vostra deduzione, e le prime 3 persone che trovano la soluzione corretta vincono uno di questi 3 braccialetti. 

In bocca al lupo :) !


  
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