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Autore: lulubellula    21/05/2013    3 recensioni
Kalokairi, Grecia.
Una donna in fuga dalla sua famiglia e da un mondo scintillante che l'ha ripudiata.
Un mazzo di chiavi ed un vecchio casolare di famiglia sono il suo punto di partenza.
Una bionda pittrice entrerà nella sua vita come una ventata d'aria fresca e nuova, finché ...
L'arco temporale abbraccia circa vent'anni di vita delle due donne, vicine e distanti, due anime destinate a trovarsi, perdersi e ritrovarsi di nuovo.
CalliopexArizona
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Colors of the sea

Chapter Four


Il sole splendeva alto nel cielo e brillava intensamente colorando le onde del mare di tonalità tenui e dolci ed era pressoché impossibile non farvi caso, evitare di guardare in direzione dell’orizzonte.

Calliope era appena entrata nel casolare e aveva constatato con disappunto che le condizioni della vecchia dimora delle sue fanciullesche vacanze portava i segni del tempo e dell’abbandono e che aver licenziato a suo tempo ogni benché minima forma di servitù, aveva acuito notevolmente il degrado.

La casa odorava di chiuso e di stantio, di vecchio e i sofà in salotto, coperti da vecchi lenzuoli ingrigiti, erano cosparsi da almeno due ditate di polvere.

I mobili del soggiorno erano in buono stato, tutto sommato, avevano solo bisogno di una buona dose di detersivo, acqua e olio di gomito per tornare al loro antico splendore e lo stesso valeva per le piastrelle in maiolica e terracotta.

La donna si incamminò a passo sostenuto verso la sua cameretta di un tempo, al piano superiore, seguita da un’intimorita Arizona, che aveva sempre osservato quel casolare da lontano e sentiva una sorta di timore quasi reverenziale nei confronti di quel luogo ormai dimenticato da Dio e dagli uomini.

Calliope spalancò la porta della sua stanzetta e notò che tutto si era fermato esattamente a sedici anni prima, all’ultima volta che lei aveva trascorso lì le sue lunghe e spensierate vacanze estive, prima di mettere piede in collegio e poi uscirvi dopo aver conseguito il suo diploma.

Il letto a baldacchino era rimasto tale e quale, le lenzuola erano un po’ ingiallite e qua e là vi erano ragnatele e piccoli ed innocui ragnetti, ma era rimasta la stessa.

Il cassettone bianco, la sua cassapanca colma di giocattoli, i vestiti di ricambio di quando era bambina.

Era come se in quella stanzetta il tempo si fosse fermato, come se non fosse passato un solo giorno da allora.

E sul comodino, accanto ad letto, c’era una vecchia fotografia in bianco e nero di lei bambina, nella stessa identica posizione, sola e pensierosa a scostare le tende e guardare fuori dalla finestra.

Arizona, che aveva aperto la porta della camera su invito della proprietaria, restò rapita da quell’immagine, da quelle due proiezioni della donna, l’una giovane e a colori, dal vivo, l’altra fanciulla, in bianco e nero, così distanti, eppure così simili.

Continuò ad osservarla da lontano, vedendo i tiepidi raggi del sole settembrino che illuminavano il suo volto, che le facevano risplendere i capelli scuri e lisci, come se il brillio dei suoi occhi non bastasse da solo a farla splendere di luce propria.

Scrutava le sue dita affusolate che scivolavano lungo le superfici dei mobili ricoprirsi di polvere, il suo sguardo proiettato verso l’alto a guardare con disappunto le ragnatele, quei ricami naturali che conferivano all’intera stanza un’atmosfera senza età, quasi eterna.

“E’ passato così tanto tempo” disse Calliope tra sé e sé, con un velo di amarezza nella voce.

“Sedici anni. Giusto?” le domandò piano la pittrice, a voce bassa, come se non avesse voluto spezzare quell’incanto che si era ricreato.

Callie si voltò, guardando la donna negli occhi, quasi dimentica della sua presenza, della sua vicinanza.

“Sì, sedici lunghissime, interminabili primavere. Eppure è strano” iniziò la donna.

“Cosa? Che cos’è che ti sembra strano?” le domandò incuriosita.

“Mi sembra di non essermene mai andata, di essermi assentata solo per poco, di essere rimasta sempre qui. Mi sento più a casa in questo luogo, tra queste mura in rovina, tra questi teli impolverati, di quanto mi sia mai sentita a Miami, tra posate d’argento e tovaglie di lino bianchissimo. Magari ti sembrerà una sciocchezza, forse ora ti sembrerò una pazza e sentimentale in balia di un forte squilibrio ormonale” disse Calliope, arrossendo in volto e girando nuovamente la testa in direzione della finestra.

Arizona le sorrise.

“Non credo che tu sia pazza o folle. Penso semplicemente che tu abbia ragione, che questo luogo racchiuda dentro di sé qualcosa di magico, qualcosa di speciale. Capisco benissimo la tua sensazione, mi è famigliare” affermò rassicurandola.

“Davvero?”.

“Sì, certo. Non ti è mai successo di provare lo stesso con delle persone appena conosciute, con una in particolare?”.

“Che cosa intendi?”.

“Ok – iniziò Arizona – magari è solo una sciocchezza, una mia fantasia e forse, tra noi due, la folle sono io. Però a me è successo di parlare con una persona, una perfetta sconosciuta, incontrata in un modo del tutto fortuito e di sentire che, nonostante io non l’avessi mai vista né incontrata prima d’allora, lei riuscisse a scrutarmi, a leggermi dentro più di chiunque altro. Come se per lei fossi un libro aperto, cristallina, senza enigmi, la pura e semplice me stessa”.

“E che cosa hai fatto? L’hai più rivista?” le chiese Calliope.

“Sì. No. In un certo senso” rispose Arizona balbettando.

“Non mi sembra che tu abbia le idee molto chiare”.

“Hai ragione. Scusami – la donna si passò una mano tra i capelli color grano e sospirò – è complicato, davvero complicato. Ed io non voglio essere un peso in più per lei, la sua vita è già difficile così com’è, senza che io peggiori ulteriormente le cose” ammise.

“E così non ci hai nemmeno provato? Non hai nemmeno tentato di starle vicino, di farle capire quello che provi?”.

“Ho tentato, le sono stata vicino, le sto vicino, ma non credo che le dirò mai quello che provo. Le farei del male, io finisco sempre per fare del male alle persone a cui mi affeziono, a cui voglio bene. Distruggo tutto ciò che tocco, tutto ciò che amo, senza volerlo, senza premeditarlo. Semplicemente è così”.

Callie la guardò negli occhi e le prese le mani.

“Io non ti conosco bene, io sono ancora una sconosciuta per te. Tu mi stai aiutando, non mi stai facendo del male. Tu sei buona, Arizona, io riesco a vederlo. Tu sei una brava persona. Le cose vanno male tutti i giorni e a volte possiamo solo accettarle, a volte non c’è niente che possiamo fare per cambiarle. Solo adeguarci all’onda e seguirla oppure lasciarci sommergere dagli eventi e aspettare che ci trascinino a fondo. Io non mi lascio travolgere, io combatto, io mi rialzo, sempre. E la tua vicinanza potrà solo farmi stare meglio, mi sta già facendo vivere più serenamente. Non lascerò che la tua paura di ferire gli altri ti faccia allontanare dalla persone, da me. Semplicemente non riuscirei a sopportarlo”.

“Dovresti invece, se sapessi quello che ti sta aspettando, ti allontaneresti immediatamente da me, scegliendo di rimanere una sconosciuta ai miei occhi”.

“Ascoltami, Arizona! Prestami attenzione! Io sono Calliope Iphegenia Torres, ho venticinque anni, sono di Miami. Aspetto un bambino dal mio migliore amico Mark, probabilmente la persona che mi capisca di più al mondo e che mi rispetti, qualunque cosa io faccia, qualunque decisione io prenda. Gli voglio bene, ma non lo amo e sono fuggita dall’idea di un matrimonio senza amore, non ero pronta a mentire di fronte a Dio e a me stessa, non lo sarò mai. Adoro la pizza e non posso dire lo stesso dell’insalata. Mi piace ballare e sono piuttosto brava. Amo questo luogo più di ogni altro e voglio ridargli nuova vita, a costo di investire fino all’ultimo centesimo in quest’impresa”.

“Perché mi dici tutte queste cose? Perché lo fai?”.

“Questa è una lista di cose che sai di me. Questa è una lista che fa’ di me una tua conoscente, non più una sconosciuta. Queste parole ti impediranno di tenermi fuori dalla tua vita”.

“Calliope …”.

“Niente, Calliope! La frittata è fatta e tu non puoi più tirarti indietro, Arizona!”.

“Avresti dovuto aggiungere testarda”:

“Hai ragione! E anche caparbia, orgogliosa e non arrendevole”.

“Sei proprio sicura di quello che stai facendo?”.

“Arizona!” la rimproverò Callie.

“Rispondimi!”.

“Sì, ne sono certa. Ora ti dispiacerebbe darmi una mano a rendere questo caos, perlomeno vivibile?” le domandò con un sorriso.

Arizona annuì.

“Mi stai rendendo tutto più difficile, sconosciuta. Stai costruendo la tua futura infelicità, mattone dopo mattone. Se ti amassi davvero, Calliope, me ne andrei subito. Se ti amassi veramente, ti lascerei andare. Se fossi la persona che credi, non sarei così egoista e rinuncerei a te, fermando nel principio la spirale maledetta che coinvolgerà anche te, Calliope, che arriverà a farti odiare persino il suono della mia voce” pensò tristemente tra sé e sé.



 
 
“Di nuovo nulla?” le chiese Arizona, tenendo la piccola Sofia tra le braccia, dopo averle appena dato il biberon colmo di latte.

Calliope scosse la testa e si allontanò dalla cassetta delle lettere.

“Niente telegrammi, lettere, regali per la bambina. Sofia ha quasi tre mesi, i miei genitori avranno ricevuto la notizia della sua nascita da un pezzo. Non la vogliono conoscere, ci hanno tagliato fuori dalle loro vite, come si fa con i rami secchi degli alberi, inutili, dannosi, sterili. Non hanno più una figlia, io non ho più dei genitori”.

Calliope si sedette su una sedia e lasciò che le lacrime scivolassero sul suo volto, scendendole piano , morendole sulle labbra rosee.

“Sono loro quelli che hanno perso. Nonostante credano di aver ragione, sono loro quelli che ci rimettono in tutta questa storia. Perché non possono godere di questa piccola meraviglia, perché non possono più abbracciare te”.

Callie annuì debolmente e cominciò a sistemare la cucina, in attesa del turisti che avrebbero affollato la sua locanda nelle ore serali.

E Arizona non poté fare a meno di osservarla, senza farsi accorgere, perché aveva promesso a se stessa che avrebbe taciuto, perché aveva promesso a se stessa che non avrebbe rovinato tutto.

Continuò a stringere a sé la bambina, cullandola come se fosse sua figlia, come se, finalmente, avesse di nuovo una famiglia.





 
“Sei così bella, Sofia, uno splendore!” le disse Callie, osservando con orgoglio la figlia che indossava quello che sarebbe stato il suo futuro abito da sposa.

Un bianco, vaporoso modello a sirena, con un velo di pizzo e uno strascico candido che le scendeva lungo le spalle, un diadema di famiglia a incorniciarle il volto regolare e i capelli, un sorriso smagliante a dipingerle lo sguardo, radioso e spensierato, lo sguardo di una giovane innamorata e felice.

“Sei felice, mamma? Sei contenta che io stia per sposarmi?”.

Callie venne presa alla sprovvista da quella domanda posta a bruciapelo.

“S-Sì, Sofia, felicissima, sono felicissima. Ethan è un bravo ragazzo e ti ama, tienitelo stretto, amore”.

“Mamma, posso chiederti un’altra cosa?”.

“Sì, fai pure”.

“Sei mai stata innamorata? Innamorata veramente?”.

Callie sentì una fitta dolorosa dritta al cuore.

“S- no, Sofia, non abbastanza almeno. Non abbastanza da sposarmi” mentì e taglio corto, evitando di fornire ulteriori dettagli e mettendo a tacere nuovamente con se stessa la nostalgia dei primissimi anni di vita di sua figlia, della locanda appena riaperta, di Arizona al suo fianco.




NdA:
Scusate il ritardo, finalmente sono riuscita a scrivere questo capitolo ...
Grazie a tutte le persone che mi seguono e un grazie in più a chi recensisce.
A presto
lulubellula
 

   
 
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