Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: LouVelessy    23/05/2013    7 recensioni
Quando ti chiami Harry Styles, ma tutti ti chiamano "il cieco", perchè tutto quello che vedono di te è solo un paio di occhiali da sole ed un bastone che ti aiuta a muoverti, costretto ad ascoltare i loro commenti cattivi, è difficile mostrarsi per quello che sei realmente.
Quando ti chiami Louis Tomlinson, ma tutti ti chiamano "il Tommo", attenti ad evitarti quando incontrano il tuo sguardo, quasi impauriti da quello che potresti fargli solo perchè ti guardano, è facile lasciarli fare per evitare rogne.
Tutti indossano una maschera, e nessuno si mostra per quel che è.
Fidarsi è la cosa più difficile da fare. Sempre.
{ Harry è un ragazzo di 16 anni, ipovedente. Louis potrebbe essere definito per semplificazione un bullo. }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 









Harry sbattè la porta di camera sua, come non era mai successo prima. O almeno, non con così tanta decisione. La madre lo seguì, con altrettanta decisione nel passo.

“Non devi sbattermi la porta in faccia, quante volte devo ripetertelo?”

“E io quante volte devo ripeterti che non devi venirmi a prendere fino in classe, come se avessi cinque anni?”

“Credevo avessi bisogno di una mano… non ti ho visto all’uscita e…”

“Non mi hai visto all’uscita perché abbiamo tardato, mamma. Se la smettessi di venirmi a prendere tutti i giorni avanti a scuola, eviteremo anche quello!” aveva il tono deciso, e lo sguardo fisso verso il volto della madre. Era così abituato a lei, da conoscere l’angolazione precisa da dare al collo per poter trovare il suo viso. Non è poi così difficile come potrebbe sembrare, una volta che diventa abitudinario. “Voglio che la smettano di vedermi come quello strambo che ha bisogno della madre per tornare a casa! E devi capire che posso farcela anche da solo. Posso prendere il pullman, non è poi così difficile!”

“Ancora questa storia del pullman? Ti ho già detto che non se ne parla, toglitelo dalla testa.” Ed uscì, per evitare di intavolare l’ennesima discussione con il figlio. Anne faceva sempre così con Harry. Concludeva il suo discorso, spesso negando qualche cosa al riccio, e poi usciva dalla stanza chiudendo la porta, segno che doveva far capire ad Harry che anche il discorso, nello stesso momento, era chiuso. Definitivamente. Eppure il concetto di discorso definitivamente chiuso che aveva Anne, non era lo stesso che aveva Harry. Quindi quella che per la madre era da reputare come storia conclusa, per il ragazzo non era mai chiusa fino in fondo. Soprattutto quando ci si metteva con decisione.

Pochi secondi di pace, da solo. Giusto il tempo di sedersi ai piedi del proprio letto e lasciar andare poi la schiena all’indietro, rilassandosi quasi del tutto, portando entrambe le mani dietro la testa. I sensi sempre vigili, per ovvi motivi. Cogliere dettagli come la porta che scatta appena, ed un mezzo passo, leggero, con tanto di strusciatina di pantofola peluchosa annessa.

“Non dire nulla. Deve smetterla di starmi addosso così, non la sopporto più!”

“Sai com’è fatta, Harry… va in ansia per tutto.” Era Gemma, la sorella maggiore, ancora a casa dall’università. Ed il riccio avrebbe riconosciuto tra miliardi di suoni, quello che i passi della sorella procuravano sul parquet di camera sua.

“E va in ansia per tutto, ma io ho sedici anni! Non sono più un bambino e certe cose deve capirle! Prima le capisce, prima si abitua all’idea di lasciarmi andare in giro da solo! Non voglio più dipendere da lei, i suoi orari e le sue cose.. Mi sento un peso, e odio sentirmi un peso.”

Il letto cigolò e si piegò appena di lato, tanto che Harry mosse un braccio per lasciare spazio alla sorella al proprio fianco. E la ragazza non perse un attimo, poggiando la testa sul braccio del fratello, restando lì a coccolarlo silenziosamente, passandogli le dita leggere sul petto. “Non sei un peso, non lo sei mai stato e mai lo sarai… Però è difficile per lei. Devi darle tempo. Non è urlandole in testa che smetterà di metterti in imbarazzo a scuola, lo capisci questo vero?”

Seguì un silenzio, interrotto solo dai respiri profondi, quasi di rassegnazione, che il riccio si lasciò scappare. “E va bene, hai ragione. Però anche tu potresti aiutarmi! Basta fare la cocca di mamma e difenderla senza metterti nei miei panni!”

“Ah io sarei la cocca di mamma?!” rispose lei stizzita, ma in maniera del tutto innocente ed ironica. “E tu che mi dici, eh?! Se io sono la cocca di mamma, tu cosa sei?!”

Cominciò quindi una lotta a botte di solletico, quella che preferivano e che Anne odiava. Vedere i propri figli giocare tra di loro non dovrebbe essere fonte di ansie, a meno che uno dei due sia ipovedente e il gioco consiste in un contatto fisico che facilmente potrebbe trasformarsi in qualche strano incidente, con annesse lividure o robe simili. E c’aveva provato anche a richiamarli i primi tempi, ma con scarsi successi. E poi, Gemma sapeva bene come prenderlo. Era l’unica che riusciva a toccare il fratello in qualsiasi situazione, senza procurargli alcun fastidio. Harry era molto geloso del proprio spazio fisico, unica cosa sulla quale riusciva ad avere un controllo. Il tatto, senso parecchio sviluppato per lui, insieme all’udito era il senso che l’aiutavano ad entrare in contatto diretto con il mondo. Ma Gemma non invadeva i suoi spazi. Lo faceva nei momenti e nei modi giusti, quelli che non provocavano in Harry strane crisi di rabbia, cosa che purtroppo con altri succedeva.

“Oggi ho conosciuto una ragazza…” Dopo qualche attimo per riprendersi dallo scambio di solletico, Harry confessò alla sorella.

“Una ragazza?” rispose lei, mettendosi a sedere, visibilmente entusiasta. “Racconta, su!”

“Ero a pranzo. Mi si è seduta di fianco e nulla… abbiamo parlato dei vari gruppi che ci sono a mensa… e poi mi ha detto di mettere a posto il vassoio e di farlo da solo, perché le mani ce le ho. Si chiama Bridget, è nuova dell’istituto e credo abbia un paio d’anni più di me. E’ stato bello parlare con lei.“

Gemma emise una risatina bassa. “Addirittura è stato bello parlare con lei!?” con tono sorpreso, e quel sottofondo di ironia sempre pronta a punzecchiare il fratello. “Dov’è l’Harry che conosco eh?”

Lui, di tutta risposta, rise, rilassandosi di nuovo, mezzo steso sul letto. “Domani mi accompagni tu a scuola?”

“Mh, controllo l’agenda e ti faccio sapere i miei impegni… se riesco a trovare una mezz’oretta da dedicarti, e se proprio devo, vorrà dire che…”

“Quanto la fai lunga!” la interruppe il ragazzo, tirando uno spintone nella sua direzione, difficile da ignorare considerando il lungo monologo che la ragazza portava avanti. Finirono entrambi per ridere insieme e passare un po’ di tempo a scherzare, farsi il solletico a vicenda, confidarsi. Un rapporto fraterno indissolubile, che anche quando erano lontani a causa degli studi di lei, riusciva comunque a tenerli legati. Nonostante la madre e le sue ansie. Nonostante tutto e tutti.
 

 

***

 
La colazione dei campioni andava consumata con calma, seduti a tavola. L’idea di colazione che tutti hanno, ma che davvero in pochi riescono a mettere in atto. E la famiglia Styles, ovviamente, rientrava tra quelle che proprio non ci riuscivano. La sveglia in camera di Harry suonava mezz’ora prima di quella di tutte le altre stanze, perché più degli altri aveva bisogno dei suoi tempi e di tranquillità. E fare le cose con calma, con i tempi stretti e tutti intorno che vanno di corsa per non far tardi, di sicuro è difficile da trovare. E nonostante ciò, nonostante la partenza anticipata rispetto al resto della famiglia, riusciva comunque a tardare.

“Ti aspetto in macchina!” urlò Gemma dalla porta di ingresso, ovviamente verso il fratello. “Il ciuffo sta benissimo, muoviti!”

Ed Harry, con le mani ancora infilate nei capelli, a vaporizzarseli come la madre gli aveva sempre insegnato, per dare così un tono nonostante il disordine continuasse a regnare sovrano tra i suoi ciuffi, sogghignò sotto ai baffi. Recuperata la sacca, lasciata sempre allo stesso punto della stanza per trovarla facilmente, indossati gli occhiali da sole e recuperato, prima di uscire, il bastone della quale non poteva fare a meno, salutò la madre con un affettuoso bacio sulla guancia, prima di raggiungere la macchina nel vialetto. Sapeva bene che era preoccupata per la giornata. Lo era sempre.

Appena salì, Gemma non perse tempo a mettere in moto e partire. Furono abbastanza silenziosi durante il tragitto, distavano da scuola non più di dieci minuti di automobile, limitandosi a canticchiare le canzoni che andavano in radio. La ragazza rallentò una volta arrivata al parcheggio, fermando del tutto il mezzo al primo posto disponibile. Quindi scese, lasciando il fratello perplesso nel sentire la portiera del guidatore aprirsi e poi chiudersi.

“Che stai combinando.” Aveva un tono da un lato impaurito e dall’altro sorpreso. Non c’era molto di cui aver paura con Gemma, ma riusciva sempre a stupirlo.

“Cosa stai combinando tu! Hai intenzione di scendere, oppure resti in macchina tutto il giorno?” la voce di Gemma gli confessò la sua posizione. Era di fianco alla portiera del passeggero.

Harry non perse tempo, trovò la maniglia della portiera ed una volta aperta, scese dall’abitacolo, facendo scattare il bastone, spaesato.

“Siamo al parcheggio, Harry. Da domani ti farai lasciare qui da mamma, e le dirò che te la cavi benissimo da solo.” Lui sorrise, allungando un braccio verso la sorella, con l’intento di stringerla a sé. La tenne stretta al petto per diverso tempo, ringraziandola con un sussurro prima di staccarsi.

Poi cominciò quella che gli piaceva definire come visita guidata. Attraversarono il parcheggio, lentamente, uno di fianco l’altra, in modo che Harry potesse percorrere gli spazi, scoprendoli con il bastone, e lei al tempo stesso gli descriveva qualsiasi ostacolo, dai gradini ai bidoni per il pattume, nonostante gli spazi continuassero a riempirsi di studenti, man mano che l’orario della prima lezione si avvicinava.

“Vedo che ti fai accompagnare solo da belle ragazze!” commentò qualcuno, commento però che risuonò nelle orecchie di Harry, provocandogli un sorriso.

“Lei è mia sorella, Gemma. Gemma, ti presento Bridget.” La riconobbe. Una delle cose positive che c’era nella condizione in cui il riccio si trovava a vivere, era che riusciva a memorizzare i suoni, come le voci delle persone, più velocemente di quello che normalmente avviene per un vedente. Quindi, nonostante avessero chiacchierato solo per poco, riuscì a riconoscere la ragazza dalla sua voce.

Gemma le sorrise, salutandola cortesemente. Aveva parecchie cose in comune con Harry, soprattutto alcuni lati del carattere.

“Cosa fate?” domandò la nuova arrivata, considerando il passo lento con il quale entrambi continuavano a muoversi.

Gemma lasciò il tempo necessario ad Harry per comprendere che la risposta da dare alla ragazza spettava a lui, e non a lei.

“Sto studiando…” rispose così, dopo poco, con semplicità. “E’ la prima volta che passo dal parcheggio… ho bisogno di rendermi conto degli spazi, e Gemma mi aiuta.” Si irrigidì appena, e la sorella se ne accorse senza darci però peso.

“Ah figo!” aggiunse Bridget, restando lì senza fare ulteriori commenti. Masticava una gomma da masticare in maniera fastidiosa, ma la cosa fece sorridere Harry.

“Sei nervosa?” le domandò.

“Verifica di matematica, per il corso di recupero. Ed è solo il secondo giorno di scuola!” quindi sbuffò, aggiungendo subito dopo con voce accusatoria “Non utilizzare i tuoi poteri extrasensoriali su di me, Styles!” facendo ridere di vero gusto Gemma.

“Abituatici. E’ un difetto che nessuno gli toglierà mai!” e continuò a ridere, lasciando Harry senza parole e a braccia larghe.

“Gemma! Non dovresti darle corda!”

“Ma ha ragione!” si giustificò la sorella. “Usi il tuo super udito per indagare le persone! Non è un segno di buona educazione!”

Ed in fin dei conti, tutti e tre erano parecchio divertiti dall’accaduto. E Bridget, inconsapevolmente, conquistò non solo qualche punto in più con Harry, ma anche un paio di punti simpatia proprio con la maggiore Styles.

“Noi continuiamo la nostra visita guidata… ti aggiungi?” le chiese, sempre cortese, Gemma. Un invito per nulla ironico che rese Harry ancora più teso.

“Fate, fate. Mancano dieci minuti alla campanella… almeno non me ne sto da sola in un angolino, da brava sfigata.”

Risero ancora, prima di ricominciare a studiare gli spazi, con Bridget al seguito che si limitava a seguirli, in silenzio, affascinata in realtà dal legame di estrema fiducia che c’era tra i due fratelli. Harry si lasciava guidare dalla voce della sorella prima, e da quello che gli suggeriva il bastone poi, memorizzando i passi, le misure, gli spazi. Era come se danzasse, a debita distanza da tutto quello che avrebbe potuto farlo inciampare. Era affascinata a dir poco. Arrivarono così ai gradini, dopo diversi minuti, lì dove di solito la madre lasciava scendere Harry.

“Bene, ci siamo. Da qui continui da solo. E’ stato un piacere conoscerti Bridget… in bocca al lupo per l’anno scolastico!”

Le due si salutarono, lasciandosi andare a pochi convenevoli. Non era una da convenevoli la ragazza della mensa, e Harry l’aveva capito sin dall’inizio. Non si offrì di portargli la borsa, cosa che praticamente chiunque che gli si avvicinava gli chiedeva, come se non fosse capace di portarsela da solo. Oppure di dargli una mano a salire le scale, come se senza l’aiuto di qualcun altro da solo non potesse farcela. Era come se lei fosse realmente convinta delle potenzialità di Harry, o semplicemente lo reputasse capace di fare quelle cose completamente da solo, senza dover stargli dietro o offrirsi, per pura cortesia o pietà, nel doverlo aiutare. Era facile avere a che fare con lei, per questi motivi.

“Harry!” una volta nel corridoio principale furono affiancati da Miss Sophie. “Mi sono preoccupata. Non tardi mai di solito…”

“Altra ragazza accompagnatrice!” sussurrò ironica Bridget, procurando l’ennesima risata di Harry, con tanto di capo scosso e lunga sospirata.

“Miss, mi ha accompagnato Gemma oggi.” Si giustificò lui, scrollando semplicemente le spalle. Lei avrebbe capito. Quando c’era di mezzo la sorella, c’era sempre qualche cosa di nuovo nell’aria. Dopo due anni certe cose le sapeva.

“Ci vediamo a pranzo, Styles?” gli domandò l’altra ragazza, tagliando a corto i convenevoli con l’insegnante.

“Solito tavolo. A più tardi…”

Un’altra giornata tra i corridoi e la folla che si accalcava poco prima della campanella cominciò, e Harry avrebbe dovuto farci l’abitudine. Voler arrivare lì da solo, voleva significare arrivare quando i corridoi erano già pieni di studenti. Ma era pronto, prontissimo, ad affrontare tutto quello. Anzi, non vedeva l’ora di buttarcisi a capofitto.
 

 

***

 

Le lezioni della mattina passarono ancor più lentamente del solito, forse perché a differenza degli altri giorni, o forse è meglio dire a differenza degli altri anni, aveva veramente voglia che arrivasse il pranzo. Eppure, nonostante la voglia, l’ultima ora di lezione sembrava non voler proprio finire. Che poi è sempre così: più vuoi che arrivi un momento, meno velocemente ti sembrerà realizzarsi l’ora giusta. E furono inutili anche meri tentativi, come impegnarsi nel pensare al non voler vedere arrivare quell’ora, per far passare il tempo più velocemente. Certe cose, quando non devono andare, non vanno e basta. Nonostante tutto l’impegno che ci si possa mettere.

Ma al tempo stesso, nel momento in cui finalmente sentì il suono metallico della campanella riempire il corridoio, non attese come al solito che la classe si svuotasse prima di lasciarla. Raccolse le sue poche cose, per di più un paio di appunti in braille, trascritti da Miss Sophie per lui, e fece scattare il bastone, muovendosi un po’ impacciato ma con decisione tra i colleghi. L’insegnante di sostegno rimase stupita dalla voglia di Harry di raggiungere il proprio armadietto per recuperare il pranzo, essendo quella una novità.

“Hai parecchia fame oggi?” domandò, con un tono leggermente indagatorio.

“Ci vediamo dopo pranzo miss.” Tagliò a corto Harry. Era un libro chiuso per la maggior parte delle persone, e gli piaceva come cosa. Non s’apriva più del necessario, almeno non con chi non riteneva necessario farlo. E Miss Sophie era di sicuro una di quelle persone che non dovevano conoscerlo per forza, anzi. Meno cose avrebbero saputo riguardo al riccio, più sarebbe stato facile per lui aver a che fare con loro.

Il tempo che impiegò nel raggiungere il proprio armadietto e poi scendere al piano terra, tramite l’ascensore che l’istituto metteva a disposizione per gli insegnanti e per coloro che avessero determinate esigenze, come Harry, non seppe quantificarlo. Ma si reputò abbastanza soddisfatto. Aveva fatto di sicuro tempi peggiori.

Così fece il suo ingresso in sala mensa con un che di soddisfatto nel viso, con in mano il sacchetto del pranzo e tutta l’aria baldanzosa. Furono le voci che sentì nei pressi del primo tavolo, quello che impegnava da solo di solito, a fargli scomparire qualsiasi smorfia di velata felicità dalla faccia, per fare largo ad una decisamente tesa.

“La mamma non ti ha insegnato che più mangi quella robaccia e più metti su ciccia e brufoli? C’è un limite anche per quello, sai? Se superi due metri di circonferenza, paghi il doppio delle tasse perché sei due persone in una!” non conosceva quella voce, ma la cattiveria del tono, nonché delle parole, lo colpirono parecchio. Non aveva idea di chi fosse, né tantomeno a chi si stesse rivolgendo, ma c’era poco di amichevole in ogni caso.

“Non sai che potrei scoppiare da un momento all’altro? Ti conviene starmi alla larga.” Quella voce invece la riconobbe subito, cosa che lo innervosì ancor di più. Così, senza perder tempo, compì un altro paio di passi, gli ultimi che gli rimanevano per raggiungere il tavolo, e Bridget che aveva appena parlato.

“E questo dovrebbe spaventarmi? Dovresti semplicemente stare più attenta a dove metti i piedi, perché sei peggio di un elefante in vetrina.”

“O potresti fare in modo che il tuo culo non si trovi sulla mia strada! Sarebbe una buona idea…”

Si sentì quindi il rumore di qualche cosa che sbatteva al suolo, qualche cosa di plastica, pesante. Probabilmente un vassoio con tutto il pranzo.
“E adesso che fai? Mi salti addosso perché il tuo pranzo è da buttare? Non succede nulla se non mangi per un giorno, puoi sopravvivere due mesi nel deserto che non muori di fame!”

“Ma perché tutta questa cattiveria?” si inserì Harry, senza nemmeno pensarci o farci caso. Un semplice commento, ad alta voce, abbastanza alta da indirizzare l’attenzione del ragazzo.

“E tu che cazzo vuoi? Usa il bastone della felicità, e smamma.” Aveva sempre quel tono acido ed incattivito, senza alcun motivo in realtà. E il fatto che Harry fosse sempre rimasto al di fuori di risse, litigi o quant’altro, non lo rendeva pratico di certi meccanismi da bullo.

“O potrei spaccartelo in testa, volendo…” tirò fuori, con audacia, sorprendendosi di sé stesso nel momento stesso in cui le parole gli uscirono di bocca.

Nemmeno il tempo di mettere a fuoco la situazione nella propria testa, che si sentì afferrare per il colletto, mentre Bridget urlava qualche cosa come “lascialo stare”, senza successo.

“Il fatto che tu sia un cieco di merda non ti da il permesso di sentirti figo, è chiaro? Posso prendere a pugni la tua faccina di cazzo senza nemmeno pensarci due volte. Anzi, sarei avvantaggiato. Quindi vedi di non fare il coglione, perché non ci metto nulla. Continua a startene nel tuo angolino buio, ritornatene nel nulla da dove vieni, e non rompermi più il cazzo.” Ma la presa sulla collottola non si allentava, anzi.

Il panico si invase di Harry. Sentiva la presa stringergli al collo, la maglietta quasi lo soffocava, o era semplicemente la paura a chiudergli le vie respiratorie. Sta di fatto che si sentiva quasi leggero, vuoto da qualsiasi pensiero, inerme. Non alzò una mano, non fece alcun movimento brusco. Stava in silenzio, in balia del volere di quello che nemmeno conosceva, che gli teneva un pugno sotto al collo, mentre nessuno faceva nulla. Nessuno eccezion fatta di Bridget, che continuava a strattonare il bullo aggressore.

“Zayn.” Un’altra voce sopraggiunse, e poteva essere a tutti gli effetti la voce di un professore, o comunque di un adulto, per quanto era profonda. “possibile che debba sempre trovarti a prendertela con i mocciosi?”

La presa si allentò, ed il riccio provò quella strana sensazione di polmoni che si riempiono nuovamente, quasi dolorosa, come quando riaffiori dall’acqua dopo una lunga apnea.

“Ma tu perché non ti fai i cazzi tuoi, Tommo?”

Nonostante Harry non potesse vedere la scena, da come quel Zayn aveva chiamato l’”altra voce”, quel Tommo, era quasi sicuro del fatto che non si trattasse di un professore, ma solo di qualcuno più grande di loro tutti. Ed anche un po’ più controllato di Zayn, ma al tempo stesso influente per il bullo, che lasciò la presa del tutto per rivolgergli attenzioni.

“Perché stai facendo il coglione a mensa, mettendoti in ridicolo tra l’altro.” Lo sbeffeggiò. “Vai a mangiare il tuo pranzo, che è meglio.”

Seguirono diversi attimi di silenzio. La mensa non era mai stata così silenziosa. Poi arrivò un altro spintone dritto al petto di Harry, trovandolo ovviamente impreparato, motivo per il quale cadde all’indietro, finendo malamente addosso a Bridget che gli stava dietro. Solo in quel momento, con quel contatto che durò pochi attimi, si rese conto delle rotondità della ragazza, importanti considerando il fatto che atterrò quasi sul morbido. Si rimise sui propri piedi velocemente, imbarazzato e con tutta la voglia di sprofondare. Non era abituato ai contatti fisici, di alcun genere, tranne aggrapparsi al braccio di pochi conosciuti. Ma era da ritenersi contatto fisico quello?

Qualche altro attimo e quindi ricominciò la classica routine della mensa. Chiacchiere, persone che vagavano, proprio come se nulla fosse successo. Harry cercò con la mano il tavolo, per potersi sedere sulla panca adiacente e riprendere fiato.

“Non avresti dovuto metterti in mezzo.” Sbottò Bridget, che nonostante tutto non sembrava per nulla scossa dall’accaduto, al massimo leggermente in imbarazzo, a differenza del riccio, che rimase totalmente muto ed immobile. “Me la so cavare da sola con i coglioni come quel senza palle. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. E il mio pranzo è andato a puttane. Ci vediamo in giro.”

Rimase totalmente solo, senza nemmeno capire cosa fosse successo e perché. Per comprendere certe cose avrebbe avuto bisogno di un interprete. La realtà, quando non puoi vederla ma solo percepirla, spesso ti lascia con parecchi dubbi nonché paure. Era stato una specie di incubo, che sembrava finito. E con quello anche l’ora del pranzo per lui, nonché la voglia di mangiare.










______________________________________________note_autore____

Salve, qui Giulia aka LouVelessy.
Capitolo 2, compare Tommo. Zayn è decisamente un badbad boy qui, 
ma non si può avere tutto dalla vita no?
Di una Bridget come quella che si è letta tra le righe ve l'aspettavate?
Avevo detto a qualcuno di attendere per capirne di più.
Spero vi piaccia. Come sempre, se inserite la storia tra le preferite/se-
guite, vi avviso appena posto il nuovo capitolo.
Grazie per le condivisioni, visualizzazioni, commenti, come sempre :)
Un bacio, 
Giulia.

P.S: le descrizioni di persone e cose sono omesso volontariamente.
Pensate che Harry è ipovedente, e le cose le scopre a modo suo.
E' un esprerimento il mio, ma prima o poi si scoprirà ogni cosa, 
nel "modo di Harry". Poi capirete :) Spero apprezziate comunque.

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: LouVelessy