Negli occhi e nella voce - Prologo
Capitolo 1/10
Da quasi un'ora il ragazzo era sdraiato sul letto sfatto. Gambe e braccia penzolavano dai bordi. Lo sguardo vacuo fisso sul soffitto scrostato. Erano le tre del pomeriggio. L'afa opprimente di quei giorni rendeva la sua permanenza a Privet Drive ancora più insopportabile. La casa dei Dursley era dotata di impanto di condizionamento. Zio Vernon aveva provveduto ad installarlo una settimana dopo il ritorno di Harry. Il problema era che lui stava nell'unica stanza della casa che non usufruiva di questo servizio. Finalmente il ragazzo si mosse. Con un lungo sospiro incrociò le gambe, si mise una mano dietro la nuca, e afferrò con delicatezza un oggetto poggiato sul comodino: una fotografia, fatta di recente e tuttavia consunta da continui maneggiamenti. Se la portò ad una spanna dal viso e prese a fissarla. Ron ed Hermione in divisa scolastica, gli sorridevano e lo invitavano ad unirsi a loro. Un moto di nostalgia lo assalì.
Dio, quanto mi mancano...
Si pose il pezzo di carta animata sul petto e chiuse gli
occhi. Un velo di tristezza calò su di lui. Il ricordo della loro ultima
separazione a King’s Cross si fece strada nella sua mente: non era un bel
ricordo. Ron, teso come una corda di violino, strettagli la mano lo aveva
liquidato con un sobrio A presto, Harry...
Hermione, dal canto suo era stata più affettuosa, come
sempre, ma pure lei non si era lasciata andare più di tanto con quel A
prestissimo!
Nessuno di loro lo aveva abbracciato come gli anni
precedenti.
Che ti aspettavi Harry? Che avresti fatto al posto loro?
Sono stati anche troppo buoni!
Quanto avrebbe voluto averli accanto in quel momento,
abbracciarli, e chiedere loro scusa. Chiedere loro scusa del modo orribile in
cui si era comportato. Fin dal suo arrivo a Grimmauld Place, ancor prima
dell'inizio del quinto anno, avevano dovuto sopportare tutte quelle sue stupide
sfuriate e quell'atteggiamento da povero incompreso. Li aveva usati come
valvola di sfogo di tutti i casini che aveva con gli adulti e loro gli erano
sempre e comunque rimasti a fianco, incassando, capendolo. E lui? Mai una
scusa. Mai un grazie. Troppo occupato a piangersi addosso, a dimostrare agli
altri che lui non raccontava balle e non rendendosi conto che l'unica cosa che
contava veramente la possedeva già: la fiducia e l'appoggio dei suoi amici.
Dalle palpebre ancora chiuse uscì una lacrima. Non ce la faceva più a convivere
con questo peso. Voleva liberarsene. Voleva poggiare la fronte sulle loro
spalle amiche, e lasciarle fluire lì le lacrime, non da solo nel proprio letto.
Qualcosa evidentemente stava mutando nell'animo di Harry
Potter. La morte di Sirius aveva cambiato profondamente il suo modo di vedere
le cose. Il Quiddich, la scuola, i professori, quello che gli altri ragazzi
pensavano di lui: tutto questo stava acquistando un valore diverso. Non avrebbe
più permesso che queste cose s'insinuassero tra lui Ron ed Herm. LUI non si
sarebbe più permesso di trattarli come aveva fatto l'ultimo anno. Quel ragazzo
e quella ragazza non erano soltanto i suoi due migliori amici erano la sua
famiglia.
Ancora con questi pensieri per la testa Harry si alzò a
fatica dal letto. Erano quasi le cinque del pomeriggio e come le altre sere,
sarebbe andato a fare due passi prima di cena. Dal suo ritorno nel mondo
babbano era possibile notare un insolito via vai nella zona intorno Privet
Drive. La cosa poteva quasi destare sospetti. Harry si accorse presto come in
qualsiasi momento della giornata, se si fosse guardato attorno, avrebbe scorto
come minimo una figura in lontananza intenta ad osservarlo. Tuttavia non
percepì mai in loro un qualche segno di minaccia. Anzi! Un paio di volte tentò
di avvicinarli. In entrambi i casi però questi gli intimavano di stare alla
larga, facendo cenno di no con il capo. Harry sapeva chi erano quelle persone:
maghi come lui, dipendenti del ministero, Auror probabilmente, incaricati di
vegliare sulla sua incolumità. Era giunto alla conclusione che dopo la
rinascita di Voldemort, neanche casa Dursley era più un posto sicuro per lui.
La protezione che sua madre Lily gli aveva donato, perpetuata dalla convivenza
forzata con zia Petunia non aveva più effetto da quella maledetta notte. La
notte in cui il sangue di Harry, utilizzato come componente principale del sortilegio,
rendette Voldemort immune al suo contatto fisico. Tuttavia il punto era
un'altro: se non aveva più motivo di restare con i Dursley che ci faceva ancora
lì a godere della loro piacevole compagnia? Avrebbe potuto andarsene. Ad ogni
modo quello non era il periodo più adatto per compiere delle sciocchezze, così
Harry si ripromise di affrontare l'argomento con Silente, all'inizio del
prossimo anno scolastico. Ogni volta un moto di gioia lo percorreva da capo a
piedi al pensiero che forse a settembre avrebbe definitivamente dato il ben
servito agli odiati zii.
Non montiamoci troppo la testa... Pensiamo piuttosto
all'indomani!
Il giorno seguente infatti, sarebbe stato il 31 luglio, ed
Harry avrebbe compiuto sedici anni. La cosa che più lo rendeva felice non era
il compleanno in sè, ma la certezza che con esso sarebbero arrivate le lettere
dei suoi amici. Per dirla tutta, sperava di trovare in quella di Ron un invito
a trascorrere un pò di giorni alla Tana, in sua compagnia e di quella di
Hermione. Tuttavia questo pensiero veniva sempre scavalcato da un'altra
riflessione.
Non ci sarebbe niente di strano se non mi volessero con
loro!
Del resto come avrebbe potuto biasimarli! Il suo nome si
trovava in cima alla lista nera di Voldemort da più di quindici anni. Inoltre,
considerando il fatto che più della metà della famiglia Weasley faceva parte
dell'Ordine, Harry riteneva più che ragionevole supporre che Arthur e Molly non
volessero mettere ulteriormente in pericolo la vita dei loro figli.
Il sole era quasi sparito in lontananza, dietro i palazzi,
quando il ragazzo decise che era giunta l'ora di tornare a casa. Rientrò un
minuto prima di Dudley evitando così la ramanzina. Dopo aver consumato una cena
frugale, si richiuse in camera e spalancò la finestra lasciando entrare un pò
di frescura. Calato il buio e il silenzio, ogni tanto rotto da qualche latrato
lontano, Harry infilò maglietta e pantaloncini corti, posò gli occhiali sul
comodino, e si lasciò cadere sul letto a pancia in giù affondando la testa nel
cuscino rattoppato. Di una sola cosa era sicuro: non sarebbe mai riuscito ad
estirpare dalla mente il ricordo di quelle notti. Quelle notti in cui non
sapeva quale scegliere tra le due alternative. Addormentarsi e rivivere minuto
per minuto quei terribili momenti nell'Ufficio Misteri, per poi risvegliarsi
madido di sudore e i batti a mille. Rivedere in sogno Ron, delirante,
avvinghiato dai tentacoli; poi Hermione, accasciata a terra, inerme, forse
morta; e infine Sirius combattere con Bellatrix, inciampare, sprofondare nel
velo, morire...
Oppure perché no: perché non rimanere sveglio a rimuginare
per ore sui sensi di colpa, che per quante ne potesse dire Silente, lui non
poteva ignorare.
In entrambi i casi sapeva come sarebbe arrivata l'alba: in
compagnia di quell'opprimente consapevolezza. Quella consapevolezza che gli
trapanava il cervello, che gli straziava l'anima che nel cuore della notte lo
portava a sedersi sul fianco del letto, ansimante, chino, con le mani premute
sullo stomaco come vittima di un duro colpo.
La consapevolezza che in fondo era stata tutta colpa sua.
* * *
Spero che non vi siate annoiati a morte! Ad ogni modo nei
prossimi due capitoli avrete modo di farvi un'idea abbastanza chiara di questa
mia prima ff che per inciso è già terminata.
Se avete voglia lasciatemi un commentino.