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Autore: Shery    29/05/2013    3 recensioni
"Il palmare mi cadde dalle mani, gli occhi erano fuori dalle orbite e la bocca era arrivata sul fondo del mare, posso garantirlo. La lingua era rasposa e la gola secca; il mio corpo paralizzato. Uno spavento può tante cose, e quello con il quale bruscamente mi imbattei, mi fu segnato addosso come una cicatrice sulla faccia."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Queen Of The Sea  - °La Sirena Delle Sabbie °

Ancora incredulo, non potei frenare il desiderio di allungare le mani verso quello che i miei occhi si rifiutavano di vedere, così strisciai come una biscia, più avanti, e le mie pupille non poterono essere più soddisfatte di così: Mio Dio...! bella, alta, in posa ed appoggiata alla terra, giaceva inerme "la sirena delle sabbie". Non me lo dire, non me lo dire, non me lo dire, non me lo dire, la veeedoooo....!!! E così, cominciai una danza frenetica ciondolando il bacino come un cucù. L'accarezzai, la scrutai, la studiai. Ero in preda ad un attacco di follia da esaltazione. Non tanto per lei in se per se, quanto per ciò che dietro di lei avevo potuto mettere a fuoco. Si narrava che pirati e pirati l'avessero cercata in lungo e in largo, ma che nessuno era mai riuscito a trovare il relitto che la custodiva con così tanta bramosia. Beh... Manco io sarei mai venuto a cercarlo qui, invece, adesso, è proprio davanti a me….!

Fortunatamente, la bombola d'ossigeno in caso di emergenze, aveva ancora una buona mezz'ora di utilizzo, quindi, mi sembrò doveroso, da parte mia, andare a dare un'occhiatina a quella bella carcassa appoggiata su un fianco e ricoperta di coralli.
Appena vi poggiai le mani, un branco di pesci multicolor, sgusciati dalle innumerevoli fenditure dei coralli, scappò diritto in una direzione unica passando oltre la mia figura intera. Era sempre uno spettacolo per me, nonostante tutto. Involontario, per l'appunto, fu il sorriso che increspò le mie labbra mentr'ero impegnato a guardarmi indietro. Rivolsi ancora una volta, poi, la dovuta attenzione a quel maestoso relitto e, con cautela, m'imbucai passando attraverso quella che, nei tempi d'oro, doveva essere stata probabilmente una botola la quale, dalla base, portava dritti al cuore della nave. Dire che fosse malconcia, sarebbe stata decisamente ipocrisia, ma posso dire di avere potuto vedere relitti in uno stato che sarebbe stato eufemismo definirlo "pessimo".
Infilai il capo attraverso due travi che in principio, non dovevano far parte di quel luogo, giacché si trovavano in mezzo alle scale, e vi era, giusto all’angolo del corridoio che avevo scoperto, quello che doveva rimanere di un tavolino da gioco. Lì al suo fianco, una porta. Di fianco ancora, altre porte. Probabilmente, dietro ognuna di quelle porte, si nascondevano gli alloggi della ciurma. Dirò la verità: l’idea di aprire una di quelle porta, mi balenava nella testa, ma… beh, purtroppo per me, non avevo i tempi e la giusta attrezzatura. Così, mi limitai a fare un rapido tour di tutta la nave, imbucandomi nelle zone pressoché accessibili. La stiva, che avevo potuto intravedere, mi aveva letteralmente fatto venire la pelle d’oca. Sono un segretissimo fan dei pirati. Sì. Ammetto. Beh, nel fancazzismo, tutti quanti possiedono un Hobby. Nei miei momenti di noia, montavo modellini di navi pirata e guardavo documentari e film sull’argomento. Ma, beh.. tornando a me, immerso nell’acqua, ero oramai quasi a corto di fiato quando, con la coda dell’occhio, intravidi qualcosa che aveva attirato la mia attenzione. Non potei fermarmi, però. Sapevo che avrei potuto vederla domani, anche se la paura che qualcosa sarebbe potuta accadere, mi lasciava un senso di insoddisfazione. Non volevo rimandare. Ragionandoci su, però, mi dissi che comunque, se il relitto era lì dai tempi della sua scomparsa, nulla avrebbe potuto impedirmi di tornarci e ritrovarla nello stesso posto. Di certo, la “sirena delle sabbie”, non avrebbe messo su i piedi, durante la notte, per andarsene a zonzo sotto il mare…!
Con questa auto-convinzione, nuotai verso la superficie, guardandomi comunque indietro. Nel riemergere, il palmare intonò una di quelle suonerie predefinite e, scosso il capo per alleggerirmi dall’eccesso d’acqua, chinai lo sguardo per vedere chi cavolo mi cercava. Birra, stasera. Non andare a nanna all’orario delle galline. Era Daniel: uno della squadra di sub. Nonché: il migliore degli amici, tra i peggiori. Una birra non mi avrebbe fatto male, dopo il pomeriggio faticoso. Neanche risposi. Sapeva che ci sarei andato comunque, e se così non fosse stato, sarebbe venuto a prendermi.
Fortunatamente, tornato in superficie, notai che la mano aveva smesso di prudere. “Ciò che in terra ti ferisce, in acqua guarisce.” Lo diceva mio padre. Era una scusa per mandarmi fuori dalle balle quando, ciondolando in preda al pianto, cercavo un suo conforto per qualche feritina da nulla, magari, giocando. Al di là dei pessimi motivi per il quale me lo predicava, la frase è veritiera. Le ferite di terra guariscono con una velocità incredibile, nel mare. E le ferite di mare cicatrizzano molto più in fretta sulla terra ferma. Comunque, tornato a casa, Mi sarei medicato, onde evitare gonfiori o stati febbrili. Durante la notte.

Ripulito e asciugato, m’infilai un jeans e una maglia, e aspettai Daniel sotto casa in sella alla mia Ducati 1098.
Stanchissimo, ero appoggiato con la faccia sul contachilometri e, mi sarebbe potuto passare un camion da sopra, certamente non me ne sarei accorto. Il suono terrificante di un clacson suonato all’impazzata, invece, mi fece letteralmente scattare il capo e, con mia grande sorpresa, Daniel era lì, seduto comodo, che mi aspettava, probabilmente, da un po’. Corrugai la fronte, nel vederlo, e aggrottai le sopracciglia, istintivamente. « Aspettavi che ti mandassi un messaggino con scritto “dove sei, amore mio?” ? – » « Non mi sarebbe mica dispiaciuto! Sono un ragazzo sensibile, dovresti saperlo…! – » esclamò, al solito, stringendosi nelle spalle. Doveva avere dormito per tutta la giornata. Aveva la classica faccia del cuscino. « hai la trapunta stampata tutta in faccia, nullafacente. » Rise, accelerando con la moto e attendendo che lo seguissi. Non rispose, ed io capii il perché. « Sei un danno della natura, tu. » insistetti, giacché il suo silenzio, era stato più chiaro di qualunque altra risposta che avrebbe potuto darmi, e lo seguii, accelerando a mia volta.
Un quarto d’ora al massimo, ed eravamo sul posto. Daniel era il classico ragazzo della porta a canto. E non c’era luogo in cui, avendoci messo piede, non aveva fatto strage di cuori. Praticamente il mio contrario. La mia ultima storiella senza impegno risale agli anni novanta. Daniel, invece, se la spassava e, come avevo potuto genialmente notare dalla stampa sulla faccia, era appena tornato da una passeggiata sul letto di qualche bella ragazza greca. Certe volte lo invidiavo. Ma questa volta, non era una di quelle.
Primi, come sempre, parcheggiammo le moto vicino ad un palo, e le lasciammo attaccate lì col catenaccio. Ci sedemmo sulle scale che portavano al locale, e ci facemmo due chiacchiere ordinando una birra cadauno. Rebecca, la ragazza del gruppo, sarebbe sicuramente arrivata un’ora dopo, almeno, l’orario stabilito; e Vincent, non so neanche se sarebbe venuto veramente. Quell’uomo era tutto un programma e io, non sono mai stato un genio dei computer. « Dov’è che sei andato? » « ho trovato un posto da perlustrare. » risposi, rubandogli la birra dalle mani. « roba interessante? » chiese, lui, accendendosi una sigaretta. « Marlboro? » Non mi rispose. Me la offrì direttamente, e ne approfittai. Non fumavo una Marlboro da giorni. Posai la birra in terra, tra una gamba e l’altra, e tacqui finché il fumo del primo tiro alla sigaretta, non offuscò la visuale. « roba da guardare. » Mi sentii strappare la sigaretta dalle labbra asciutte, e alzai lo sguardo, seguendo la voce stridula come quella di una cornacchia che tenta una gara di canto, con un usignolo. « fumare ti fa fare i denti gialli. Lascia questa roba agli uomini come Vinc! » Mi alzai dalle scale, afferrando la birra per il collo e, guardando Daniel, scossi il capo sperando nella comprensione di quel gesto che volli improvvisare visto il mancato tempo che avevo avuto a disposizione per potergli dire che la conversazione fatta, doveva rimanere solo nostra.
Due tre alcolici, quattro chiacchiera e il dolce, e s’erano fatte le quattro del mattino. Altro che l’orario delle galline. Qui facevamo cambio turno con il gallo, un altro po’.
« a proposito di domani, Vinc. Hai impegni, tu? » non chiedetemi perché lo facessi, ma d’abitudine chiedevo sempre e solo a lui, se avesse impegni. Gli altri, sapevo che bene o male mi avrebbero seguito comunque. Probabilmente, nell’inconscio, non ero sicuro che Vincent avrebbe fatto lo stesso. « No. » rispose secco, come di consueto, appoggiato con le braccia nude incrociate sulla tavola. « allora domani mattina ci caliamo fino a che la luce non è dalla nostra. » Mi riempii il bicchiere mezzo pieno, e lo portai alla bocca. « oggi? » se ne uscì, la cornacchia dal pelo rosso. « ch’è? » domandai, rivolgendomi a Rebecca, seguito da Daniel che si limitò a voltare il capo verso di lei e, Vincent che fece il semplice sforzo di girare le pupille nella sua direzione. « sono le quattro e trentasette, ragà. L’immersione è oggi, o domani? » Si grattò il capo, Daniel, e fece le mie veci, con l’aria da saccente « oggi, Beki, non lo vedi che sta bruciato?! » scoppiò in un risolino, lei, mentre io, trattenendo una risatina al limite del controllabile, mi difesi senza troppi sforzi « eh.. ad andare con lo zoppo, Dè… »
un altro giro di scotch, e ci ritirammo. Avrei preferito non tornare. Con il senno di poi, credo proprio che non l’avrei fatto. In queste due settimane di soggiorno qui in Grecia, mi era capitato di andare a dormire insolitamente troppo presto, giacché, preso dall’apprendimento basilare della lingua, mi ritiravo in camera con la testa a mongolfiera, dunque, non mi ero mai reso conto di quanto forte russasse alla Geppetto, il mio compagno di camera.
Con lo sguardo al cielo, il cuscino in una mano e il telecomando (mio fedele amico) nell’altra, mi appoggiai sul divano del soggiorno e mi addormentai.

7:34 del mattino.
La sveglia di Zenais, il mio coinquilino, non poteva suonare in momento peggiore. Mi trovavo a New Orleans e mangiavo patatine fritte passeggiando per Jackson Square mentre ascoltavo musica dal vivo. Avevo appena finito di sognare lucertole a tre teste che volevano staccarmi gli arti a morsi. Appena fui sveglio, ero io quello che avrebbe voluto tre teste per staccare gli arti a morsi di Zenais. « Zeeennn... ‘Nte gamí̱sou! » che tradotto, sta a significare “ Vaffanculo, Zen. ” La comunicazione tra di noi era scarsa, ma le cose essenziali, riuscivamo sempre a dircele. Rise, e mi portò la colazione a letto. Che momento fantastico. Lo faceva sempre. Tanto meglio per me. Un quarto d’ora dopo, ero già fuori della porta, pronto per l’immersione. Non vedevo l’ora di perlustrare la poppa, la prua e, l’alloggio che aveva attirato la mia attenzione, proprio vicino alla scala malandata.

« Boa in mare. » disse Vin, risalendo sullo scafo e, restò lì, come un polpo al sole. « Allora, Daniel, tu vieni con me, Rebecca alla boa oltre la cascata, e Vinni torna da dove è venuto. » Diressi. « Smettila. » Ribatté, Vin, a proposito del mio intervento. « scusa, Vin! L’abitudine. » detestava il suo soprannome così come un cane detesta le pulci. Eppure, se me lo chiedessero adesso, non saprei rispondere al perché di quel nomignolo. Un tuffo di schiena nell’acqua e, questa volta, si faceva sul serio. Avremmo perlustrato ciò che volevo, senza preoccuparmi di tenere il respiro.
Arrivati a sfiorare il fondo con le pinne, trascinai Daniel dritto verso la maestosa “Sirena delle sabbie”, unico e solo, simbolo della nave pirata che, secoli addietro, si reggeva sulla prua e, appena le passammo accanto, Daniel voltò il capo verso di me con gli occhi che facevano zigo-zago: non poteva crederci. – Cazzo! – esclamò, sbrodolando bolle, e se la mangiò con gli occhi. Con un dito, puntai oltre la Sirena e ancora una volta, fu preso dalla sorpresa, inscenando uno svenimento. Che coglione. Gli mostrai la unica entrata sicura che avevo trovato nella perlustrazione del giorno prima, e di lì entrammo, sicuri che non ci avrebbe accidentalmente colpito nulla. Era decisamente instabile come struttura, ma i coralli avevano formato una sottospecie d’armatura su di lei e, forse, questo, contribuiva a tenerla ancora in piedi. Daniel perlustrò le zone identiche a quelle sulle quali io mi soffermai il giorno prima, mentre io, feci segno a lui, che sarei entrato in un alloggio sotto la scala. Avevo aspettato troppo allungo. Come una donna in trepida attesa per il suo primo appuntamento, sgattaiolai oltre lo squarcio nella porta, e vi trovai esattamente quello che credevo di avere visto. Non potei trattenere l’eccitazione, così, cavai fuori il capo dalla porta e attesi che Daniel mi guardasse. Vieni a vedere, cazzo. Devi vedere. – scattò, come una puzzola dopo il misfatto, e mi seguì: io e lui in quella stanza, di spalle alla porta e l’espressione inebetita: due bambini, in un negozio di caramelle, con un buono di 100.000 euro in mano, era l’impressione che, al difuori della nostra percezione, avremmo dato a chi ci avesse guardato. Pancia mia… fatti capanna!



NDA: Ciao a tutti! :D ok! Questa volta, volevo solo dirvi che ringrazio tutti quelli che mi seguono, che hanno letto, o che accidentalmente si sono trovati a leggere il primo capitolo, che vi sia piaciuto o meno. E poi, grazie a quelli che aspettavano il secondo. ;)
Asdrubale!
NB: un grazie speciale a Sabrina91, che mi ha aiutata a comprendere l'html! *w*
   
 
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