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Autore: Macaron    29/05/2013    4 recensioni
“ Tuo padre ti racconta delle storie?”
Sherlock arriccia il naso. Non è la domanda giusta. “ Non penso che mio padre sappia nemmeno quando sono nato. “
“ Posso raccontartele io. Tu puoi farmele vivere ma io posso raccontartele, sarò il tuo biografo devo far pratica!” Sorride e Sherlock è quasi disposto a passar sopra alla stupidaggine della cosa.
“ Avanti allora, fai del tuo peggio.”

Di Capsule del tempo, spiagge del Sussex nelle vacanze invernali, ricette di torte sacher rubate e migliori amici con cui aspettare l'alba.
Kid!lock e piccolo epilogo Retirement!lock perchè ci voleva il finale
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Marzo, Quasi sessant’anni dopo.

 

 

 

“ Non mi ricordavo ci fossero delle cabine.” John cammina esitante sulla sabbia quasi grigia della spiaggia di Brighton.

“ Non c’erano infatti, non cinquant’anni fa. Mycroft mi ha scritto una lettera riguardo un qualche rinnovamento della spiaggia una decina d’anni fa in concomitanza con lo sviluppo turistico della città ma devo essermelo dimenticato. Noioso. Scritto da Mycroft, ancora più noioso.”

“ Certo che per essere una spiaggia su cui l’amministrazione cittadina pensa di puntare non c’è proprio nessuno.”

“ Perché è inverno, John. Perché è fine marzo. Ed è l’alba. Seriamente chi potresti trovare su una spiaggia a fine marzo all’alba a parte non lo so, i gabbiani?”

“ E noi. Noi e i gabbiani.”

“ Lieto di notare che l’età non rallenta le tue sfavillanti capacità deduttive.”

“ Noi e i gabbiani.” John esita come se stesse riflettendo. “ Noi e i gabbiani. Mi spieghi perché hai insistito per venire sulla spiaggia proprio adesso con ancora tutti gli scatoloni da sistemare?”

“ Sistemare è noioso. E ti avevo promesso che saremo tornati.”

Sherlock sbuffa e rallenta un attimo il passo. La sabbia ha iniziato a entrargli dentro le scarpe e insomma sarebbe sicuramente più intelligente fermarsi per sedersi e levarsele perché lo sanno tutti che poche cose sono fastidiose come quei chicchi sotto le dita. La sabbia ha iniziato ad entrargli dentro le scarpe ma lui non vuole sedersi perché piegarsi gli fa male, ed è normale perché fa parte del processo d’invecchiamento e lui lo saprebbe comunque anche se non vivesse con un medico, e una volta seduto faticherebbe a rialzarsi e tutto sarebbe scomodo e il suo corpo emetterebbe dei suoni che lui non vuole gli appartengano. Potrebbe semplicemente appoggiarsi a John, questo limiterebbe i suoi movimenti e gli causerebbe meno dolore alla schiena ma sarebbe anche un modo di ammettere che è in difficoltà, che non ha più otto anni, che non ne ha più nemmeno trenta e non sarebbe Sherlock Holmes se lo facesse.

Il dottore gli prende la mano e se l’appoggia sulla spalla.

“ Appoggiati.”

Sherlock arriccia il naso infastidito.

“ Non ho bisogno di una mano.” Non ti ho chiesto una mano, vorrebbe dirgli ma non lo dice. “ Non ho bisogno di appoggiarmi.”

“ Ma io ho bisogno che tu ti appoggi. Sto facendo ginnastica. Ginnastica per la terza età.” John annuisce come se avesse appena detto la cosa più intelligente del mondo e un sorriso lo illumina. “ Sto facendo ginnastica perché sono vecchio e altrimenti rischio che la mia gamba malata ceda prima di arrivare sulla riva. Sto facendo ginnastica e ho bisogno di un peso, quindi appoggiati. Certo se avessi mangiato qualcosa negli ultimi anni saresti un peso migliore ma devo accontentarmi.”

Sherlock sbuffa di nuovo, si appoggia al dottore e si sfila le scarpe.

“ Adesso mi sento vent’anni di meno!” John si stiracchia come se si fosse appena svegliato. “ E poi sono così fortunato che saresti capace di conficcarti nel piede l’unico vetro di tutta la spiaggia e fingerti moribondo almeno per due settimane.”

Ridono e ricominciano a camminare.

 

 

 

“Sherlock secondo te che odore ha la morte?”

Stanno camminando sulla riva e nonostante sia una giornata da cappotto pesante l’acqua è tiepida, nella mente di Sherlock le nozioni sui motivi per cui l’acqua durante l’inverno risulti più calda rispetto all’estate e tutto quel discorso sull’escursione termica e l’azione termoregolatrice del mare non si sono mai fissate, e piacevole sotto le piante dei piedi.

“ Secondo te che odore ha la morte?”

Sherlock sbuffa. L’aveva già sentita quella domanda, è invecchiato ma non è diventato sordo. Non è diventato sordo e nemmeno cieco perché si è mai visto un consulente investigativo che non può contare sui suoi sensi? Non l’avrebbe mai permesso al suo corpo di venirgli meno, non così tanto.

“ Ti ho sentito, John. Speravo solamente che ignorandoti e fingendomi morto potessimo superare questa domanda, senza senso.”

“ Fai anche lo spiritoso adesso?” John lo guarda di sottecchi mentre colpisce distrattamente qualche sassolino sul bagnasciuga. “ Ho sempre sentito dire, anche dai miei pazienti, che quando sta arrivando un ictus si sente l’odore di toast. Toast bruciato, in realtà. E mi chiedevo che odore potesse avere la morte.”

“ John, a costo di sembrare troppo lineare sai che non ci sono prove a favore di queste affermazioni sul collegamento tra l’odore del toast e l’ictus vero? Lo sai che generalmente se senti l’odore di un toast bruciato non stai avendo un ictus ma stai bruciando un toast? Ogni tanto penso che la laurea in medicina tu l’abbia ricevuta grazie a qualche raccolta punti.”

“ Oh andiamo, lo so benissimo che non ci sono prove, pensi che sia diventato così idiota? Non ti azzardare a rispondere se non vuoi che ti lasci quì!” Una risata, uno scambio di sguardi e John ricomincia a parlare. “ Però ci sono un sacco di testimonianze a riguardo e visto che tu pensi praticamente a tutto mi chiedevo se fossi mai arrivato anche a interrogarti su questo.”

“ Sull’odore della morte? No John non ho segretamente compilato una relazione sulla correlazione tra il bacon, la pancetta affumicata e l’infarto.”

Continuano a camminare in silenzio lasciando che a fargli compagnia sia semplicemente il rumore delle onde che s’infrangono contro gli scogli davanti a loro.

“ E secondo te che odore ha? Hai iniziato questo discorso, presumo che tu muoia dalla voglia di dirmelo.”

“ Ah l’odore che ha la morte non lo so proprio!” Sherlock lo guarda come a chiedersi: e allora perché diavolo stiamo facendo tutto questo discorso se nemmeno tu sai dove andare a parare? E alza gli occhi al cielo. Il dottore prosegue. “ Però so che odore vorrei che avesse. Vorrei che avesse l’odore del tè lasciato troppo in infusione quando smette di essere un profumo e inizia ad essere un odore. Vorrei che avesse l’odore del grasso della pistola e il tuo dopo una lunga corsa. Vorrei che avesse l’odore del miele anche se il miele non mi piace, perché tu continui a parlare delle api e l’unico odore che associo alle api è quello del miele. Vorrei che avesse l’odore di Baker street e il tuo perché quello è l’odore di casa e renderebbe tutto più facile. ”

La voce di John mentre pronuncia queste ultime frasi è quasi un sussurro, è quasi impercettibile. Sherlock gli stringe forte la mano.

“ Sono sicuro che è quello il suo odore, i toast li sentono solo le persone noiose .”

 

 

 

 

 

“ A parte le cabine non è cambiato davvero nulla.”

Adesso sono sdraiati sulla riva, come oltre cinquant’anni prima, con un vecchio plaid scozzese a scaldarli. Cinquant’anni, in realtà sessanta ma diciamo che hanno perso qualche mese qua e là, prima era il piumone di un letto singolo ed erano due bambini con delle torce elettriche. Adesso sono due uomini maturi con un plaid scozzese, e solamente la luce del sole che sta sorgendo ad illuminarli, ma a parte quello non è davvero cambiato nulla.

“ Anche nella pineta. E’ rimasto tutto uguale!” John parla veloce, come se fosse quasi emozionato, come se fosse ancora lo stesso ragazzino che usciva di casa di nascosto dalla babysitter per vivere qualche avventura con il suo migliore amico. Probabilmente è ancora lo stesso ragazzino, probabilmente Sherlock non si accontenterebbe di nulla di meno. “ Il nostro albero! L’ho trovato subito! Era proprio come lo ricordavo, era impossibile sbagliarsi.”

Sherlock rimane in silenzio ad ascoltarlo e si mordicchia le labbra per evitare di dirgli quanto in realtà quella pineta sia cambiata negli anni, quante discussioni si siano verificate con Mycroft per non abbattere quello stupido albero che al suo migliore amico, al suo compagno piaceva tanto. Quell’albero nell’arco degli anni gli è costato un paio di casi di contabili che si sono rivelati ladri di piani missilistici, noiosi, terribilmente noiosi, e diverse conversazioni imbarazzanti. Quell’albero gli è costato cose che non aveva nemmeno messo in conto ma è rimasto lì per quasi sessant’anni. E’ rimasto lì durante l’adolescenza quando hanno smesso di passare le vacanze invernali nel Sussex e hanno iniziato a scoprire Londra, è rimasto lì quando John è rimasto John nonostante il liceo, nonostante gli altri ragazzi si rivolgessero a lui appellandolo come mostro, strano, diverso. È rimasto nei tre anni in cui Sherlock era scomparso, in cui si era finto morto e il suo migliore amico andava a visitare la sua tomba. E’ rimasto lì quando Sherlock è tornato, quando è stato perdonato e quando è stato perdonato davvero, quando c’è stata Mary e quando si è trovato ad essere a fianco al suo John in una chiesa ma dal lato sbagliato (come il lato dei sentimenti, quello che perde) senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Quell’albero è rimasto lì anche quando John è partito per il viaggio di nozze e l’unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata andarlo ad abbattere personalmente, scavando nella corteccia con le unghie solamente per non sentire più niente. Quell’albero è rimasto lì anche quando Mary ha smesso di esserci tra loro, quando è diventata solo un ricordo sbiadito, è rimasto lì quando hanno smesso di considerarla qualsiasi cosa di più di una persona carina che ha attraversato la vita di John. Quell’albero è rimasto lì quando sono tornati a Baker street, quando sono tornati in quella chiesa ma entrambi dal lato giusto. Quell’albero è rimasto lì per cinquant’anni e non è stata la pineta a non cambiare, è stato quell’albero a rimanere, come loro. Perché loro dovevano rimanere, perché Sherlock non avrebbe permesso altrimenti, perché neanche lui l’avrebbe fatto se solo fosse stato un po’ meno cieco. Vorrebbe dirgli questo ma John è così entusiasta e con gli occhi così luminosi che si mordicchia il labbro inferiore e non dice nulla.

“ Allora l’apriamo?” La voce di John è calda, anche di più del plaid che li avvolge.

“ No, John, non l’apriamo. Siamo venuti qui subito senza aver nemmeno finito il trasloco, abbiamo scavato sotto un albero per non aprire nessuna scatola del tempo. Idea geniale!” Sherlock alza gli occhi al cielo e poi gli sorride. “ E’ bello vedere come non smetti mai di constatare l’ovvio. Sei una garanzia, anche più dell’albero.”

“ Antipatico.” Il dottore borbotta, gli passa la scatola ormai rovinata dal tempo  le loro mani si toccano e John si perde ad osservare quelle del suo compagno che non sembrano davvero sentire i segni del tempo. John si perde ad osservare quelle mani ed è come se in quel contatto, in quello sguardo ci fosse tutta la loro vita. Il primo incontro in un aula di punizione con Sherlock che gli tende la mano, così grande per un bambino di poco più di sei anni, con circospezione come se nessuno l’avesse mai toccato, come se a nessuno fosse mai stato permesso di sfiorarlo in qualche modo, come se nessuno avesse mai pensato che valesse abbastanza da superare quella diffidenza. Le notti a studiare insieme con John a spaccarsi la testa sui libri di medicina e Sherlock a girare freneticamente le rotelle del microscopio con la stessa delicatezza con cui si toccherebbe un amante. Le corse per inseguire qualche criminale per Londra tenendosi stretti stretti, sentendo quelle dita gelide contro le sue e ricordando la frase che gli ripeteva sempre suo padre “ Chi ha le mani fredde ha il cuore sincero e caldo”. La caduta dal Barts. Le mani di Sherlock che fermano i suoi pugni al suo ritorno, e quel momento in cui si ricorda d’ aver esitato davanti a quel contatto perché non posso fargli male alle mani, non posso fargli male davvero. Le mani del suo migliore amico mentre gli passa gli anelli in chiesa e la sensazione di un contatto quasi impercettibile e al tempo stesso intossicante e ti prego di qualcosa, dimmi che sono un idiota e che sto sbagliando a sposarla, dimmi che non mi perdonerai mai e portami via perché ho paura di non essere più capace di tornare indietro ed è l’unica cosa che vorrei fare.  Le dita di Sherlock che tengono l’archetto mentre suona per lui nel loro appartamento mentre sospira e gli dice che Il lago dei cigni è davvero troppo banale anche per una persona ordinaria come lui e John non riesce a non pensare a niente di meglio di quelle dita sull’archetto, e su di lui, e la voce di Sherlock a riempire la stanza. Le mani di Sherlock che gli porgono un librone di apicoltura, appartenuto a un qualche antenato e ovviamente molto costoso e molto importante, il giorno dopo la visita dal medico che ha detto a John che deve assolutamente dedicarsi a vita privata perché il suo cuore non è più quello di un ventenne. Un libro di apicoltura e le chiavi di una vecchia e antica villa nel Sussex.

“ Allora? Ti sei addormentato o sei semplicemente più lento del solito?”

John ride perché davvero va bene così, vanno bene tutte le battute e le frasi caustiche di Sherlock se sono ancora lì dopo sessant’anni ad aprire una capsula del tempo sotterrata quando erano solo due bambini.

Non c’è nulla di nuovo nella scatola. Un giornale sbiadito. Una ricetta di una torta che ha sicuramente salvato l’Inghilterra, anche se come Sherlock non manca di far notare per fare un buon servigio alla nazione avrebbero dovuto nascondere le ricette di tutte le torte del mondo. Una nota. Una benda. Un dvd di Doctor who, che lo fa sorridere perché dopo sessant’anni come ci sono ancora loro c’è anche ancora il Dottore ed è quasi rassicurante. Un quaderno pieno di frasi scritte con una calligrafia infantile che John non riconosce nemmeno come sua ma di cui lo colpisce una frase “Io e Sherlock saremo amici per sempre. Per sempre sempre. Perchè anche se per sempre è un tempo molto lungo, per noi è solo l’inizio” perché in quella riconosce se stesso, riconosce tutta la sua vita.

Sherlock si sporge sopra la sua spalla e sorride nel leggere quella frase.

“ Te l’avevo detto che mi sarebbe piaciuta.”

“ Cosa?”

“ La nostra vita insieme. I sessant’anni d’attesa per questa stupida scatola del tempo. Te l’avevo detto che mi sarebbe piaciuta.”

 

 

 

 

 

 

 

Solito pippone blablabla:  Niente alla fine volevo fargliela aprire quella scatola quindi ho aggiunto un piccolo epilogo di quelli scemini e coccolosi e basta. La parte dell’olfatto, e dell’ictus che odora di toast bruciato, viene dalla puntata 4x03 di The Big C, però lì dicevano che la morte puzzasse di cavolo e pensavo non fosse proprio quest’odore spettacolare.

 

 

 

  
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