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Autore: Judith Loe    31/05/2013    0 recensioni
La verità era che lei non sapeva. Aveva vissuto la sua vita fino a quel momento nella più completa ignoranza. Come la maggior parte, per non dire la quasi totalità, del genere umano; era stata tenuta all'oscuro di tutto, protetta da una realtà che avrebbe potuto distruggerla, un mondo complesso, di cui si temeva non sarebbe riuscita a reggere il peso. E chi avrebbe potuto? La verità era che quel mondo sarebbe dovuto restare segreto. Un regno freddo e governato da rigide leggi. L'Illusione era pericolosa. E le ombre che vi si muovevano dentro lo erano ancora di più.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4 Attimi.
 
 
 
 
  Ero distrutta, come se una schiacciasassi mi fosse passata sopra più e più volte. Il mio corpo…chissà dove si trovava per quanto ne sapevo poteva essersi ridotto ad una poltiglia informe.
Sentivo delle voci, ma erano lontane. Cercai di concentrarmi.
 
  “Allora?” chiese la voce, era di una ragazza. Sembrava impaziente, anzi scocciata. “Ha intenzione di starsene lì morta ancora per molto?”. Notevolmente scocciata.
  Ce l’aveva con me?
 
  “Fai silenzio e non stressare. Si sveglierà quando se la sentirà”. Questa la riconobbi all’istante. Era la sua voce! La scarica di adrenalina che mi attraversò fu sufficiente a ridarmi cognizione delle mie membra affaticate. La voce mi era parsa molto vicina… mi accorsi che oltre al mio respiro ne percepivo un altro. Lo avvertivo fisicamente.
 
  “E’ ancora calda?” questa voce era nuova… credo di un uomo adulto. Calma e dolce.
 
  “Non mi sembra” e sentii una mano calda premermi sulla fronte “ la febbre mi sembra essere scesa”. Confermò lui accarezzandomi la fronte.
Mi concentrai sul mio corpo e sul suo possibile collocamento. Sentii un brivido, quando mi resi conto che gli ero ancora in braccio.
 
  “Certo Derek, che avresti potuto mollarla anche sul lettino.” Fu di nuovo la voce della ragazza arrabbiata, ma questa volta non me ne curai. Avevo sentito bene? La sua voce era parsa quella di un angelo, seppur irritato. Aveva pronunciato il suo nome.
 
Derek!
 
 Ecco come si chiamava! Derek…
Il suono di quel nome provocò in me una serie di emozioni contrastanti. Da una parte c’erano la gioia, la felicità, e altri desideri che mi apparivano del tutto estranei, emozioni che non avevo mai provato, che non sembravano neanche mie…e dall’atra parte sentivo paura, rabbia, e un senso di inquietudine, come se una parte di me, chissà quale e quanto distante, sapesse che non mi sarei dovuta trovare in quel luogo con lui. Soprattutto non con lui. Ma era assurdo. Perché provavo tutto questo per un estraneo?
  Derek sussultò.
 
  “Che c’è Derek?” chiese l’uomo.
 
  “Non l’hai ancora capito?”. Fece acida la ragazza. Non la conoscevo ancora, ma mi era già antipatica. Derek tremò. Qualsiasi cosa la ragazza stesse per dire, capii che non gli avrebbe fatto piacere. La cosa mi infastidii.
 
  “Lei  non si ricorda nulla. Neppure di lui.” disse soddisfatta. Riuscii ad immaginarmi il ghigno che le riempiva le labbra. Derek sospirò piano e sentii il suo respiro caldo contro il viso. Ci fu una pausa un silenzio carico di tristezza.
 
  “Oh Derek, sapevi che era una probabilità molto alta.” disse una voce nuova. Era una donna. Lo disse con talmente tanta dolcezza e compassione che gliene fui grata.
 
  “Sì Marion, però un po’ ci speravo ancora, insomma così tanto tempo cancellato in diciassette anni, pensavo che lei mi ricordasse…io non ho smesso neanche un secondo di pensare a lei”. Affermo sospirando triste. Poi cominciò ad accarezzarmi i capelli. Un altro brivido e mi strinsi a lui.
 
  “Si sta riprendendo” comunicò Derek. Mi stavo riprendendo? Beh, prima o poi mi sarei dovuta svegliare, tanto valeva farlo adesso. La ragazza arrabbiata sibilò qualcosa, ma troppo veloce perché la mia mente indolenzita potesse capire.
  Lentamente aprii gli occhi, le palpebre non collaboravano, erano pesantissime.
Quando finalmente riuscii a rimettermi in contatto con il mondo esterno, mi ritrovai a guardare il soffitto. La stanza sembrava iridescente a causa delle piastrelle bianche che la rivestivano interamente, queste brillavano alla luce dei neon, che gettando nella stanza una luce asettica e incorporea, come in un ospedale…
Poi l’odore mi colpì come uno schiaffo, c’era puzza di medicine, di sterile e di guanti in lattice. Cominciai ad andare in iperventilazione. Derek se n’accorse ed iniziò a spaventarsi facendomi agitare ancora di più.
   Non andava bene così! Non andava per niente bene!
Dire che ero terrorizzata dagli ospedali era un eufemismo e non rendeva per niente l’idea. A me non facevano solamente venire i brividi; no, io ci facevo gli incubi. Come una bambina di cinque anni che sapendo di dovere fare un esame del sangue per le precedenti tre settimane si sogna uno scienziato pazzo che la insegue per un labirinto piastrellato di bianco con in mano una siringa spropositatamente grande. Il fatto era che io non avevo cinque anni. E questo era il minimo. Non dormivo per giorni anche sapendo che in ospedale andavo solo per fare visita a qualcuno; io tremavo come una foglia anche essendo certa, sicura al mille per mille, che non mi avrebbero fatto nulla, che non avrebbero avuto motivo di toccarmi neppure con un dito. Ero in grado di aggirarmi per i corridoi tenendo le braccia strette in petto ben attenta a mostrarmi in un qualsivoglia modo malata, attenta a non accennare tosse, o un’irritazione grattandomi un braccio, o un qualsiasi tipo di dolore solo toccandomi la testa, e guardandomi le spalle ogni due secondi per controllare che non mi stessero tendendo un agguato. Era stupido, anzi ridicolo! Ma era così. Gli ospedali…brutto posto. Cento volte peggio di una causa infestata dai fantasmi, mille volte peggiori dei cimiteri! Neppure il posto più orrendo della terra avrebbe retto il confronto nella mia lista dei luoghi terrificanti.
 
 No, non un ospedale. Mette i brividi.
 
  “C’è qualcosa che non va…” aveva iniziato Derek con voce tremante. “Peter che faccio?” domandò smarrito.
 
  “Mettila sul lettino” disse l’uomo con la voce calma che si chiamava Peter. Risoluto. “Marion passami quella…” ordinò alla donna mentre i miei occhi schizzavano da lui alla figura di lei che si allontanava dal lettino. La vidi avviarsi verso un tavolino con sopra steso un lenzuolo bianco.
Appena Derek si alzò mi strinsi più forte a lui scuotendo terrorizzata la testa.
 
  “Non mi lasciare” mormorai appena. Lo guardai negli occhi, stava sorridendo. E per un momento, uno solo la cosa mi rilasso, facendomi distendere, mentre un vago senso di tranquillità mio malgrado mi permeava, fu come se non ci fosse nessuno nella stanza, solo io e lui. Era l’unica persona della quale mi potessi fidare…o così pensavo.
 
  “Dai calmati e sdraiati, rilassati non farà male”. Mi rassicurò cullandomi al suono melodioso della sua voce. Stavo per sdraiarmi sul lettino, docile come un gattino, per lui in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa… poi arrivò la consapevolezza.
 
  “Aspetta”. Sussurrai tra me e me.
 
  Male? COSA nonavrebbe fatto male?
 
Allora allontanai il viso dal suo petto di scatto, guardandomi intorno cercando di capire a cosa si fosse riferito Derek un attimo prima.
  Nella stanza c’erano quattro persone, oltre a me. Derek, Peter, Marion e la ragazza arrabbiata.
  Osservai per un istante il quartetto abbastanza scompagnato. Non si assomigliavano per nulla, quindi non erano un nucleo familiare: perché si trovavano assieme – attorno a me – in una stanza d’ospedale?
   Sconcertata puntai lo sguardo sull’uomo.
Peter era un uomo alto e abbronzato, con i capelli sul biondo e gli occhi blu scuro, non doveva avere più di una trentina d’anni. Marion non era come me l’aspettavo dalla voce. Era una ragazza minuta, sui venti venticinque anni, con lunghi capelli corvini e due grandi occhi grigi, che parevano d’argento tanto erano limpidi. Facevano uno strano effetto sulla sua pelle bianca.
E poi c’era l’altra ragazza. Mi fissava come se volesse incenerirmi. Doveva avere la mia età, forse un anno in meno. Eppure il suo sguardo sapeva d’antico e misterioso, i suoi occhi erano topazio liquido, con una lieve sfumatura cremisi che le addiceva un che di inquietante. Il viso era incorniciato da una folta chioma di capelli ricci castano d’orati che le coprivano le spalle, ricadendo morbidi sulla schiena e scendendo lungo le braccia conserte in petto, la schiena dritta e le spalle tese, sembrava che neanche respirasse tanto era immobile. Il mento sollevato in modo strafottente, mi guardava con intensità, mi sfidava. Sfidava me! Una tonta che si trovava semi bloccata su un lettino di metallo, mentre un uomo mi si avvicinava con dubbie intenzioni! Inceneriva me, che non potevo avere colpe. E come potevo averne verso gente che neppure conoscevo? Faticai a mantenere il controllo della mia faccia, cercando di bloccare i miei lineamenti in una espressione abbastanza neutra, senza farle capire che fossi terrorizzata. Il labbro sfuggì dalla morsa in cui l’avevo costretto, e tremò talmente violentemente da farmi fremere da capo a piedi. La ragazza arrabbiata si concesse di ghignare soddisfatta.
  Era bella sì, ma in modo agghiacciante. Il sorrisetto che le riempiva le labbra era tremendamente perverso, la linea delle sopracciglia, gli occhi maliziosi, il modo in cui i suoi capelli ricordavano la chioma di un leone, la maniera in cui i boccoli dondolavano sulla schiena… metteva in soggezione. Sembrava effondere superiorità e fierezza. Ma non nel modo giusto. Non era una Giovanna d’Arco, pronta ad immolarsi per una giusta causa circondata da un aura pura e luminosa, non sembrava avere per niente la nobiltà di una regina pronta a difendere il proprio popolo…sembrava il tipo di persona che pur di raggiungere il proprio scopo ti avrebbe strappato a mani nude il cuore dal petto e poi se lo sarebbe mangiato. Assomigliava vagamente ad un misto tra Violett e Tanya…la differenza era che loro si atteggiavano da grandi stronze, loro fingevano di essere potenti, lei con tutta probabilità lo era.
  Distolsi lo sguardo dal suo viso, a disagio, quasi stordita, cercando di togliermi quegli strani pensieri dalla testa. Ma prima che mi potessi liberare dell’inferiorità nella quale ero stata costretta senza neanche bisogno di parlarmi, qualcosa brillò. Nel momento in cui lei mosse la testa di scatto per scostare dal viso un riccio ribelle, uno scintillio mi costrinse a concentrarmi nuovamente su di lei. A colpirmi fu il ciondolo che portava al collo. Era rotondo, probabilmente d’argento, con intarsi complicati e al centro vi era una grossa pietra, grande come il nocciolo di una pesca; era nera, eppure brillava come se fosse animata da una qualche forza misteriosa. Sembrava viva quanto può esserlo il cielo notturno, come se brulicasse di stelle… Forse erano solo le luci al neon.
  Fatto sta che mi faceva paura. La bocca le si contorse in una smorfia, sorpresa mista a disgusto. Con una mano coprì il monile, un gesto talmente altezzoso da farmi sussultare. Scuotendo la testa mi concentrai sul ragazzo accanto a lei e per un istante la mente mi si annebbiò.
 Infine c’era, ovviamente, Derek. In piedi accanto a me e mi guardava con un’ espressione piena di riguardo. Per un attimo la sua bellezza mi stordii. Il suo viso dolce era così bello, pieno di sincerità, la perfezione dei suoi occhi ghiaccio, i capelli quasi neri, con sfumature più calde che rendevano il suo viso ancora più perfetto. Eppure si vedeva che era stanco…sembrava che non dormisse e non mangiasse da giorni. Un soffio e sarebbe crollato a terra.
Ancora sentii uno strano senso di familiarità con quel ragazzo… anzi più che familiarità, quella che provavo era appartenenza. Con lui non mi sentivo in pericolo anche se la mia mente la pensava diversamente. Sapevo, che lui mi avrebbe protetta. O qualcosa del genere.
 
  Pazza!
 
  Un flash mi attraversò la mente.
Derek mi stava venendo incontro sorridendo. Gli occhi ghiaccio mi fissavano entusiasti, ed ansiosi. Lo vidi aprire le braccia e non appena mi fu abbastanza vicino mi ci buttai dentro; volevo che mi stringesse a sé.
 
  “Emily” sussurrò con quella sua voce vellutata e piena di tenerezza. Era esattamente quello che avevo desiderato fare in tutti i miei sogni, un desiderio che mai ero riuscita ad esaudire. Ed ora mi sembrava una scempiaggine.
  Alzai lo sguardo. Il suo viso meraviglioso s’illuminò quando un sorriso tese le sue labbra.
 
  Poi, quello che sembrava un vago ricordo, svanì e mi ritrovai nella stanza con gli sconosciuti che mi fissavano. Spostai all’istante lo sguardo verso Peter, che mi veniva incontro con una siringa in mano.
 
  “Non provarci neanche” intimai con voce tremante che non avrebbe convinto proprio nessuno. Derek cercava di tenermi ferma sul lettino. Lo guardai spaventata. Perchè mi stava facendo questo? Io mi ero fidata di lui. Il mio sguardo lo bloccò. Mi guardava e non capiva il motivo della mia paura; avvicinò le mani al mio viso quasi volesse rassicurarmi. Lo spinsi via con tutta la forza che avevo, lui perse l’equilibrio e cadde a terra spalancando gli occhi per la sorpresa. Saltai giù dal lettino e cominciai ad arretrare. I quattro mi fissavano colti alla sprovvista.
 
  “Lo sapevo! Lo sapevo!” iniziai a vaneggiare terrorizzata, con una mano protesa in avanti, pronta a proteggermi. Il mio peggiore incubo si stava realizzando!
 
  Se te ne fossi restata a casa tutto questo non saprebbe successo!
 
Mi rimproverai, ma una nuova voce intervenne prima che avessi il momento per pensare.
 
  Già, ma se fossi rimasta a casa non avresti trovato Derek.
 
Mi ritrovai pronta a ribattere a me stessa un attimo prima che le parole sgusciassero fuori dalla mia mente, come se un soffio le avesse dissolte. Mi morsi la lingua a disagio.
 
  Touchè.  Mi concessi sempre più preoccupata riguardo alla mia sanità mentale.
 
  Arretrai fino a quando andai a sbattere contro una credenza, o qualsiasi cosa fosse. Il mio unico interesse era stare lontana da Peter e la sua siringa. Misi le mani sul ripiano e afferrai la prima cosa che trovai. Era affilata, probabilmente un bisturi. Lo strinsi e lo tenni dietro la schiena.
Derek era di nuovo in piedi e avanzava con le mani tese verso di me.
 
  “Tranquilla, non vogliamo farti del male” mi assicurò cauto, come se stesse parlando con una psicolabile.
 
  “Certo come no!” ringhiai sarcastica, sorprendendomi del mio stesso tono di voce, era deciso.
Derek continuava ad avvicinarsi. Quando fu abbastanza vicino cercò di afferrarmi, ma io fui più veloce. Gli misi le braccia intorno al collo e gli puntai il bisturi alla gola. Qualcuno trattenne il respiro.
  Ora erano spaventati.
 
  “Okay, adesso mi fate tornare a casa e tutto andrà bene” proposi con voce ferma quasi fossi nella posizione di trattare. Ero sola contro quattro persone. Andava male, molto male.
 
  “Emily...” sussurrò Derek.
 
  “Stai zitto” intimai sapendo perfettamente che se mi avesse implorato non avrei resistito e lo avrei lasciato andare. Non potevo permettermelo, lui era il mio biglietto per la libertà.  “Spostatevi e fatemi passare” ordinai andando verso la porta.
  Stavo minacciando delle persone con un bisturi! Era un sogno, per forza era un sogno! Non c’erano altre spiegazioni. Eppure decisi di continuare a stare all’erta. Per quanto cercassi di autoconvincermi di essere in un sogno, l’istinto di autoconservazione non mollava. Era tutto così dannatamente reale…
  Non camminai in mezzo alla stanza, erano tre, senza Derek, e io una, mi avrebbero fermato facilmente. Strisciai lungo le pareti della stanza come un’imbecille, portandomi fino alla porta tenendo sempre un braccio stretto attorno al collo di Derek e l’altro puntato verso i tre, pronta a difendermi dai loro attacchi con la mia arma impropria.
  La ragazza arrabbiata mi fissava con aria truce, sembrava pronta a farmi del male, sul serio.
Mi si piantò davanti, capii in un attimo che non aveva intenzione di farmi passare.
 
  “Calma Cathy” ammonì Derek. “Non mi farà del male” affermò sicuro. Non c’eravamo proprio.
Stavo perdendo credibilità. Premetti il bisturi sulla gola di Derek, sperando di non ferirlo. La mano tremava.
 
  “Dai, uccidilo” m’incoraggiò lei con voce suadente. Sorrideva in modo angelico. La cosa mi disturbò. Ma chi diavolo era e da dove era saltata fuori una così? Tentennai un secondo di troppo.
Il sorriso si fece ancora più oscuro. “Come pensavo, non ne saresti capace, troppo debole” sussurrò soddisfatta di ciò che vedeva.
 
 “Spostati” soffiai tra i denti.
 
  “Non ci penso proprio”  rispose con tono arrogante, sostenendo il mio sguardo.
 
  “Non costringermi a farlo…” continuai premendo il bisturi sulla gola di Derek desiderando di non fargli male seriamente.
  Derek tremò ed anche il suo tono si fece più remissivo, forse si era reso conto che le mie intenzioni erano serie.
 
  “Catherine spostati” la supplicò.
La ragazza non si mosse. Non funzionava, non avrei potuto far del male a Derek, ma a lei…
Strinsi più forte il braccio intorno al collo di Derek e puntai il bisturi verso la gola di Cathy. Derek fece per scattare in avanti pronto a soccorrerla dal mio attacco, ma inarcai le dita della mano stretta attorno al suo collo e le unghie gli graffiarono la pelle. Lo sentii lamentarsi e questo gli bastò per farlo calmare.
 
  “Allora Catherine, cambiato idea?” chiesi incoraggiata dal fatto che l’idea funzionasse. La ragazza sbiancò, poi affilò lo sguardo e si fece da parte digrignando i denti, le brillarono gli occhi, che si trasformarono in due bracieri. Mi ero appena fatta una nemica.
 
  Perfetto.
 
  Uscii dalla stanza portandomi dietro una sedia. Mi chiusi la porta alle spalle infilando le gambe di questa tra le maniglie della porta antipanico che era stata installata al contrario, che tonti! Da sotto la porta una fascio di luce simile a quello che avevo visto nel vicolo illuminò il corridoio che per metà era avvolto nell’oscurità. Non me ne preoccupai troppo.
 
  “Forza” ribadii a Derek tastando il muro in cerca di un interruttore “Come si esce di qui?” domandai impaziente mentre le mie dita continuavano a vagare sulla parete senza trovare quello che cercavano. Le pareti erano lisce e per quasi un metro dal punto in cui mi trovavo, né a destra né a sinistra avevo trovato un pulsante per accendere la luce, così rinunciai. Il viso di Derek era illuminato per metà da una flebile luce che proveniva dall’altro capo del corridoio che finiva seguito da una rampa di scale. Per un attimo pensai di correre in quella direzione, ma non potevo sapere se ci fossero altre persone in quel posto, magari proprio al piano superiore…
  Tornai a concentrarmi sul ragazzo. Non rispondeva. Sembrava stesse decidendo sul come agire.
 
  “Allora?!” ripetei scuotendolo.
 
  “Non si può” proferì secco. Rimasi per un attimo spiazzata da quella risposta.
 
  “Come non si può? Se mi hai portato dentro puoi anche portarmi fuori” gli ricordai scocciata dall’evidenza della cosa. Lo voltai verso di me costringendolo ad andare con le spalle al muro in modo che non potesse sfuggirmi, continuando a puntargli contro il bisturi.
Lo fissai. Dopo un minuto di silenzio carico di incertezza e ansia si decise a parlare, ma non disse ciò che mi aspettavo.
 
   “Perché te ne vuoi andare?” chiese triste. Anzi era quasi frustrato. Non… capiva?
 
   Ma è stupido?
 
  “Dubito che mi sia stata rivolta una domanda più idiota in tutta la mia vita. Mi hai rapita – RAPITA – e portata in una strana stanza dove volevate farmi non so che cosa! Voglio che tu mi riporti immediatamente a casa o ti…o ti ammazzo!>> lo minacciai ormai vicina all’isteria.
Mi prese il viso tra le mani con slancio, non me l’aspettavo; appena le sue mani toccarono la mia pelle, il cervello sembrò svuotarsi e riafollarsi di strani pensieri. Lui approfittò del momento ed avvicinò il mio viso al suo, guardandomi nel fondo degli occhi, scrutandoli.
 
 “Proprio non ti ricordi di me? Dannazione Emily! Sforzati, so che ce la puoi fare”  rimasi a fissare i suoi occhi azzurri come il ghiaccio, imbambolata. Aprii la bocca cercando qualcosa da dire, ma non arrivarono suggerimenti dal cervello. I neuroni avevano deciso di scioperare in un pessimo momento. Sospirando e sempre tenendomi bloccata appoggiò la sua fronte alla mia. “Emily ti prego, è tutto quello che ti chiedo.” implorò. Quelle semplici parole scatenarono un fiume d’emozioni e d’immagini. Dovevano essere ricordi. Ma non erano miei! Stava riaccadendo…
  Cosa mi stava succedendo?
 
*
  Fu come un flashback. Come rivivere un momento della mia vita sepolto e lasciato in disparte, da solo, così da essere dimenticato. Sapevo che sarebbe dovuto essere caduto nell’oblio già da un pezzo. Eppure eccolo lì. Nitido, perfetto. Proprio davanti ai miei occhi.
 C’eravamo io e Derek, stavamo camminando su una stradina di campagna, c’era il sole e una leggera brezza mi accarezzava il viso, ci tenevamo mano nella mano. Erano tutte sensazioni particolarmente piacevoli. E allora perché sentivo che era sbagliato pensare a quelle cose? Se erano cose belle, perché mi sentivo un’intrusa nella mia stessa mente? Per quale motivo temevo di essere punita se scoperta a rievocare certi avvenimenti?
 
  “Non credevo che avrei potuto provare così tanta felicità, semplicemente avendoti accanto” mormorò arrossendo “Cioè, sapevo che sarei stato felice, ma credevo impossibile che tu provassi lo stesso per me…” parlava senza alzare lo sguardo da terra troppo imbarazzato, evitando i miei occhi. Io gli strinsi la mano più forte. Sapeva essere così insicuro, come se per una vita intera fosse stato sempre mortificato in tutto da tutti.
 
  “ Non fare lo sciocco!” esclamai ridendo, ma poi lo vidi incupirsi; dovevo essere più delicata con lui. Me lo scordavo sempre. “Non rido di te Derek. Non lo farei mai, io. Specificai con un’occhiata che lui recepì al volo, ma che come al solito fece finta di non capire. Cathy per lui era e sarebbe rimasta sempre intoccabile. Anche se, e n’ero certa, era stata la causa di tutte le sue sofferenze. “Lo sai che tengo a te più di quanto tenga a me stessa”.
 
  Lui rialzò gli occhi, e vi lessi quella che sembrava incredulità mista a gratitudine, ma non avevo detto nulla di ché infondo; era solo la verità. Eppure capii che per lui doveva essere molto, molto di più di ciò che era abituato a ricevere. Come se per la prima volta in vita sua si sentisse veramente importante per qualcuno, come se per la primissima volta qualcuno gli avesse rivelato d’essere l’unico, la presenza indispensabile. Era certo che io tenessi a lui nella stessa misura in cui persino lui teneva a me. Ci fissammo per un istante che parve infinito… forse lo fu davvero. Stare all’aria aperta gli stava facendo bene, gli migliorava l’umore. Era rimasto per troppo chiuso in quella stanza sorvegliato giorno e notte da Catherine o da chi per lei. I suoi occhi erano ancora più belli illuminati dal sole, sembravano senza fondo. Vedevo il suo viso avvicinarsi al mio, e sentivo il cuore battere all’impazzata.
  Spostò un ciocca di capelli che mi copriva il viso, il contatto con le sue dita mi fece sobbalzare. Ora era talmente vicino che potevo sentire il suo respiro.
  Mi lanciò uno sguardo imbarazzato ed arrossì prima di sussurrarmi qualcosa che il mio subconscio distorse. Suonava tanto come una promessa d’amore…
 
*
 
  Poi, come era arrivato, il ricordo lentamente scemò facendomi tornare al presente.
Derek mi tolse le mani dal viso e ne poggiò una sulla mia spalla e una su un fianco. Continuava a fissarmi, sorridendo entusiasta, come se sapesse cosa era appena successo dentro di me; mi avvicinava a sé e lentamente, le mani si spostavano sul mio corpo, andavano verso i polsi. Capii in un attimo e mi ritirai. Ci era andato così vicino ad immobilizzarmi le mani!
  Ripuntai il bisturi alla sua gola, lo tenevo stretto con tutte due le mani questa volta, come fosse una pistola, ben attenta a mantenere le distanze. Lui ne sembrò deluso. Scossi la testa cercando di liberarmi da quello strano potere che sembrava avere su di me. Quei ricordi, quelle immagini, quelle stupidissime sensazioni che mi confondevano!   
  Dovevo sbarazzarmene al più presto.
 
  “Smettila”. Lo avvertii ancora intontita.” Qualsiasi cosa tu mi stia facendo, fermati adesso!”. Lui sorrise, un sorriso che gli illuminò gli occhi.
 
  “Ma io non sto facendo nulla, piccola. E’ tutto dentro di te, hai già tutte le risposte e con un po’ d’esercizio ricorderai tutto…” così dicendo si era riavvicinato, superando il bisturi. Mi aveva poggiato le mani alla base del collo, cosa voleva fare? Quando chiuse gli occhi capii.
 
  “Fammi uscire adesso”  dissi con voce tremante.
 
  “ Te ne vuoi già andare?” chiese lui. Non gli importava della risposta, ritentò di fare ciò che io avevo interrotto.
 
  Già Emily, perché te ne vuoi andare?  
 
Chiese una parte di me che sembrava venire da un altro tempo, da un’altra vita…
 
  “Non-toccarmi!” urlai questa volta senza esitazioni.
Riaprì gli occhi e mi guardò, mi fissava con aria dolce. Io non ricambiai lo sguardo, lo freddai. Lasciò cadere le braccia sui fianchi ed il suo viso divenne una maschera dalla quale non traspariva più nessuna emozione. Rabbrividì appena prima di parlare.
 
  “Okay: vuoi andartene perfetto. Io ti porto fuori, ma non dire che non ti avevo avvertito”
 
  Di colpo attorno a noi esplose la luce, fui costretta a coprirmi gli occhi e il bisturi cadde, mi maledii internamente conscia di aver perso l’unico mezzo che mi permettesse di dettare ordini. Sentii il rumore del vento che diventava sempre più forte, era come se mi avessero legato sopra il tettuccio di un’auto che correva a velocità folle in autostrada.
  Riconobbi le braccia di Derek stringersi attorno a me, la stessa Emily che avevo sentito lamentarsi poco prima esultò a quel contatto. Mi aggrappai a lui con tutte le mie forze, senza resistenze, non volevo finire risucchiata da tutta quella luce e se lui era l’ancora, beh mi ci sarei legata. Volevo solo salvarmi e lui sembrava sapere cosa stava facendo. Se il vento mi avesse strappata e portata via, mi sarei trascinata dietro lui almeno.
  Com’era iniziato, finì tutto.
Risentii la terra sotto i piedi. Derek non mi stringeva più, mentre io lo stavo ancora stritolando. Aprii gli occhi, era mattina. Il cervello riprese a funzionare all’istante. Fremetti. Oddio, avevo passato la notte fuori casa: Alex aveva chiamato di sicuro la polizia.
  Mi guardai intorno scossa, cercando di riordinare i pensieri confusi; eravamo nel vicolo dove c’eravamo incontrati la sera prima.
  Cercando di non perdere l’equilibrio mi avviai a passo incerto verso la strada, Derek mi veniva dietro. Che mi seguisse pure non m’interessava…beh forse un po’ sì. Pochi metri e le strade mi divennero familiari. Strano. Ero convinta di essermi spinta verso la periferia la sera prima.
  Passai davanti a casa di Ty. Già Ty, gli ero sparita da sotto il naso. Il naso!
 
  “Ehi!” urlai quando vidi che qualcuno stava uscendo di casa.
Non si voltò ma la mia mente mi consigliò che doveva essere lui senza dubbio. Gli dovevo delle scuse e lui era troppo orgoglioso per chiedermele direttamente.   
 
  “Scusa mi dispiace tanto…” iniziai avvicinandomi, ma non si voltò neppure a guardarmi…non vidi che le sue spalle e la sua nuca. Per un attimo temetti che non fosse neppure lui.
  Salì in macchina come niente fosse. Avrei voluto fermarlo, abbracciarlo e scoppiare a piangere, ma non lo feci. Lo lasciai andare via.
Rimasi sul vialetto ad osservare una macchina allontanarsi, Derek mi aveva raggiunto con passo lento e un pò strisciato, era irritante, ed ora era accanto a me.
 
  “Perché non te ne vai?” chiesi acida.
 
Neppure lui rispose. “Allora va al diavolo!” pensai. Non lo dissi, forse se ne sarebbe andato davvero.
  Andai a casa a passo svelto a causa dello strano senso d’inquietudine che non se n’andava, ma non era il momento di farsi prendere dal panico. Mentre camminavo non potei non notare che c’era qualcosa di sbagliato nei colori delle case, della strada, degli alberi, nulla sembrava essere come lo ricordavo…forse era solo il sole.
O almeno lo speravo con tutta me stessa. Eppure lo sentivo…sapevo che avrei dovuto guardarmi attorno con maggior attenzione, che avrei dovuto essere più cauta nell’affrontare tutta questa assurda faccenda – o sogno – e che avrei dovuto chiedere spiegazioni a quello strano tipo – strano, ma incantevole – che mi seguiva in silenzio con le mani in tasca, come se sapesse esattamente cosa mi passasse per la testa; quasi sapesse che morivo dalla voglia di avere delle spiegazioni, e per farmi irritare ancor di più se ne stava in silenzio e ogni volta che cercavo il suo sguardo, il suo viso era vuoto e freddo….voleva farmi esplodere!
  Eppure non feci nulla di quello a cui stavo pensando, non agii seguendo una logica. Finsi semplicemente che non stesse accadendo nulla, o per lo meno non a me. Cercai di convincermi che in realtà stavo tornando a casa da scuola, era tutto normale, tutto normale.... Punto.
  Finalmente arrivai al vialetto di casa. La vecchia macchina di Alex era ancora parcheggiata sul vialetto, le aiuole di mamma in perfett’ordine, il dondolo al suo posto sulla veranda, la siepe verdissima dietro alla staccionata bianca. Deglutii a disagio.
  Mi avviai a passo incerto e con uno slancio saltai i tre gradini che davano l’accesso al portico, poi mi bloccai.       
  Non potevo.
Fingere mentre camminavo, sperando che Derek parlasse….ma non lo aveva fatto, ed ora il cervello friggeva, avevo paura…no, non paura. Era quasi peggio. Eppure ero a casa! Andava tutto bene.
 
  Probabilmente se ti giri, non ci sarà più. Se ne sarà andato via, non può entrare in casa senza permesso!
 
  Ma quando mi voltai lo trovai infondo al vialetto che mi fissava con la stessa espressione vuota.
Rimasi incerta davanti alla porta con la mano sulla maniglia.
 
  “Forza Emily”. Mi dissi infondendomi coraggio. Coraggio che non possedevo.
Entrai trattenendo il respiro. Sembrava tutto molto tranquillo. Troppo tranquillo. La televisione in sala era spenta, mentre sentivo un ticchettio provenire dall’orologio della cucina. L’orologio che sapevo essere fermo da all’incirca cinque anni.
Alex era seduto a tavola a leggere il giornale come sempre, mentre mescolava con un cucchiaino il caffé. Ero sicura che mi avesse sentita arrivare, ma non alzò lo sguardo quando mi trovai sulla porta della cucina.
 
  “Ciao” sussurrai. Nessuna risposta, nessun movimento, il giornale alzato a coprirgli il viso. Cattivo segno. E mi resi conto che era tutto assolutamente normale. Se non fosse stato che senza ombra di dubbio stavo per ricevere la punizione più dura di tutta la mia vita, e che probabilmente Alex mi avrebbe tenuta rinchiusa in casa fino ai quarantacinque anni, mi sarei messa a ridere da tanto ero sollevata. Tutta quella tensione per niente! Ero a casa, e stavo bene. La casa sembrava stare bene, Alex doveva avere deciso di fare ordine.
 
  Certo mentre ero scomparsa!  
 
  Zittii la voce fastidiosa e ricominciai il mio bilancio.
Tutti stavano bene. Non era successo nulla…
 
  Okay, è il momento delle scuse.
 
  “Alex mi dispiace, non sai cosa mi è successo stanotte e beh… a dire il vero non lo so neppure io, ma”. Alzai lo sguardo e fu come in un incubo. La pace che avevo appena raggiunto lentamente scemò facendo tornare l’agitazione. Quasi mi sembrò che il sole si stesse affievolendo dietro le tende. Cercai di respirare lentamente, per liberarmi dal peso che premeva sul petto, dall’angoscia che si stava impossessando della mia mente.
  La cucina… non era come l’avevo lasciata….solo non capivo cosa fosse fuori posto. Probabilmente il fattore destabilizzante era che quella cucina non c’era in casa mia. Mai vista prima. Cercai di concentrarmi su ciò che stava accadendo.
  Mio fratello non si mosse.
Dovevo stare calma, era tutto nella mia testa. Doveva esserlo….
 
  È tutto nella tua testa Emily! Calmati! Non è reale!
 
 Deglutii a vuoto ricominciando a parlare, ma avevo la bocca secca. “Alex davvero non avrei mai fatto niente di stupido, ma questo….non ho avuto neanche il tempo per decidere, per ragionare…io…”. E a quel punto il fiato svanì. Il peso che avevo sul petto si fece insopportabile mozzandomi il respiro e uccidendo le parole che cercavano di uscire dalla mia bocca.
 
 Avevo un pessimo presentimento e risentii le parole di Derek nella testa: ”Ma non dire che non ti avevo avvertito.” Quelle parole suonarono come una condanna che mi rimbombava nelle orecchie.
 
  “Alex? “ gemetti con il poco di coraggio che mi era rimasto.
Mi avvicinai a lui superando il tavolo, mi accorsi che stavo tremando e che le gambe iniziavano a cedere, non reggevo tutto quel peso!
 Derek era entrato e se ne stava appoggiato allo stipite della porta della cucina.
 
  “Alex! Ti prego…” ripetei con più enfasi colpendogli la spalla, il giornale immobile non mi permetteva di guardarlo in volto, mi mancò la voce. Non reagì. La paura sparì d’un tratto, tutta insieme ed il peso , il macigno che sentivo sul cuore, si fece un istante più sopportabile; la rabbia cominciò a crescere. Iniziai a scuoterlo violentemente urlare il suo nome, ma niente! Non succedeva niente. Sembrava che neanche lo sfiorassi.
La rabbia durò giusto il tempo per rendersene conto, poi tornò solo quel peso insopportabile.   
  Espirai cercando di non mettermi ad urlare.
 
  Perché non mi risponde nessuno?
 
  Guardai allarmata Derek, lui mi sorrideva calmissimo, come se tutto fosse normale. Mi guardai attorno sentendomi persa e frustrata. Ripensai alla strada, alle vie posizionate in modo così assurdo, a Ty che neppure avevo visto in faccia. Il pensiero di strappare di mano il giornale ad Alex fu forte, ma uno strano presentimento mi impediva di sfiorare la carta. E se…se dietro a quei fogli non ci fosse stato…A quel punto non riuscii più a stare immobile. Uscii velocemente della cucina, urtando Derek senza curarmene minimamente; dovevo assolutamente controllare una cosa. Salii i gradini tre a tre, non potevo aspettare. Arrivata nel corridoio del primo piano e mi fermai di colpo, inorridendo. Uno strano suono mi uscì dalle labbra.
 
 Stai sognando Emily, mantieni il controllo…
 
Dove dovrebbe esserci stata la porta della mia camera ora c’era solo la parete. Chiusi gli occhi e contai fino a dieci, cercando di non cedere agli attacchi isterici, che sapevo, sarebbero arrivati prima o poi. Li riaprii, ma la porta non c’era.
  In preda all’ansia cominciai a tastare il muro in cerca della porta o di una fessura.
Il respiro non era più sotto il mio controllo, arrancavo e le mani tremavano tantissimo. Iniziai a colpire la parete con tutta la forza possibile, con il solo risultato di sentire un sonoro “clock” provenire della mia mano sinistra. Perfetto, doveva essersi fratturata o qualcosa del genere, ma adesso era l’ultimo dei miei problemi.
 
  “Derek!” ruggii furiosa. Dov’era? Doveva rispondere alle mie domande! Dovevo capire cosa stava succedendo…
Stavo già per mettermi ad urlare, ma non ce ne fu bisogno. Un flash di luce bianca mi accecò e quando riuscii a mettere a fuoco nuovamente il corridoio Derek era accanto a me. Il suo sguardo mi pietrificò. Non ebbi il coraggio di proferire neppure una parola. Non ero più sicura di volere sapere cosa doveva dirmi…
 
  “Io ti avevo avvertita, non si può tornare indietro.”.
   “Ma io sono a casa, IO SONO tornata indietro!” ringhiai furiosa. E mi scaraventai contro di lui, avventandomi su di lui con violenza. Iniziai a spintonarlo e cercai più volte di colpirlo, ma lui parava e scansava i miei colpi con una tale facilità che mi arresi ben presto.  “Spiegati!”  ordinai tremando di rabbia.  Rimase impassibile. E allora capii. Era come se mi avessero dato un pizzicotto su un fianco ed i brividi mi avessero scosso. Di colpo ero lucida. Era il momento della domanda da un milione di dollari: “Derek, perchè tutti si comportano come se, come se…” ma la verità apparve con cattiveria, quella probabilità che non avevo avuto il coraggio di pronunciare si stava insinuando tra i miei pensieri. “Non può essere”. mormorai senza convinzione, sperando che lui mi anticipasse e mi desse ragione. Non lo fece. 
 
 Derek invece annuiva “Certo che può.” il sorriso furbo si trasformò in un ghigno. “Tu non esisti più” lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “O meglio, non qui.” Si corresse soppesando le parole. Mi immobilizzai e il suo sguardo si fece più sottile “ Torna a casa con me. Alla tua vera casa. Vieni via con me. So che lo vuoi!”.
  Sentii la terra tremare sotto i piedi ed il peso che premeva sul mio petto allargarsi, ora era insostenibile, e mi stava schiacciando. Non avevo più possibilità di oppormi e lasciai che mi trascinasse in caduta libera con sé aspettando di ritoccare terra. Mi avrebbe inchiodata a terra. Mi avrebbe distrutta. Il macigno era la verità; e mi aveva colpita…
 
  “No, ti prego, basta.”…e affondata.
 
*
 
  Mi svegliai di colpo. La testa mi doleva. Avevo troppe cose che cercavano di farsi spazio, dove spazio non c’era più. Aprii gli occhi timorosa, le ultime volte che lo avevo fatto le cose avevano preso sempre una brutta piega. Ma quello che vidi prometteva veramente bene.
  Il soffitto di casa. Forse questa volta…
  Sì!  Ero sdraiata sul mio divano a fissare il mio soffitto! Sospirai sollevata.
 
  Grazie a Dio! Esultai.
 
  Casa mia, ero a casa mia! Mi ero addormentata, era stato tutto un brutto sogno.
 
  Certo brutto…si lamentò la voce.
 
  Non ci feci caso. Niente vicoli bui, niente siringhe, niente…niente Derek. Quest’ultima parte non mi entusiasmò. Mi misi a sedere, non senza un certo sforzo…errore, avevo già voglia di svenire.
 
  “Ciao”. Fece lui affondato nel divano accanto a quello dove ero seduta io. Mi premetti le mani sugli occhi, sfregandoli con energia, tentando di cancellare quella visione.
 
  “E’ tutto un sogno, è tutto un sogno, non è reale, non è reale!”.  Cercai di riprendermi, ma non funzionava, il panico mi stava riassalendo. Derek se n’accorse prima che mi mettessi ad urlare.
 Mi prese le mani bloccandomi i polsi.
 
  “ Emily calmati! Vedrai andrà tutto bene!” iniziò cercando di avvicinarmi al so petto. Non glielo permisi.
 
  “Dannazione no! Non andrà tutto bene!”
 
   Se stesse andando tutto bene TU non ci saresti!
 
  “Te lo giuro. Ti fidi di me?” chiese, e la sua voce fu così sincera e pura da disarmarmi.
Di colpo smisi di tormentarmi. Lo fissai.
 
  No che non mi fido!
 
Una parte di me era inorridita al solo pensiero. Come diavolo potevo fidarmi di LUI? Eppure la zittii. Dovevo riflettere. Già. Mi fidavo? Forse…
 
  Emily! NO, non ti puoi fidare!
 
  Però l’istinto di sentirmi al sicuro, anche dalla verità, era più forte.
 
  “Oh Derek” singhiozzai stringendomi a lui. Cominciai a piangere. Avevo bisogno di qualcosa che mi facesse sentire reale, che mi facesse rimanere in contatto con il mondo, o sarei impazzita. E per ora, avevo solo qualcuno. Qualcuno che mi accarezzava i capelli e mi teneva stretta a sé.
 
  “Andrà tutto bene, siamo insieme adesso, andrà tutto bene. Mi dispiace, mi dispiace tanto, ma dovevi capire. Devi tornare con me, so che è quello che vuoi. E come potresti non volerlo? Non appartieni a questo posto” ripeteva mormorando. Ma io non avevo idea di cosa stesse dicendo.
  Tirai su con il naso e lo guardai negli occhi. Sembrava così felice. Non aveva più l’espressione tormentata che gli avevo visto nel parco. La sua euforia mi trafisse e mise radici dentro di me.
Il mio mondo si capovolse. Non ero più la stessa Emily di qualche istante prima; l’altra Emily, spingeva, urlava e si divincolava per imporre la sua volontà, si lamentava di non poter stringere Derek come avrebbe voluto e io ero troppo stanca per impedirglielo.
 
  Sì!  gioì.
 
Le mie mani corsero al viso di Derek sfiorandolo, desiderose di sentire la realtà, lo accarezzavano e più lo facevano più lo riconoscevano, più lo sentivo mio. Era vero? Era tutto vero? Stavo sognando?
 
  Non lo so. Non ne ho idea.
 
L’espressione di Derek s’infuocò, i suoi occhi erano diventati più penetranti, più profondi e le sue mani più decise. Mi voleva nello stesso modo in cui l’altra Emily voleva lui, ma perchè?
  Non ebbi il tempo di pensarci, le sue labbra erano già sulle mie, febbrili. Dapprima delicate poi decise, quasi violente. Mi costrinse ad aprire la bocca, obbligando la mia lingua nella danza che lui dettava. Sentivo la sua voglia di stringermi sempre di più, e mi rendevo conto di come la cosa non mi dispiacesse affatto. Infondo, con tutta probabilità, era un sogno. Era solo un’allucinazione. Di sicuro. Non v’era altra spiegazione. E nei sogni si può fare tutto ciò che si vuole senza restarne minimamente feriti, e decisi di non fermarlo. Era un sogno, una fantasia creata e dal mio subconscio. Avevo fantasticato troppo su questa faccenda, non avevo un ragazzo, et voilat! Il mio inconscio se ne era appena creato uno! Ero da psicoanalisi, sì, ma non era così male.
  Le sue mani sfioravano il mio viso, ma lo conoscevano già.
Poi lentamente si allontanò per respirare. I nostri respiri correvano scomposti. Aspettò che il battito tornasse regolare prima di parlare.
 
  “Lo sapevo che non mi avresti dimenticato” disse raggiante. Eppure era strano. Perché non mi sembrava un sogno, non stavo sognando…era tutto troppo reale.
Le sue labbra stavano già cercando le mie, ma quell’attimo di lucidità mi era bastato. La Emily giusta aveva ripreso il controllo.
  La realtà mi colpì come uno schiaffo in pieno volto. Cosa diavolo stavo facendo!?
Era uno sconosciuto! Ed era in casa mia! Tra le mie braccia! Volevo urlare, ero inorridita.
  Lo respinsi con decisione.
 
  Grazie al cielo!  Aggiunse la mia mente, la parte sana. Lui cercò di riavvicinarsi.
 
  “Aspetta” dissi bloccandolo con una mano ed allontanandomi. Non so esattamente che espressione avessi, ma lui mi fissò curioso. Ed io restai imbambolata a guardarlo di rimando come un idiota, cercando di capire come si facesse a distinguere un’allucinazione dalla realtà. Con scarso successo.
Mi prese la mano e cominciò a baciarla. Le dita, il palmo, il polso… la ritrassi d’istinto. Prese l’altra senza smettere di sorridere e la tenne stretta.
 
  “Senti, io non so cosa e se ricordo” il suo sorriso scomparve. Dannazione! Ma uno con un po’ più di controllo sulle proprie emozioni non potevo inventarmelo? Già era un casino quello che avevo nella testa io, se ci metteva pure lui era impossibile! Ero preoccupata di ferire il mio rapitore! Forse non c’erano più speranze per me. “No, lasciami finire! Allora, “ dissi riordinando le idee, e togliendo la mia mano dalle sue, goffamente. “ C’è una parte di me che non ti conosce - ed è quella che parla in questo momento – ed è abbastanza spaventata…e confusa; mentre l’altra - quella che ti ha… dai, hai capito - sa chi sei e ti ricorda… ma non vuole condividere il ricordo con me”. Sperai che non mi prendesse per pazza, ma quello era il modo più facile per spiegare il conflitto nel mio cervello.
  E poi spiegare cosa? Era lui l’infiltrato nella mia vita!
Mi alzai dal divano con uno scatto coprendomi la bocca con una mano, ed allontanando le mani di Derek, che cercavano di trattenermi vicino a lui.
 
  Cosa ho fatto!
 
Sentivo ancora le sue mani su di me, le sue labbra sulle mie, il suo sapore…ma ero forse rincretinita tutta di un colpo?! Come avevo potuto permettere una cosa del genere? Perché non l’avevo fermato…perché?
  Camminai per qualche secondo nella stanza cercando di ritrovare la lucidità che sembrava essere scomparsa per sempre dalla mia personalità sempre così meticolosa ed attenta. Mentre i pezzi del sogno si mettevano a posto, mi ritrovai a fissare Derek; ancora seduto sul tappeto, dove l’avevo spinto. Non riuscivo ad aspettare che fosse lui a parlare.
 
  “A che pensi?”. Chiesi sopraffatta dal bisogno di sentire la sua voce. Mi sentivo tremendamente sola ed estranea a me stessa. Non ero io! Negli ultimi minuti non avevo agito di mia volontà…non ero io! “Allora?” sembrava un ordine.
  Rimase a bocca aperta per un attimo, poi sbuffò e si agitò. Quando parlò dovetti concentrarmi sulle sue parole.
 
 “ Al fatto che mi sento un cretino! Pensaci, io ti ho preso e portata qui contro la tua volontà, e pensando che non avresti opposto resistenza non ti ho concesso neppure il lusso di decidere di seguirmi o meno, ti ho rapita e basta!”
 
  Certo che ci avevo pensato! Certo che era un cretino! Gli davo ragione su tutta la linea.   
  Probabilmente se n’accorse ed i suoi occhi si spensero.
 
Sorrise amaro. “Io ti amo come ti amavo allora, ma non posso costringerti a fare lo stesso”.   
 
  Amare? Che sta dicendo? Oddio è un maniaco… è un pazzo scatenato e mi ritroveranno a pezzetti in frigorifero…
 
  Calmati Emily! Imperò la mia ragione.
 
  Non mi lasciò commentare. Mi strinse a sé e basta. Io restai lì, ferma come un blocco di ghiaccio, sperando solo che non mi abbandonasse in quel posto orribile. Non volevo restare da sola.
  Solo in quel momento mi ero resa conto che il cielo fuori era diventato di un improbabile color bianco sporco, troppo brillante, e che il colore delle tende in casa mia non era mai stato rosato. Le pareti erano gialle in casa mia e non lilla, la televisione non si trovava in mezzo ad una libreria ma bensì su un mobile basso, che non si vedeva in quella stanza…tutti i miei timori erano fondati. Dove diavolo ero?
 
  “Ti devo lasciare andare.” mi prese il viso tra le mani, vincendo il mio tentativo di arretrare, e mi baciò la fronte. Il panico mi assalii. Se ne stava andando? E io? Cosa avrei fatto in quel posto? Forse intuì la mia paura e si affrettò a continuare. “Ti ho mentito, puoi tornare…” confessò tenendo lo sguardo basso, a disagio con fare colpevole. “Questo infondo è una specie di sogno…non è vero. Non devi averne paura”
Sentii le lacrime tornare a scendere senza capirne il perché. E lui, comunque, fraintese.
 
  “Non preoccuparti, non è un addio, io ti aspetterò, quando sarai pronta tornerai”. Detto questo puntai le mani sul suo petto allontanandomi. Non so cosa successe, ne che faccia dovessi avere, ma lui la trovò buffa perché sorrise.
 
  Tornare? Non contarci proprio!
 
  Poi tutto divenne nero.
  Derek non c’era più.
 
 
 
NOTE:
 
Ecco un nuovo capitolo. Beh non so cosa ne pensiate – e mi farebbe DAVVERO piacere saperlo! XD – ma le cose stanno finalmente per entrare nel vivo della storia. Anticipo che il tutto è pensato come trilogia, questa è la prima parte, e praticamente si può dire che sia già completa, man mano revisionerò i capitoli che ho scritto e li caricherò. Insomma, non è una cosa tanto breve – non vogliatemene a male-, Illusion I sarà composto da una trentina di capitoli, mentre il II è ancora in fase di elaborazione, ne ho scritta una buona parte, e del III per ora c’è solo l’inizio…vedremo come si evolveranno le cose ;)
  Ringrazio ancora chi legge, chi segue, e soprattutto invito chi vorrà a recensire perché sapere che ne pensate mi aiuterebbe davvero tanto a capire se la storia faccia o meno schifo XD Seriamente, se ci siete battete un colpo!
 Judith.
   
 
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