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Autore: Mary P_Stark    06/06/2013    3 recensioni
Brie e Duncan guidano il branco di Matlock, il Concilio di Anziani è stato destituito e un nuovo corso è iniziato. Assieme a questa nuova via, nuovi amici e vecchi nemici fanno il loro ingresso nella vita dei due licantropi e un'antica, mistica ombra sembra voler ghermire tra le sue spire Brie, che non sa, o non ricorda, chi possa volerla morta. SECONDO CAPITOLO DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nel racconto precedente)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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20.

 

 

 


Quando riaprii gli occhi, scorsi la tela color cannella del sedile dell’aereo dinanzi a me, oltre alle luci soffuse del corridoio, dove una hostess stava chiedendo ai passeggeri se avessero bisogno di un cuscino.

Fuori dal finestrino, la notte.

Stavamo sorvolando il mare cupo e scuro per tornare a casa ma, prima di rimettere piede sull’amena terra inglese, avremmo dovuto fare scalo a Oslo.

Lì, avremmo atteso la coincidenza con Londra e, finalmente, avremmo potuto dire di essere giunti a destinazione.

Purtroppo, essere portate ai confini estremi dell’emisfero boreale, comportava dei problemi logistici non da poco.

Uno di questi, erano gli spostamenti aerei.

Solo poche compagnie facevano scalo alle Svalbard, e trovare abbastanza biglietti per imbarcare tutti in un’unica tornata, era già stata un’impresa titanica.

Fortunatamente, di tutto l’aspetto logistico si era occupata Beverly che, nel giro di mezza giornata, aveva risolto ogni cavillo e aveva trovato abbastanza posti per tutti sulla compagnia di bandiera norvegese.

Come avesse fatto non mi era dato sapere, ma tant’era.

Al mio prossimo viaggio, le avrei chiesto lumi. Sperando fosse una gita di piacere, e non un incontro con l’Apocalisse.

Apocalisse che, a dirla tutta, non avevamo ancora sventato del tutto.

I berserkir avrebbero impiegato poco tempo a scoprire quel che era successo a Lot e gli altri e, di tutto, saremmo stati incolpati noi lupi.

Da lì a uno scontro diretto, sarebbe occorso pochissimo.

Duncan, seduto accanto a me e apparentemente sopito, si piegò quel tanto per sussurrarmi: “Non pensare così forte.”

Sobbalzai leggermente prima di sorridergli e dire per contro: “Scusa, Duncan.”

“Di nulla, principessa. So quanto tutto questo ti metta in ansia, ma vedremo di risolvere anche questo problema.”

“Sembra crescano come funghi, da quando stiamo insieme. L’hai notato?” brontolai, appoggiandomi alla sua spalla e avvolgendo un mio braccio attorno al suo.

Lui annuì, sempre tenendo gli occhi chiusi e, pacato, dichiarò: “Vuol dire che il premio finale sarà maggiore.”

Sgranai gli occhi per un momento, basita, prima di esalare a bassa voce: “Premio? E di che premio si tratta?”

“Tu” replicò, aprendo un occhio per guardarmi ironico prima di aggiungere: “Mi sembra un ottimo motivo per continuare a giocare.”

“Per te è un gioco?” bofonchiai, incredula.

“Affatto. Ma comincio a pensare che, per altre entità più grandi di noi, lo sia. Io, comunque, farò in modo da render loro la vita il più difficile possibile. Saremo anche pedoni su una scacchiera, ma anch’io so giocare bene” asserì il mio Fenrir, tornando mortalmente serio.

Anche Loki aveva parlato di una scacchiera, e ci aveva paragonati a tanti pedoni da muovere a suo piacimento. L’abbinamento non mi era piaciuto, ma sapevo che in parte era veritiero.

Per mantenere l’equilibrio cosmico, qualche mossa doveva necessariamente essere governata da coloro che avevano una visione d’insieme più ampia di noi mortali ma, come aveva appena detto Duncan, alcuni giochetti di abilità potevamo farli pure noi.

Sai che non sei costretta a farlo, vero? Puoi attenderli al varco.

Sapevo che Fenrir non mi avrebbe permesso di crogiolarmi nei cattivi pensieri per molto tempo.

“Tu lo faresti? Sacrificheresti i tuoi figli per darmi l’opportunità di tenere i piedi nelle pantofole?” lo irrisi bonariamente io.

Decideresti tu in ogni caso. Io non prendo decisioni per te. Io ti ho solo…

“…lo so, dato il soffio della vita. Ed è davvero più movimentata di quanto mi sarei immaginata, ma credimi, non lo permetterei neppure se ce l’avessero solo con Brianna, e non con Fenrir. Come wicca amo tutti i licantropi, non solo quelli del mio clan, e li difenderò. Perciò, sarò io a cercare loro, e non loro me.”

Grazie.

“E di che?”

“Chiacchiera non meno di Avya” intervenne Duncan nella mia mente, vagamente divertito.

“L’hai sentito?” chiesi sorpresa.

“Come tu potresti sentire Avya se parlasse a me in questo momento” replicò lui. “Ma loro non possono sentirsi.”

“E’ un po’ triste” replicai.

“Fa parte del libero arbitrio. Se anime come le loro potessero parlare vicendevolmente, influenzerebbero i loro portatori” precisò lui, dandomi un bacio sulla fronte con un sorriso tranquillo.

“Non pensi, quindi, che Avya abbia manipolato la tua volontà per permetterle di stare nuovamente con Fenrir” dichiarai allora io, accentuando il mio sorriso.

“Ho imparato tempo fa la lezione, principessa. E avere l’anima di una wicca dentro di me mi fa comprendere anche alcune cose che, in precedenza, mi erano parse oscure.”

“Come la faccenda di poter relazionarti con gli animali senza che essi abbiano paura del lupo che è in te?” gli domandai, ben conoscendo la risposta.

“E’ il potere delle wiccan, sì. E con Avya dentro di me, ho potuto usufruire anch’io di questo dono” annuì leggermente lui. “Mi sono chiesto per anni se, questa mia peculiarità, fosse sintomo di una mia qualche debolezza. Scoprire da cosa derivi è per me un sollievo.”

“Nessuno avrebbe potuto tacciarti di debolezza” protestai, aggrottando la fronte.

“Hai visto com’ero, prima di scoprire ciò che Sheoban e Connor avevano fatto” precisò lui, ironico. “Non è stato facile convivere con loro, credimi.”

“Lo so” annuii, prima di dire: “Credi che soffriranno molto quando…”

“Sì”

Non mi disse altro, ma non vi fu bisogno di ulteriori spiegazioni.

Sospirai e, tornando a chiudere gli occhi, mi assopii in pochi attimi, la mente e il corpo ancora troppo debilitati e bisognosi di riposo.

***

La mia testa ciondolava da una parte all’altra, contro lo schienale della BMW che avevamo preso a noleggio per tornarcene a Matlock.

L’arrivo all’aeroporto di Londra mi aveva visto stordita e più nel mondo di Morfeo che delle persone deste, ma Beverly si era presa buona cura di me mentre Duncan e gli altri si erano impegnati ad affittare auto sufficienti per portare a casa tutti.

Nessuno di noi aveva avuto voglia di farsela di corsa fino ai rispettivi clan, perché le ferite riportate durante lo scontro contro i berserkir avevano cominciato a dare a tutti parecchi problemi, tra cui enormi lividi davvero poco simpatici.

Perciò, a nessuno era parso disonorevole procedere su ruote invece che su zampe. Per una volta, neppure Alec aveva protestato. Doveva stare più male di quanto non apparisse, per non puntare i piedi e mostrare il petto come un gallo cedrone.

In ogni caso, nel giro di un paio d’ore, tutte le auto furono pronte per il trasloco di massa.

Decidemmo di comune accordo di ritrovarci alla fine di agosto presso il nostro Vigrond assieme a tutti i clan d’Inghilterra. Era necessario decidere la migliore strategia da tenersi per contrastare i berserkir, perché ero più che sicura che, presto o tardi, si sarebbero fatti vivi. E noi dovevamo trovarli prima che loro trovassero me. E i miei lupi. Tutti i miei lupi.

Perché, che lo volessi o no, non ero più responsabile solo del mio clan, ma di tutti.

Avere dentro di me Fenrir comportava un impegno più gravoso di quello di wicca o di Prima Lupa. Erano miei figli. Tutti quanti. E non avrei mai permesso che venisse loro fatto del male a causa di ciò che avevo dentro di me.

Dopo aver provveduto a ringraziare e salutare Alec, Beverly e tutti i lupi del loro branco, noi di Matlock salimmo in auto per iniziare l’ultimo tratto di strada per giungere finalmente a casa.

Desideravo con tutta me stessa rivedere la mia famiglia, il mio branco, i miei cavalli, la mia bellissima gatta, ma agognavo anche a parlare con coloro che, a causa di Loki e della mano dei berserkir, avevano perso persone a loro care.

Per loro e per coloro che ora erano tornati nell’abbraccio caldo della Madre, avrei dedicato parole sentite e una celebrazione degna del sacrificio cui si erano immolati senza paura alcuna nel cuore.

Sapevo cosa significava perdere una persona cara e potevo comprendere perfettamente tutto il dolore che, in quei giorni, doveva essere cresciuto dentro di loro e, in cuor mio, sperai di poter alleviare quell’angoscia.

Non sarebbero bastate settimane, o mesi, ma il tempo e l’amore di tutto il branco avrebbe contribuito a ridare loro la pace. Di questo, ne ero sicura.

Con me era successo.

“Penseremo ai caduti in battaglia quando ti sentirai meglio. Non devi preoccupartene adesso” mi disse ad un certo punto Duncan, alla guida dell’auto.

Lance era seduto al mio fianco, pronto a intervenire in qualsiasi momento nel caso mi fossi sentita male, mentre Anthony era accomodato sul sedile anteriore, intento a parlare fittamente al telefono per avvertire del nostro prossimo arrivo.

Potevo sentire distintamente le voci di Mary B e di Gordon sopra a tutte e, sorridendo lievemente, mormorai: “Ti stordiranno l’orecchio, di questo passo.”

“Poco ma sicuro” annuì lui, chiudendo la comunicazione prima di strizzarmi l’occhio da sopra la spalla e aggiungere più serio: “Certo, il tuo aspetto non li aiuterà a rilassarsi, ma almeno sei viva.”

Sapevo di aver perso peso, di essere pallida come un cencio e di avere più lividi e fasciature di quanto fosse sopportabile per un occhio acceso dall’ansia, ma non potevo far nulla per apparire meglio di quanto non stessi in quel momento.

Tutte le mie energie erano spese per mantenere un continuo contatto con l’energia della Terra, unica in grado di restituirmi forze a una velocità maggiore di quanto, invece, avrebbe fatto il cibo.

Quello mi sarebbe servito per recuperare peso e colore ma, intanto, dovevo sfamare il mio animo e la mia bestia e, grazie a due Vertici della mia Triade, potevo farlo più facilmente di quanto non sarebbe stato possibile altrimenti, anche se mi trovavo in un’auto che, di naturale, aveva ben poco.

Una volta giunta a casa, sarebbe stata tutt’altra storia. Avrei potuto divorare l’energia della Terra in tutta tranquillità ma, per il momento, potevo accontentarmi di quel poco che riuscivo a prelevare.

“Prenderanno quel che viene, Anthony. Non è che possano fare granché altro, né io posso cambiare il mio aspetto” scrollai le spalle, prima di sentire un dolore sordo alle articolazioni.

Mi dolevano ancora a causa della posizione innaturale che avevo tenuto nello starmene legata in attesa dell’esplosione del mio potere.

Chissà cosa sarebbe successo? Avrei perso consistenza? Sarei stata dilaniata come i berserkir dalla luce?

Non potresti pensare ad altro?

Ridacchiai. A Fenrir non piacevano le mie congetture apocalittiche.

“Scusa, ma non posso fare a meno di pensarci. E’ la mia mente analitica che cerca una spiegazione a tutto.”

Sei decisamente differente da me, in questo. Io non ho mai rimuginato così tanto sui particolari, specie questo genere di particolari.

Ridacchiai ancora, prima di sorridere nel vedere il cartello di Matlock passarci a fianco in uno scintillio di metallo.

Eravamo a casa.

Entro pochi minuti saremmo stati sommersi dall’abbraccio familiare del branco e, finalmente, per un po’, avrei potuto dire di essere al sicuro.

Speravo soltanto che, almeno per quella vita, Loki mi lasciasse in pace. Già risolvere il problema dei berserkir mi avrebbe rubato sonni tranquilli, non volevo dover arrovellarmi anche su di lui.

Duncan mi sorrise attraverso lo specchietto centrale dell’auto e mi promise: “Ancora poco e potrai riposare in camera tua.”

“Non vedo l’ora” sospirai, chiudendo un momento gli occhi per godere dell’immagine di me stessa stesa sul mio lettone.

Anthony tornò a fissarmi spiacente e, mogio, asserì: “Se solo non avessi ceduto alle tue richieste, forse ora non saresti…”

“… forse ora saresti morto” replicai, senza lasciargli il tempo di finire la frase.

Da quando mi avevano salvata, Anthony si era scusato almeno un centinaio di volte e, a quanto pareva, il suo mea culpa non si era ancora concluso.

Duncan decise di intervenire, asserendo con veemenza: “Brie ha ragione. Se tu avessi anche solo tentato di fermarli, ora dovremmo piangere anche la tua scomparsa. La scelta di Brianna è stata l’unica possibile, in quel momento, Anthony. Non pensare mai più che il tuo agire sia stato scorretto nei suoi confronti, o nei miei.”

Annuendo col capo chino, Anthony bofonchiò: “Ma era sotto la mia tutela, e…”

“… e niente. Chiunque di noi avrebbe dovuto eseguire i suoi ordini, Anthony. Anche io” intervenne allora Lance, sorridendogli. “Si obbedisce alla Prima Lupa come se fosse lo stesso Fenrir a parlare, lo sai.”

“E poi, sei venuto a salvarmi, Anthony. E io certe cose non le dimentico” dissi infine io, allungandomi verso di lui per poggiare una mano sulla sua spalla. “Hai la mia benedizione, Anthony, non dimenticarlo mai.”

Una lacrima fuggevole scivolò dai suoi occhi prima di venire cancellata in fretta da un gesto nervoso della mano e, con voce rotta dall’emozione, sussurrò: “Sono onorato, wicca. Più di quanto potrò mai esprimere.”

“Sono io ad essere onorata di avere lupi così coraggiosi nel mio branco” replicai, tornando a poggiare la schiena contro il sedile. Quel semplice movimento mi aveva stremata.

Quanto avrei impiegato, per riprendermi?

***

La debolezza ebbe la meglio sulle mie intenzioni di scorgere con i miei occhi anche il cartello dell’abitato di Farley.

QQquando mi ritrovai a sfiorare con lo sguardo i cespugli fioriti delle rose multicolori e del gelsomino rampicante della casa di Duncan, mi chiesi stordita se avessimo usato il teletrasporto per giungere fino a lì senza che me ne accorgessi.

Al mio fianco, Lance mi sfiorò una spalla dicendo: “Ti occorrerà un po’ per riprenderti, principessa. Da quel poco che abbiamo provato sulla pelle, gli artigli dei berserkir sono velenosi, per noi. E tu hai subito una dura privazione fisica, oltre a una lunga tortura.”

Sbadigliai sonoramente, prima di stiracchiarmi e mugugnare: “Oltre che velenosi, sono anche soporiferi. Non mi sono neppure accorta di crollare.”

Duncan mi sorrise, spegnendo l’auto, e ammise: “Sei crollata non appena abbiamo imboccato la tangenziale. Sembravi narcolettica.”

“Bello” esalai io, sgranando leggermente gli occhi.

Ma in fondo, dormire un po’ dopo tutte quelle emozioni, non mi avrebbe di certo guastato. Anzi, ero quasi sicura che avrei finito col passare ancora parecchi giorni a letto, se non avessi avuto la certezza assoluta che il pensiero dei berserkir mi avrebbe tenuta vigile fino allo scioglimento del mistero.

Inoltre, dovevo prendere atto di tutte le morti che Loki aveva causato all’interno del branco e parlare con le famiglie delle sentinelle che, così coraggiosamente, si erano battute per me.

Fino a quel momento, non avrei potuto stare in pace con me stessa.

Ma ora avevo una famiglia da tranquillizzare, perciò avrei pensato al resto delle mie incombenze il giorno seguente, e avrei dato uno spazio più che degno a quelle anime coraggiose, piangendole come meritavano.

Scesi perciò dall’auto poco prima di vedere un’autentica orda umana uscire dalla porta di casa. In un lampo, venni stritolata dalle braccia di mio fratello che, letteralmente, mi sollevò da terra ed esclamò al mio orecchio: “Mi hai fatto invecchiare di vent’anni, idiota! Che ti è saltato in mente di fare la martire!?”

Cercando di scostarlo per respirare senza fargli male, rimisi i piedi a terra e, con un mezzo sorriso, replicai: “Di solito i martiri ci restano secchi, ma io sono ancora viva e vegeta.”

“Fortuna! Solo fortuna!” sbottò lui, prima di lasciar passare Erika e Mary B che, insieme, mi avvolsero in un abbraccio al sapor di miele mentre le loro calde lacrime scivolavano come perle sulle loro gote arrossate.

Dire che mi sentii in colpa, fu poco.

Lance si avvicinò sorridendomi comprensivo e, sfiorando la spalla di Mary B con la mano, commentò sereno: “Visto che l’abbiamo riportata a casa sana e salva?”

Non penso di aver mai visto Mary B con quello sguardo.

Levò il viso bagnato di lacrime e fissò con fiero cipiglio Lance prima di scivolare via da me e dare un sonoro pugno sul torace robusto dell’Hati, sbottando: “E’ inutile che fai il presuntuoso con me, Lance Gregory Rothshild. Ce n’è anche per te!”

Poi, detto ciò, si levò in punta di piedi e, di fronte ai nostri volti più che sorpresi, diede un sonoro bacio a Lance, facendolo diventare rosso come un peperone maturo. Evidentemente, tanta espansività non se l’era aspettata neppure lui, visto che il loro rapporto era, da quel che avevo capito, qualcosa di simile al platonico.

Gordon grugnì disgustato mentre Erika si infilava sotto il suo braccio e ridacchiava divertita. Io, per contro, sospirai leggermente e celiai: “Okay, ora posso dire di averle viste tutte.”

Scostandosi da Lance, che ancora sembrava avere qualche difficoltà a connettere, Mary B mi fissò con aria fiera e dichiarò pacifica: “Beh? Non dovrei salutare il mio uomo di ritorno da una missione a dir poco pericolosa e in cui, a quanto pare, ha riportato diverse ferite?”

Io sorrisi orgogliosa, stringendola a me in un frettoloso abbraccio, e replicai: “Ma certo Mary B. Anzi, speravo di vederti così felice e… beh… serena.”

“Lo sono” annuì lei, ricoprendosi un attimo dopo di un delicato rossore sulle gote non appena si rese conto della faccia tosta con cui aveva baciato Lance.

Ridacchiò imbarazzata e, volgendo lo sguardo verso di lui, ammiccò e disse: “Scusa.”

“E di che!” ridacchiò a sua volta lui, avvolgendole le spalle con un braccio e stringendola possessivo a sé.

Jerome decise di sbucare dalla porta di casa proprio in quel momento e, munito di pentola a pressione e canovaccio buttato negligentemente su un braccio, esclamò: “Tesori miei, il pranzo sarebbe quasi come in tavola! Ci vogliamo sbrigare?!”

Esplodemmo a ridere – avevo percepito la presenza di John, Sarah e Jerome in casa, e mi stavo giusto chiedendo come mai non fossero usciti per salutarci – ed io commentai divertita: “Ma che bravo ometto di casa che sei!”

“Ovvio… papino” commentò di rimando lui, strizzandomi un occhio prima di rientrare.

Gordon mi fissò confuso al pari di Mary B ed io, sospirando, scossi esasperata il capo ed esalai: “Vi spiegherò tutto dopo. E’ una lunga, lunghissima storia, e non ho la forza di raccontarvela ora.”

“E ti pareva” ridacchiò Gordon, incamminandosi per primo verso l’ingresso, il braccio di Erika sempre avvinghiato al suo.

Duncan mi prese per mano e, sorridendomi, chiosò: “Tutto come prima, eh?”

“Più o meno” ammiccai, lanciando uno sguardo a Lance e Mary B, che ci precedevano sull’entrata di casa.

“Beh, di quello non posso che essere felice. Meritano un po’ di felicità, no?”

“E come negarlo?”

***

Sono lieta che la mia reticenza non ti sia costata la vita, wicca.

“Diciamo che maggiore chiarezza tra noi sarebbe auspicabile, per il futuro, ma capisco bene perché  tu non mi abbia parlato subito della mia discendenza particolare.

Dirti così tante cose, e nel giro di pochissimo tempo, avrebbe mandato in frantumi il tuo autocontrollo, e forse anche il tuo cervello. Non è cosa di tutti i giorni venire a sapere di avere un dio dentro di sé. E specialmente questo dio. Motivo di più per non farti perdere il controllo sui tuoi poteri, con una notizia così scioccante.

“Questo è poco ma sicuro” ammisi, rabbrividendo un poco.

Tornare al Vigrond, dopo essere stata prelevata proprio in quel luogo dai berserkir, mi aveva fatto uno strano effetto, ma avevo preferito andarci da sola per riprendere confidenza con quei luoghi a me così cari.

Ovviamente, avevo un mezzo esercito alle spalle pronto a difendermi se anche il sentore di un nemico si fosse avvicinato a più di un miglio dal Vigrond ma, per lo meno, mi era stata concessa un minimo di intimità per parlare con la quercia.

Avevo bisogno di quel confronto a tu per tu con lei e, soprattutto, dovevo farmi passare la paura che era nata in me dopo il rapimento, avvenuto proprio nel luogo di potere dove avrei, invece, dovuto sentirmi al sicuro.

“Perché Lot si è sorpreso quando ha saputo che sono wicca? Loro non dovrebbero avere alcun legame con noi. Almeno, io non ne ho avvertiti.”

Le wiccan sono sempre state le Sacerdotesse della Madre, oltre che le Accolite della Luna, e perciò loro hanno sempre portato rispetto nei vostri confronti, anche se eravate legate a doppio filo coi licantropi, e non con loro.

“E il fatto che, fino ad ora, non abbiano mai cercato di attaccare i licantropi? Dipende dal fatto che non odiano la nostra razza, ma solo Fenrir?”

Esatto. E’ una faida personale che dura da millenni, e Loki ne ha approfittato. Come vi sia riuscito, però, non sono in grado di dirtelo.

“E’ quel che intendo scoprire. Non penso che quelli che Duncan e gli altri hanno ucciso fossero gli unici berserkir che ci sono in giro. Perciò, non appena i loro compagni verranno a sapere quel che è successo, la faida si farà ancora più aspra e si estenderà a ogni clan di licantropi d’Inghilterra, non solo al nostro, soprattutto quando troveranno il cadavere di Loki, che loro credono essere Tyr tornato sulla Terra.”

Del suo corpo ospite, precisò la quercia.

“Giusto. Lui non muore.”

Per molti anni ancora non potrà rinascere e, almeno per un po’, potrai vivere senza l’incubo incombente della sua ombra, wicca.

“Non dormirò sonni tranquilli finché non avrò trovato i berserkir che hanno dato il via a tutto, e avrò spiegato loro la verità. Non credo che Lot e soci fossero gli unici a sapere chi ero. Quindi, i loro fratelli mi verranno a cercare qui, cosa che voglio caldamente evitare. Non desidero una carneficina proprio nel mio territorio, perciò io troverò loro prima che loro trovino me.”

E come pensi di fare? Io non so nulla che possa aiutarti per giungere a loro.

“In qualche modo farò” scrollai le spalle, pur sapendo che mi stavo arrampicando sugli specchi.

Non ero famosa per la mia conoscenza del soprannaturale e, per quanto ne sapevo, neppure i lupi conoscevano granché dei berserkir. Ma, in un modo o nell’altro, avrei cavato qualche ragno dal buco. Forse Elspeth, che era tanto informata sulle bestie mitologiche, avrebbe potuto indirizzarmi. Oppure avrei potuto fare una chiacchierata con Fenrir, visto che conosceva approfonditamente l’argomento.

 Presta attenzione sul tuo cammino, wicca, e non rischiare più del necessario.

“Sentiresti la mia mancanza?” ironizzai, ammiccando.

Lei ovviamente non rispose – timida? – ed io, con un leggero sospiro, mi appoggiai un momento al tronco ruvido e centenario della quercia, sussurrando: “Credo in te. E sarò prudente.”

Bene.

Detto ciò, mi allontanai dal Vigrond ascoltando le voci nel vento, il sussurro della foresta, l’alito della vita che cresceva e prosperava tra quegli alberi e, sorridendo leggermente, mi riappropriai di quegli odori a me familiari mentre i miei piedi volavano leggeri sul muschiato sottobosco e tra i cespugli verdeggianti.

Chiusi gli occhi per alcuni attimi, ascoltando il cinguettio di alcuni cardellini e il beccare di un picchio in lontananza, intento a scavare col suo becco il tronco di un albero morto. Più in là, semi nascosto dai cespugli, vidi un cervo abbeverarsi al torrente e che, avvertendo la mia presenza, corse via veloce scalciando gli zoccoli a terra e falciando il terreno al suo passaggio.

Non avevo voglia di cacciare, ma solo di riunirmi alla mia famiglia perciò, lasciatolo perdere, proseguii la corsa finché non raggiunsi il mio personale corpo di guardia che, tenendo il mio passo, si unì a me nel ritornare a casa.

Anthony, sulla mia destra, mi sorrise e chiese: “Com’è andata?”

“Meglio di quanto sperassi. Solo qualche brivido qua e là” commentai, sorridendo.

“Passerà, davvero” mi promise, ammiccando al mio indirizzo.

“Ci conto” mi limitai a dire, prima di rallentare non appena fummo in prossimità dei confini del bosco.

Non era il caso che Christine ci vedesse piombare tutti fuori dal boschetto a velocità record e come un piccolo esercito in azione.

Uno a uno, la mia scorta si dileguò alle mie spalle ed io, raggiunto che ebbi il cortile, mi infilai nella stalla senza neppure pensarci e andai direttamente al box di Gab per rendermi conto di come stesse. Da quando ero tornata, non ero riuscita a passare con lui che qualche minuto, perciò era giunto il momento di rimediare.

Lui mi salutò con un nitrito e un colpo leggero del muso ed io, avvolgendogli il collo con le braccia, affondai il viso nella sua morbida criniera, chiedendo: “Sei stato in pensiero per me anche tu, vero, bello mio?”

“Di sicuro era ingovernabile” commentò sull’entrata Gordon.

Mi voltai a guardarlo – stava diventando bravo a muoversi in silenzio, ma al mio naso non sfuggiva nulla – e sorrisi, domandandogli: “Hai provato a sellarlo?”

“Sì. Volevo farlo correre un po’, ma non c’è stato verso. Solo Duncan riusciva in qualche modo a ragionarci” scrollò le spalle Gordon, avvicinandosi e lanciando un’occhiata ironica a Gab.

Lui rispose con uno sbuffo. Io ridacchiai. Uomini.

Gordon allora ammiccò e celiò divertito: “E’ davvero suscettibile.”

“Un po’, in effetti” ammisi io prima di chiedergli: “Mi cercavi per un motivo, o solo per accertarti che stessi bene?”

“Tutt’e due le cose” disse atono lui, scrollando indolente le spalle. “Forse ho un’idea per poterti aiutare.”

“Cioè?” chiesi curiosa, continuando ad accarezzare distrattamente la criniera di Gab.

“Ho pensato parecchio alla faccenda dei berserkir, e mi è venuto in mente un particolare. Cu Chulainn. Secondo il mito, la sua forza in battaglia era paragonabile a quella di un berserkr assetato di sangue, e anche il suo corpo mutava divenendo una specie di orso.”

Aggrottai la fronte, borbottando: “Il nome non mi è nuovo, ma sei tu l’esperto.”

Grattandosi dietro un orecchio con espressione pensierosa, aggiunse: “E’ legato ai miti dell’Ulster. Ho cercato anche sui berserkir, ma i luoghi in cui si diceva vivessero sono così disparati che ho pensato che partire da un luogo preciso, e un mito preciso, potesse essere la mossa giusta per iniziare la tua ricerca.”

Allargai il  mio sorriso e, lasciando Gab, raggiunsi Gordon prima di dirgli: “Ti sei dato parecchio da fare, a quanto vedo.”

“Sei mia sorella!” sbottò lui reclinando il capo, le sopracciglia aggrottate per l’imbarazzo e la rabbia. “Non mi ha fatto piacere scoprire che qualcuno voleva vederti morta, né tanto meno venire a sapere tutto quello che ci hai detto. E perciò…”

“… perciò hai pensato di darmi una mano. E’ stato carino da parte tua” dissi lieta, sollevando una mano per sfiorargli la guancia. Lui, però, si tirò indietro.

Sorpresa e, sì, un po’ ferita, feci a mia volta un passo indietro e lui, accorgendosene, se ne pentì immediatamente e mi attirò lesto tra le braccia, avvolgendomi nel suo calore umano. Con voce spezzata, ammise controvoglia: “E’ da quando hai conosciuto Duncan che rischi la vita. Sono stanco, Brie. Maledettamente stanco di saperti sempre in pericolo. Non voglio che tu muoia, lo capisci?! Sei tutto ciò che mi rimane!”

Una coltellata nel petto non avrebbe potuto farmi più male del dolore che avvertii nelle sue parole e, ricambiando l’abbraccio, sussurrai contro il suo petto: “Quello che mi sta succedendo non ha nulla a che vedere con Duncan, ma capisco i tuoi sentimenti, fratellino.”

“Vorrei… vorrei proteggerti, e non posso!” mugugnò lui, scosso da brividi che preludevano le lacrime che stava cercando di non versare.

“Ho un intero branco a difendermi, e non farò più l’errore di affrontare da sola i miei problemi. Troppe persone soffrirebbero, tu per primo, ed io non voglio causarvi alcun dolore. Voglio solo che siate felici” gli promisi con calore.

Non dovevo rimuginare troppo sui vecchi schemi che avevo tenuto buoni fino a quel momento. La vita che avevo vissuto con i miei genitori era ormai un capitolo chiuso; dovevo cominciare a capire che, all’interno di un branco, le cose funzionavano diversamente.

Ero la loro wicca, la loro Prima Lupa, e avevano tutti i diritti di volermi difendere fino alla morte. Non mi sarei più opposta a nessuno di quei precetti. Con il titolo di cui mi ero voluta fregiare, avevo preso su di me anche quel peso. Le loro vite asservite a me. Era il momento di accettarlo, e cambiare.

Mi scostai da lui e aggiunsi con veemenza: “Cercherò i berserkir, ma non sarò da sola. Ti prometto che con me verranno due lupi tra i più potenti che io abbia mai conosciuto. Non mi comporterò mai più da scellerata. Penserò anche, e soprattutto, alla mia vita.”

Tirando su col naso, Gordon mi fissò burbero e borbottò: “Allora, così, mi può star bene”

Circondandogli la vita con un braccio, lo sospinsi dolcemente verso l’uscita e gli proposi: “Andiamo a prenderci un the, è meglio. Ti rilasserà i nervi.”

“I miei nervi sono a postissimo” brontolò lui, pur seguendomi.

“Sì, come no” ammiccai, prima di appoggiarmi a lui per un attimo e avvolgerlo col mio potere.

Sapevo che poteva sentirne solo una minima parte, ma volevo che lui capisse quanto apprezzavo il suo interessamento e il suo affetto.

Gordon si limitò a baciarmi sul capo e sussurrò: “Grazie.”

Non c’era bisogno che io e lui parlassimo molto. Era sempre stato facile, per noi, capirci a vicenda.

E anche quella volta, lui era con me.

Non sapevo ancora bene dove sarei dovuta andare, o come avrei affrontato l’intera faccenda, ma lui era con me. Poteva bastarmi, per il momento.

Tuo fratello ha ragione. Partire da Cu Chulainn è la scelta migliore. Non potete perdere tempo a cercare i berserkir in giro per mezza Europa del Nord. Con tutta probabilità, trovare notizie su di lui vi porterà sulle tracce dei suoi simili.

“Lo spero, perché non ho alcuna voglia di saltare il primo semestre all’università” brontolai, mentre entravamo in casa uno dopo l’altro.

Non credo tu debba focalizzare la tua mente sull’università, al momento, quanto piuttosto sul pericolo che incombe su voi tutti.

“Se non ci penso, impazzisco. Dovresti averlo capito, ormai, che ho un metodo piuttosto particolare per non perdere la calma” replicai ironica, aprendo la porta della cucina e lasciando che Gordon mi precedesse all’interno.

In effetti, ho notato una tua certa tendenza a pensare a cose il più possibile logiche e lineari.

“E’ l’unico sistema che ha sempre funzionato e, nel caso specifico, è decisamente un bene se io non perdo sul serio le staffe.”

Decisamente un bene.

“Lieta che tu lo pensi” terminai di dire prima di afferrare il bricco per il the e infilarlo sotto il rubinetto del lavandino.

Dopo averlo riempito per metà, lo misi sul fuoco perché si scaldasse a sufficienza, già pronta a chiedere a Gordon se lo volesse semplice o aromatizzato ma, quando mi volsi nella sua direzione, arrestai la mia domanda sul nascere.

I suoi occhi chiari mi stavano fissando con una maturità che solo di recente avevo scorto in lui e, in quel momento particolare, sembravano ancora più seri del solito.

Involontariamente, tremai.

Lappandosi le labbra una volta con fare nervoso, intrecciò le dita in grembo prima di scioglierle nel giro di pochi attimi e passarsele tra i folti capelli, tirandoli subito dopo come se fosse preda di un attacco d’ira, … o di panico.

Muta, continuai a guardarlo in attesa che lui si esprimesse in qualche modo quando, d’improvviso, mi spiazzò dicendo: “Voglio diventare come te.”

___________________________________

N.d.A.: E dopo l'uscita in grande stile di Gordon, vi saluto per darvi appuntamento all'epilogo di questo secondo racconto cui seguirà, entro breve, un terzo, dal titolo "All'Ombra dell'Eclissi". Tenete perciò d'occhio la mia bacheca, perché le avventure di Brie e Duncan non sono finite. E naturalmente, grazie a tutti/e coloro che mi hanno seguito fiduciosi/e fino a qui. Le parole non bastano per esprimere la mia gratitudine, ma spero si capisca. :)

  
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