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Autore: Cheonefer86    13/06/2013    1 recensioni
Severus Snape è morto e sulla sua tomba ci sono dei fiori, sembra tutto normale, terribile ma normale. E invece... quel che comincia nella commedia finirà nel dramma. O forse no?
Il giorno del giudizio arriverà per tutti, si tratta solo di vedere cosa gli è riservato.
"«Sei solo una lapide, non mi fai paura. Solo delle lettere e non mi fate paura.» ripeteva per cercare di convincere se stesso, ma Ronald Weasley sapeva che bastava anche solo il nome del mago che giaceva sotto terra, per trasalire al ricordo di tutto quello che lui e i suoi amici avevano passato tra le grinfie di Severus Snape. «Non mi fai paura!» urlò alla pietra."
Genere: Angst, Commedia, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Minerva McGranitt, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da VII libro alternativo
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Trilogia del Cimitero

*Sigla di apertura Super Quark” XD

La parte corsiva sulla destra è il  Dies Irae”, ovvero una sequenza liturgica cristiana scritta in latino che si canta durante la Messa di rito romano per i defunti (Messa da Requiem) ed è stato composto nella prima metà del XIII secolo, e attribuito a Tommaso da Celano, ma probabilmente è autore solo della parte conclusiva.

È considerato una delle le maggiori poesie religiose del Medioevo ed è cantata basandosi su un’antica melodia gregoriana (io li amo! *-*) e narra in modo parecchio drammatico la fine dell’umanità, ovvero il Giudizio Universale.

*Sigla di chiusura Super Quark” XD

Giusto per chiarire cos’è la parte in corsivo a destra ;)

Come sempre, recensioni, critiche costruttive, appunti e quant’altro sono sempre ben graditi ;)

 

 

 

3. Ad irae diem ridere

 

Dies Irae, dies illa

solvet saeclum in favilla:

teste David cum Sybilla.

 

(Il giorno dell'ira, quel giorno che

dissolverà il mondo  in cenere:

come testimoniato da Davide e dalla Sibilla.)

 

Severus Snape era rimasto a guardare la sua tomba fino a quando il sole non era scomparso pian piano dietro quella piccola chiesa che ancora custodiva quell’incubo, il suo personale incubo che gridava da dentro la sua anima, ancora poteva vederne qualche frammento sfuggire al suo corpo e perdersi lassù, dove la luna era grande e pallida e illuminava le lapidi allineate sulla terra che risplendevano tristi a essa. Riusciva a scorgere qualche ombra muoversi davanti alla luna, danzare e combattere con quella luce.

Eri un agnello che sorrideva all’amara vita.

Sentiva quell’urlo agghiacciante farsi forte e debole tra le tombe.

Il bianco e il nero si confusero di fronte al pallido satellite, muovendosi intorno ad un invisibile asse, si condensarono lentamente in un rosso che divenne man mano più vivace, così come intenso si fece l’odore nell’aria.

Odore di sangue.

Quel porpora colorò la luna e scese, goccia dopo goccia, sulla terra, ai piedi di Severus che continuava a osservare sconcertato quelle immagini, scese sulle tombe lambendone le basi; una piccola lacrima scarlatta cadde sul suo sepolcro e discese lungo la pietra fino a incontrare le lettere che una a una iniziarono a sudare sangue.

Severus si avvicinò per toccarle, per toccare quel liquido, ma sulle sue dita non sentì nient’altro che il freddo della lapide.

Il sangue cadeva e toccò i fiori che ancora giacevano lì, in un attimo presero fuoco, un fuoco alto, caldo, splendente e vivo che durò qualche secondo fino a estinguersi lasciando nient’altro che cenere.

Un urlo agghiacciante spezzò il silenzio del cimitero e Severus si guardò intorno sbigottito per cercare la fonte di quelle grida, ma ben presto si rese conto che era stato lui a provocarlo, gli era uscito dall’angolo più profondo della sua anima.

Si gettò a terra sulle ginocchia, stringendo con forza quel sangue che vedeva, ma non c’era, e si ritrovò a ridere, una risata isterica alla luna piena che lo guardava in silenzio.

Il giorno del giudizio sta arrivando e trasformerà il tuo corpo in nient’altro che cenere, perché niente potrà redimere i tuoi sbagli e niente potrà cancellare questo sangue che ti sporca le mani.

E sorrise, sorrise amaramente al giorno dell’ira che lo avrebbe portato via, stavolta per sempre.

Sorrise mentre quell’urlo mutò in un canto inquietante che veniva da lontano.

 

Quantus tremor est futurus,

Quando judex est venturus,

Cuncta stricte discussurus.

 

(Quanto terrore verrà

quando il giudice giungerà

a giudicare severamente ogni cosa.)

 

Severus vide un piccolo verme che si muoveva tra la terra – tra il sangue – cercando di nascondersi ai corvi che da lontano lo osservavano aspettando il momento migliore per afferrarlo e portarlo lontano; tremava e timoroso attendeva il suo destino, sapeva che non poteva sfuggire alla nera e affilata scure che con un sorriso sinistro lo avrebbe portato via.

Snape si sentiva allo stesso modo, aspettava e desiderava che quel destino si abbattesse anche su di lui, nel modo più crudele possibile - che sapevi di meritare.

E sorrise al destino giudice che avrebbe giudicato la sua vita.

 

Tuba, mirum spargens sonum

per sepulcra regionum

coget omnes ante thronum.

 

(La tromba, diffondendo un suono mirabile

tra i sepolcri del mondo

spingerà tutti davanti al trono.)

 

Arriverai, arriverai davanti al destino

e ti piegherai al suo terribile volere,

le tue lacrime saranno solo motivo di risa

e saranno vano rumore perso nel turbine

che richiamerà a sé i cadaveri del cimitero

che ti afferreranno per portarti lassù,

dove sarai l’unico vivo tra i morti e

aspetterai la lama trapassarti il petto.

 

Sorriderai, sorriderai alla falce d’ombra

che ti uscirà dal petto strappandoti

l’ultimo brandello d’anima dalle ali

dell’angelo caduto in quella chiesa,

tra le fiamme della tua colpa e il

sorriso d’agnello che giace ormai

morto tra i riflessi del tuo cuore,

perso nel lago d’impalpabile sangue.

 

Mors stupebit et natura,

cum resurget creatura,

judicanti responsura.

 

(La Morte e la Natura si stupiranno

quando risorgerà ogni creatura

per rispondere al giudice.)

 

Severus continuava a sentire quella nenia, gli sembrava così terrificante e così adatta a quella che era stata la sua vita e a ciò che avrebbe trovato lungo quel ripido sentiero ad attenderlo.

Ancora inginocchiato davanti alla sua tomba, vide il sangue ritirarsi pian piano come il mare passata la marea, lo vide assorbito lentamente dal suo corpo, risalire la sua veste nera sporcandola di rosso e addensarsi in un unico piccolo punto: il suo cuore.

Un dolore acuto gli fuoriuscì dalle labbra quando sentì qualcosa di appuntito farsi strada tra la sua carne fino a lacerargli il petto.

Un fiore era nato dal suo cuore, scarlatto, vitale, profumato. Non appena lo prese tra le dita, avvizzì e i suoi petali caddero a terra, neri, mortali, fetidi.

Rinascere per morire, rinascere per rispondere del sangue versato.

Sorridi alla morte, sorridi alla vita, sorridi al dolore. Sorridi al giudizio che sarà.

 

Liber scriptus proferetur,

in quo totum continetur,

unde mundus judicetur.

 

(Sarà presentato il libro scritto

nel quale è contenuto tutto,

dal quale si giudicherà il mondo.)

 

Verrà il giorno che le tue labbra

smetteranno di sorridere alla luna

che si tinge di sangue, si colora

di rosso che crolla a terra in lettere

e lettere che parleranno di te e della

tua vita, dei dolori e dei rimpianti,

racconteranno le grida nella notte

di un cuore errante ed errato.

 

Verrà il giorno che il tuo sorriso

morirà tra le dita di coloro che

hai ucciso, delle vite che hai sciolto

tra la terra e i vermi che ti guardano,

e anche loro giudicheranno la tua

anima lacerata e ormai logora,

persa tra lampi verdi di disperazione

e suppliche nel freddo di una collina.

 

Judex ergo cum sedebit,

quidquid latet, apparebit:

nil inultum remanebit.

 

(E dunque quando il giudice si siederà,

ogni cosa nascosta sarà svelata,

niente rimarrà invendicato.)

 

Severus Snape non sapeva per quale motivo ancora si trovasse in quel cimitero, come nella chiesetta non conosceva il motivo che lo tratteneva lì, a subire tutto quello, per quanto ritenesse di meritarselo.

Si limitò ad alzarsi nuovamente in piedi, ma rimase ancora e ancora a guardare la tomba.

Avevi sorriso ai fiori, avevi sorriso al demone, all’angelo, all’agnello, avevi sorriso al sangue, avevi sorriso alla morte, alla vita. Sorridevi alla verità.

Severus Snape non era morto e avrebbe lavato con dignità ogni goccia di sangue sulle sue mani e avrebbe finalmente sorriso alla sentenza che lo avrebbe condannato come il mostro qual era.

 

Quid sum miser tunc dicturus?

quem patronum rogaturus,

cum vix justus sit securus?

 

(In quel momento che potrò dire io, misero,

chi chiamerò a difendermi,

quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?)

 

Non ci sarà paradiso per l’uccisore,

ma fiamme d’inferno t’avvolgeranno

tra le tue grida e le risa degli uccisi,

e le tue preghiere saranno vane

perché ci sarà salvezza soltanto per i giusti

e tu sei dannato, dannato e maledetto

dal veleno di un serpente che grida

e lacera ancora quel che rimane di te.

 

Non sorriderai al supplizio atteso

dalla schiera di coloro che ti volteranno

le spalle al grido d’aiuto triste

e fragile, scandito dal volo dei corvi

che ti guarderanno e aspetteranno

il tuo corpo avvizzito sul quale

banchettare e saziarsi della tua

oscurità tra i brandelli di carne.

 

Rex tremendae majestatis,

qui salvandos salvas gratis,

salva me, fons pietatis.

 

(Re di tremendo potere,

tu che salvi per grazia chi è da salvare,

salva me, fonte di pietà.)

 

«Il mio cuore non ha mai voluto credere all’idea che tu fossi morto.» conosceva quella voce, sapeva a chi apparteneva, ma era così tanto tempo che non la sentiva che gli sembrò fosse anche quello un tremendo sogno che voleva ricordargli ciò che aveva perso.

«Sei salvo, dopo tutto quello che hai passato, la vita ha avuto pietà di te e del tuo dolore e ti ha donato un’altra possibilità per vivere. Per vivere finalmente quella vita che non ti è mai stato possibile vivere.»

La vita non avrebbe dovuto avere pietà di te, la pietà apparteneva ai buoni di cuore e tu non lo eri, non ti eri mai ritenuto tale. La vita non era per te, tu appartenevi alla morte, all’oscurità. Al male.

Severus Snape non seppe perché, ma sorrise a quel viso stanco e segnato dalle rughe dell’età.

 

Recordare, Jesu pie,

quod sum causa tuae viae

ne me perdas illa die.

 

(Ricorda, o pio Gesù,

che io sono la causa del tuo viaggio;

non lasciare che quel giorno io sia perduto.)

 

Tu, peccatore che cammini su questa terra

sporcando di rosso ogni tuo passo,

ti confondi nella schiera degli scheletri

danzanti e piangenti ai piedi dei demoni

che frustano i brandelli di carne rimasti

a proteggerti l’anima, distrutta, calpestata,

divorata dai corvi che sbattono le ali

d’ombra nefasta e addolorata.

 

Tu, vile assassino che osservi la luna

che crolla sotto il peso dell’ingiustizia

e del dolore di ogni verme strisciante

tra la terra e il sangue, costretto a cibarsi

di te e di ogni malvagio che fa piangere

il cielo, azzurro, nero, e acre scarlatto,

urlante mentre i suoi pezzi cadono giù,

dove la redenzione potrà iniziare.

 

 

Quaerens me, sedisti lassus,

redemisti Crucem passus:

tantus labor non sit cassus.

 

(Cercandomi ti sedesti stanco,

mi hai redento con il supplizio della Croce:

che tanto sforzo non sia vano!)

 

Severus guardò quei petali morti un’ultima volta prima che una leggera folata di vento li portasse via, lontano, dove magari sarebbero rinati in un nuovo e profumato bocciolo, bianco e puro come lui non lo era da tempo. Li vide sfiorare la luna senza mai toccarla e poi sparire per sempre dai suoi occhi, così come ogni cosa bella era scomparsa dalle sue dita.

Minerva McGonagall lo osservava con sguardo severo ma pieno di tenerezza che poteva comporre solo una madre per un figlio, una dolce melodia che s’irradiava dalle labbra piegate in un sorriso che avrebbe voluto scaldarlo.

Un sorriso di perdono.

A cosa è servita tanta sofferenza se ancora ti trovi a camminare su questa terra?

Il disegno celeste ha per te un destino diverso, un sorriso, un perdono. Una vita.

 

Juste judex ultionis,

donum fac remissionis

ante diem rationis.

 

(Giusto giudice di retribuzione,

concedi il dono del perdono

prima del giorno della resa dei conti.)

 

«Se non perdoni te stesso, nessuno potrà farlo al tuo posto, Severus.»

«Non merito il perdono di nessuno ed io non potrò mai perdonare ciò che ho fatto.» rispose Snape voltandosi a guardare i corvi che volavano verso la luna, una scia nera sporcava quel bianco, e lui avrebbe voluto trovarsi lassù, tra il vento e la pallida luce.

«Devi farlo, prendi questa vita come un dono e lasciati ogni peso che hai portato fino ad ora alle spalle, lascia che le persone che ti vogliono bene ti aiutino a portarli e ad abbandonarli man mano che camminerai sul sentiero dell’esistenza.» Minerva si avvicinò a Severus, con passo deciso, anche se stanco. «Non pensi di aver pagato abbastanza? Quello che hai passato è stata la resa dei conti, crudele, triste, dolorosa, ma adesso sei qui, ed è venuto il momento di finirla. Basta, Severus!»

 

Ingemisco, tamquam reus,

culpa rubet vultus meus

supplicanti parce, Deus.

 

(Comincio a gemere come un colpevole,

per la colpa è rosso il mio volto;

risparmia chi ti supplica, o Dio.)

 

Severus Snape si gettò a terra sedendosi sulla pietra della sua tomba e si fermò per un istante a osservare Minerva, quella donna che ancora amava come una madre, quella donna che lo aveva odiato e lo aveva amato e nonostante sapesse di quali colpe si fosse macchiato, era lì, davanti a lui e sorrideva, un sorriso caldo, amorevole. Materno.

Davvero si meritava tutto quel calore?

No, non te lo meritavi. Avevi ucciso, avevi tradito, e lei era lì che sorrideva a un figlio come se avessi solo fatto qualche bravata.

Eri colpevole di tutto e avrebbe dovuto scorrere il tuo sangue. Non aspettavi altro e forse sarebbe finalmente giunto quel momento.

 

Qui Mariam absolvisti,

et latronem exaudisti,

mihi quoque spem dedisti.

 

(Tu che perdonasti Maria di Magdala,

tu che esaudisti il buon ladrone,

anche a me hai dato speranza.)

 

Severus si chiese se davvero la vita gli avesse dato un’altra possibilità di essere felice e per un secondo il suo cuore si fermò, contento anche solo al pensiero, ma velocemente riprese a battere, più furioso che mai, spingendo con forza sul petto, a ricordargli ogni dolore che aveva subito e che, quella speranza, lui non l’aveva, neanche se avesse pregato per tutta una vita.

Gente peggiore e più crudele di te, stava lì, a sorridere alla vita che gli era stata concessa, al perdono che forse nemmeno meritavano, eppure quelle persone continuavano ad andare avanti, felici per ciò che gli era stato dato. Non erano una speranza anche per te?

 

Preces meae non sunt dignae,

sed tu bonus fac benigne,

ne perenni cremer igne.

 

(Le mie preghiere non sono degne;

ma tu, buon Dio, con benignità fa'

che io non sia arso dal fuoco eterno.)

 

«Non sono sopravvissuto per continuare a vivere. Sono sopravvissuto per chiedere perdono dei miei peccati, per sciogliere la mia anima da quest’oppressione prima di essere finalmente libero.»

«Allora perché sei sparito per tutto questo tempo?»

«Perché non avevo il coraggio di guardare nessuno negli occhi.»

«Tu sei la persona più degna di questo mondo di essere guardata e di guardare tutti.»

Severus Snape sorrise a quelle parole, le trovava così assurde che le sue labbra si piegarono istintivamente.

Non rispose a Minerva, si gettò in ginocchio ai suoi piedi, straziato e rassegnato, ombra dell’uomo fiero e forte che era stato.

«Perdonami, Minerva. Perdonami per aver ucciso Albus, per aver tradito la tua fiducia, per aver tradito tutti. Perdona queste mani», alzò le braccia tremanti e insicure verso la strega, «colme di sangue.» che senza pensarci strinse quelle dita tra le sue.

Minerva McGonagall sorreggendosi a Severus si piegò fino a trovarsi di fronte al mago, fissò il suo viso e sorrise, sorrise a quelle parole, sorrise a quel volto, sorrise a quegli occhi.

«Brucerei all’inferno se servisse a cancellare il male che ho fatto.»

 

Inter oves locum praesta,

et ab haedis me sequestra,

statuens in parte dextra.

 

(Assicurami un posto fra le pecorelle,

e tienimi lontano dai caproni,

ponendomi alla tua destra.)

 

«Hai bruciato per anni tra i vivi, Severus. È il momento di bruciare la vita che hai dentro.»

Severus poteva ancora udire quel canto così tragico, era lontano, appena udibile, ma alcune parole gli battevano con forza la testa entrandogli dentro con dolore. Gli sembrava di sentire quella stessa sensazione che aveva provato nella chiesa quando quelle creature gli erano entrate nel petto.

Tremò al ricordo e istintivamente si portò una mano in quello stesso punto.

Il sorriso dell’agnello.

No, il tuo era il sorriso di un demone.

 

Confutatis maledictis,

flammis acribus addictis,

voca me cum benedictis.

 

(Una volta smascherati i malvagi,

condannati alle fiamme feroci,

chiamami tra i benedetti.)

 

Dormi, dormi, agnello accanto alla madre,

lontano dal mostro che urla alla notte,

che strappa quel cuore fermo dal petto

immobile e ormai morto delle anime

dannate e marchiate, supplicanti alle

fiamme che ardono i piedi sciolti

nella terra che non aspetterà altro

che accogliere il tuo spirito in eterno.

 

Dormi, dormi, ombra persa nel buio

più oscuro che gridi alla luce del sole

che in silenzio ti afferra le mani

portandoti con sé, tra i respiri delle

nuvole e i sorrisi delle madri

che t’osservano e t’attendono

nell’abbraccio del loro grembo

dove potrai sorridere libero.

 

Oro supplex et acclinis,

cor contritum quasi cinis:

gere curam mei finis.

 

(Prego supplice e in ginocchio,

il cuore contrito, come ridotto a cenere,

prenditi cura del mio destino.)

«Perdonami, Minerva. Per tutto.»

«Io ti ho già perdonato, Severus, lo abbiamo fatto tutti e ti aspettiamo a braccia aperte.» Minerva allargò le braccia come se fosse la cosa più naturale del mondo, voleva solo dimostrargli quelle parole con un piccolo gesto, sapeva che Severus non l’avrebbe stretta a sé come un figlio abbraccia la madre, lo sapeva e la sua speranza era una piccola gioia nascosta nel suo cuore.

Severus Snape rimase inginocchiato davanti a lei, non la sfiorò neppure, non ci riusciva, forse un giorno o in un’altra vita avrebbe ricambiato quell’abbraccio, ma non ora, non lì. Quella tomba vuota reclamava il suo corpo.

La tua questione irrisolta.

Severus Snape prese la bacchetta e le sorrise.

Un’ultima volta.

 

Lacrimosa dies illa,

qua resurget ex favilla

 

(Giorno di lacrime, quello,

quando risorgerà dalla cenere)

 

Minerva McGonagall non si rese conto di nulla, era tutto accaduto così velocemente che non aveva visto il gesto di Severus, ma poteva sentire quell’acre aroma di sangue diffondersi nell’aria.

I corvi erano tornati e di nuovo avevano occupato il loro posto sulle tombe e tutti guardavano il corpo di Snape dal quale pian piano si disperdeva la vita in ruscelli rossi e densi che iniziarono a solcare la terra del cimitero.

«Severus… ma che…» Minerva non seppe spiegarsi il perché di quel gesto, era così incredula che un uomo come Severus Snape potesse arrivare a tanto, adesso che era finalmente libero e perdonato, adesso che il peso sul cuore poteva dissiparsi, adesso che la sua anima poteva ricomporsi pezzo dopo pezzo.

Adesso…

Minerva pianse, pianse tutto quel dolore che aveva trattenuto, pianse mentre le lacrime andavano a incastonarsi tra le labbra che non riuscivano a non sorridere.

Sorridevano al Severus finalmente libero.

Pianse al Severus finalmente morto.

L’anziana strega dovette scegliere tra il desiderio di vederlo finalmente in pace come agognava da tempo e il sogno di vederlo felice dopo una vita di sofferenza.

Guardò per un istante la luna mentre stringeva a sé il corpo di Severus, così rilassato e leggero da ogni colpa, osservò i corvi che ancora erano lì.

Severus le sorrise, un sorriso impercettibile, affettuoso. Caldo.

E Minerva fece la sua scelta nel pianto.

 

Judicandus homo reus.

huic ergo parce, Deus:

 

(il peccatore per essere giudicato.

perdonalo, o Dio:)

 

«Perdonami tu, adesso, Severus, perché egoisticamente ti riporto alla vita.» e prese la bacchetta nascosta nella sua lunga veste verde come gli alberi che nascondevano la chiesetta.

Non dovrebbe farlo, vero? Non lo vuoi, non vuoi che ti salvi ancora, non adesso che eri finalmente libero, non hai le forze per ricominciare una vita che non meriti.

Vuoi solo andartene, libero da tutto, dove sarai giudicato per il sangue versato, dove attenderai la giusta sentenza.

 

Pie Jesu Domine,

dona eis requiem. Amen.

 

(Pio Signore Gesù,

dona a loro la pace. Amen.)

 

Severus Snape giaceva inerme sulla sua tomba che lo abbracciava, ma non lo accoglieva, il sangue continuava a fuoriuscire dal suo corpo e a colorare la pietra bianca. Il nero steso sulla pietra marmorea, candida, dove il rosso le dava vita.

Un incantesimo, una voce persa in un canto crudele.

Il sorriso dell’angelo.

Forse avrebbe davvero trovato la pace.

 

   
 
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