*Sigla di apertura Super Quark” XD
La parte corsiva sulla destra è il “Dies
Irae”, ovvero una sequenza liturgica cristiana
scritta in latino che si canta durante
È considerato una
delle le maggiori poesie religiose del Medioevo ed è cantata basandosi su
un’antica melodia gregoriana (io li amo! *-*) e narra in modo parecchio
drammatico la fine dell’umanità, ovvero il Giudizio
Universale.
*Sigla di chiusura
Super Quark” XD
Giusto per chiarire cos’è la parte in corsivo
a destra ;)
Come sempre, recensioni, critiche
costruttive, appunti e quant’altro sono sempre ben graditi ;)
3. Ad irae diem ridere
Dies Irae, dies illa
solvet
saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla.
(Il giorno dell'ira, quel
giorno che
dissolverà il mondo in cenere:
come testimoniato da Davide
e dalla Sibilla.)
Severus
Snape era rimasto a guardare la sua tomba fino a quando il sole non era
scomparso pian piano dietro quella piccola chiesa che ancora custodiva
quell’incubo, il suo personale incubo che gridava da
dentro la sua anima, ancora poteva vederne qualche frammento sfuggire al suo
corpo e perdersi lassù, dove la luna era grande e pallida e illuminava le
lapidi allineate sulla terra che risplendevano tristi a essa. Riusciva a
scorgere qualche ombra muoversi davanti alla luna, danzare e combattere con
quella luce.
Eri un agnello che sorrideva all’amara
vita.
Sentiva
quell’urlo agghiacciante farsi forte e debole tra le tombe.
Il
bianco e il nero si confusero di fronte al pallido satellite, muovendosi
intorno ad un invisibile asse, si condensarono lentamente in un rosso che
divenne man mano più vivace, così come intenso si fece
l’odore nell’aria.
Odore di sangue.
Quel
porpora colorò la luna e scese, goccia dopo goccia, sulla terra, ai piedi di
Severus che continuava a osservare sconcertato quelle immagini, scese sulle
tombe lambendone le basi; una piccola lacrima scarlatta cadde sul suo sepolcro
e discese lungo la pietra fino a incontrare le lettere che una a una iniziarono
a sudare sangue.
Severus
si avvicinò per toccarle, per toccare quel liquido, ma
sulle sue dita non sentì nient’altro che il freddo della lapide.
Il
sangue cadeva e toccò i fiori che ancora giacevano lì, in un attimo presero
fuoco, un fuoco alto, caldo, splendente e vivo che
durò qualche secondo fino a estinguersi lasciando nient’altro che cenere.
Un
urlo agghiacciante spezzò il silenzio del cimitero e Severus si guardò intorno
sbigottito per cercare la fonte di quelle grida, ma ben presto si rese conto
che era stato lui a provocarlo, gli era uscito dall’angolo più profondo della
sua anima.
Si
gettò a terra sulle ginocchia, stringendo con forza quel sangue che vedeva, ma
non c’era, e si ritrovò a ridere, una risata isterica alla luna piena che lo
guardava in silenzio.
Il giorno del giudizio sta arrivando e trasformerà
il tuo corpo in nient’altro che cenere, perché niente potrà redimere i tuoi
sbagli e niente potrà cancellare questo sangue che ti sporca le mani.
E
sorrise, sorrise amaramente al giorno dell’ira che lo
avrebbe portato via, stavolta per sempre.
Sorrise
mentre quell’urlo mutò in un canto inquietante che veniva da lontano.
Quantus
tremor est futurus,
Quando
judex est venturus,
Cuncta stricte
discussurus.
(Quanto terrore verrà
quando il giudice giungerà
a giudicare severamente
ogni cosa.)
Severus
vide un piccolo verme che si muoveva tra la terra – tra il sangue – cercando di nascondersi ai corvi che da lontano lo
osservavano aspettando il momento migliore per afferrarlo e portarlo lontano;
tremava e timoroso attendeva il suo destino, sapeva che non poteva sfuggire
alla nera e affilata scure che con un sorriso sinistro lo avrebbe portato via.
Snape
si sentiva allo stesso modo, aspettava e desiderava che quel destino si
abbattesse anche su di lui, nel modo più crudele possibile - che sapevi di meritare.
E
sorrise al destino giudice che avrebbe giudicato la sua vita.
Tuba,
mirum spargens sonum
per sepulcra
regionum
coget omnes
ante thronum.
(La tromba, diffondendo un
suono mirabile
tra i sepolcri del mondo
spingerà tutti davanti al
trono.)
Arriverai, arriverai
davanti al destino
e ti piegherai al suo terribile volere,
le tue lacrime saranno solo motivo di risa
e saranno vano rumore perso nel turbine
che richiamerà a sé i cadaveri del cimitero
che ti afferreranno per portarti lassù,
dove sarai l’unico vivo tra i morti e
aspetterai la lama trapassarti il petto.
Sorriderai, sorriderai alla falce d’ombra
che ti uscirà dal petto strappandoti
l’ultimo brandello d’anima dalle ali
dell’angelo caduto in quella chiesa,
tra le fiamme della tua colpa e il
sorriso d’agnello che giace ormai
morto tra i riflessi del tuo cuore,
perso nel lago d’impalpabile sangue.
Mors
stupebit et natura,
cum
resurget creatura,
judicanti responsura.
(
quando risorgerà ogni
creatura
per rispondere al
giudice.)
Severus
continuava a sentire quella nenia, gli sembrava così terrificante e così adatta
a quella che era stata la sua vita e a ciò che avrebbe trovato lungo quel
ripido sentiero ad attenderlo.
Ancora
inginocchiato davanti alla sua tomba, vide il sangue ritirarsi pian piano come
il mare passata la marea, lo vide assorbito lentamente
dal suo corpo, risalire la sua veste nera sporcandola di rosso e addensarsi in
un unico piccolo punto: il suo cuore.
Un
dolore acuto gli fuoriuscì dalle labbra quando sentì qualcosa di appuntito farsi strada tra la sua carne fino a lacerargli il petto.
Un
fiore era nato dal suo cuore, scarlatto, vitale, profumato. Non appena lo prese
tra le dita, avvizzì e i suoi petali caddero a terra, neri, mortali, fetidi.
Rinascere
per morire, rinascere per rispondere del sangue versato.
Sorridi alla morte, sorridi
alla vita, sorridi al dolore. Sorridi al giudizio che sarà.
Liber
scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus
judicetur.
(Sarà presentato il libro
scritto
nel quale è contenuto
tutto,
dal quale si giudicherà il
mondo.)
Verrà
il giorno che le tue labbra
smetteranno
di sorridere alla luna
che si
tinge di sangue, si colora
di rosso
che crolla a terra in lettere
e lettere
che parleranno di te e della
tua vita,
dei dolori e dei rimpianti,
racconteranno le grida nella notte
di un
cuore errante ed errato.
Verrà
il giorno che il tuo sorriso
morirà
tra le dita di coloro che
hai
ucciso, delle vite che hai sciolto
tra la
terra e i vermi che ti guardano,
e anche
loro giudicheranno la tua
anima
lacerata e ormai logora,
persa tra
lampi verdi di disperazione
e
suppliche nel freddo di una collina.
Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet,
apparebit:
nil inultum
remanebit.
(E dunque quando il
giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà
svelata,
niente rimarrà invendicato.)
Severus Snape non sapeva per quale motivo ancora si trovasse in
quel cimitero, come nella chiesetta non conosceva il motivo che lo tratteneva lì,
a subire tutto quello, per quanto ritenesse di meritarselo.
Si
limitò ad alzarsi nuovamente in piedi, ma rimase ancora e ancora a guardare la
tomba.
Avevi sorriso ai fiori, avevi sorriso al demone, all’angelo, all’agnello, avevi sorriso al
sangue, avevi sorriso alla morte, alla vita. Sorridevi alla verità.
Severus
Snape non era morto e avrebbe lavato con dignità ogni goccia di sangue sulle
sue mani e avrebbe finalmente sorriso alla sentenza che lo avrebbe condannato
come il mostro qual era.
Quid
sum miser tunc dicturus?
quem patronum
rogaturus,
cum vix
justus sit securus?
(In quel momento che potrò
dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto
potrà dirsi al sicuro?)
Non
ci sarà paradiso per l’uccisore,
ma fiamme
d’inferno t’avvolgeranno
tra le
tue grida e le risa degli uccisi,
e le tue
preghiere saranno vane
perché ci
sarà salvezza soltanto per i giusti
e tu sei
dannato, dannato e maledetto
dal
veleno di un serpente che grida
e lacera
ancora quel che rimane di te.
Non
sorriderai al supplizio atteso
dalla
schiera di coloro che ti volteranno
le spalle
al grido d’aiuto triste
e
fragile, scandito dal volo dei corvi
che ti
guarderanno e aspetteranno
il tuo
corpo avvizzito sul quale
banchettare
e saziarsi della tua
oscurità
tra i brandelli di carne.
Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas
gratis,
salva me, fons pietatis.
(Re di tremendo potere,
tu che salvi per grazia
chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.)
«Il
mio cuore non ha mai voluto credere all’idea che tu fossi morto.» conosceva
quella voce, sapeva a chi apparteneva, ma era così tanto
tempo che non la sentiva che gli sembrò fosse anche quello un tremendo sogno
che voleva ricordargli ciò che aveva perso.
«Sei salvo, dopo tutto quello che hai passato, la vita ha
avuto pietà di te e del tuo dolore e ti ha donato un’altra possibilità per
vivere. Per vivere finalmente quella vita che non ti è mai stato
possibile vivere.»
La vita non avrebbe dovuto avere pietà
di te, la pietà apparteneva ai buoni di cuore e tu non
lo eri, non ti eri mai ritenuto tale. La vita non era per te, tu appartenevi
alla morte, all’oscurità. Al male.
Severus
Snape non seppe perché, ma sorrise a quel viso stanco e segnato dalle rughe
dell’età.
Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.
(Ricorda, o pio Gesù,
che io sono la causa del
tuo viaggio;
non lasciare che quel
giorno io sia perduto.)
Tu,
peccatore che cammini su questa terra
sporcando
di rosso ogni tuo passo,
ti
confondi nella schiera degli scheletri
danzanti
e piangenti ai piedi dei demoni
che
frustano i brandelli di carne rimasti
a
proteggerti l’anima, distrutta, calpestata,
divorata
dai corvi che sbattono le ali
d’ombra
nefasta e addolorata.
Tu,
vile assassino che osservi la luna
che crolla
sotto il peso dell’ingiustizia
e del
dolore di ogni verme strisciante
tra la
terra e il sangue, costretto a cibarsi
di te e
di ogni malvagio che fa piangere
il cielo,
azzurro, nero, e acre scarlatto,
urlante
mentre i suoi pezzi cadono giù,
dove la redenzione
potrà iniziare.
Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor
non sit cassus.
(Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento con il
supplizio della Croce:
che tanto sforzo non sia
vano!)
Severus
guardò quei petali morti un’ultima volta prima che una leggera folata di vento
li portasse via, lontano, dove magari sarebbero rinati in un nuovo e profumato
bocciolo, bianco e puro come lui non lo era da tempo.
Li vide sfiorare la luna senza mai toccarla e poi sparire per sempre dai suoi
occhi, così come ogni cosa bella era scomparsa dalle sue dita.
Minerva
McGonagall lo osservava con sguardo severo ma pieno
di tenerezza che poteva comporre solo una madre per un figlio, una dolce
melodia che s’irradiava dalle labbra piegate in un sorriso che avrebbe voluto
scaldarlo.
Un sorriso di perdono.
A cosa è servita tanta sofferenza se
ancora ti trovi a camminare su questa terra?
Il disegno celeste ha per te un destino
diverso, un sorriso, un perdono. Una vita.
Juste judex
ultionis,
donum fac
remissionis
ante diem
rationis.
(Giusto giudice di
retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.)
«Se
non perdoni te stesso, nessuno potrà farlo al tuo posto, Severus.»
«Non
merito il perdono di nessuno ed io non potrò mai perdonare ciò che ho fatto.»
rispose Snape voltandosi a guardare i corvi che volavano verso la luna, una
scia nera sporcava quel bianco, e lui avrebbe voluto trovarsi lassù, tra il
vento e la pallida luce.
«Devi
farlo, prendi questa vita come un dono e lasciati ogni peso che hai portato
fino ad ora alle spalle, lascia che le persone che ti vogliono bene ti aiutino
a portarli e ad abbandonarli man mano che camminerai sul sentiero
dell’esistenza.» Minerva si avvicinò a Severus, con
passo deciso, anche se stanco. «Non pensi di aver
pagato abbastanza? Quello che hai passato è stata la resa dei conti, crudele,
triste, dolorosa, ma adesso sei qui, ed è venuto il momento di finirla. Basta,
Severus!»
Ingemisco, tamquam
reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.
(Comincio a gemere come un
colpevole,
per la colpa è rosso il
mio volto;
risparmia chi ti supplica, o
Dio.)
Severus
Snape si gettò a terra sedendosi sulla pietra della sua tomba e si fermò per un
istante a osservare Minerva, quella donna che ancora amava come una madre,
quella donna che lo aveva odiato e lo aveva amato e nonostante sapesse di quali
colpe si fosse macchiato, era lì, davanti a lui e sorrideva, un sorriso caldo,
amorevole. Materno.
Davvero
si meritava tutto quel calore?
No, non te lo meritavi. Avevi ucciso,
avevi tradito, e lei era lì che sorrideva a un figlio come se avessi solo fatto
qualche bravata.
Eri colpevole di tutto e avrebbe dovuto
scorrere il tuo sangue. Non aspettavi altro e forse sarebbe finalmente giunto
quel momento.
Qui
Mariam absolvisti,
et
latronem exaudisti,
mihi quoque
spem dedisti.
(Tu che perdonasti Maria
di Magdala,
tu che esaudisti il buon
ladrone,
anche a me hai dato
speranza.)
Severus
si chiese se davvero la vita gli avesse dato un’altra possibilità
di essere felice e per un secondo il suo cuore si fermò, contento anche solo al
pensiero, ma velocemente riprese a battere, più furioso che mai, spingendo con
forza sul petto, a ricordargli ogni dolore che aveva subito e che, quella
speranza, lui non l’aveva, neanche se avesse pregato per tutta una vita.
Gente peggiore e più crudele di te,
stava lì, a sorridere alla vita che gli era stata concessa, al perdono che
forse nemmeno meritavano, eppure quelle persone continuavano ad andare avanti,
felici per ciò che gli era stato dato. Non erano una speranza anche per te?
Preces meae
non sunt dignae,
sed
tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.
(Le mie preghiere non sono
degne;
ma tu, buon Dio, con
benignità fa'
che io non sia arso dal
fuoco eterno.)
«Non sono
sopravvissuto per continuare a vivere. Sono sopravvissuto per chiedere perdono
dei miei peccati, per sciogliere la mia anima da quest’oppressione prima di
essere finalmente libero.»
«Allora
perché sei sparito per tutto questo tempo?»
«Perché
non avevo il coraggio di guardare nessuno negli occhi.»
«Tu
sei la persona più degna di questo mondo di essere
guardata e di guardare tutti.»
Severus
Snape sorrise a quelle parole, le trovava così assurde che le sue labbra si
piegarono istintivamente.
Non
rispose a Minerva, si gettò in ginocchio ai suoi piedi, straziato e rassegnato,
ombra dell’uomo fiero e forte che era stato.
«Perdonami, Minerva. Perdonami per aver ucciso Albus, per
aver tradito la tua fiducia, per aver tradito tutti.
Perdona queste mani», alzò le braccia tremanti e insicure
verso la strega, «colme di sangue.» che senza pensarci strinse quelle
dita tra le sue.
Minerva
McGonagall sorreggendosi a Severus si piegò fino a
trovarsi di fronte al mago, fissò il suo viso e sorrise, sorrise
a quelle parole, sorrise a quel volto, sorrise a quegli occhi.
«Brucerei
all’inferno se servisse a cancellare il male che ho fatto.»
Inter oves locum praesta,
et
ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
(Assicurami un posto fra le
pecorelle,
e tienimi lontano dai
caproni,
ponendomi alla tua destra.)
«Hai
bruciato per anni tra i vivi, Severus. È il momento di bruciare la vita che hai
dentro.»
Severus
poteva ancora udire quel canto così tragico, era lontano, appena udibile, ma
alcune parole gli battevano con forza la testa entrandogli dentro
con dolore. Gli sembrava di sentire quella stessa sensazione che aveva provato
nella chiesa quando quelle creature gli erano entrate nel petto.
Tremò
al ricordo e istintivamente si portò una mano in quello stesso punto.
Il sorriso dell’agnello.
No, il tuo era il sorriso di un demone.
Confutatis
maledictis,
flammis acribus addictis,
voca
me cum benedictis.
(Una volta smascherati i
malvagi,
condannati alle fiamme feroci,
chiamami tra i benedetti.)
Dormi,
dormi, agnello accanto alla madre,
lontano
dal mostro che urla alla notte,
che
strappa quel cuore fermo dal petto
immobile
e ormai morto delle anime
dannate e
marchiate, supplicanti alle
fiamme
che ardono i piedi sciolti
nella
terra che non aspetterà altro
che
accogliere il tuo spirito in eterno.
Dormi,
dormi, ombra persa nel buio
più
oscuro che gridi alla luce del sole
che in
silenzio ti afferra le mani
portandoti
con sé, tra i respiri delle
nuvole e
i sorrisi delle madri
che
t’osservano e t’attendono
nell’abbraccio
del loro grembo
dove
potrai sorridere libero.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum
quasi cinis:
gere curam mei finis.
(Prego supplice e in
ginocchio,
il cuore contrito, come
ridotto a cenere,
prenditi cura del mio destino.)
«Perdonami, Minerva. Per tutto.»
«Io
ti ho già perdonato, Severus, lo abbiamo fatto tutti e ti aspettiamo a braccia
aperte.» Minerva allargò le braccia come se fosse la
cosa più naturale del mondo, voleva solo dimostrargli quelle parole con un
piccolo gesto, sapeva che Severus non l’avrebbe stretta a sé come un figlio
abbraccia la madre, lo sapeva e la sua speranza era una piccola gioia nascosta
nel suo cuore.
Severus
Snape rimase inginocchiato davanti a lei, non la sfiorò neppure, non ci
riusciva, forse un giorno o in un’altra vita avrebbe ricambiato
quell’abbraccio, ma non ora, non lì. Quella tomba vuota reclamava il suo corpo.
La tua questione irrisolta.
Severus
Snape prese la bacchetta e le sorrise.
Un’ultima
volta.
Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
(Giorno di lacrime, quello,
quando risorgerà dalla
cenere)
Minerva
McGonagall non si rese conto di nulla, era tutto
accaduto così velocemente che non aveva visto il gesto
di Severus, ma poteva sentire quell’acre aroma di sangue diffondersi nell’aria.
I
corvi erano tornati e di nuovo avevano occupato il loro posto sulle tombe e
tutti guardavano il corpo di Snape dal quale pian piano si disperdeva la vita
in ruscelli rossi e densi che iniziarono a solcare la terra del cimitero.
«Severus…
ma che…» Minerva non seppe spiegarsi il perché di quel gesto, era così
incredula che un uomo come Severus Snape potesse arrivare a tanto, adesso che
era finalmente libero e perdonato, adesso che il peso sul cuore poteva
dissiparsi, adesso che la sua anima poteva ricomporsi pezzo dopo pezzo.
Adesso…
Minerva
pianse, pianse tutto quel dolore che aveva trattenuto,
pianse mentre le lacrime andavano a incastonarsi tra le labbra che non
riuscivano a non sorridere.
Sorridevano
al Severus finalmente libero.
Pianse
al Severus finalmente morto.
L’anziana
strega dovette scegliere tra il desiderio di vederlo finalmente in pace come
agognava da tempo e il sogno di vederlo felice dopo
una vita di sofferenza.
Guardò
per un istante la luna mentre stringeva a sé il corpo di Severus, così
rilassato e leggero da ogni colpa, osservò i corvi che ancora erano lì.
Severus
le sorrise, un sorriso impercettibile, affettuoso.
Caldo.
E
Minerva fece la sua scelta nel pianto.
Judicandus homo reus.
huic ergo parce, Deus:
(il peccatore per essere
giudicato.
perdonalo, o Dio:)
«Perdonami
tu, adesso, Severus, perché egoisticamente ti riporto alla vita.» e prese la
bacchetta nascosta nella sua lunga veste verde come gli alberi che nascondevano
la chiesetta.
Non dovrebbe farlo, vero? Non lo vuoi,
non vuoi che ti salvi ancora, non adesso che eri
finalmente libero, non hai le forze per ricominciare una vita che non meriti.
Vuoi solo andartene, libero da tutto,
dove sarai giudicato per il sangue versato, dove attenderai la giusta sentenza.
Pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.
(Pio Signore Gesù,
dona a loro la pace. Amen.)
Severus
Snape giaceva inerme sulla sua tomba che lo abbracciava, ma non lo accoglieva,
il sangue continuava a fuoriuscire dal suo corpo e a colorare la pietra bianca.
Il nero steso sulla pietra marmorea, candida, dove il rosso le dava vita.
Un
incantesimo, una voce persa in un canto crudele.
Il sorriso dell’angelo.
Forse
avrebbe davvero trovato la pace.