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Autore: morane18    27/06/2013    4 recensioni
-"Bella, cosa c'è?"- Le sussurai roco.
-"C'è che questo profumo... questo sapore... Sa di caffè, sa di te..."-
E la baciai. Baciai la sua pelle, baciai le sue labbra succhiando il suo sapore unico, dissetante, mio.
.
E' una storia senza pretese, spera solo di riuscire a far sorridere qualcuno di voi, per cui se volete, è vostra!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Buongiorno a tutte!
Questa è una storiella molto semplice (spero…), senza troppe pretese e sconvolgimenti vari.
Tratta di una coppia che a me piace molto e che molti di voi hanno sempre descritto in modo impeccabile.
I miei personaggi non saranno proprio come gli originali, ma comunque si allontaneranno di poco.
Spero solo di riuscire a divertirvi un po’, per cui mi auguro di non ritrovarmi con una miriade di pomodori spiaccicati in fronte!
Ovviamente potete, se volete, dirmi tutto ciò che ne pensate, e nulla, spero solo di non annoiarvi troppo…!
Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e seguiranno questa storia.
Un abbraccio a tutte,

ciao!

CAPITOLO 1

L'Angelo disperso


 - “No, non c’è niente che non va! L’unico problema è che Rocky si è letteralmente ingurgitato le scarpe che avevo preparato ieri sera da indossare, non riesco a trovare l’unico altro paio di scarpe decenti che potrei abbinare a questo cavolo di completo elegante, i miei capelli sembrano una massa di sterpaglia in mezzo al deserto, e sono irrimediabilmente in ritardo! E quindi ti ripeto: come potrei minimamente pensare che ci sia qualcosa che non va?” –

Sbraito al telefono con Alice, sfogando ingiustamente tutta la mia agitazione su di lei. Quello doveva essere il mio primo giorno di lavoro presso la H & C Corp. e tutto stava iniziando nel verso sbagliato.

Quando avevo ricevuto una chiamata da parte dell’ufficio del personale della H & C, che mi invitava a presentarmi presso il loro stabilimento per un colloquio di lavoro, avevo creduto seriamente si trattasse di uno scherzo. Ok, avevo un curriculum di tutto rispetto, mi ero laureata ad Harvard col massimo dei voti, e avevo portato a termine in modo impeccabile il mio periodo di stagista alla King’s Petroleum, ma l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata soprattutto in quel periodo, era che una delle più potenti società al mondo potesse prendere in considerazione la mia candidatura.

In realtà avevo sempre sperato invano che ultimato il periodo come stagista alla King’s Petroleum e avendo sempre dato il massimo durante l’intero anno di lavoro, il mio operato venisse ricompensato con un’assunzione anche a tempo determinato proprio da parte della King’s, la quale invece mi aveva ringraziato con un caloroso calcio nel di dietro, sbattendomi letteralmente la porta in faccia.

Il perché poi di questo comportamento, ancora non riuscivo a spiegarmelo.

Comunque, per questo motivo e per tanti altri che non starò qui ad elencarvi, mi ero ritrovata alla veneranda età di 27 anni senza uno straccio di lavoro, senza una fissa dimora (dopo la fine dello stage, mi ero infatti trasferita da Alice fino a data ancora da definirsi), con almeno sei chili in più del previsto, e senza neanche uno straccio di uomo al mio fianco.

A dire la verità, un maschio nella mia vita c’era eccome, ed era appunto il cane di Alice, Rocky, e se proprio vogliamo dirla tutta, l’unica cosa che quell’essere a quattro zampe sembrava apprezzasse davvero di me, erano l’ultimo paio di scarpe nuove che avevo comprato appunto per l’occasione e che non avrei più potuto permettermi di acquistare da li ai prossimi cinque o sei anni.

- “Bella tesoro, fai un bel respiro profondo e calmati, ok? Vedrai che tutto andrà per il meglio. Sei coraggiosa, intelligente e determinata e sono sicura che li stenderai tutti quei pinguini mummificati. Ah, e giusto per la tua sanità mentale, le altre scarpe che stai cercando sono nel mio armadio, le ho indossate io qualche giorno fa alla festa di Rosalie, non ricordi?” –

Strinsi i denti per evitare di inveirle ulteriormente contro. Se me lo avesse detto mezz’ora prima quando mi aveva chiamato per sapere come stavano andando i preparativi per il mio primo giorno di lavoro, di certo non sarei stata a cercare quel maledettissimo paio di scarpe per tutta la casa perdendo così tempo preziosissimo di quella giornata che stava andando sempre peggio.

- “Ti ringrazio per avermelo detto subito Alice. Adesso scappo, perché altrimenti farò davvero troppo tardi, e se non verrò assunta per questo ritardo, sarò costretta a vendicarmi su qualcuno, e indovina un po’ con chi me la prenderò per i prossimi… diciamo cinquant’anni?”- Grugnii soffiando pericolosamente verso la cornetta di quel povero telefono che avevo tra le mani.

-“Ok tesoro, allora ti lascio! Ti voglio bene anch’io, ciao!”-

E riattaccò senza neanche darmi il tempo di mandarla finalmente a quel paese.

Alice era così: esuberante, solare, ed incredibilmente invadente. Però era anche la mia migliore amica fin dai tempi che possa ricordare, e non avrei mai potuto ringraziarla abbastanza per tutto quello che aveva fatto per me soprattutto negli ultimi anni.

I miei genitori avevano divorziato quando ero molto piccola, e avevo funto da palla da tennis rimbalzando da casa di mamma a casa di papà fino all’età di 11 anni, quando mia mamma aveva deciso di trasferirsi in Europa ed io avevo categoricamente rifiutato di seguirla, rimanendo con mio Padre e con Alice a farmi da sorella e molte volte, anche da madre.

Tutto quello che sapevo dell’essere donna, lo dovevo a lei; mi aveva aiutato con le prime mestruazioni, mi era stata vicina con le prime infatuazioni, e mi aveva consolato in seguito a persistenti delusioni.

Tralasciando il fatto che cercasse continuamente di accoppiarmi con qualunque essere di sesso maschile che reputasse abbastanza carino ed intelligente di stare con me, e che puntualmente si dimostravano invece di una lagna mostruosa, poteva tranquillamente venire considerata l’amica migliore che potesse esistere.

Arrivai alla H & C alle 8 e 35.
Ben cinque minuti di ritardo al primo giorno di lavoro presso una delle società più importanti dello stato.

Ero sudata, tremolante, e barcollante dato le scarpe impossibili che ero stata costretta ad indossare dopo la triste fine di quelle nuove e comodissime che avevo scelto di mettermi quel giorno.

Insomma, non potevo avere un aspetto più orribile di quello. E quale modo migliore di iniziare la propria carriera lavorativa se non con i nervi a fior di pelle?
Quando varcai l’ingresso della H & C, rimasi subito incantata per la spaziosità e la magnificenza di quel posto: i mobili erano tutti di un mogano laccato lucido, gli immensi e comodi divani color panna erano un invito a sostare il proprio fondoschiena sulle loro sedute per un tempo indefinito e gli enormi lampadari di cristallo illuminavano l’ambiente rendendolo quasi etereo.

Non era propriamente come me l’aspettavo; certo, non avevo messo in dubbio la sontuosità del posto, ma mi ero immaginata di trovarmi davanti una miriade di persone che correvano a destra e a sinistra per riuscire a portare a termine un qualche importantissimo lavoro.

L’unica persona presente in tutta la stanza invece, era una ragazza bionda, dagli occhi azzurro ghiaccio che continuava a limarsi le unghie senza alzare la testa e senza degnarmi minimamente di uno sguardo.

Solo quando finsi un colpo di tosse riuscii a catturare la sua attenzione.

-“Desidera?”-

Non sapevo se quel tono arrogante (e non tanto velatamente nascosto) che aveva utilizzato, fosse causato da un qualche genere di antipatia che aveva immediatamente provato nei miei confronti, o se il suo fosse un atteggiamento naturale verso tutti coloro che varcavano la soglia di quell’imponente edificio. Mi chiesi subito se tutti lì dentro avessero la stessa aria di superiorità che trapelava da ogni gesto di quella biondona rifatta e che a dirla tutta, iniziava pure a starmi sull’apparato genitale maschile che purtroppo non possedevo.

-“Isabella Swan. Sono qui perché avrei un appuntamento con la Sig.ra Deverow.”-

Mi aveva guardato con quell’aria di sufficienza e aveva scosso impercettibilmente la testa, come se si stesse chiedendo cosa diamine ci facessi in quel posto.
Io dal canto mio, non avrei di certo detto a quella gallina che se ero lì, era perché da quel momento in poi ci avrei lavorato e che quindi mi avrebbe visto tutti i giorni da li per prossimi anni (o almeno così speravo).

-“E’ qui per lavorare immagino.”-

Ecco, appunto.

-“Ed è già in ritardo di 10 minuti…”-

Erano 5 prima di imbattermi in te, brutta oca starnazzante e stupida!

-“Ottavo piano, chieda della Sig.ra Deverow alla segretaria che si trova all’entrata”-

Terminò senza nemmeno guardarmi in faccia e riprendendo a limarsi le unghie da gatta morta e sepolta.

Mi fiondai in  ascensore più nervosa che mai, e quando finalmente arrivai al piano, mi ritrovai ad uscirne con un leggerissimo tic all’occhio sinistro: se infatti la fastidiosissima canzoncina fuoriuscente dagli altoparlanti di quella scatola infernale avrebbe dovuto accompagnarmi e rallegrarmi durante l’attesa, aveva invece portato i miei nervi al limite di sopportazione, e il tic all’occhio ne era un’inevitabile conseguenza.

Quando mi presentai al bancone della segretaria, questa mi accompagnò alla porta dell’ufficio del capo del personale senza nemmeno dire una parola. Non so se fosse stata l’espressione sul mio viso a suggerirle di non fare domande, ma di certo le fui grata perché mi permise di riprendere un minimo di autocontrollo in quei due minuti che impiegammo a raggiungere la stanza designata.

L’ufficio della Sig.ra Deverow era semplice ed ordinato; non sembrava affatto la stanza della persona che si occupa di assumere il personale per un’azienda così importante. Era ampio e luminoso e sulla scrivania, oltre alle varie scartoffie, ciò che primeggiava erano la moltitudine di cornici contenenti le foto di quella che doveva essere la sua famiglia. 

Non so se furono i suoi occhi sinceri o il suo sorriso caloroso, ma non appena incrociai il suo sguardo, tutto quell’ansia accumulata, si dissolse in un attimo.

-“ Isabella, che piacere rivederla! Prego si accomodi pure.”-  Mi disse stringendomi la mano e indicandomi la seduta posta difronte alla sua scrivania.

Avevo avuto modo di conoscere Esme Deverow al mio primo colloquio lavorativo; mi era sembrata una persona molto disponibile e tranquilla e da quel che avevo sentito in giro, tutte le persone che aveva assunto si erano rivelate all’altezza del loro compito.

Beh, non con l’oca starnazzante giù da basso…

Pensai ricordandomi del caloroso benvenuto di poco prima, e sperai vivamente che anche la mia assunzione non si rivelasse un buco nell’acqua.

-“Signora Deverow…”-

-“Chiamami Esme, te ne prego!”-

-“Esme” – continuai, con non poca fatica. Era pur sempre una mia superiore. –“Volevo ringraziarla ancora per l’opportunità che mi sta concedendo e farò quanto possibile per far si che la sua non sia stata una cattiva scelta”-

-“Non ne dubito Isabella, e spero che la cosa sia reciproca. Il lavoro qui è impegnativo, pretendiamo sempre il massimo dai nostri collaboratori, ma siamo anche comprensivi e se dovessi aver bisogno di qualunque cosa, se dovessi riscontrare qualsiasi problema, ti prego di non esitare e di venire da me. D’accordo?”-

-“D’accordo”-  Esclamai molto più tranquilla e desiderosa di iniziare la mia nuova avventura lavorativa.

Esme mi condusse poi al decimo piano: non appena varcammo l’ingresso, uno stuolo di persone indaffarate che correvano da una parte all’altra della stanza ci travolse in pieno. Quello era il tipo di spettacolo che mi ero immaginata di trovarmi davanti fin dal primo momento in cui ero entrata li dentro; un enorme openspace dove scrivanie stracolme di scartoffie erano distribuite più o meno in modo regolare per tutta la stanza. Tre dei quattro lati del piano erano costituiti da ampie vetrate che affacciavano sulla città, mentre sul lato privo di finestre, spiccava un’accogliente saletta adibita all’area Break ed un’altra stanza contenente almeno otto fotocopiatrici.

Quasi nessuno fece caso a noi e solo quando ci avvicinammo all’unica scrivania ancora sgombra, mi resi effettivamente conto che non avevo ancora pronunciato nemmeno una parola.

Sentii Esme parlare con un ragazzo e quando questi mi allungò una mano per presentarsi, tornai finalmente con i piedi per terra.

-“Io sono James, piacere.”-

-“Isabella, piacere mio”-

-“Allora Isabella, James è il responsabile dell’ufficio ricerca e sviluppo. Ti illustrerà meglio in cosa consiste il tuo lavoro e ti aiuterà a prendere dimestichezza con i programmi e tutto ciò che c’è da sapere. Ricorda, per qualsiasi necessità, il mio ufficio è sempre aperto.”-  Concluse Esme sorridendomi.

La ringraziai e ci salutammo, ma quando mi prestai ad ascoltare ciò che James aveva iniziato a dirmi, la mia attenzione fu totalmente catturata da una figura maschile a pochi metri di distanza intenta ad analizzare alcuni documenti sparsi sulla scrivania.

Era stupendo. Ma che dico stupendo, di più: era bellissimo. Si, era indubbiamente il ragazzo più bello e sexy che avessi mai visto negli ultimi 15 anni.

Era piegato in avanti con le mani aperte poggiate sulla scrivania. Le maniche della camicia erano arrotolate sul braccio, lasciando intravedere i muscoli tonici e forti sotto la pelle. Aveva i capelli di un colore strano, non erano biondi ma neanche castani; erano un mix che rendeva i suoi riflessi di un color bronzo dorato e sembravano così soffici che rendeva il fatto di non poterli stringere tra le dita quasi doloroso. Il suo naso era dritto, la mascella squadrata gli donava quel fascino di uomo forte e potente e per un attimo immaginai come sarebbe stato passare le mie labbra sul suo profilo così duro e severo.  

Beh, a dire la verità le immagini che avevo in testa, mi illustravano come le mie labbra in realtà passassero  anche su tutto il resto del suo corpo, ma per la mia sanità mentale mi costrinsi a scacciarle e a ripuntare lo sguardo su colui che evidentemente non si era minimamente accorto del mio momentaneo stato di trance da arrapamento.

Deglutii accorgendomi dell’improvviso aumento di salivazione e riuscii a cogliere gli ultimi brandelli del discorso di James riuscendo anche a rispondere alla sua domanda.

-“Allora siamo d’accordo. Sfoglia il manuale che troverai sulla tua scrivania e non appena hai finito di leggerlo, verrò ad illustrarti con precisione quello che dovrai fare, ok?”-

-“Ok”- risposi ancora un po’ confusa.

Caspita.

Ero li da meno di cinque minuti e già non avevo capito un emerito cappero di ciò che colui che avrebbe dovuto spiegarmi quello che dovevo fare, mi aveva detto.
Presi un respiro profondo, sedendomi su quella che da quel momento in poi sarebbe stata la mia scrivania, e mi concessi di sbirciare per l’ultima volta l’angelo che un attimo prima aveva catturato completamente la mia attenzione e non solo...

Mi voltai per poterlo ammirare di nuovo, ma l’uomo misterioso non c’era più. Feci vagare lo sguardo per tutto la sala, ma di lui non c’era più alcuna traccia.

Fu con la delusione nel cuore che aprii il manuale che sicuramente mi sarebbe servito a poco o niente, e con la testa ormai tra le nuvole, mi apprestai a leggere quelle pagine.

 
  
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