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Autore: Sundance    19/01/2008    30 recensioni
... I miei occhi risalirono il suo braccio fino al torace, proseguirono sul collo e si fermarono sulle labbra. Notai che sembrava giovane, cosa che si ricollegava bene alla voce, e che si era fatto la barba evidentemente. Poi in un impeto di coraggio estremo alzai di scatto gli occhi e li puntai nei suoi.
E mi sciolsi.
E capii perchè conoscevo quella voce.
Perchè la sentivo risuonare nella mia testa nei momenti più impensabili, perchè aveva pronunciato frasi che avrei sempre ricordato, perchè un "Depends on the one day" assume tutt'altra forma e sensazione quando è quella voce che lo dice.
E compresi anche che se mai avessi potuto sperare di incontrarlo, non sarebbe mai, MAI stato con il trucco sbavato da lappate di cane, i pantaloni sporchi per la caduta e l'espressione di una che sta per collassare.
Completata (sorpresa: capitolo 39 più epilogo)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Kensington Gardens non sono propriamente piccoli. Nè sono propriamente solo giardini.
I Kensington Gardens sono il mio paradiso.
Non sono cristiana. Ma quando il sole scivola lungo le foglie sottili dei salici, che mosse dal vento si rincorrono avvolgendo le panchine di legno, un dipinto romantico, e i fili d'erba risplendono di gemme mentre ogni risata, ogni parola, ogni suono, non è che pura, perfetta armonia, allora ecco, penso con tutta me stessa che se mai dovesse esistere per me un paradiso, sarebbe quello.
Non sono cristiana. Ma prego per un Aldilà che si avvicini alla mia idea di Arcadia, di Avalon, di Terra di Mezzo, come l'immagine che mi si offrì quel giorno, il 21 Ottobre 2007.
Davanti al cartello in materiale nero e lucido, che con varie frecce indicava le attrattive del luogo - la statua di Peter Pan, il sentiero, il lago - riflettevo su quanto fossi fortunata. A trovarmi lì prima di tutto, visto che ero quasi scappata di casa. Avevo deciso che di studiare ne avevo abbastanza: cinque anni di Classico mi avevano deluso e l'Università più di tutto il resto, e non ne potevo più di sentirmi una cretina quando davo esami che poi regolarmente bocciavo mentre i professori si rifiutavano di dirmi perchè. Perciò, saputo che c'era un colloquio per un corso per Hostess di volo a Stansted, feci i bagagli e lasciai a casa i miei irritati - professori entrambi - e mia sorella sorridente - ha sempre fatto il tifo per me, siano benedette le sorelle minori! - e mi prepararai al colloquio. Naturalmente fare l'assistente di volo mi piaceva meno di altre cose, ma almeno avrei potuto volare, vivere a Londra, che mi era rimasta nel cuore sette anni prima, e soprattutto scegliere una vita che, anche se non perfetta, dipendeva esclusivamente da me.
Altro motivo per cui mi sentivo fortunata, era questo: sette anni prima, per quindici giorni, avevo trascorso una vacanza-studio a Londra col più mite dei clima, ed il sole mi stava salutando anche quel giorno.
Se è vero che Londra ha solo 40 giorni belli all'anno, li avevo beccati tutti io.
Tuttavia una smorfia amara mi piegò le labbra, quando feci mentalmente il conto. Era il 21. Tra due giorni, meno di due giorni, sarei tornata a casa. Purtroppo avevo passato il colloquio, e anche con notevole interesse da parte degli esaminatori, ma il corso si teneva in Inghilterra, e non avrei potuto permettermi di pagare quello, oltre che il vitto e l'alloggio. Quindi era deciso: tornare in Italia, fare quanti più esami possibili a costo di impiegarci nottate, e poi via, ripartire a fine febbraio, e tornare a casa. Perchè Londra è la mia casa.

Mi incamminai seguendo la direzione indicata per raggiungere la statua di Peter Pan, l'eterno bambino che davvero esaudiva i suoi desideri, che aveva trovato la gioia, l'infantile incoscienza del mondo e delle sue regole in un luogo detto Neverland, la terra impossibile, l'Isola Che Non C'è, dove puoi essere chi vuoi a seconda di come ti svegli, e le fate tessono per te maglie di incantate fantasie. Lo invidiavo. Perchè non portarmi con sè, lontano? O regalarmi della polvere di Fata, perchè potessi volare e tentare di trovarla, questa terra meravigliosa?
Persa nella fantasticherìa inciampai, ma seppi sostenermi, così nessuno se ne accorse. Non che mi importasse: non mi conosceva nessuno. Abbassai gli occhi a terra per vedere dove esattamente ero rimasta impigliata, e sorrisi tra me e me: nonostante i molti cani, nonostante la gente andasse in quei luoghi per i picnic, nessun rifiuto, nessuna sporcizia. Per questo pure amavo Londra. Così belli i parchi, così ben tenuti, e la gente stessa molto attenta a non sciupare quei quadri! Mica come da noi... cambia pensiero, sei qui, goditi la vacanza!
Ero semplicemente scivolata, anche perchè la rugiada era ancora presente su tutto il prato, vista l'ora mattutina, perciò ripresi la mia camminata.
Diverse falcate più tardi cominciai a nutrire un sentimento piuttosto maligno nei confronti di Peter Pan: dove diavolo avevano messo la statua? Eppure le direzioni possibili erano solo quelle! Lasciai il sentiero erboso, che rischiava di macchiarmi seriamente i pantaloni, e presi quello ben delineato, sotto arcate di alberi già rossicci.
Stavo ammirando la corteccia di uno degli alberi davanti a me quando lo vidi: un enorme cane nero che correva a perdifiato verso di me.
No, non nella mia direzione semplicemente, come mi accorsi con ansia: mi puntava proprio.
Senza museruola, senza guinzaglio, la stazza di un Golden Retriever, decisamente troppi chili da sostenere in un eventuale corpo a corpo. E io sono anche piuttosto bassa.
Il cane lanciò un latrato e mi raggiunse in tre salti. Non ebbi nemmeno il tempo di gridare. Mi si buttò addosso con tutto il suo peso, alzandosi in piedi e spingendo le sue zampe anteriori contro le mie spalle. Qualcuno urlò, non molto lontano. Ebbi la momentanea visione di una donna con due bambini che si portava la mano alla bocca a dieci metri da me, poi la testa del cane mi si fece vicino e chiusi gli occhi.
E mi sentii cadere all'indietro.
Cercai di afferrarmi al collo dell'animale per sostenermi e così evitai di crollare distesa, finendo per terra solo per metà. Tradotto volgarmente, una botta di sedere da vedere le stelle.
"My God, my God, please somebody help her!" urlò una voce di donna - forse quella di prima? - mentre io ancora decidevo se ricominciare a respirare o prepararmi all'attacco dei denti.
Rapidi passi in avvicinamento, e intanto un pensiero mi fulminò: a parte il dolore al fondoschiena, il cane non mi stava facendo assolutamente nulla.
Aprii piano gli occhi e subito li richiusi perchè una lappata mi bagnò tutta la faccia, e di colpo scoppiai a ridere, probabilmente per il nervosismo. Certo, avevo pensato di finire attaccata, non leccata.
Invece il cane sembrava tutto contento, scodinzolava allegramente e continuava a darmi testate e lappate su viso e collo.
"Buono, buono, va bene, non mi son fatta nulla, stai calmo, che c'è, so di buono?"
Tentai di dare alle parole un suono spensierato perchè le persone accorse non si preoccupassero, ma mi resi conto che stavano uscendo a scatti dalla mia bocca. Patetico, tremavo pure. La donna frattanto - proprio quella coi bambini - mi si era fatta vicino e mi stava toccando le spalle, ripetendo una serie di "How are you, dear? Are you alright?", con un'espressione alquanto tesa.
Vidi altre due sagome in piedi davanti a me, ma evitai di alzare lo sguardo, rossa come il vino del Chianti, e mormorai un: "Don't worry, Madam, I'm fine, really, I'm fine..." alla donna, che annuì per niente convinta e si scostò per permettere ad un tipo di scrollarmi il cane di dosso e legarlo col guinzaglio.
Io tenevo la testa bassa e stavo ringraziando tutti gli Dèi che conoscevo, ma qualche frase, anche se pronunciata velocemente e in tono irritato, la captai. C'erano delle scuse dispiaciute e accavallate, e un certo risentimento per aver lasciato libero un cane così impulsivo. No, non era impulsivo, era "poco controllato, una cosa veramente imprudente". E una delle tre voci mi sembrava familiare. Sicuramente l'avevo già sentita in qualche programma, si assomigliano tutte, e poi guardavo Sky in inglese sempre, che fossero film, programmi o news internazionali. Comunque feci una rapida analisi del mio stato fisico e conclusi che non mi ero fatta niente. Solo presa uno spavento non indifferente.
Una manina bianca e morbida mi si posò sui capelli e alzai lo sguardo: la bambina della signora mi stava guardando con la stessa aria preoccupata della madre, i bei capelli lungi e lisci, biondo cenere, mossi dalla brezza. Le sorrisi; era una bambina adorabile, e continuava a darmi carezze sulla testa come se fossi io la piccola, e lei l'adulta. Anche lei mi sorrise, e poi si unì al fratello - pensai fosse il fratello, dato lo stesso colore di capelli e gli occhi azzurri così simili - che stava accarezzando il cane. Il quale cercava in tutti i modi di tornare a leccarmi il viso, ma era trattenuto dal tipo accorso assieme alla donna e a un altro signore.
Mi feci forza e presi un profondo respiro per rialzarmi, perchè le gambe mi tremavano ancora, ma una mano mi si parò davanti, accompagnata da un gentile e preoccupato: "Let me help you, please, give me your hand."
Alzai la mano e l'altra me la strinse forte, ma senza farmi male, e facendo forza sui piedi mi rialzai.
"Are you ok?"
Alzai pianissimo la testa e lo sguardo collegò la mano che tratteneva il cane allo stesso corpo da cui dipendeva l'altra che stava stringendo la mia. O meglio, che io stavo ancora trattenendo.
*Ma dannazione, mollala, sennò si rende conto che tremi! Patetico!*
Lasciai piano la mano e risposi: "Yes, I-I-I'm fine, really."
*Peggio che patetico.*
Evidentemente il tipo non ne era sicuro (effettivamente una che libera la mano dalla tua lentamente come se stesse maneggiando nitroglicerina e che impiega sette secondi per un "Sto bene" non dà molta sicurezza sul suo stato mentale), perchè mi posò la mano sulla spalla per avvicinarmi e da lì la alzò fino a toccarmi il mento, alzandomi il capo, con un gentile: "Sure?". A quel punto ero già da sotterrare per la vergogna, potevo pure guardarlo in viso...
I miei occhi risalirono il suo braccio fino al torace, proseguirono sul collo e si fermarono sulle labbra. Notai che sembrava giovane, cosa che si ricollegava bene alla voce, e che si era fatto la barba evidentemente. Poi in un impeto di coraggio estremo alzai di scatto gli occhi e li puntai nei suoi.
E mi sciolsi.
E capii perchè conoscevo quella voce.
Perchè la sentivo risuonare nella mia testa nei momenti più impensabili, perchè aveva pronunciato frasi che avrei sempre ricordato, perchè un "Depends on the one day" assume tutt'altra forma e sensazione quando è quella voce che lo dice.
E compresi anche che se mai avessi potuto sperare di incontrarlo, non sarebbe mai, MAI stato con il trucco sbavato da lappate di cane, i pantaloni sporchi per la caduta e l'espressione di una che sta per collassare.
*Lassù qualcuno mi odia.*
Di scatto ebbi la visione di me, ridotta da far pietà, che fissava Orlando Bloom, preoccupato, circondati da due bambini, una donna irritata e un signore del medesimo stato d'animo, oltre che da un cane che testardamente cercava di raggiungermi.
Mi resi anche conto che dalla sua domanda stavano passando troppi secondi.
"Yes, no, really, I'm fine, don't worry, please, I'm ok!"
Agglomerati di parole senza senso.
*Stupida, cretina, deficiente.*
E intanto non avevo tolto dai suoi occhi color cioccolata - belli, perplessi, gentili, dolcissimi - i miei.
*Maleducata, per di più. Non si fissa. Smetti!*
Subito chinai la testa, di nuovo rossa.
"She's not fine, mom, I think she's got flu" disse la bambina. Questo mi diede l'idea di quanto rossa fossi, e alzai di nuovo gli occhi su quel viso conosciuto e straniero al tempo stesso per comunicargli che no, stavo benissimo, che se andasse per favore, sto per mettermi a piangere, ho i lucciconi agli occhi, non farmi fare questo, non posso credere di averti conosciuto così, ti prego, fammi mangiare dal tuo cane se hai pietà di me!
Ma gli occhi castani non compresero niente di tutto ciò.
Perciò mi feci forza, ricordandomi che dovevo salvarmi da sola da quella situazione, e mormorai un perfetto:
"This is so embarassing."
Questo gli occhi lo capirono bene, perchè brillarono, e anche il suo viso si distese mentre annuiva. Mi lasciò andare il mento - stava ancora toccando la mia pelle? - e fece scivolare il braccio lungo il suo fianco. Io chinai la testa per evitare che davvero i goccioloni cadessero lungo le guance, sarebbe stato il culmine dell'orrore, e intanto sentii qualche frase tra lui e il signore, che intanto mi toccò piano il braccio porgendomi la borsa. Diamine, mi era caduta, nemmeno lo avevo notato.
Con grande abilità teatrale sfoderai un sorriso convinto ed esclamai: "Thank you sir" in un tono che forse lo rese soddisfatto, perchè mi sorrise, mi regalò un "Not at all, miss" e un cenno cordiale del capo, e si allontanò.
Al ché mi voltai verso la donna, che ancora guardava male il cane, e la ringraziai per tutto il disturbo. Lei mi fece un gran sorriso materno, mi sistemò una ciocca di capelli e mi salutò, portando via i bambini dal cane. Il bimbo salutò il bestione agitando il braccio, la bambina mi rivolse un sorrisone e mi rivolse un cenno con la mano. Che amore. E mentre andavano via...
Panico.
Sola con lui davanti.
O mamma.
*Fai qualcosa, che non sia piangere, per favore!*
"I... I... I am really fine, you know."
*Ma sei cretina?*
Certo, come non sottolineare l'evidenza? Non lo stavo guardando, ma lui tacque, perciò ripresi di furia.
"I mean, you don't need to worry about me, I just... fell down. It happens. Thanks for helping me anyway, you're very kind..."
*Taci ti prego, zittisciti...*
Un tono dispiaciuto mi risponde, e immagino stia indicando il cane che scodinzola ai suoi piedi:
"It was my fault, I shouldn't have let him go, he's quite... exuberant, you know."
"I see."
Silenzio.
*Forse potresti dire qualcosa che non gli faccia credere che tu sia arrabbiata.*
"Ahm... He's beautiful."
*I-d-i-o-t-a*
Sento uno sbuffo, e alzo gli occhi a guardarlo. Sta ridendo. Cerca di trattenersi ma sta ridendo. Immagino che da una ragazza aggredita dal tuo cane ci si possa aspettare di tutto tranne "E' bello". Mi vedo attraverso i suoi occhi: rossa, macchiata, striature di lappate sul viso, capelli in disordine, lacrime che non mi curo di frenare, e che trionfalmente colano giù. A questo punto non riesco a vedermi oltre attraverso i suoi occhi, e a quelle lacrime che mi son vista piangere se ne aggiungono altre, copiose. Dio, come mi vergogno, come mi sento carta straccia, come vorrei sparire! Prendo un respirone inframmentato di singhiozzi e scuoto il capo, cerco di parlare ma alzo solo la mano a fare qualche gesto strano che nella mia intenzione dovrebbe essere un "Non mi guardare, dammi un minuto ti prego, oppure sparisci".
E mi copro gli occhi con la mano che stringe la borsa. Riprenditi. Riprenditi. Non lo saprà nessuno mai. Mi rinfranco un pò e oso guardarlo di nuovo. Sicuramente a questo punto è colato anche il mascara. All'inferno, chi se ne frega ormai. Alzo lo sguardo e lo punto nei suoi occhi. Mi restituisce lo sguardo e mi accorgo che è davvero, davvero serio e impensierito. Mi si bloccano lacrime e singhiozzi mentre quegli occhi così desiderati mi rinfrescano anima e spirito. Tento un sorrisino tremulo. Lui mi guarda mortificato, un perfetto Will Turner, o un Drew Baylor. Troppo poco serioso per essere un Legolas. Mi si avvicina di nuovo e mi fa:
"Please, forgive me. I'm so sorry. I don't know what to say, I'm deeply sorry."
Sorrido più tranquilla, e sto per dirgli che ok, no problem, e correre via lontano da qui, quand'ecco che il Golden Retriever o quel che è decide di essere stato ignorato abbastanza e con un latrato assai "exuberant" si butta di lato, trascinando via metà braccio di Will/Drew, che non avendolo prevsito quasi finisce per terra al posto mio. Ammiro i suoi riflessi qundo lo riafferra prontamente, ma l'espressione sorpresa alla "Oh mamma e che è?" che ha sul volto mi scioglie nuovamente. Stavolta in senso comico.
Sghignazzo piano, sbuffando appena, poi incrocio il suo sguardo stile "preso alla sprovvista" e non mi trattengo, lasciando andare un singhiozzo, divertito stavolta. E lui mi guarda, sfodera un sorriso sghembo e guardandomi bene in faccia fa:
"I guess we're even!" e comincia a ridere.
E allora scoppio a ridere anche io. E dall'assurdo di quella situazione, da film comico di serie z, nasce un pensiero, timido ed effimero quando un bocciolo di rosa: avevo tre motivi, dopotutto, per cui dirmi fortunata.
Ero a Londra.
C'era il sole.
E lui era lì. Semplicemente, lì.






Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Orlando Bloom, nè degli altri attori o personaggi realmente esistenti ivi nominati, e tantomeno intendo offenderli in alcun modo. Luoghi e particolari realmente esistenti sono stati citati per esigenze di storia. Tutto ciò che scrivo è per divertimento.
  
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