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Autore: Stateira    19/01/2008    13 recensioni
Le notti di Harry sono improvvisamente agitate da strani sogni. Ma qual è il loro significato? Chi è il misterioso personaggio in cerca di aiuto?
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Draco/Harry
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Cap 6: Derevan è Malfoy, Harry scopre ulteriori dettagli, e comincia a sospettare che l’insonnia di Draco dipenda da quello

- Mi sono sbagliata. – ammise Hermione, non senza una certa riluttanza. – Se avesse ricevuto il Bacio, non potrebbe ricordarsi di questo Derevan. –

- Il suo ricordo lo fa soffrire. – obiettò Harry.

- Solo perché probabilmente prova nostalgia. –

 

Harry e Ron annuirono, non avendo nulla con cui ribattere.

 

Ognuno aveva reagito a modo suo, all’evolversi della situazione: Hermione sembrava quella meno turbata. Subito dopo essere stati ricevuti da Silente, era tornata in biblioteca a fare delle ricerche su questo Derevan, ma come per Marzio, non era riuscita a trovare niente. L’aveva presa in modo professionale, però, e più che curarsi di Marzio, era chiaro che ciò che davvero le stava a cuore era Harry: non era poi così strano, visto che per lei Marzio restava nulla più che un sogno; anzi, meno di questo, un semplice racconto che usciva dalla bocca di Harry. Nulla per cui barattare il benessere di uno dei suoi amici più cari.

 

Ron, invece, la viveva un po’ più da vicino, visto che con Harry condivideva la stanza, ed anche il segreto dei suoi sogni, data la sua decisione di tenere tutto nascosto a Seamus e agli altri. Per lui, Marzio era un pochino più tangibile, e forse anche per questo si sentiva un po’ più coinvolto. Harry era certo che, senza nemmeno conoscerlo di persona, lo avesse preso in simpatia.

 

Harry, dal canto suo, non si era ancora fatto un’idea precisa di ciò che provava. Era difficile da spiegare, ma quando aveva letto e pronunciato il nome di Derevan per la prima volta, gli era sembrato qualcosa di naturale. Proprio come se lo avesse conosciuto anche lui da duemila anni.

 

- Ma perché non ti ha parlato prima di questo Derevan? –

- C’è qualcosa che gli impedisce di farlo, vero? – indovinò Hermione.

 

Harry annuì. I silenzi di Marzio lo avevano fatto infuriare spesso, in passato, e ripensandoci adesso si sentiva stupido. Come al solito, la sua impazienza lo aveva condotto sull’orlo di una brutta cantonata.

 

- E’ la regola. Me l’ha spiegato lui. –

- La regola? –

- Esiste una regola secondo la quale non può rivelarmi nulla che io non veda con i miei occhi, attraverso i suoi ricordi. –

- Wow. – fischiò Ron. – Così, per capirci qualcosa, ti trovi con altri due Harry attorno. Amico, io ci perderei la testa. –

 

Harry ridacchiò, e gli diede ragione. Era abbastanza paradossale, come situazione, ma raccontarla era molto più complicato che viverla con i propri occhi. Il Marzio con cui parlava era vivo, era tangibile, mentre quello che aveva visto incarnare i suoi ricordi era più distante, proprio come se Harry avesse rivisto sé stessi in un filmino girato tempo prima. Molto, molto tempo prima.

 

I tre Grifondoro finirono di pranzare, ed Hermione pensò bene di guastare l’ultimo boccone di dolce tirando fuori dalla sua borsa l’orario della giornata.

- Voi due avete lezione di Erbologia. – ponderò. – Io, invece, vado a seguire Rune Antiche. –

- Rune Antiche! – gemette Ron, strabuzzando gli occhi. – Ma si può sapere come fai a seguire una cosa così mortale? –

- E’ interessante. – ribatté Hermione, piccata.

- Sì, come no. Di sicuro, su di me avrebbe degli “interessanti” effetti soporiferi. –

- Farebbero invidia alle pozioni di Piton. – ghignò Harry.

 

*          *          *

 

La lezione di Erbologia con Tassorosso non stava andando malaccio. Harry doveva ammettere di nutrire una segreta passione per le performance di Neville, che aveva la singolare caratteristica di riuscire alla grande nelle estrazioni di pollini e linfe, se solo riusciva a non farsi mangiare dalla pianta.

 

Durante il giorno, cercava di distrarsi quanto più possibile da Marzio; sentiva di averne bisogno, per conservare un po’ di equilibrio. Ne aveva avuto abbastanza dei periodi bui, in cui si era lanciato a testa bassa in qualunque avventura lo avesse coinvolto, con il risultato di farsi prendere puntualmente per pazzo. Stavolta, aveva i suoi amici vicini, e Silente, e ciò era più che sufficiente. In più, doveva ottenere dei buoni voti, se voleva sperare d i essere accettato all’accademia per diventare Auror. E lui voleva, voleva eccome.

 

- Ahi, dannazione! – gridò Ron, ritirando di scatto il dito.

- Che è successo? –

- Quella maledetta pianta mi ho morso! –

 

- Faccia vedere qui. – impose la professoressa Sprite, allungando la mano paffuta per esaminare la mano del ragazzo.

Il dito indice sanguinava, anche se non troppo copiosamente. Ron, per un momento, la guardò pieno di speranza, ma il suo fu un passo fatale.

 

- Su, non mi dirà che vuole arrendersi per così poco, signor Weasley. – esclamò giovialmente la professoressa. – Ecco qui, una foglia di dittamo, e potrà tranquillamente andare a farsi medicare al termine della lezione. –

- Ma… Ma professoressa. – mugugnò Ron. – Mi fa davvero molto male, mi creda. –

- Ma certo che le credo, caro. – lo rassicurò lei. – Ma una T sul registro, per non essere riuscito a ricavare nemmeno un semino piccolo così dalla sua pianta mi pare molto più doloroso, non crede? -

 

- Strega. – sibilò Ron. – Altro che Tassorosso, quella farebbe le scarpe a Piton. –

- Ma dai, dillo, che ti stavi solo annoiando a morte. –

 

La lezione si concluse, fortunatamente, e a quel punto Ron non ebbe più scampo: si era lagnato talmente tanto con la professoressa Sprite, che fu obbligato ad andare in infermeria a farsi medicare, altrimenti tutto il palchetto sarebbe miseramente crollato. Harry si offrì di accompagnarlo, per evitare che fosse la prof in persona a farlo, e Ron non fece altro che masticare calorosi “ti devo la vita” per tutto il lungo, lunghissimo tragitto.

 

- Possiamo entrare, Madama Chips? –

 

Si sentirono i rintocchi dei tacchi tozzi dell’infermiera risuonare dietro il portone di legno, che un attimo dopo si aprì con un cigolio sostenuto.

 

- Vi serve qualcosa, cari? –

- Abbiamo un ferito. – sorrise Harry, guadagnandosi una gomitata dell’amico, e il ritiro immediato di tutte le promesse di gratitudine eterna.

 

Madama Chips analizzò con un’occhiatina fulminea il dito arrossato di Ron.

- Denterba, eh? – concluse.

- Maledetta sterpaglia. – brontolò Ron.

- Su, signor Weasley, non è il caso di prendersela, non è niente di grave. –

 

I tre percorsero il piccolo corridoio che introduceva all’infermeria, scivolando con le scarpe sul pavimento lustro. I letti occupati erano pochissimi, molto maggiore era il numero degli studenti che avevano rimediato qualche accidente curabile in un attimo, e che quindi se ne stavano appollaiati su panche e sedie, in attesa che la pozione di turno facesse effetto.

 

Su uno degli sparuti letti occupati, svettava una testa familiare. Harry se ne accorse prima di Ron, e si fermò bruscamente davanti alla figura seduta sul materasso, tutta rannicchiata su sé stessa.

 

- Hermione? – chiamò, accennando ad inchinarsi per controllare che fosse davvero lei.

 

Hermione sollevò piano la faccia, come se farlo le costasse una fatica tremenda.

 

Harry arricciò le labbra.

 

- Ma cosa ti è successo? – balbettò, gli occhi sgranati sul volto dell’amica, pieno di orribili segni. Sembrava che qualcosa le avesse bruciato tutte le guance, ora giallastre per l’impacco curante che Madama Chips le aveva applicato. Anche Ron li raggiunse, dimenticandosi completamente del suo dito morsicato; quando la vide, cacciò un gemito di dolore.

 

Hermione singhiozzò, e scosse la testa per non dover parlare.

 

- Hey, Hermione. – la incoraggiò Harry, osando posare con estrema delicatezza le mani sulle sue spalle. – Che cos’è stato? Un incidente? –

Di nuovo un forte segno di diniego.

- Eri a Rune Antiche, no? – fece Ron, concitato. – Non puoi esserti fatta quella roba lì, è impossibile! –

- Hermione, dicci chi o cosa è stato. –

 

La poverina tentò una terza volta di negare, ma le scappò un singulto sonoro.

 

- Ma… Malfoy. – disse con un filino di voce.

- Malfoy? – esclamò Harry. – Malfoy ti ha fatto questo? –

 

Stavolta, Hermione annuì, scuotendo i capelli riccioluti.

 

- Come osa, vigliacco di un furetto, io lo… -

 

- Io non lo so perché. – gemette Hermione di sua spontanea volontà, più per frenare la rabbia di Ron che per convinzione.  

 

- Ma ti ha aggredita? Ti ha detto qualcosa? Le andò incontro Harry.

- No. È stato per i fatti suoi per tutta la lezione, ma all’improvviso si è alzato, e mi ha puntato contro la bacchetta. Non fatto in tempo a difendermi. –

 

Harry la abbracciò per cercare di confortarla. La sentiva piangere discretamente, come se se ne vergognasse.

- Mi gridava addosso come un forsennato. – continuò Hermione. – Mi ha messo una paura tremenda. –

 

Harry non aveva idea di cosa dire. Conosceva Malfoy da anni e sapeva che era il tipo da tiri meschini, certo: ma aggredire Hermione nel bel mezzo di una lezione…

E, oltretutto, soltanto il giorno prima lo aveva trovato mezzo tramortito dal freddo sotto ad un albero.

 

- Hai notato niente di strano? Non lo so, ha detto qualcosa, fatto qualcosa? -

Lei scosse la testa. – Balbettava. – spiegò. – Continuava a ripetere “tu, tu, tu”, ma non capivo che cosa volesse da me. –

 

- Signor Weasley! – tuonò all’improvviso una voce, facendo sobbalzare i tre. Nemmeno il tempo di voltarsi, che Madama Chips aveva afferrato Ron per un braccio, e lo aveva messo in piedi a viva forza.

- Non stava morendo, qualche minuto fa? – domandò con aria minacciosa. – Se vuole essere medicato non può scomparire così. –

Ron si produsse in qualche scusa mortificata, e fu costretto ad abbandonare Harry ed Hermione per seguire l’agguerrita infermiera.

 

Harry si trattenne con Hermione finché gli fu concesso. Ormai si era fatto pomeriggio inoltrato, e l’avrebbero dimessa con ogni probabilità il giorno dopo, appena l’unguento avesse fatto effetto e le scottature fossero completamente  scomparse.

 

Quanto a Malfoy, Harry giurò che appena gli fosse capitato fra le mani, gli avrebbe cambiato i connotati a suon di pugni.

 

*          *          *

 

- Sei arrivato tardi anche questa notte. –

- Scusa. – borbottò Harry, svogliato. – E’ successa una cosa ad una cara amica, sono rimasto alzato fino a tardi. –

- Oh. Mi spiace. –

Harry scrollò le spalle. Non gli andava proprio di parlare di Hermione, specialmente con qualcuno che nemmeno sapeva chi fosse. – Ebbene? – borbottò per riportare la questione su un piano che potesse sviare l’attenzione di Marzio.

 

Marzio si buttò a sedere sul suo mantello rosso, stirando in avanti le gambe con fare apatico. – Che cosa c’è, ti annoi a stare qui? –

- Non fare l’offeso, non è che mi annoio. – sbuffò Harry. – E’ solo che mi sembra di stare sempre qui fermo, ad aspettare. –

- Tu ed io abbiamo un concetto molto diverso dell’attesa. – constatò mitemente Marzio. – Quelli che per te sono giorni, per me sono secoli. –

- Io non li ho i secoli. – disse precipitosamente Harry, finendo con il risultare brusco. – Mi dispiace. –

 

Il Romano si oscurò, e Harry si sentì tremendamente in colpa. Sapeva di aver detto esattamente ciò che pensava, ma che diamine, avrebbe potuto mordersi la lingua, prima di sputarlo in quel modo.

Cominciò a spirare un venticello lieve, che pure sapeva di linea di divisione fra loro, labile sì, ma presente, come labile ma vero era stato il loro accenno di litigio.

 

- Capisco. – disse infine Marzio, quando il silenzio cominciò a pesare un po’ troppo. – Se vuoi smetterò di… -

- Oh, dai. – lo interruppe infastidito Harry. – Ormai dovresti averlo capito che voglio aiutarti. È che non so che cosa fare. –

- Non c’è niente da fare. C’è solo da continuare ad aspettare. –

- Mi pare che tu sia un po’ troppo rassegnato a quest’attesa, eh? – lo rimproverò Harry, che si piantò davanti a lui con le braccia conserte, proiettando la sua ombra fin oltre il suo corpo. – Perché invece non infrangi un po’ di regole e non mi dici qualcosa? Perché non dai il modo di capire un po’ di più in che razza di pasticcio ti sei cacciato? –

 

Marzio tirò fuori un mezzo sorriso.

 

- Dai, coraggio! – rincarò Harry. – Fuori la voce! Parliamo di Derevan, parliamo dei cavalli di ieri, parliamo di come venire fuori da questo vicolo cieco! –

- Harry, ti prego. –

- Che c’è? Ho detto qualcosa che non va? –

 

Marzio fece ciondolare la testa. – Quel nome. – mormorò. – Non lo dire, per favore. –

- Perché? Altrimenti che succede? Derevan, Derevan, Derevan, Derevan, De… -

 

L’onda, questa volta, lo travolse sottoforma di una scossa elettrica. Harry rimase lì, impalato, a balbettare le ultime sillabe del nome, prima di crollare. Si afferrò la testa fra le mani, certo che se la sarebbe sentita scoppiare fra le mani, e improvvisamente la gola gli si serrò come se avesse avuto un cappio al collo.

 

- Ma chi è. – singhiozzò Harry. – Chi è Derevan. –

Marzio strappò violentemente dalla terra tutta l’erba che la sua mano riusciva a raccogliere. – Non posso. Non posso. –

- Maledizione, ti prego! Io devo vederlo, devo vederlo! Oddio, ti prego, fammelo vedere, soltanto… - 

- … Soltanto una volta. –

 

Harry sgranò gli occhi offuscati dalle lacrime, e guardò Marzio attraverso il velo di nebbia che gli si era formato davanti. Lo vide stringere forte i pugni, e anche la mandibola, e cercare con lo sguardo chissà cosa, nella terra rimasta nuda.

 

- Una volta ancora. –

- Tu… - spirò.

- Io… -

 

Un’altra onda, che rimescolò tutto quanto. Harry provò gioia, e sollievo, una stretta allo stomaco, e male dappertutto.

 

- Tu lo ami. Io riesco a sentirlo. –

Marzio gli concesse uno sguardo rassegnato. – Davvero ci riesci? – mormorò senza alcun entusiasmo.

- Sì. Sento ogni cosa. Tu… tu lo ami. Ami Derevan. -

- Più di qualunque altra cosa nell’universo. -

 

Harry rivide la sua conversazione con Silente, e all’improvviso ogni cosa andò al suo posto. Le regole disumane, il non trovare pace, l’accettare qualsiasi condizione per avere anche solo una speranza. Bastava che una minima parte del sentimento che ora gli riempiva il cuore fosse vera, per spiegare tutto.

 

Attorno a loro, il paesaggio cominciò ad oscillare violentemente. Era la stessa impressione di vedere attraverso una lente caleidoscopica che Harry aveva avuto tempo prima. Si accucciò e serrò gli occhi per non perdere l’equilibrio. Il suolo si squagliò sotto ai suoi piedi, si sentì scivolare giù, e poi più niente.

 

- Hey. –

 

Harry grugnì, e riaprì gli occhi soltanto quando alla voce che lo richiamava si aggiunge lo strattonare deciso di una mano. Lo sguardo mise a fuoco con una certa fatica l’ombra che lo sovrastava, e che aveva tutta l’aria di esser sveglia da parecchio tempo più di lui.

 

- Ma cos… Marzio? –

 

Harry si tirò su a sedere, frastornato. – Ma come? – indagò. – Siamo ancora dentro al sogno? –

- Certamente. – gli sorrise lui. – Credevi di esserti svegliato? –

- Uhm. – Harry si passò una mano fra i capelli, stropicciando alcuni ciuffi. – Sai com’è, ha cominciato a ballare tutto. –

 

Marzio gli assestò una pacca d’incoraggiamento piuttosto robusta, e si ritirò su in piedi.

- Vieni. – disse soltanto.

 

Harry era abbastanza certo di riconoscere quel posto. In realtà non era proprio lo stesso lido del sogno precedente, ma qualcosa gli diceva che dovesse trovarsi nelle immediate vicinanze. C’era lo stesso tipo di paesaggio, con le canne che lambivano l’acqua del mare, la spiaggia con la sabbia grossa e biancastra.

Imitò Marzio, che si era accucciato dietro ad un cespo fittissimo.

- E’ un tuo ricordo? – volle sapere.

Ricevette un deciso segno di assenso.

- Ma allora perché ce ne stiamo nascosti? Tanto non ci può vedere, no? –

- Shhh. –

 

Harry, finalmente, inquadrò una presenza sulla spiaggia. Dava loro le spalle, ma Harry fu sicuro che non si trattasse dell’altro Marzio. Portava i capelli lunghi fin sotto le orecchie, tutti scompigliati, e resi color bronzo dai riflessi del sole nascosto in buona parte dalla sua figura.

 

Pochi istanti dopo, il Marzio fittizio sbucò fuori da dietro le loro spalle, facendo mancare il respiro a Harry. Li superò senza accorgersi di loro, scattò verso il bagnasciuga, sorprendentemente rapido, e intrappolò con un poderoso abbraccio la figura voltata di spalle.

 

- Ti ho preso! – esultò. – Sei mio prigioniero, ora! –

Il ragazzo cominciò ad agitarsi come un pazzo, senza riuscire a liberarsi. – No, lascia, lascia! – gridava fra le risate, con uno strano accento che rimarcava e arrotondava molte consonanti.

 

- Mai. – mormorò Marzio.

- Cosa? –

- Mai. – replicò il Marzio del ricordo, facendosi serio. – Non ti lascerò mai andare. –

 

Finalmente allentò la presa, giusto per permettergli di rigirarsi nel suo abbraccio, e poi lo sollevò in alto.

- Tu sei mio! – gli disse, e Harry fu percorso da un violento brivido.

 

- Ma… ma quello è Malfoy! – esclamò, allucinato. – Che diamine ci fa Malfoy nel mio… -

 

Marzio si era irrigidito, accanto a lui, e teneva gli occhi sbarrati verso Draco, che non smetteva di ridere assieme alla sua memoria.

Chiaro. Tutto chiaro.

- E’ lui che cerchi. – soffiò, incredulo.

- Da duemila anni. – mormorò Marzio. – Sono duemila anni che non smetto di cercarlo. E se ora andassi da lui, non potrei nemmeno toccarlo. –

 

Harry continuò per un mezzo minuto buono a ciondolare la testa fra Marzio e Malfoy, fino a quando non gli venne la nausea. A quante migliaia di cose stava pensando, in quel momento? Marzio cercava Malfoy, Draco Maofy. O meglio, il suo equivalente, ma questo che cosa cambiava? Era pur sempre Malfoy.

In tutta la nebbia addensata nella sua testa, soltanto una domanda era davvero chiara. E, ironicamente, era anche quella che probabilmente sarebbe per sempre rimasta senza una risposta: com’era possibile? Come potevano essere lui, e Malfoy, e Marzio? Si chiama destino, questa roba?

 

- Tu… Malfoy… -

Come lo hai chiamato? -

- Malfoy. – biascicò Harry. – Si chiama Malfoy, Draco Malfoy. -

Marzio si voltò verso di lui talmente di scatto che lo fece sobbalzare all’indietro. – Lo conosci? – ansimò, con gli occhi che brillavano di luce propria.

- Beh… - prese tempo Harry, senza sapere come spiegarsi senza combinare un casino. – Lo conosco, però… Non è che io e lui andiamo molto d’accordo, in realtà. –

- Ma lo conosci! Tu lo conosci! –

- Sì, ma… -

 

Harry si rese conto che il paesaggio davanti a lui stava cominciando a perdere di consistenza. Una volta tanto, si sentì vigliaccamente sollevato dal fatto che fosse ora di svegliarsi, anche se il giorno che gli si prospettava davanti non era affatto allettante.

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Uff, ma che capitoli lunghi che sto scrivendo.

Eccoci al giro di boa. Adesso che abbiamo confermato i nostri sospetti, siamo tutti felici e contenti, ma vi posso garantire che il bello comincia solo adesso.

 

Evviva, risposte!

 

La risposta pubblica di oggi è per Iul: grazie per avermi segnalato l’errore della frase ripetuta, ho provveduto a sistemare!

Per la questione nel numero VIIII, invece, magari può interessare a tutti: no, non è un errore.

Solitamente il 9 si scrive IX, ma quando si designavano le legioni, le regole erano diverse.

La VIIII legio Hispanica, quella a cui appartiene Marzio, si scrive proprio così, come anche la IIII legio; e lo stesso vale per i loro multipli. Le altre Legioni invece, se non ricordo male, sono individuate dai consueti numeri romani. Non sono certa del perché, ma penso possa trattarsi di una questione di comodità nel segnalarsi il numero di appartenenza in battaglia, dato che lo si faceva con le dita, e sollevare quattro dita, o fare V più quattro veniva più semplice.

 

Hokori: Ciao Chiara, bentornata! Mi sembrava un nick nuovo, questo, in effetti. Eh sì, queste regole poi verranno fuori pian piano, con il tempo, vedrai. Anche per la questione Cesare, tempo al tempo! E per le altre domande… bocca cucita!

Little Star: ma dai, sai che non avevo fatto caso alle iniziali uguali? Giuro che non è una cosa voluta! Anche perché se no avrei dovuto dare la stessa cosa per Harry, ma l’unico nome romano con la H che mi venga in mente al momento è Horatius. Direi di no -___-

Tsubychan: ma no, è un moraccione con gli occhi viola, cosa credi! ^__^

Herm: non preoccuparti, cara, è normale. Baka vuol dire stupido in giapponese, ed è più o meno il fulcro di ciò che sto producendo al momento: demenza allo stato puro!

The Fly: ma infatti, poveraccio! Beh ti dirò, per come l’ho concepito io, si sta bene nel boschetto! Va beh, magari è un attimino noioso…

Dark: ma come non ti piace la Caramelldansen! O_o è la seconda invenzione del millennio, dopo il cioccolato!

Mokona: applauso per il nick. Macchè scusarti, hai fatto un riassunto eccellente! Eh, le conoscenze storiche sono più che altro frutto di passione personale per tutto ciò che viene prima di Cristo; e non da ultimo, delle massacranti interrogazioni della mia prof del liceo, che al confronto quelle dell’università mi fanno ridere!

T Jill: o compostissima Vulcan, nonché corrompitrice di ex anime innocenti! Oh mio dio, le tue definizioni di baka sono fenomenali, giuro che mi hanno spezzata. No, niente Kamikaze, ma ammetto che mi sto dando da fare per fondare la tredicesima Casa dello Zodiaco(non mi permetterei mai di fregare la dimora a Mur), da cui sovrintendere all’accoppiamento degli altri dodici bei cavalieri. Ehm… comunque, Baka in giapponese significa stupido, matto, demenziale. Se per puro caso hai buttato un occhio a “because she said so” ti renderai conto che, nonostante mi dia un certo contegno, non sono proprio il paradigma della persona seria. Se poi parliamo di pigmei… lasciamo perdere, la mia altezza non esattamente grattacielica è un tasto dolente (sindrome di Edward Elric che si fa sentire)

Puciu:hihihi, ma dai, non ti deprimere! Anche con questo capitolo ti sentirai intelligentissima, scommetto. Vedi sopra, per la spiegazione di baka. E’ anche un modo di dire loro, che può spaziare ad un innocuo “scemo” a insulti ben più pesanti!

  
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