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Autore: Elsa Maria    07/07/2013    4 recensioni
Un mese di vacanza rovinato da un'iniziativa audace. Un mese in un Onsen ryokan, dall'aspetto tranquillo. Un mese in compagnia di un ragazzo misterioso e un cliente alquanto snervante. Un mese per provare tutte le emozioni che uno si porterà dietro per il resto della vita.
Un mese in cui i titubanti cuori di Sora e Roxas Sawamura, saranno messi alla prova.
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Questa è la prima fan fiction che scrivo su Kingdom Hearts, e mi sento più tosto agitata. Spero proprio di non aver prodotto qualcosa di indecente. Buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Kairi, Riku, Roxas, Sora
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Tra le coperte, avvolto da un caldo quasi stordente, si trovava stretto fra le sue braccia ancora imbarazzato da quello che era accaduto la sera prima. Nella stanza si poteva ancora sentire l’eco dei suoi gemiti rilasciati in preda al piacere più folle e ciò non faceva che aumentare il disagio. I ricordi di quei momenti sembravano tanto reali che ancora sentiva sul suo corpo il calore, l’eccitazione, il dolore che era stato sostituito dal piacere. Axel l’aveva trattato con dolcezza, baciandolo come lui solo sapeva fare, trattando le sue parti intime con cura… Quasi gli era difficile crederlo. Di fatti era timoroso su ciò che sarebbe accaduto perché era certo che avrebbe avuto a che fare con qualcosa di più selvaggio, ma la conferma che gli era stata data era, per l’appunto, il completo opposto. Sarebbe cambiato qualcosa in lui non essendo più… Si mosse nel futon, cercando di scacciare quel pensiero. Ciò che forse metteva il suo essere orgoglioso e testardo nell’ammettere di ‘non amare determinate cose’a dura prova era proprio il fatto che voleva sentire di nuovo il rosso dentro di lui, mentre lo baciava avidamente, ma era troppo felice per pensare a quei stupidi dubbi che di solito gli venivano nei momenti peggiori. Sicuramente tutto quello che aveva provato gli sarebbe rimasto per tutta la vita, anche durante i rapporti futuri. Si morse un labbro appena ricordò quando il rosso aveva giocato con i suoi capezzoli –e non solo- con la lingua. Arrossì ancora di più raggiungendo il limite del possibile ripensando a quando Axel l’aveva masturbato, facendolo venire nella mano –che, tanto per cambiare, leccò-.
Le braccia che lo cingevano si strinsero di più e delle labbra si posarono sul suo collo, dolcemente.
“Buongiorno, Roxas.” Gli disse l’altro con un tono premuroso, anche se la voce era ancora assonnata.
“‘Giorno.” Balbettò.
“Ti è piaciuto, ieri notte?”
“Già te l’ho detto.”
“Voglio sentirlo di nuovo.” Il ragazzo si girò verso l’interlocutore.
“Ne abbiamo già parlato. Non posso rispondere a domande imbarazzanti, di cui già sai la risposta, perché l’hanno ricevuta.” 
“Dai, si tratta solo di due lettere.” 
“Uffa…” Sospirò. “Si, mi è piaciuto.” 
“Sono tanto, tanto felice.” Gli baciò la fronte. “Mi sono preso la tua verginità.” Esultò contento.
“Non è mica un premio.” Borbottò il biondo.
“Invece si; il miglior premio che un uomo abbia mai visto su questa Terra.”
“Non dire cretinate…”
“Solo perché ti fanno sentire importante, non vuol dire che sono cretinate.” Ghignò.
“Non mi fanno sentire importante.”
“No?” Sembrava quasi offeso.
“No.”
“D’accordo, come vuoi tu. Posso avere il permesso di continuarti ad abbracciare?”
“Va bene…” Balbettò. Axel sorrise e chiuse gli occhi per addormentarsi di nuovo.
“Senti, Axel…” Lo richiamò Roxas, tenendo la voce bassa. Il rosso aprì un occhio. “Ma io… Sono stato tanto pessimo?” 
“Sei stato il miglior Uke(*) con cui l’abbia mai fatto.” Roxas sbuffò. Essere il passivo lo infastidiva e non poco, d’altronde ci teneva al suo orgoglio, però non poteva di certo controbattere dicendo: Non sono l’Uke. Sarebbe stato come scavarsi la fossa da soli.
“Il migliore su quanti, se posso chiedertelo?” Domandò più per chiedere, che per sapere.
“Effettivamente solo tu, ma a me sta bene così.” Rise. Roxas gli diede dei pugni sul petto.
“Non mi piace essere preso in giro, idiota.”
“Perché esiste qualcuno a cui piace?” Gli chiese prendendogli i polsi.
“Se sai che da fastidio, allora perché continui?”
“Perché, per l’appunto, infastidisce.” Ghignò.
“Sei veramente cretino.” Si alzò dal futon, recuperando i boxer, che indossò.
“Perché hai le mutande nere? Quanto sei depresso? Due volte che te le vedo, due volte che sono nere.”
“Si può sapere che problemi hai?” Lo guardò sbigottito.
“Nessuno, piccolo Uke.” Ridacchiò divertito. Perché Axel doveva essere tanto infantile? Poi si domandava perché continuamente non gli diceva da amarlo, con certi atteggiamenti come poteva? Per evitare che quel nuovo soprannome prendesse il sopravvento come ‘Hachi’, gli si sedette sopra. 
“Se non la smetti, ti picchio.” Minacciò.
“Che paura.” Disse alzando le mani e scuotendole.
“Non voglio che mi chiami Uke.” Avvicinò il volto a quello dell’altro, tanto che le punte dei suoi capelli biondi gli toccarono le guance.
“L’unico modo per evitarlo è dimostrandomi che non lo sei.” Ghignò. 
“Non ti darò una tale soddisfazione, e poi è mattina non ti sembra… Eccessivo?”
“Affatto.” Lo prese per le braccia e lo portò sotto di sé. “Ti voglio ogni momento di più, non mi è bastato ieri.” Disse con un’espressione tremendamente frustrata.
“No, Axel! Lasciami andare, immediatamente.”
“Fammi baciare almeno il tuo petto. E’ così esile, mi piace tanto.” 
“No, no, no.” Continuò a ripetere, ma inutilmente, perché il rosso si era già messo all’opera. Roxas si stava eccitando e la cosa lo faceva innervosire; il suo compito era non farlo capire all’altro e fermarlo prima che sarebbe stato troppo tardi. Purtroppo, però, appena Axel gli morse il capezzolo destro con delicatezza, passandogli sopra la lingua, si lasciò sfuggire un piccolo gemito, ed anche se immediatamente soffocato, non passò inosservato all’orecchio acuto del rosso, che senza indugi iniziò a scendere verso la parte che realmente gli interessava.
“Già ti si è indurito.” Ridacchiò. Roxas avvampò e balbettò: “Non è vero…”
“Che intendi dire con non è vero, scusa? Vuoi constatare tu stesso?”
“Axel, smettila, ti prego.”
“Perché? Ora che mi stavo divertendo!” Sbuffò. “Anch’io ti prego di farmi continuare, ma non mi vuoi accontentare; allora quello che mi chiedo è: se tu, che al momento non detieni il potere, non mi concedi di continuare, perché io, che ho il potere, devo smettere?”
“Perché è molestia sessuale, depravato! Già il fatto che tu sei maggiorenne è un problema, poi vai anche contro il mio volere, direi che qui il potere è dalla mia parte.”
“Ma a te tutto questo piace, dico bene?”
“Non c’entra niente questo.”
“Invece si che c’entra.” Prese i boxer neri per l’elastico e, lentamente, iniziò ad abbassarli. “Vediamo se tra un po’ sarai della stessa idea.” Ridacchiò. Roxas strizzò gli occhi, pronto a ricevere il piacere; ma lo scorrere della porta e un tonfo distrassero i due, che contemporaneamente guardarono verso l’uscio. Una ragazza, dagli occhi verde brillante e dai capelli castani acconciati in una maniera particolare –due boccoli che ricadevano sul petto-, era caduta in posizione supina, facendo volare alcuni documenti che le ricaddero accanto i piedi e sul petto. Arrossì di vergogna, si rialzò subito e raccolse le carte, poi guardò verso i presenti nella stanza.
“Sono desolata chiedo perdono.” Balbettò. Poi guardò meglio la scena e i soggetti coinvolti in essa, sussultando e spalancando gli occhi accorgendosi che uno dei due era Roxas. “Roxa-kun?!” Per poco non urlò il nome.
L’interpellato deglutì e richiamò la ragazza a sua volta. “Olette?”
“Cosa… Come… Gomen nasai(**)!” E fece un inchino. Richiuse la porta sbattendola. Quella ragazza, confusa, imbarazzata, impressionata, vagava per l’Onsen con la sua immagine in quella posizione, in quel momento, impressa nella mente. 
“Merda… Tra tutti proprio lei…” Disse terrorizzato.
“Che ha quella che non va?”
“E’ la segretaria del vecchio Shinohara e per di più è una mezza pettegola, facilmente impressionabile, che andrà a dire a tutti ciò che ha visto!” Urlò in preda alla rabbia.
“E allora?” Chiese Axel completamente indifferente.
“E allora? E allora?! Come puoi dire: e allora?! E’ un evento apocalittico! La mia vita è ufficialmente finita!” Iniziò a battere il palmo delle mani sulla fronte, sperando di potersi dimenticare dell’inconveniente, anche se quella che doveva dimenticare era Olette, non lui.
“Non capisco proprio quale sia il problema che ti abbia visto con me.” Sbuffò spazientito.
“Axel, il problema non sei tu, ma il contesto; per spiegarmi meglio: siamo due uomini! E per giunta questo è un rapporto illegale.” Era sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
“Se la metti dal tuo punto di vista, effettivamente è un evento apocalittico, ma solo se ci tieni tanto a me da volermi stare sempre accanto, quindi considero la tua esasperazione una confessione d’amore.” Disse sorridendo allegro. Roxas, invece, strabuzzò gli occhi; perché, almeno per una volta, Axel non poteva essere serio? Questa sua parte indifferente e quasi ottimista era la parte che più odiava. 
“Comunque devo uscire da questa stanza, subito!” Cercò di far levare Axel da sopra di lui, ma non ebbe affatto successo. “Axel, ti potresti levare per favore.” Disse vergognandosi della sua debolezza. Il rosso sbuffò e si sedette sul futon, liberando il biondo che schizzò in piedi e in pochissimo tempo si rimise i vestiti che aveva indossato per l’uscita –lo yukata era nella sua camera dove, ovviamente, non era tornato-. “Ci si vede, sempre se vivrò.”
“Si, si come ti pare.” Sbuffò imbronciato. Non voleva che il ragazzo se ne andasse, insomma… No, non voleva se ne andasse. Il biondo gli si avvicinò e gli lasciò un bacio leggero sulle labbra. 
“Ci vediamo dopo; grazie di tutto.” Disse mordendosi il labbro e uscendo dalla stanza a gambe levate. Axel si toccò le labbra, stupito e spiazzato da quel gesto; l’aveva baciato di sua spontanea volontà? Questo sentimento di serenità e quasi imbarazzo, non l’aveva mai provato prima; Roxas poteva essere così speciale per lui?

“Sora, sai per caso dov’è Roxas?” Gli chiese Kairi. Il ragazzo posò le ciotole sporche nel lavandino e, poggiando una mano sul bordo, si mise a pensare.
“Dovrebbe essere in camera nostra, oppure è ancora da Axel.” Si strinse fra le spalle incerto.
“Tu ne sai qualcosa, Riku?” Chiese rivolgendosi al ragazzo che, dietro di lei, era intento a tagliare delle verdure.
“Non vorrei sbagliarmi, ma prima mi è sembrato di vederlo correre da qualche parte, però non indossava lo yukata.”
“Provo a vedere in camera vostra allora, posso Sora?”
“Certo, fai pure.” Le sorrise. La ragazza ricambiò il sorriso e uscì dalla cucina, lasciando i due soli.
“Sora potresti cercarmi un contenitore dove mettere queste verdure tagliate?”
“Certo.” Il castano si asciugò le mani e iniziò ad aprire gli sportelli di legno bianco, spostando vari barattoli, utensili e quant’altro. -“Eccolo lì… Però è piuttosto in fondo.”- Pensò, allungando la mano verso l’oggetto richiesto. Non riuscendo ad arrivarci, si mise sulle punte dei piedi, sfiorandolo; allora iniziò ad insistere cercando di avvicinarlo, ma quello che ottenne fu che uno dei barattoli di vetro in prima fila cadde a terra, rompendosi in mille pezzi.
“Diamine…” Si chinò a raccogliere i frammenti, ma nel farlo si tagliò il polpastrello dell’indice.
“Sei senza speranza, Sora.” Riku prese il polso della mano ferita e, aprendo il rubinetto del lavandino, la mise sotto il getto d’acqua fredda. “Rimani fermo così.” Si raccomandò, prima di iniziare a spazzare via il disastro combinato dal castano. Sora era leggermente arrossito, non solo perché si vergognava del guaio che aveva provocato, ma anche perché, nel momento in cui Riku gli aveva preso il polso, aveva immaginato che disinfettasse la ferita leccandogli il dito, come era solito vedere nei manga shojo che gli aveva prestato Kairi. –“Però se mi avesse ‘guarito’ sarebbe stato come ammettere che io sono la ragazza nella nostra coppia.”- Questo pensiero lo fece agitare ancora di più. Cosa andava a pensare? Certo, ormai stavano insieme –anche se non l’avevano annunciato apertamente-, però era ugualmente imbarazzante, anzi, proprio perché erano fidanzati che il tutto era più disagevole! Se davanti a sé aveva Riku, l’amico freddo e distaccato, con il quale era impossibile instaurare un discorso, allora si; ma davanti a sé c’era Riku, il suo ragazzo dolce e premuroso –anche se a volte scorbutico-, con il quale ben presto si sarebbe spinto anche oltre al bacio… Arrossì anche per quest’altra considerazione.
“Sora, si può sapere perché mi stai fissando con quell’espressione paonazza?” Gli chiese l’albino facendolo riemergere dal suo mondo di pensieri e fantasie.
“Perché… Perché stavo pensando…”
“Tu pensi?!” Lo interruppe con una faccia sbigottita. Sora lo guardò serio e Riku abbassò la testa in segno di scuse. “Scusami; dicevi?” 
“Noi due siamo, come dire… Fidanzati?” Riku buttò i frammenti di vetro raccolti nel secchio e, sbattendo le mani, si voltò a guardarlo.
“Secondo te?” Usò un tono freddo e schietto e ciò fece sentire un brivido dietro la schiena al ragazzo, era meglio se si fosse stato zitto. 
“Domanda stupida, vero?” Ridacchiò nervosamente, grattandosi la nuca.
“Esattamente. Mi sembrava strano che tu pensassi, però se questa è la domanda allora tutto è più chiaro.” Sora sbuffò. 
“Grazie Riku, ti voglio bene anch’io.”
“Io non ti voglio bene.” 
“Perché?” Balbettò Sora, spaventato. Non è che Riku avesse avuto qualche dubbio e aveva deciso di lasciarlo perdere –anche se ciò era strano, dato quello che aveva detto-?
“Perché io ti amo.” Sorrise maliziosamente. Sora non poté altro che diventare ancora più rosso, prendendo un bellissimo colorito bordeaux.
“Ora che ci penso, devo andare a fare quel… Si, quel lavoretto per il vecchio Shinohara, quindi scusami, ma devo andare.” Si diresse verso l’uscio, ma l’albino lo fermò abbracciandolo. 
“Fare il timido e il prezioso è una nuova tecnica per persuadermi?”
“Fare il timido e il prezioso?” Gli fece eco per poi sbuffare. “Affatto. Cosa vai dicendo Riku, ti stai sbagliando.”
“Allora dammi un bacio.” 
“No! Insomma, potrebbe entrare Komachi-sama.” Riku assunse un'espressione seria e spazientita. Il castano si voltò per dargli un bacio a stampo.
“Contento?”
“Si.”
“Bene.” Annuì, mettendosi le mani sui fianchi. Si scambiarono entrambi uno sguardo… Un intenso e interminabile sguardo, che stava facendo diventare il silenzio angosciante.
“Non dovevi andare da Shinohara?” Gli fece promemoria l’albino.
“Oh, si vero! A dopo allora.” E se ne andò, lasciando il ragazzo solo, che sospirò scuotendo la testa.
-“Idiota, ingenuo e lunatico… Eppure lo amo tanto…”- Riprese a tagliare le verdure con un sorriso accennato sulle labbra.

“Roxa-kun, mio nonno ti vuole parlare.” L’avvisò l’amica dai capelli rossi. Era riuscito a darsi una lavata veloce almeno al corpo e ad indossare lo yukata, pregando per tutto il tempo di non essere chiamato dall’uomo appena pronunciato, ed invece doveva subito affrontarlo. Sfortunato, solo così si poteva definire. Bussò alla porta della stanza, dove era allestito l’ufficio del direttore. Con un “Avanti.” Detto a voce forte e chiara, il ragazzo, ancora spaventato, entrò. Era una camera come le altre, decorata con alcuni librerie, di cui gli scaffali erano pieni di libri e oggettistica varia –tra cui un buffo salvadanaio a forma di mucca e un piccolo peluche di coniglio intento a rosicchiare una carota-, c’era anche una vetrina piena zeppa di fascicoli di vari colori e altri documenti impilati ordinatamente. La scrivania era al centro della stanza, era un modello semplice e in legno; sul piano c’erano una luce ad olio, un portapenne con alcune matite e penne, un temperino, il computer con la rispettiva tastiera e mouse, ed infine, da un lato, altri documenti –probabilmente erano quelli che Olette aveva fatto cadere prima-. L’anziano sedeva al di là della scrivania ed invitò il ragazzo ad accomodarsi davanti a lui, con un largo sorriso. Roxas ricambiò il sorriso con uno più accennato e si sedette.
“Voleva vedermi, signore?” Cercò di tenere un tono fermo e lo sguardo fisso sugli occhi azzurri dell’uomo, coperti dalle spesse lenti degli occhiali da vista.
“Si, Roxas. Non so se ti senti in vena di parlarne, ma Kairi mi ha raccontato cosa ti è accaduto ieri pomeriggio. Come stai? Ti è stato recato un qualche danno?” Disse preoccupato, sporgendo leggermente il busto verso di lui.
“Affatto signore, sto bene.”
“Ti avrei chiamato prima, solo che mia nipote me l’ha detto solo questa mattina. Roxas, comunque, anche se tu mi dici di star bene io mi sono sentito costretto a dover chiamare i tuoi zii che verranno qui a prenderti; mi capisci vero? Poi alla fine della vacanza mancano meno di 16 giorni, quindi hai lavorato quanto dovevi lavorare, non preoccuparti.” 
Roxas era frastornato e scioccato da quella notizia improvvisa. Quindi doveva tornare a casa e stare distante da…
“No!” Esclamò sovrappensiero. Non voleva lasciare Axel, non voleva dovergli dire di nuovo addio… Non voleva… 
“Roxas, per favore, devi capire. Arriveranno domani, quindi ti concedo questo giorno di vacanza, per rilassarti per bene, okay? Non fare quel viso triste, anche a me dispiace, sai.”
“La prego, io non voglio andare!” Si alzò in piedi.
“E’ già stata presa la decisione.”
“Io… Non capisco…”
“Basta discutere, il discorso è concluso.” Il biondo sospirò. Stava facendo di tutto per trattenere le lacrime; come l’avrebbe detto ad Axel e cosa sarebbe successo poi? Tutto sommato anche se non fosse avvenuto quell’inconveniente si sarebbero dovuti separare, però… Perché doveva finire tutto in quel modo?
Nel momento in cui stava per fare l’inchino di congedo, il vecchio Shinohara lo fermò.
“Non ho concluso.” Il tono divenne improvvisamente più duro e distaccato. “Mi è stato riferito anche di una certa scena di questa mattina, di cui tu sei uno dei soggetti, è parliamo di una scena alquanto oltraggiosa: Roxas, è vero che questa mattina eri in stanza di un cliente, uomo e maggiorenne, e stavate avendo un rapporto sessuale?” Quelle parole furono come veleno per la mente di Roxas, scioccato, demoralizzato, ormai scoraggiato e sconfitto dalla realtà. La sua vita perché a volte faceva tanto schifo? Perché quando era felice tutto doveva andare per il peggio? Ma soprattutto, perché Axel doveva finirci di mezzo, lui che non c’entrava nulla? Tremò, cosa poteva rispondergli, cosa doveva rispondergli; quale sarebbe stata la replica che gli avrebbe dato vantaggio? Non lo sapeva, non ne aveva idea…
“Vede…” Fece un respiro profondo, pronto a rispondere.



(*) Uke: sostantivo che indica il soggetto passivo in un rapporto sessuale ( il soggetto attivo, invece, è identificato con Seme)
(**) Gomen nasai: Mi dispiace [Ho preferito usare questa espressione per incidere sul fatto della formalità N.d.A.]



Angolo dell'autrice:
Visto che questo capitolo apre una nuova "saga" della storia, che va verso il termine, ho deciso di tornare alle origini scrivendo Angolo dell'autrice ansi che N.d.A. u.u E ciò frega a chi? A Nessuno (eh eh ho l'Organizzazione dalla mia parte!)
A parte le mie battutine squallide vi pesento il capitolo 16 con il quale ho cercato di recuperare la mancanza di descrizione... Non potete capire quanto mi sono vergognata a scrivere solo quel pezzo lì! E'... E'... Perdonatemi ma sono il tipo da "Baci e amore" più che "Sesso selvaggio"! Però nei manga... Ehm... Sono tutto il contrario u.u Adesso parliamo un po' di quanto tutte noi odiamo Olette in questa mia storia xD di quanto iniziamo ad odiare Shinohara e che caro il nostro Sora rompi-oggetti-tutto-Shojo. Ammettete: vi aspettavate che Riku leccasse la ferita, ve'?! Eh eh u.u (lo so che non è vero però volevo dirlo ecco). Perdonate il capitolo striminzito ^^" e volevo fare un'annotazione: so bene che molti, troppi, sanno chi è l'Uke, però ho preferito mettere la nota, quindi sappiate che non vi credo ignoranti xD E' todo u.u
Alla prossima!
Here we Go! 
   
 
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