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Autore: ryuzaki eru    29/07/2013    11 recensioni
(Nel cap. 1 scheda in stile "Death Note 13 How to read")
Un lento crescere di strani ed apparentemente trascurabili eventi. Una ragazza comune, preda di una situazione incomprensibile. L’apparente iniziale assenza di tutto ciò che riguarda il mondo di Death Note, così come voi lo conoscete. Ma tutto quell’incredibile mondo c’è! Kira, Tokyo, il quaderno. Ed Elle arriverà… Perché volevo continuare a vederlo parlare, muoversi, ragionare.
Elle era in piedi sul marciapiede e con gli occhi spenti la osservava, mentre strusciava svogliatamente il dorso del piede su un polpaccio...
«Ciao, Ryuzaki…» tentennò Emma «Allora…sai dove vivo… Ed io non te l’ho mai detto! Quindi…»
«Quindi?» le chiese lui vagamente irriverente.
«Quindi immagino tu sappia altro... Il punto è da quanto tempo sai!»
Elle smise di grattarsi il polpaccio e portò il piede a terra «No. Il punto è che da ora la smetterai di giocare da sola a questa partita.» la gelò.
La voce le arrivò dritta alla testa, come una tagliola affilata.
Il suo sguardo impassibile e freddo la trapassò.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Another world'
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Alcuni dei personaggi che appariranno non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
  

 43. The last page

 
Il cielo era bianco e compatto.
Non si scorgeva il suo noto azzurro, celato dietro una distesa densa di nuvole nivee.
E si percepiva quel particolare aspetto e quella luminosità fredda che appesantiscono l’aria.
Era un cielo che al solo guardarlo provocava una sensazione di gelo, anche se ci si trovava al caldo e al chiuso.
Erano le undici del mattino di una gelida e immobile giornata di dicembre.
Mancavano solo tre giorni alla Vigilia di Natale e il verde scuro delle lande e delle colline dell’affascinante campagna inglese definiva tutta la linea dell’orizzonte, che sfiorava quel bianco e freddo cielo invernale, carico e pesante di una neve che non riusciva ancora a cadere.
Emma aveva osservato quell’orizzonte durante tutto il viaggio in pullman, in silenzio.
E quel paesaggio così solitario e brullo era scorso davanti ai suoi occhi senza che nessuno potesse disturbarla.
Il bus di linea che la stava portando a Winchester era quasi vuoto.
A quell’ora e in quella particolare giornata erano pochi quelli che, come lei, si erano messi in viaggio.
Era venerdì 21 dicembre. Gli studenti in quel momento stavano trascorrendo il loro ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie. I lavoratori erano ancora impegnati nelle loro mansioni, almeno fino al primo pomeriggio.
Ma alle dieci del mattino, quando Emma era salita su quel pullman da Londra, in pochi erano saliti insieme a lei. Più tardi, forse, quella stessa linea sarebbe stata affollatissima di pendolari e di tutti coloro che ritornavano a casa per il Natale.
Ma in quel momento Emma era praticamente sola.
E guardando quel paesaggio dal finestrino, che si appannava ogni qual volta veniva raggiunto dal respiro caldo della ragazza che vi si avvicinava troppo, le sensazioni che pervadevano Emma erano molte.
Erano molte e poderose.
Erano quel tipo di sensazioni che non rimangono rinchiuse nella testa e che non si fermano al solo pensiero, ma appartenevano a quella categoria che riesce invece a valicare i confini della sola mente e a raggiungere il corpo. Erano di quelle che riescono a far contrarre l’addome, che fanno sentire quel formicolio sotto pelle, che invadono le membra di un’emozione forte. Ma del resto, forse, soltanto queste sono le vere “sensazioni”. Quelle in cui si “sente” qualcosa sulla pelle.
E così l’aspettativa di Emma era cresciuta di metro in metro, di minuto in minuto, di respiro in respiro.
Tutto la colpiva.
Nonostante un profondo senso di tristezza la appesantisse ogni istante, nel profondo, in quei momenti e durante quella breve ora che stava lentamente trascorrendo su quel pullman, era cresciuta in lei quella sensazione di attesa speranzosa, di singolare e travolgente desiderio di vedere, conoscere, sapere.
Era emozionata al solo pensiero di avvicinarsi sempre più al luogo che aveva osservato Elle fin da quando lui era bambino. A quel luogo che l’aveva visto crescere. Quel luogo che lui aveva conosciuto e le cui immagini, nonostante la proverbiale freddezza del detective che Emma aveva conosciuto, lui aveva probabilmente tenuto gelosamente dentro di sé, fino alla fine.
E poi Emma voleva vedere i volti di tutti coloro che lo avevano circondato.
Voleva ascoltare le voci che lui aveva sempre sentito, magari solo di sottofondo.
Voleva scrutare le facce vere di “quei due”, di quei due che lui aveva scelto.
Voleva imprimersi nella testa i paesaggi che lui aveva osservato.
Voleva sapere.
Voleva sapere tutto.
Voleva conoscere la verità.
Voleva andare oltre quell’insulsa menzogna mediatica dell’ “Organizzazione Elle”.
Voleva vedere chi era il nuovo Elle.
E voleva sapere come il suo Elle era morto…
E nel tempo che a Roma aveva trascorso ad aspettare che le sue londinesi vacanze natalizie iniziassero, nonostante la sua mente avesse creato mille aspettative e immagini diverse per il momento in cui sarebbe giunta a Winchester e alla Wammy’s House, prefigurandosi cosa sarebbe accaduto, solo su una cosa non aveva avuto alcun dubbio: non avrebbe permesso che nessuno le impedisse di sapere.
Emma non avrebbe tollerato che qualcuno le negasse nulla.
Lei aveva conosciuto Wammy e Ryuzaki.
Lei aveva fatto di tutto perché il detective potesse battere Kira.
Aveva fatto di tutto perché lui non morisse…
E adesso avrebbe fatto di tutto affinché coloro che sapevano chi era stato Elle riconoscessero quella giovane ragazza per quello che lei era.
E non si trattava di voglia di riconoscenza o della ricerca di un’inutile gratitudine.
Si trattava del profondo desiderio di Emma di far parte di qualcosa. O perlomeno del riconoscimento di averne fatto parte.
Questa era la sua speranza, la sua aspettativa più grande, la sua emozione maggiore, la sua presunzione egoistica.
La sua giusta e sacrosanta presunzione egoistica.
Anzi, questo era il suo nuovo inamovibile obiettivo.
E semmai Emma era stata determinata in passato, adesso lo era ancora di più, in modo duro, deciso, senza scampo.
La sofferenza che l’aveva pervasa, l’aveva anche indurita e resa ancora più intransigente. Emma adesso era come priva di ogni debolezza, timidezza, paura o dubbio. Perlomeno lo era su quel punto in particolare, che sentiva come fondamentale.
Stava sbagliando?
Avrebbe dovuto essere più morbida, cauta o remissiva nell’intimo?
No.
Assolutamente no.
Se pure stava commettendo un errore e stava peccando di presunzione, non gliene importava assolutamente nulla.
La risposta che si dava era sempre la stessa: non poteva sentire e comportarsi diversamente da così, no!
Questa granitica forza e la chiarezza della meta che voleva raggiungere a tutti i costi, unita alle potenti sensazioni che la pervadevano in quel momento, avevano rappresentato e rappresentavano ora il primo e l’unico motivo di vita e positività che le si fosse presentato nel corso di quei lunghi mesi bui.
Forse queste erano delle caratteristiche che ricordavano molto quelle del giovane uomo per il quale Emma stava soffrendo.
E forse lei stessa, nel suo inconscio e con quel suo proprio comportamento, rivedeva e ricordava Elle…
Così, con questa strana energia che la infuocava dal di dentro, i kilometri che la separavano da Winchester continuavano a scorrere, nel silenzio di quel pullman e nel paesaggio fermo e gelido che osservava.
Quando poi si ritrovò a scendere il gradino delle uscite di quel bus di linea e l’aria pesante si insinuò gelida nelle sue narici, facendole percepire un indefinito e indescrivibile profumo di neve, quell’emozione crebbe ancora.
E ancora, mentre iniziò a camminare per le strette e tortuose vie del centro medievale di quella piccola cittadina.
E ancora, mentre costeggiava i tanti edifici di mattoni rossi, con i lunghi comignoli allineati uno dopo l’altro.
E ancora, mentre percepiva il passato secolare di quel borgo trasudare da ogni angolo.
Tutto la scuoteva in modo superiore al normale.
Era come se la sua abituale percezione fosse alterata e ingigantita.
E osservare le testimonianze di quel passato la invadeva di un senso di nostalgia esagerato.
Forse ciò avveniva perché Emma, per via della sua professione, era naturalmente abituata ad osservare le tracce della storia e dei secoli, era attratta da esse.
Forse perché il pensiero del “Passato”, in generale, può scatenare una generale e inconscia forma di nostalgia, incontrollabile e non sempre dolorosa.
Forse perché in quel momento c’era qualcosa che Emma aveva irrimediabilmente perso, proprio in quel passato, di qualunque passato si trattasse.
E così, con il battito del cuore che non aveva smesso un attimo di tormentarla nell’addome e con il respiro che era stato sempre leggermente più accelerato del normale, arrivò a costeggiare i mattoni rossicci del muro che cingeva un parco.
Camminando alzò il capo e osservò le fronde degli alberi che dall’interno di quel giardino superavano il muro e si affacciavano sulla strada.
Il vapore le usciva fumoso dalle labbra mentre stringeva i pugni nelle tasche del suo solito ampio e lungo cappotto di lana scura.
E passo dopo passo giunse davanti al grande cancello chiuso.
Si fermò e un tremore quasi impercettibile disturbò e fece vibrare appena il suo respiro.
Si alzò una folata di vento pungente e le foglie brune si staccarono dalle fronde degli alberi, oltre le sbarre di ferro scuro che aveva davanti, nel grande parco deserto.
Un ampio viale di terra battuta si snodava diritto davanti al cancello e si inoltrava all’interno di quel giardino fino all’ingresso di un grande edificio costruito con i consueti mattoni rossi. E le finestre di quell’edifico erano illuminate.
Emma si fece salire tutta la determinazione che la sosteneva e suonò al citofono, sullo stipite laterale del cancello, sotto la targa metallica che recava l’iscrizione: The Wammy’s House.
E dopo poco risuonò la voce di una donna «Chi è?».
«Salve, ho telefonato qualche giorno fa. Mi hanno detto che oggi avrei trovato il signor Roger Ruvie. Quindi sono passata per vedere se avrei potuto incontrarlo.» rispose la ragazza, con il cuore che aveva accelerato ancora il suo battito.
Non ci fu risposta alla introduzione di Emma, ma solo un secco rumore meccanico, e la molla della serratura del cancello scattò.
Le avevano aperto.
Era naturale che l’avessero fatto. In fondo quella era solo una semplice scuola, anche se per orfani, e quindi non c’era motivo di essere sospettosi e bunkerati al suo interno. Il cancello era chiuso semplicemente perchè lì c’erano anche dei bambini piccoli che non potevano di certo uscirsene liberamente da soli.
E così Emma si incamminò lungo quel viale, mentre il vento gelido che si era alzato le smuoveva in modo piuttosto evidente le lunghissime ciocche di capelli che le fuoriuscivano come sempre disordinate dal morbido cappello di lana.
E l’emozione le saliva in corpo, sempre di più.
Iniziava a temere che non sarebbe stata in grado di spiccicare parola.
Davanti al grande portone che si ritrovò finalmente davanti, suonò di nuovo e le aprirono senza rispondere.
Lei entrò.
Si ritrovò all’interno di un grande atrio dai soffitti altissimi e dalle pareti completamente ricoperte di libri. L’immenso ingresso, sebbene illuminato, dava l’impressione generale di essere scuro, perché il pavimento era in grosse lastre di legno bruno e lucido. Lucido per l’usura del tempo e per la cera, il cui odore dolce e antico si percepiva appena nell’aria. Anche l’alto soffitto era cassettonato di pannelli di legno, così come scura e lignea era la grande scala che si apriva davanti a lei, con i grossi corrimano intarsiati, e che saliva verso un ballatoio largo, affacciato su tutta la superficie di quel grande ingresso. Era come un chiostro coperto.
E nell’angolo, sotto l’imponente rampa, si ergeva un gigantesco albero di Natale, così carico di diversi addobbi multicolore che a stento si riusciva a scorgere il verde dell’abete. Era il classico albero decorato senza troppa cura negli abbinamenti di tinta o ninnoli, era il classico albero agghindato in libertà, per opera e gusto dei bambini, di tanti bambini.
Mentre Emma si guardava intorno sempre con quella forte agitazione in corpo, una donna tozza di una certa età le si avvicinò con un’andatura un po’ irrigidita. Sembrava che non riuscisse a piegare bene le ginocchia.
La fissò dietro le lenti dei suoi grandi e spessi occhiali da vista. E solo dopo averla scrutata per bene nel suo aspetto algido, le disse «Il Signor Ruvie è nel suo ufficio, al piano di sopra. Chi devo annunciare?»
La tensione saliva nel corpo sottile della ragazza, ma la voce le uscì netta «Gli dica che sono Emma.» lapidaria. Lapidaria e presuntuosa. “Emma” doveva essere sufficiente.
La donna sollevò le sopracciglia, lievemente seccata, ma non replicò, si voltò ed Emma la seguì per le scale.
Del resto, quella donna doveva essere abituata a ben altri livelli di presunzione…
Arrivarono così al largo ballatoio del primo piano, superarono le porte chiuse di diverse aule che si affacciavano su questo e infine giunsero di fronte all’ufficio del successore di Quillsh Wammy.
La donna bussò, aprì uno spiraglio della porta e affacciò il capo all’interno, senza che Emma potesse vedere nulla della stanza «La signorina “Emma” desidera parlarle, Professor Ruvie.» disse in modo un po’ stizzito.
Dall’altra parte non ci fu un minimo di esitazione e la voce calda di un uomo di una certa età rispose «Falla entrare.»
La donna borbottò qualcosa tra sé e sè, contrariata, e poi spalancò la porta e si spostò «Prego.»
Emma se la guardò mentre si allontanava e la sentì bofonchiare sotto sotto «… Un’altra presuntuosa senza un nome completo da “normali cristiani”! Se li vanno a cercare tutti così qua dentro… Piccoli mostriciattoli!»
E poi “la presuntuosa senza un nome completo” entrò nell’ufficio di Roger Ruvie che, osservandola attentamente seduto dietro la scrivania, le disse «La scusi. La professoressa è una donna un po’ particolare, senza troppi peli sulla lingua. La sua è tutta una facciata burbera, ma è estremamente affidabile e preparata. Altrimenti non sarebbe qui ad insegnare, come del resto credo che lei sappia benissimo, signorina Emma. E poi la professoressa non poteva certo sapere “chi” Emma fosse, né poteva immaginare che noi la stessimo proprio aspettando, questa Emma.» e i suoi occhi stanchi sorrisero appena.
La stavano aspettando.
“Loro” la stavano aspettando…
Loro.
Ed Emma seppe che non avrebbe dovuto lottare affatto.
E così, al di là della sorpresa e delle domande che avrebbero potuto presentarsi nella sua mente,  la pervase solo una sensazione di grande sollievo, svuotamento e serenità.
Avrebbe dovuto aspettarselo.
Aveva già iniziato a condividere e non aveva ancora detto nemmeno una parola.
Non era sola.
Colui che aveva davanti sapeva tutto.
E lei non si stava rivolgendo ad uno sconosciuto.
Emma aveva cercato questo.
Era questo ciò che aveva voluto. Esattamente questo. E le era bastato fare un viaggio in pullman per ottenerlo, senza lottare.
Così, rimanendo in piedi, il volto algido e inizialmente teso della ragazza si sciolse e la sua consueta sincerità le fluì dalle labbra, che adesso si aprivano in un largo e spontaneo sorriso di conforto «…È stato più facile del previsto… Grazie di avermi fatto immediatamente capire che non dovevo lottare per ottenere questo. Grazie infinite.»
Roger si alzò e la raggiunse, in piedi di fronte a lei. Le strinse la mano e poi le disse «Mi segua.»
Ripercorsero in silenzio il ballatoio e mentre lo facevano scattò l’assordante trillo di una campanella.
Emma guardò l’ora. Era mezzogiorno e mezzo. Evidentemente le lezioni erano finite, in quel venerdì mattina prima della Vigilia di Natale.
Seguì un trambusto assordante e subito dopo si spalancò la maggior parte delle porte che davano sul ballatoio di quel primo piano e un profumo di matite invase l’aria.
Una miriade di ragazzini di diverse età si riversò su quel corridoio sospeso e sfrecciò giù per le scale, nell’ingresso tappezzato di libri, e poi ancora dietro le porte, fuori in giardino, ovunque.
Roger si rivolse ad Emma «È l’ultimo giorno di lezione, signorina Emma. Sono in vacanza adesso. E Dio solo sa che giorni turbolenti ci aspettano…» concluse sospirando e sollevando gli occhi al cielo, mentre continuava a camminare.
Una voce maschile lievemente strafottente e sicura raggiunse le spalle della giovane archeologa «…Emma, eh?»
Lei si girò e si ritrovò a fissare gli occhi azzurro ghiaccio di un ragazzino biondo che la guardava con un’espressione da schiaffi.
Lei non riuscì a parlare. Lo aveva riconosciuto. Come avrebbe potuto non farlo?
Ma fu lui a prevenirla, naturalmente, mentre iniziava a girarle intorno in modo impudente e ad osservarla con curiosità «Troppo alta. Troppo magra. Troppo “maschio”. Mi sarei aspettato di molto meglio.»
Emma scartò il capo e se lo guardò dall’alto, assottigliando lo sguardo. Poi gli rispose diretta, non trattandolo assolutamente come un ragazzino «Non è che per caso ti piacerebbe essere alto quanto me? In fondo, anche da grande, non è che raggiungerai livelli eccelsi di statura…»
Colpo reso.
Quel ragazzino col caschetto biondo smise di girarle intorno e diventò viola «Non credere di poter sfruttare anche con me le tue incredibili “conoscenze”! A me non la darai a bere come hai fatto con Lui!»
Emma sorrise appena «Ah no? A me invece sembra che tu ti sia appena infuriato per quello che ho detto. E non fingi nemmeno di nasconderlo. E comunque ti sbagli: a “Lui” non l’ho mai data a bere. Non ci sono riuscita nemmeno una volta. Perciò non farti prendere dalla competizione. A me non interessa essere in concorrenza con te, le tue forze utilizzale nei confronti di qualcun altro.»
Colto in pieno.
Colto in pieno nella sua proverbiale invidia, nel suo complesso di inferiorità e nel suo desiderio di essere scelto da Elle.
Mello sapeva tutto.
Sapeva chi era Emma e cosa aveva fatto.
Sapeva anche perché e come l’aveva fatto, grazie a quali incredibili “conoscenze”.
E dato che quella ragazza alta, troppo magra e troppo mascolina, era stata capace di interessare il mentore e il “mito” di quel ragazzino, dato che, alla resa dei conti, quella ragazza comune era stata capace di fornire al grande Elle le carte per vincere, nonostante la morte, e dato che era riuscita a insinuarsi con la sua mente in quella del grande e inarrivabile detective, adesso Mello non poteva che sentirsi in competizione con lei.
Lei era riuscita in qualcosa in cui lui evidentemente non era ancora riuscito.
O almeno questo lui pensava, guardandola.
Emma, invece, pensò che in verità era molto più facile sorprendere e colpire Mello. Altro era stato trattare con Ryuzaki.
Ma questo era normale in fondo.
Mello era ancora un ragazzino…
Ma in lui Emma riusciva a scorgere qualcosa di Ryuzaki, dell’uomo agguerrito che lui era stato.
E infatti il ragazzino la colpì di nuovo «Non potrei mai essere in competizione con te! Tu non sei una di noi!».
Roger si intromise severamente «Smettila, Mello! Avrai modo di parlarle più tardi e dovrai farlo molto più civilmente di così!»
Emma sorrise e basta e si voltò, lasciando così al ragazzino l’ultima parola, lasciandolo vincere, almeno apparentemente.
Anche per lui non c’era colpo che non rendesse.
E anche lui sapeva bene dove colpire, per ferire veramente e cinicamente…
Non sono una di loro… è vero…
E mentre Emma camminava dietro a Roger in silenzio iniziò a passargli per la testa che se Mello era lì, e per giunta così arrabbiato con lei, doveva esserci stata una qualche sua sconfitta, doveva essere stato escluso dalla scelta del nuovo Elle…
Giunsero infine davanti ad una porta, Roger la aprì con una chiave e poi le disse «Prosegua fino in fondo a questo corridoio. Salga le scale. È la prima porta a destra del secondo piano. È giusto che sia Lui a raccontarle tutto. Solo Lui può. Solo Lui ha potuto conoscere tutti gli elementi per farlo.» abbassò il tono della voce e la guardò negli occhi «Sì, signorina Emma, è stato Ryuzaki a volere così…»
Emma ebbe un tuffo al cuore.
Erano mesi che non sentiva pronunciare quel nome…
Il nuovo Elle. “Lui”…
Lui sapeva tutta la storia. Solo Lui conosceva ogni dettaglio perché Ryuzaki aveva voluto così.
Col cuore in gola Emma si incamminò nel corridoio, mentre sentiva che la serratura alle sue spalle veniva di nuovo chiusa a chiave.
Poi arrivò alle scale.
Non c’era nessuno.
E quando giunse davanti alla fatidica porta, fece un grosso respiro.
Avrebbe saputo tutto.
Avrebbe saputo chi era il nuovo Elle.
Near?
No, troppo piccolo… Però forse…
Appena aprirò questa porta, tutte le mie aspettative verranno soddisfatte… E poi? Poi cosa mi leverà questo senso di mancanza?
Oh, al diavolo! Io voglio sapere!

E allungò la mano sulla maniglia.
E fuori, finalmente, iniziarono a cadere i fiocchi di neve, ondeggiando, senza fretta né alcun rumore…
 
Nel fervore delle indagini, in un piovoso giorno dei primi di novembre, Light ribatté alla proposta di Elle di testare il quaderno fuori dal Giappone «Sì, Ryuzaki, è giusto, dovrai far testare il quaderno fuori dal Giappone.»
Ci siamo.
Esattamente come avrei fatto io… Questo è l’unico punto di vista che può avere Light, il suo solo possibile ragionamento, che mi aspettavo e che volevo: che proponesse lui stesso di testare il quaderno. È pienamente cosciente del fatto che il test lo farò io, perché sa che non mi fido di lui. Ma adesso sta addirittura platealmente spingendo perché questo avvenga… “Dovrò” testarlo io. Sa che, se sarò io l’unico a conoscere i dettagli dell’ operazione-test, per lui e Misa non ci sarà scampo. E sa che questo lo capirà anche Rem.
E io diventerò l’unico ostacolo alla felicità di Misa.
Lo Shinigami in questo modo non avrà scelta e mi farà fuori.
E adesso siamo nelle mani di Rem…

Elle replicò con aria interrogativa, mentre la minaccia si insinuava nella sua mente «… “Dovrò”?»
Poi lanciò un fugace e mesto sguardo verso il monitor con la W di Watari.
E per un istante, brevissimo, ebbe paura…
Il filo di quel rasoio lo avrebbe ferito, lo avrebbe ucciso? Stava rischiando troppo?
Sì, lo stava facendo. Ma era un rischio che aveva saputo di correre fin dal momento in cui aveva stabilito che il suo piano definitivo avrebbe potuto essere soltanto quello. Dopo aver disposto nella sua mente le tessere di quel puzzle in tutti i modi possibili, dopo aver cercato diversi piani attuabili, Elle era dovuto giungere alla conclusione che quella di coinvolgere Rem era la sola mossa ipotizzabile. Insinuare il dubbio nello Shinigami, renderlo partecipe, era l’unico modo. Per come stavano le cose, in qualunque maniera Elle si fosse intromesso per catturare Light e Misa, lo Shinigami sarebbe stato un’autentica mina vagante, pronta ad esplodere, sarebbe stato la variabile soprannaturale priva di controllo. Qualunque altro piano Ryuzaki avesse ideato, in qualunque momento fosse intervenuto in quella trama intricata, prima o dopo, il Dio della Morte avrebbe ribattuto per salvare la sua protetta e avrebbe agito contro Elle, comunque.
Elle quindi rischiava, ma aveva la piena consapevolezza che insinuare il dubbio in Rem, ventilarle che aveva un’altra scelta, sarebbe stato l’unico modo per poter avere la possibilità di salvarsi.
Il piano perfetto gli avrebbe permesso comunque di vincere.
Ma avere la fiducia di Rem sarebbe invece stato il solo elemento indispensabile per poter almeno contemplare la possibilità di non lasciarci le penne.
Se lei avesse poi scelto di ammazzarlo lo stesso, be’, Watari aveva preparato Aiber e Wedy all’evenienza. Ai due infatti erano state prescritte precise mansioni, da svolgere all’oscuro degli altri della squadra, e il piano sarebbe andato avanti ugualmente, anche se Ryuzaki e Wammy fossero morti sul serio.
Già, “sul serio”…
La voce decisa di Light frenò all’istante quelle profonde sensazioni e ricapitolazioni di Elle«Sì, Ryuzaki.  Solo “tu” dovrai far testare il quaderno. È la cosa più giusta.»
Già… Solo io dovrò conoscere i dettagli.
Light, vuoi mettere nella testa di tutti che sia giusto che sia soltanto io a far testare il death note, così allo Shinigami non resterà altra scelta che uccidermi.
Rem, di chi hai intenzione di fidarti?

Elle frantumò uno dei biscottini che teneva tra le dita, fissando il quaderno della morte poggiato sulla sua scrivania.
Light Yagami… Scacco matto?
Poi osservò la tazza di caffè che aveva davanti e mestamente rivolse gli occhi verso il monitor in cui si rifletteva la figura dello Shinigami, nascosto nell’angolo.
Fissò il riflesso dello sguardo di Rem che lo osservava gravemente.
E non replicò alla considerazione di Light.
Non provò a dire che invece avrebbero dovuto partecipare tutti a quel test.
Non si oppose a quel consiglio di Kira.
Sembrò assentire ad esso.
Sembrò abbassarsi alla considerazione di Light, che era perfetta, che era costruita per metterlo nel sacco, che era quella che lo avrebbe forse ucciso.
Non cercò di salvarsi da quelle parole di Kira. Parole che non volevano dare alcuno scampo a Rem.
Lo Shinigami fissò allora il detective negli occhi.
E capì.
Capì cosa c’era dietro quello sguardo fugace riflesso nel monitor.
Capì il silenzio di Elle e il suo apparente assentire alla proposta di Kira.
Capì cosa doveva fare.
E prese la sua decisione.
Light Yagami non ha intenzione di darmi scelta. Agendo in questo modo vuole manipolarmi biecamente e obbligarmi a fare ciò che lui desidera.
Light Yagami vuole che io ti uccida, Elle. È un essere indegno che vuole sfruttare addirittura un Dio per i suoi bassi e insignificanti comodi…
Il suo è un ricatto senza via d’uscita!
E tu lo sai, Elle.
Tu sai troppe cose…
Ma nonostante questo, non hai replicato alla proposta del tuo nemico. Non l’hai fatto anche se sai che questo potrebbe portarmi ad ucciderti. Ma non hai replicato lo stesso…
In questo modo vuoi forse farmi comprendere fino a che punto le mosse del tuo rivale siano tese a ricattarmi? Vuoi rendere palese quanto Light voglia lasciarmi priva di alternative? Vuoi farmi percepire come ci si senta ad essere senza scelta?
Elle, tu avresti potuto opporti. Ti sarebbe bastato dire che preferisci che tutti partecipino al test del quaderno e io non avrei avuto motivo di volerti uccidere, almeno per il momento. O comunque sono certa che avresti avuto mille altri modi vincenti per opporti.
Ma se lo avessi fatto, io non avrei visto fino in fondo “chi” è Light Yagami.
Opponendoti avresti di certo potuto incanalare gli eventi in qualche altro modo obbligato. Avresti magari costruito un altro ricatto per me. Un’altra pista senza scelta. Esattamente come ha fatto Light.
Avresti potuto fare in modo anche tu di pilotarmi, avresti potuto avere la folle presunzione di non voler lasciare alternative a un Dio.
Ma non l’hai fatto.
Tu non ti sei opposto e ora mi guardi…
Elle, a differenza del tuo rivale, tu mi stai dando una scelta. Me la stai dando perché forse non sei così presuntuoso da credere di poter controllare forze immensamente superiori alle tue. O forse lo stai facendo perché sei furbo.
Ma lo stai facendo. Stai abbassando il capo di fronte a me, consapevole.
Hai un piano preciso, costruito grazie ad una mente calcolatrice che non potrò mai capire fino in fondo. So che non lo stai veramente facendo per Misa, come nemmeno Light.
Ma omettendo qualunque replica a Yagami mi hai fatto capire che tu vuoi lasciarmi scelta.
Nella tua insulsa presunzione di essere umano, è come se tu mi stessi in qualche modo rispettando.
E io non ti ucciderò.
Non lo farò proprio perché tu, a differenza di Light, non ti credi un Dio e forse per questo farai veramente il mio volere e salverai in qualche modo Misa dall’infelicità.
Io non ti ucciderò.
Continuerò a guardarti…
E se la vita e la felicità di Misa saranno preservate, tu non morirai.
Ma basterà un alito di vento di troppo e non esiterò un istante a scrivere il tuo nome sul mio quaderno!
Per adesso, vivrai.

Elle distolse allora il proprio sguardo da quello tetro del Dio della Morte.
Lo Shinigami non si era mosso. Non si era allontanato in nessun’altra stanza. Non aveva estratto il suo quaderno…
Be’, dopotutto, dare l’impressione di lasciare una scelta e di abbassare il capo sembra una decisione saggia… L’unica possibile in un campo che non mi appartiene e che non potrei comunque controllare… Non mi resta che sperare che duri…
E fu così che Elle si conquistò, almeno per il momento, la fiducia di Rem.
Fu così che in questo mondo ibrido la mente geniale e presuntuosa del detective del secolo poté dimostrare di essere superiore a quella del suo rivale, perché aveva avuto la furbizia e l’astuzia di comprendere che nessun uomo poteva veramente vincere contro ciò che non conosceva, contro un Dio.
Forse Light ci era riuscito con Rem, in un primo momento, forse si era servito della complicità di Ryuk e della sua voglia di divertirsi e di mangiare mele succose. Ma poi, alla resa dei conti e alla fine della storia, Ryuk lo aveva abbandonato senza colpo ferire e lo aveva ucciso, dall’alto della sua grandezza e freddezza…
Ma in questo mondo ibrido, il futuro e funesto epilogo di Light Yagami Elle lo conosceva bene.
Il sovrannaturale vinceva. O comunque c’erano buone possibilità che potesse farlo.
E vinceva perché non era concepibile, perché era senza controllo, perché apparteneva a un mondo che nessun essere umano, per quanto intelligente potesse essere, poteva comprendere.
Non si giocava con gli Dei. E non si vinceva. Perlomeno non si vinceva in modo canonico.
E Ryuzaki, ovviamente, non aveva nessuna intenzione di perdere.
Elle in realtà non era rispettoso in senso religioso. Nulla sarebbe stato più lontano dalla sua indole.
Ma era furbo.
Era più furbo di Light.
E lo era forse soltanto perché non era il possessore di nessun quaderno.
Perché un death note, in qualche modo, traviava la mente del suo possessore. La cambiava. La imbeveva di potere e presunzione. La trasformava. La esaltava. E l’essere umano perdeva la cognizione della sua essenza e si convinceva del fatto di essere in grado di compiere qualunque cosa, di raggiungere ogni traguardo calpestando chiunque, di essere un Dio.
E la furbizia e superiorità di Elle consistevano invece nella piena consapevolezza della sua condizione “umana” e limitante. Forse proprio per questo non era mai stato attratto da argomenti o questioni “sovrannaturali”. Perché era sempre stato troppo intelligente per non capire che in quel campo lui non avrebbe potuto primeggiare, né avrebbe potuto spaziare completamente. Perché lì sarebbe sempre rimasto un cono d’ombra inarrivabile e inconcepibile.
E quindi, un po’ come Galileo che davanti ad una Chiesa sovrastante aveva saggiamente e convenientemente deciso di abiurare e rinnegare ufficialmente tutto quanto aveva detto solo con l’intenzione di essere libero di continuare i suoi rivoluzionari studi scientifici senza essere ostacolato, così Elle aveva astutamente abbassato il capo di fronte allo Shinigami, proprio per poter vincere e poter vincere veramente, senza lasciarci la pelle.
Alla resa dei conti forse anche Ryuzaki aveva sfruttato lo Shinigami e l’aveva portato astutamente dalla sua parte, ma l’aveva fatto dal basso della sua condizione, senza considerare se stesso alla pari dell’essere mostruoso, sovrumano e incontrollabile che aveva avuto davanti.
E quella che era stata sempre l’arma di Light, quel potere soprannaturale e superiore che Kira aveva avuto dalla sua parte e che l’aveva fatto vincere, almeno in apparenza, adesso era diventato il suo punto debole. Light, proprio per quel potere, aveva perso di vista la sua umanità, in tutti i significati che questa poteva avere, e questo dettaglio lo avrebbe portato alla sconfitta. E l’avrebbe fatto perché proprio questo dettaglio aveva condotto Kira a non calcolare con la giusta dose di razionalità e modestia la propria condizione e i propri limiti. E in sintesi, lo aveva portato semplicemente ad essere meno conscio della realtà che lo circondava. A Light mancavano delle variabili e gli mancavano perché, invasato dal potere, non riusciva nemmeno a vederle. E coloro che non riescono ad avere una visione d’insieme, col tempo, sono destinati a perdere colpi.
E questo adesso era chiarissimo a Elle.
Elle che invece non aveva perso nessun colpo.
Elle che adesso era superiore a Light proprio perché non possedeva alcun quaderno ad ottenebrargli la mente calcolatrice.
È strano come gli assi nella manica possano d’un tratto tramutarsi in punti deboli e viceversa.
È affascinante come la lucidità di pensiero possa ribaltare le situazioni e mostrarle sotto una luce opposta…
E così, dopo aver trangugiato tutto d’un sorso e rumorosamente il suo caffè ormai raffreddato, Ryuzaki disse «Watari, è ora di rifare il caffé …»
Quello era il segnale prestabilito.
Il Signor Wammy assentì brevemente, nascosto dietro la W sullo schermo, e mandò giù un bicchiere d’acqua a cui aveva precedentemente aggiunto un certo numero di gocce dal flacone etichettato di quello che sembrava un farmaco. Lo stesso che era stato già versato nel caffè non più caldo di Elle.
Si trattava di una sorta di inibitore neurologico e muscolare che provocava una specie di morte apparente e lo faceva nel giro di pochi istanti.
Eccola qui la miccia pronta ad esplodere.
Ryuzaki smontò agilmente dalla sedia e col capo chino si avvicinò a Light, lentamente.
Nel giro di una ventina di secondi il farmaco fu in circolo.
La vista di Ryuzaki iniziò ad appannarsi, mentre di fronte a Light continuava a guardarsi i piedi, in silenzio.
Continuava a guardarsi le dita nude e a sperare che lo Shinigami non smettesse di fidarsi di lui…
Ma in fondo, se anche Rem lo avesse ucciso in quel momento o poco dopo, insospettita da ciò che sarebbe accaduto a breve, lui non avrebbe sofferto, perché le gocce che aveva bevuto nel suo caffè lo stavano sprofondando in uno strano sonno inerme, nel quale non si sarebbe accorto di nulla, nemmeno di morire.
Le gambe gli cedettero.
Si sentì afferrare da Light, che lo guardò a quel punto con uno sguardo tronfio e malvagio.
Ecco chi sei veramente…
Rapidamente perse la percezione tattile delle braccia di Kira che lo sostenevano.
Il volto di Light divenne sempre più buio e sfocato.
Le voci e le grida di terrore che si impossessarono della stanza gli arrivarono sempre meno distinte, da lontano.
Si sentì sprofondare nell’oblio e anche le palpebre si adagiarono pesantemente sul suo sguardo, ormai spento.
Watari… Dopotutto, mi irriterebbe parecchio non risvegliarmi mai più…
E poi il buio, il nulla…
Ma la sceneggiata ordita da Ryuzaki doveva continuare.
La sirena allarmante si impose nella stanza e la scritta All data deleted fu visibile a tutti, contribuendo a costruire quel falso spettacolo. Falso perchè nessun dato, nessuna prova, nessun fatto era stato cancellato veramente. Niente era andato perduto. I files e le prove erano stati cancellati solo dal database del quartier generale, ma una intatta copia di tutto era stata accuratamente tenuta nascosta nell’I bite di Elle, che in quel momento era al sicuro altrove.
Aiber e Wedy furono scossi da un tremito. E si guardarono fugacemente. Era accaduto quanto di peggio gli era stato prospettato…
Watari aveva parlato ad entrambi ed aveva detto loro che, se le cose fossero andate storte, se Elle e Wammy fossero morti, loro avrebbero dovuto svolgere una serie di compiti. Perché, anche per il truffatore e la ladra, la morte di Elle doveva risultare vera…
Quella sceneggiata infatti era stata ordita per tutti, pure per quei due inconsueti collaboratori, anche se Ryuzaki li aveva ritenuti tanto affidabili da assegnargli alcuni compiti.
E questo perché il detective del secolo doveva scomparire dalla scena per tutti.
Nessuno di quelli che l’avevano visto in volto doveva sapere che lui non era morto, che dopo quel caso epocale era invece ancora vivo e avrebbe continuato a scrutare il mondo dietro lo sfondo bianco e la L nera del suo simbolo.
Watari aveva anche aggiunto ai due che, sempre se loro fossero morti, qualcuno li avrebbe poi contattati per ulteriori indicazioni e loro non avrebbero dovuto fare domande e sarebbero stati profumatamente ricompensati.
E quindi, secondo il copione prestabilito, dopo un primo momento di esitazione, Aiber afferrò il telefono e chiamò la finta ambulanza che avrebbe dovuto scortare Elle e Watari lontani da tutti, occultandoli alla squadra e al mondo.
Wedy, osservando la mossa di Aiber, si riscosse e iniziò a interpretare la sua parte. Si precipitò verso il death note che era poggiato sulla scrivania davanti ad Elle. Lo afferrò, lo aprì e ne sfogliò le pagine trepidante, per rendere il tutto più verosimile, e quindi constatò che non c’era stato scritto nessun nome. Poi si affrettò nella stanza dei computer di Watari, continuando a tenere il quaderno omicida tra le dita, come per disattenzione, per fretta, panico o qualunque altra umana emozione.
Come fu lì, si bloccò e osservò tristemente il corpo di Watari accasciato alla sua postazione e apparentemente privo di vita. Ingoiò e poi risoluta fece ciò che le era stato detto di fare. Si avvicinò al corpo di Wammy, lo tastò, fingendo di controllare le sue condizioni vitali, e trovò esattamente ciò che le era stato detto avrebbe trovato: nascosto nel panciotto dell’anziano inventore c’era un quaderno nero. Con scaltrezza sostituì il vero death note che aveva tra le dita con la falsa copia appena recuperata dal corpo di Watari. Lo scambio fu pulito, perfetto. Nessuna telecamera avrebbe mai potuto dimostrare che era avvenuto. Wedy era una ladra eccezionale...
Quindi , dopo aver accuratamente occultato il vero quaderno nel panciotto di Wammy, accarezzò con dolcezza il capo del gentile inventore e lentamente tornò col death note falso nella stanza in cui Light, all’oscuro di tutto e pienamente calato nella parte, si mostrava sconvolto per la morte del grande detective, che sosteneva ancora.
Rem, nel trambusto generale, continuava immobile a guardare il corpo di Elle nelle braccia di Kira, come pietrificata.
Leggo ancora le durata vitale sopra la sua testa!!
Non è morto!!
È un bluff…
Cosa diavolo ha in mente?
Bada bene, Elle… Hai molte più informazioni di quante non ne abbia Light. E non posso che continuare a fidarmi di te, perché sono certa che metterai comunque Light nel sacco, visto tutto ciò che sai e visto che lui non si aspetta minimamente di quante cose tu sia veramente a conoscenza…
Ma bada bene a ciò che fai, Elle…
Bada bene a non ingannarmi!

Quando le due ambulanze arrivarono, i finti paramedici ingaggiati da Aiber, abili truffatori professionisti che non facevano domande se ben pagati, constatarono in quattro e quattr’otto la morte e caricarono sulle loro vetture i due corpi dal volto già accuratamente coperto, nel triste silenzio di tutti.
Il loro compito era quello di guidare le ambulanze fino al parcheggio dell’aeroporto internazionale di Narita, Tokyo, di parcheggiarle lì e di andarsene, senza fare altro.
Dopo circa tre ore Watari ed Elle si risvegliarono da quella morte apparente.
In silenzio e completamente soli aprirono dall’interno i portelloni delle rispettive ambulanze. Si guardarono.
Elle attese che Watari ne uscisse e rimase lì, seduto rannicchiato ad aspettare. Wammy, con una certa spossatezza nelle membra, si sistemò gli abiti gualciti e con calma si diresse verso il deposito bagagli del grande aeroporto di Tokyo. Lì, aprì l’armadietto che aveva affittato, sicuro che nessuno sarebbe stato attratto dal suo contenuto: un quaderno nero, fogli di carta bianca a righe e un paio di scarpe da ginnastica, vecchie e consumate. Il quaderno naturalmente era il secondo death note, quello che lui stesso aveva disseppellito dal bosco poco tempo prima e che anche era stato sostituito con una copia identica, perché Light, quando sarebbe andato a recuperarlo, credesse di dissotterrare quello vero. I fogli erano appartenuti a Misa e Wammy li aveva trafugati e sostituiti dal suo appartamento, mentre lei e Ryuk erano altrove. Per quanto riguardava il frammento di quaderno che Light teneva nello scomparto del suo cronografo, Ryuzaki aveva ritenuto più saggio non rischiarne il recupero e bluffare con Kira al momento dell’arresto. Anche perché il frammento di vero quaderno nell’orologio sarebbe stata a posteriori una prova schiacciante, della quale non c’era in realtà bisogno, vista la valanga di accuse e prove che Elle avrebbe fornito, ma che comunque avrebbe potuto fare comodo.
Quindi Watari ritornò nel parcheggio, diede le scarpe ad Elle, che le infilò come sempre a mo’ di ciabatta.
E poi, con calma, raggiunsero insieme il gate da cui sarebbe partito il loro jet privato diretto ad Honolulu, nello Stato delle Hawaii, dove li aspettava l’ultimo atto di quella rischiosa e colossale sceneggiata…
 
 


 
Ehm…
Inizia a tornare qualcosa?
Lo spero con tutta me stessa…
E spero che col seguito tutti ritorni a posto in modo chiaro (sì, lo so, le mie ansie deliranti sono tristemente sempre le stesse, ma abbiate pietà di una povera ragazza che si sta squagliando dal caldo, che non riesce ancora ad andare in vacanza, che è più bianca di Elle e che quando ha un momento libero non riesce a fare altro che dormire… sigh…)
Immagino che immedesimarsi nella giornata fredda di dicembre in cui Emma arriva alla Wammy’s House sia difficile, anzi, impossibile… Per fortuna scrissi il capitolo un paio di mesi fa, in un giorno di pioggia, ma oggi a rileggerlo non riuscivo proprio a vederlo, quel cielo bianco, e il solo pensiero della lana del cappotto di Emma mi ha fatto venire l’orticaria… Quindi già so che c’è un punto in meno per questa cronologia sfasata ^_-
Spero che la parte introspettiva iniziale, magari un po’ troppo lunghetta (o_O), sia compensata da quella di “azione, chiamiamola così, della seconda parte. Spero così di essere andata incontro ai gusti di tutti…
Per non parlar dell'ennesima incursione nei pensieri di Rem... Di L e del suo piano... Ansiaaaaaaaaaaaaaaaa!! va be', basta così ^_^
Come il solito disco rotto mi scuso per il ritardo delle risposte alle recensioni che mi avete lasciato al capitolo scorso… Veramente, sono mortificata… Arrancando sono riuscita a portarmi un po’ avanti nelle risposte, ma questo week-end non ci sono stata… Però venerdì dovrei consegnare parte di uno dei miei due lavori e magari poi finalmente potrò mandare a quel paese qualcuno e mi potrò dedicare un po’ di più a me e a EFP!!
Molti di voi saranno in vacanza, magari a quest’ora staranno facendo un bel bagnetto pomeridiano… Divertitevi e rilassatevi tantoooooooooooo ^___^
Non so ancora bene quando partirò, né se nelle varie peregrinazioni avrò una connessione (da qualche parte dovrò pure averla!) quindi per il momento dico solo che mi porterò dietro i prossimi capitoli della storia e il pc portatile, senza promettere nulla e conscia del fatto che questo capitolo finisce moooolto a metà, a metà di tutto… (be’…poi c’è la mia vocina interiore che mi dice: Eru, ma chi vuoi che ci sia a seguirti anche in pieno Agosto??!!! +__+)
 
Ringrazio quelli che sono stati qui davanti al pc a leggermi (con questo caldo io soffro parecchio davanti al monitor…) e coloro che leggeranno questo capitolo quando torneranno dai loro viaggi estivi :D
 
Adesso vado a rispondere a qualcuno... ^_^
 
Vi auguro buone vacanze e a presto su questi lidi!!! (senza previsioni di giorni, come vi ho già accennato, ma con tanta speranza e buona volontà da parte mia ^^ Non potrà comunque passare tanto tempo, anche perché come sapete la storia e già scritta ;D)
 
 
Eru

   
 
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