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Autore: Aqua24    31/07/2013    1 recensioni
NB: Storia ferma e incompleta.
Lei mi guardò con una nota di rimprovero negli occhi: "Sei una stupida."
Sorrisi.
"E tu sei bellissima."
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Noemi.
 
6.
 
Non ero pronta per quello.
Marilisa stringeva forte il mio polso, come per reggersi e non cadere.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Perché le avevo risposto in quel modo?
Non lo so.
 
Cazzo.
 
Aveva scelto il braccio sbagliato da scoprire.
Guardai timidamente Mari, mentre cercava di articolare le parole, perdendo fiato e perdendo il tempo, boccheggiando, con le guance rigate di lacrime che in quell'istante mi parvero dense, come lacrime di sangue.
Continuava a chiedermi perché, a dire se faceva male, diceva che serviva del disinfettante e delle garze, si guardava intorno freneticamente.
Mi lasciò il polso e si allontanò, aprendo quelli che sembravano mille armadietti, cercando solo lei sapeva cosa.
 
Le orecchie mi fischiarono mentre intorno il mondo abbassava il volume.
Mi sembrava di stare in una bolla.
Non lo negherò, ero triste. La mia copertura era saltata miseramente nel giro di pochi giorni.
Il sorriso non serviva più, perché avevo tradito la promessa fatta a me stessa.
Ora Marilisa sapeva il mio segreto e le mie idee, quando invece non doveva andare così.
Per quello mi rinchiusi nella mia bolla, chiudendo il mondo fuori.
 
Marilisa era più piccola di me.
Anche se solo di qualche mese, io l'avevo sempre vista come una bambina.
Avevo giurato a me stessa, tempo fa, di proteggerla da qualsiasi male avesse potuto infliggerla.
Avevo giurato che mai le avrei fatto del male io stessa.
 
E avevo fallito, ancora, miseramente.

Le avevo addossato per mesi e mesi i miei dolori, senza pensare ai suoi, senza pensare al meglio per lei.
Le avevo addossato responsabilità enormi, che lei non doveva avere sulle spalle.
Mi diceva sempre che potevo contare su di lei, ma non era così.
Io, quasi sedicenne, mi vedevo passar via la vita di fronte agli occhi.
Crescevo troppo velocemente, non mi godevo i miei anni, pensavo al peggio, odiavo un po' tutto e un po' tutti.
Lei no, lei non doveva.
Lei non avrebbe dovuto crescere in fretta.
Lei avrebbe dovuto godersi i suoi pieni quindici anni, avrebbe dovuto assaporare felicemente un gelato in estate senza pensare di ingrassare e diventare brutta, avrebbe dovuto guardarsi allo specchio e sorridere, avrebbe dovuto non piangere mai.
 
E io. Io avrei dovuto solo tenerle la mano, accantonare il dolore, le menzogne, il buio.
Invece ce la tiravo dentro con forza, mentre lei cercava di tirarmici fuori.
 
In quel momento, lo vidi: risucchiate insieme nel buio più totale.
Avevo fallito.
 
Fallito.
Fallita.
Fallimento.
Egoista.
Incompetente.
Stupida.
Immatura.
Non andrai da nessuna parte.
Rovini la vita alle persone.
Rovina la tua.
Fatti del male.
Piangi.
E' quello che ti meriti.
 
Crollai a terra, con le parole che mi echeggiavano nella testa, avrei voluto gridare fino a farmi andare via la voce.
Invece rimase in ginocchio, con la testa fra le mani.
Piansi, Dio quanto piansi, mentre Marilisa cercava disperatamente di tirarmi su, di stringermi a lei.
 
La spinsi via, trascinandomi in un angolo della cucina.
Non volevo più nessuno accanto, non sapevo prendermi cura delle persone. Non sapevo prendermi cura neanche di me stessa.
 
"Noe..."
 
Mormorò lei.
Alzai il viso, con i capelli attaccati alla fronte per il sudore, alle guance per le lacrime, e alle labbra appena socchiuse.
La guardai con gli occhi che speravo le raccontassero tutta la storia per me, ma lei ammutolita mi guardava dall'alto senza capire.
 
Aveva il viso rosso, gli occhi da bambina spaventata ancora pieni di lacrime che scendevano lente, le labbra che tremavano come tutto il resto del suo corpo.
Principalmente era lei la ragione per cui ancora lottavo, per il suo viso rotondo, e gli occhi neri che parlavano da soli.
Ma non avrei mai sopportato vederla star male come era stata male in quel momento.
 
Mi alzai in piedi, leggermente rintronata.
Gli occhi bruciavano come se qualcuno ci avesse infilato due fiammiferi accesi.
Mi abbassai la manica del maglioncino e guardai la cucina. 
La farina, la pastafrolla e il mattarello erano a terra, come decine e decine di medicinali.
Una boccetta di vetro si era rotta, e il liquido marroncino si disperdeva per le mattonelle.
 
Sembrava che un uragano avesse appena attraversato la cucina, e invece eravamo state noi in un attacco di panico.
Lei, più che me. Io ero... io... non lo so.
 
"Che fai?"
 
Mi chiese con un filo di voce quando mi rimisi addosso il cappotto, la sciarpa e il cappello.
Non riuscii a risponderle.
Sentivo la voce morta impiccata fra le corde vocali.
 
Una visione un po' lugubre.
 
Mari mi fermò, prendendomi un lembo del cappotto mentre facevo per uscire.
 
"Forse..." Cominciai con la voce rauca.
 
Non so poi cosa successe esattamente, ma lei mollò la presa, senza staccare gli occhi dai miei.
La mollò lentamente, come se qualcuno l'avesse messa in slow motion.
 
Chiunque stesse giocando con le nostre vite, rallentandole e accellerandole, rovinandole, ricostruendole e rovinandole nuovamente, era solo un sadico di merda.
Ma quale Dio, quale Gesù, quale religione.
Quando due quindicenni cadono in un baratro senza apparente ritorno, in chi bisogna credere?
Ma anche quando un bambino muore di tumore, un padre di famiglia muore sul lavoro, una nonna piena di energie se ne va...
 
Corsi giù per le scale, senza salutarla.
Scesi in strada mentre la neve cadeva ancora copiosamente e la nebbia ricopriva l'orizzonte.
Non so precisamente perché stavo correndo, né dove stavo andando.
Volevo solo fuggire un po', quanto bastasse per riordinare i pensieri che ancora vorticavano vertiginosamente nella mia testa.
Mi gettai a terra qualche isolato più lontano da casa di Marilisa.
 
Nella tasca del cappotto avevo ancora un pacchetto di sigarette, con mia sfortuna solo tre all'interno.
Le fumai una dietro l'altra, dovendo poi fare i conti con un forte mal di testa e respiro pesante.
 
Arrivata a casa mi buttai sul letto, senza salutare nessuno, con ancora addosso il cappotto pieno di neve. 
Sentii il cellulare vibrare, ma non avevo la forza di prenderlo. Non avevo la forza di fare niente.
Squillò per circa mezz'ora, quando decisi di rispondere.
 
"Noemi, dannazione, perché non hai risposto?" La voce di mio padre traboccava di rabbia e dolore.
"Scusa." Mormorai.
"Scusa un cazzo." Rimasi in silenzio, ascoltando per quelli che sembrarono secoli le grida arrabbiate di papà, che preferisco non riportare. Poi il silenzio, che si ruppe in un suo sospiro. "Nonna se ne è andata, io e mamma torniamo tardi. Buonanotte."
Agganciò.
 
Tremante mi alzai a sedere, appoggiando il telefono sul comodino. Scossi velocemente la testa mentre le lacrime riprendevano a scendere di nuovo.
In quel momento, mentre nella mia mente continuavo a ripetermi che fosse tutto un brutto sogno, che non era possibile che nonna se ne fosse andata, mi accorsi di quanto silenziosa fosse la mia casa.
Mi accorsi che l'unico rumore erano gli spifferi del vento che trapassava le finestre mezze rotte del salone.
Continuai a piangere, pentendomi di non aver fatto visita a mia nonna prima, a quell'anziana donna che era stata come una seconda madre, che non si smentiva mai, che aveva ancora la forza per portare tre buste della spesa per tre piani.
Mi sdraiai sul letto, cercando di non pensarci, cercando di guardare il lato positivo. Non soffriva più, almeno lei, non soffriva più.
 
Avrei voluto non soffrire più nemmeno io.
Avrei voluto gettarmi giù dalla finestra in quel preciso istante.
Poi ricordai il viso di Marilisa, e avrei avuto voglia di picchiarmi da sola per le scemenze che andavo pensando.
 
Decisi di chiamarla, ma lei non rispose, così le lasciai un messaggio in segreteria, sperando che prima o poi l'avesse sentito:
 
"Scusami..."
  
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