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Autore: Dama Grigia    10/08/2013    2 recensioni
Severus Piton non ha l'unico problema di dover uccidere Albus. Una seconda spiacevole missione gli si para davanti: rapire Sibilla Cooman. Dovrà farlo, perchè il Signore Oscuro glielo chiede. Per il Bene Superiore, non può tirarsi indietro. Tutto quello che può fare è evitarle le torture di Villa Malfoy tenendola segregata in casa propria, a Spinner's End.
La convivenza, già di per sé difficile, è complicata dalla presenza di Peter Minus.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Sibilla Cooman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Peter fece ritorno a Spinner’s End la mattina successiva.
Entrò in casa come un ladro, salvo lanciare uno stridulo grido nel trovarsi faccia a faccia con Severus. Quest’ultimo lo osservò, disgustato dalle innumerevoli tracce di una notte di bagordi a Nocturne Alley, ma alla fine si fece da parte e gli permise di sgattaiolare fino alla sua branda. Sibilla non si era ancora svegliata, sebbene i singhiozzi sommessi udibili accostando l’orecchio alla porta suggerissero che non avesse mai preso sonno. Ad ogni modo, non aveva ancora messo il naso fuori da quella stanza. 
Gettò un’occhiata distratta alla pendola. Quasi le nove.
Dannazione, non poteva perdere tempo. Doveva andare ad Hogwarts per parlare con Silente degli ultimi sviluppi, e degli stessi sviluppi doveva informare anche il Signore Oscuro. Peccato però che non avesse la minima intenzione di lasciare di nuovo il gatto e il topo da soli.
A quella similitudine, Severus sorrise, realizzando che in essa il gatto era rappresentato da un topo, in un certo senso. Un secondo dopo si dette dell’idiota per la sua battuta inutile quanto inopportuna, ricominciando a cercare una soluzione al suo problema.
Mandare Sibilla nelle segrete di Villa Malfoy era fuori discussione, tuttavia non poteva scacciare Minus.
Quindi, restava una sola cosa da fare.
Il suono inconfondibile di una materializzazione rese noto a Severus che la sua soluzione era appena giunta.
“Grazie per aver fatto così presto, Naye. Seguimi.”
Disse alla nuova arrivata, per poi raggiungere la stanza di Sibilla e bussare, tre colpi ben scanditi.
“Sei sveglia?”
Silenzio.
“Posso entrare?”
Ancora nulla. Il mago decise di essere più drastico.
“Io starò via tutta la mattina.”
Di colpo udì chiaramente la donna precipitarsi in direzione della porta e aprirla quel tanto che bastava per mettere fuori la testa. Era impossibile non notare gli aloni scuri sotto gli occhi arrossati.
“Te ne vai? E quello?”
“Minus resterà a casa. Dal momento che ho promesso di tenerti al sicuro, e non ho intenzione di venire meno a tale impegno, ho deciso di delegare il mantenimento della tua sicurezza in mia assenza a qualcuno di cui so di potermi fidare.”
Ciò detto si spostò di lato, rivelando la presenza dietro di sé. 
“Lei è Naye.”
“Tu hai un elfa domestica?”
Chiese Sibilla, senza riuscire a nascondere la sorpresa, aprendo di più la porta.
“Evidentemente. Naye,” aggiunse poi rivolto alla diretta interessata “questa è la donna di cui ti ho scritto nella lettera. Come anticipato, il tuo compito è quello di proteggerla in mia assenza, in particolar modo da Codaliscia. Non credo che azzarderà un secondo tentativo, ma le ho fatto una promessa e non voglio correre rischi. Fai quanto in tuo potere per renderle questo soggiorno forzato quantomeno sopportabile.” 
Detto ciò tornò a rivolgersi alla collega.
“Sibilla, io sto andando da Lui per comunicargli la tua decisione. Se hai ripensamenti, dillo adesso e forse la tua morte per mano dell’Oscuro sarà un po’ meno dolorosa.”
Le spiegò seccamente. Non voleva spaventarla, o almeno non per il gusto di farlo. Voleva solo che fosse consapevole di cosa significasse rifiutarsi a Lord Voldemort.
“Dunque?”
Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo.
“No, abbiamo un patto, giusto? Tu stai facendo la tua parte, così come io farò la mia.”
Mormorò.
“Ottima decisione.” Convenne lui. “Tornerò appena posso, Naye.” Si congedò poi. Attraversò il corridoio che lo separava dall’ingresso e uscì, silenzioso come suo solito.
L’elfa si voltò sorridente verso la donna.
“Ehm, piacere … come hai detto di chiamarti?”
“La professoressa signora non si ricorda di Naye, ma Naye si ricorda di lei.” Rispose l’altra.
“Oh? In che occasione ci siamo incontrate?”
Fece Sibilla. In effetti aveva qualcosa di familiare, ma per lei gli elfi domestici si somigliavano un po’ tutti.
“Naye è tra gli elfi che le portano i pasti nella sua torre, professoressa, signora.”
La Veggente si sentì improvvisamente imbarazzata. Sapeva, da quanto le aveva detto Silente, che un gruppetto di una decina di elfi era adibito a portarle i pasti. Si davano il cambio.
Appena dieci, sempre i soliti per quindici anni, eppure non l’aveva riconosciuta. Doveva ammetterlo, non aveva mai dato loro importanza: considerava inferiori a lei i suoi colleghi, figurarsi quelle creature bruttine e coperte di stracci. 
Era stata una presuntuosa, a dir poco, e ora se ne rendeva conto.
“Credevo fossi l’elfa domestica di Se -ehm- del professor Piton.”
“Naye lo è, infatti.” Confermò l’altra.
“Per quale ragione lavori ad Hogwarts, allora?”
“Professoressa signora, è una storia lunga.”
“Se c’è una cosa che non mi manca è il tempo, cara.”
“Naye non sa se può raccontare.”
“Ti è stato vietato?”
“Non espressamente,professoressa signora. Ma Naye crede che al Padrone non farebbe piacere.”
“Se non te l’ha vietato puoi parlare. Non lo saprà mai da me, parola.”
L’elfa parve dubbiosa, ma alla fine, tormentandosi le mani, annuì. 
“Avanti allora!” La spronò Sibilla, a cui la curiosità pareva aver fatto dimenticare temporaneamente la brutta esperienza della sera prima.
“Naye aveva un altro padrone, una volta. Padron Lennis, si chiamava. La professoressa signora conosce la vita di noi elfi, dobbiamo servire i maghi. Qualcuno si chiede se agli elfi questo vada bene, se desideriamo la libertà. Naye la desiderava quando viveva con Padron Lennis, o almeno lo credeva. Il Padrone era crudele, ora posso dirlo perché non gli appartengo più. Costringeva Naye a punirsi, anche se faceva quanto richiesto, e lo faceva bene. Naye è ancora piena di cicatrici.” 
Tese automaticamente le mani a mostrare i segni della crudeltà usatale dal suo primo padrone: bruciature, tagli, abrasioni raggiungevano l’altezza del gomito.
“Oh, ma è orrendo, mia cara!”
Naye si ritrasse. Non era abituata a quell’appellativo.
“Prosegui, ti prego.”
“Un giorno Padron Lennis dovette scappare via. Faceva cose illegali, il Padrone, cose che non andavano bene al Ministero, e quando fu scoperto fece le valigie. 
Prese l’essenziale, lasciandosi alle spalle ciò che non gli serviva: i mobili, le pozioni, i cani.
E Naye.”
“Ti abbandonò?”
“Stava andando via. Guardò Naye come distratto, come una fastidiosa moscaccia, poi gettò alla sua elfa che lo supplicava di non lasciarla lì un vecchio guanto. Disse che adesso Naye non era più un suo problema. Naye non l’ha mai più visto.”
“Quindi eri libera, finalmente! Come sei finita nelle mani di Severus, dopo aver ottenuto la libertà che tanto volevi, mia cara?”
La piccola narratrice deglutì, sull’orlo delle lacrime. Gli elfi erano creature piuttosto deboli dal punto di vista emotivo, per quanto potenti nelle arti magiche. Forse era stato questo a facilitare la loro sottomissione ai maghi. 
“Vieni con me.” Le disse la donna, per poi raggiungere la cucina. Aprì sportelli e cassetti per un minuto buono, ma alla fine trovò sia la teiera che le foglie per l’infuso. Mise a bollire l’acqua, aspettando in silenzio che l’elfa si calmasse. 
Quando il tè fu finalmente pronto, ne versò due tazze e ne porse una a Naye, che sussultò. Evidentemente non si aspettava che la bevanda fosse stata preparata per lei.
Un paio di sorsi furono sufficienti a rimetterla in sesto.
“Una buona tazza di tè ha un effetto rigenerante, ho una certa esperienza in fatto di infusi.” Non poté evitare di vantarsi la strega.
“Avanti, finisci di raccontare.”
“Naye era contenta. Aveva la libertà. Ma Naye era un elfa domestica, professoressa signora. Naye era nata e cresciuta con lo scopo di servire padron Lennis, e la libertà significò non sapere dove andare, cosa fare, a chi fare riferimento. Naye ricorda di avere camminato tanto, era così stanca, e alla fine si gettò in terra. Poi niente.”
“Sei svenuta?”
“Naye crede di sì.”
“Che altro ricordi?”
“Solo che quando ha aperto gli occhi, Naye era distesa su un cuscino, accanto a un caminetto. Questa povera elfa non sapeva né dov’era, né come ci era finita. Aspettò, forse un ora, ferma, perché era troppo debole per smaterializzarsi e scappare via. Alla fine entrò un uomo nella stanza. Aveva gli occhi incollati a un libro, si sedette su una poltrona e continuò a leggere assorto. Naye aveva paura, perché quell’uomo era vestito tutto di nero, e non si era nemmeno accorto di lei. Poi i suoi occhi cambiarono espressione, come se tornassero alla realtà dopo essersi persi nella lettura, e lui alzò la testa di scatto. Naye se lo ricorda ancora, quello sguardo, professoressa. Lui chiese a Naye come stesse. Era freddo, non di temperatura, di modi. Ma tenne Naye con sé fino al giorno in cui lei fu guarita. Allora disse che poteva andare via. Ma Naye, oh, Naye lo pregò tanto. Disse che gli era debitrice, che sarebbe stata la sua elfa, ma lui non voleva, non ne aveva bisogno. Allora Naye, sciagurata, raccontò la sua storia, anche se lui non l’aveva chiesto, e non voleva nemmeno saperla. Naye poi si è punita per questo, perché non doveva farlo. Alla fine, lui disse a Naye:
-Perché diamine mi hai detto tutto questo? Ora dovrò tenerti. Immagino che crolleresti di nuovo se ti cacciassi. Dannata elfa. Ripetimi un po’ come ti chiami?
Quella fu la prima e ultima volta che padron Severus alzò la voce con Naye.
Lei non si è mai più dovuta punire, da allora, nemmeno una volta. Per un po’ è rimasta con padron Severus, ma un giorno lui le propose di lavorare ad Hogwarts, rimanendo pur sempre al suo servizio.”
“Quindi,” la interruppe Sibilla, “tu sei l’elfa domestica di Severus, ma lavori ad Hogwarts?”
“Sì, almeno nei mesi in cui anche padron Severus è là. In estate Naye torna qui, a Spinner’s end, ma quest’anno no. Perché c’è l’altro, e padron Severus dice che ci pensa lui a fare le faccende. Dice anche che almeno si diverte a dare ordini a lui, al contrario che con me.
Così, Naye sta ad Hogwarts, e se padron Severus ha bisogno le manda un messaggio via gufo, come stamattina.”
“Un messaggio? Perché non ti chiama semplicemente, come si fa di solito?”
“Padron Severus l’ha spiegato, una volta. Dice che preferisce così, perché schioccare semplicemente le dita si fa con i cani. Invece mandare un messaggio è più … umano, questa è la parola che ha usato, professoressa signora.”
Terminò.
Sibilla rimase in silenzio a fissarla. Quello. Quello era il Severus che conosceva, o che credeva di conoscere. Intelligente. Giusto (eccetto quando si trattava di assegnare punti alle case). Magari era introverso, freddo. Diciamo pure glaciale, quando voleva. Ma molto … umano, per usare le sue stesse parole. 
Un profilo che si distaccava dall’idea di Mangiamorte. 
Istintivamente, Sibilla sorrise. Forse, dopotutto, l’uomo che amava esisteva davvero, non era solo un inganno, un  ricamo della sua fantasia.
“Naye?”
“Sì?”
“Chiamami Sibilla, per favore.”
“Come desidera, professoressa signora.”
   
 
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