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Autore: andromedashepard    20/08/2013    5 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“I took the stars from my eyes, and then I made a map
 
And knew that somehow I could find my way back
 
Then I heard your heart beating, you were in the darkness too
 
So I stayed in the darkness with you”

 (Florence + The Machine, "Cosmic Love")

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L’ora di pranzo era passata già da un po’ quando Shepard finalmente decise di accantonare la pila di datapad alla quale stava lavorando per raggiungere l’equipaggio in sala mensa. Erano state quattro ore di totale disconnessione dal mondo, dove aveva addirittura fatto alcune ricerche di carattere tecnico su Extranet per capire come i nuovi giunti FBA rendessero il lavoro dell’ingegnere Daniels meno macchinoso, argomenti che di solito preferiva lasciare all’attenzione altrui, ma non quel giorno. Quel giorno avrebbe fatto qualunque cosa pur di distrarsi. L’idea di saltare totalmente il pranzo la allettava parecchio, ma il suo stomaco da biotico, abituato alle 4000 calorie giornaliere, aveva dimostrato tramite vari brontolii di non essere affatto d’accordo, e chiedere a qualcuno di portarle da mangiare avrebbe sollevato parecchie domande, per non parlare del fatto che aveva esplicitamente chiesto a Thane di unirsi al resto dell’equipaggio per quell’occasione. Tirò un lungo sospiro e uscì in fretta dalla cabina, prima che potesse anche solo riconsiderare l’idea di fare marcia indietro. Si aspettava una certa tensione nell’aria, ma non era nulla in confronto a quello che sarebbe successo.
 
A volte le cose più spiacevoli capitano per caso, soprattutto nei momenti in cui si abbassa la guardia e si viene colti alla sprovvista, totalmente impreparati. Shepard pensava ancora a quei giunti quando uscì dall’ascensore e si avviò a passo spedito verso la sala mensa, abbassando la schermata del factotum con una mano, accorgendosi troppo tardi che era appena stata affiancata da Thane e che adesso tutto l’equipaggio li guardava come se avessero appena visto due fantasmi. Realizzò in una frazione di secondo che dovevano aver frainteso totalmente la situazione. “No, non siamo stati insieme e non veniamo dalla stessa direzione”, avrebbe voluto urlare in faccia a Garrus che stava per perdere entrambe le mandibole. Jack rischiò di strozzarsi con l’acqua e a Kasumi fu impossibile nascondere un sorrisino compiaciuto sotto il cappuccio. Miranda e Jacob si affrettarono a guardare altrove, come se avessero appena visto qualcosa di indecente, e Mordin tossì un paio di volte mentre la Chakwas si schiariva la voce, attenta a non incrociare lo sguardo di Grunt. Gli unici a mantenere un certo ritegno furono Zaeed, Samara e Tali, ma quest’ultima, Shepard poteva giurarci, solo perché protetta da un casco schermato. Le sembrò di essere rimasta lì ferma e impalata per troppo tempo quando finalmente decise di affrontare l’imbarazzo e si sedette accanto alla ladra, rischiando oltretutto di cadere in malo modo sulla sedia. Quando anche Thane prese posto accanto a Samara, dall’altra parte del tavolo, sembrò che tutto fosse tornato alla normalità e Shepard si accorse che qualcuno aveva già procurato un vassoio anche per lei.
“Non c’era molta scelta oggi”, bisbigliò Kasumi indicando il piatto. “Spero non ti dispiaccia se ho preso da mangiare anche per te”.
“Cos’è tutta questa roba? Neanche fossi un Krogan…”, si lasciò andare lei, sorridendo.
“Ho pensato che dopo la sbronza, sai…”, rispose Kasumi, abbassando la voce di altri due toni. Shepard arrossì e fece finta di nulla, impugnando le posate prima di avventarsi su una delle tre bistecche che troneggiavano sul piatto. Ben presto il solito brusio fu sostituito dalle chiacchiere snervanti di Mordin, dalla risata sguaiata di Jack e dai versi selvaggi di Grunt, e Shepard poté tirare un sospiro di sollievo. “Mai più”, pensò fra sé e sé, scuotendo lievemente il capo.
 
 
 
A quel punto c’era davvero poco da girarci intorno. Shepard ringraziò mentalmente di non trovarsi su una nave dell’Alleanza soggetta a rigidi protocolli formali e si fermò ad osservare il cielo al di là dell’oblò, preparandosi alla notte. Si girava e rigirava tra le lenzuola scandendo il tempo con sospiri regolari che segnalavano una nuova scarica di pensieri e preoccupazioni, ultimo dei quali riguardava proprio la spiacevole situazione che si era venuta a creare. Era stata troppo ingenua, la sera prima, a sperare che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza unita a quella di Thane, soprattutto dopo che Joker e Garrus, beh… No, non osava immaginare quale pensiero avesse potuto attraversare le loro menti. Era sicura che Joker avesse tratto le conclusioni più ovvie, senza neanche farsi troppe domande, e Garrus avesse evitato direttamente di pensarci, ripetendosi che non erano affari suoi. Ma perché a lei importava così tanto? Era il dannato Comandante Shepard e per quanto sapesse di doversi preoccupare di mantenere un atteggiamento decoroso e un modello comportamentale impeccabile, quello che era successo non poteva nuocere a nessuno in alcun modo. Eppure lei provava qualcosa di molto simile al senso di colpa, quasi come se avesse commesso un omicidio a sangue freddo. Kelly probabilmente le avrebbe spiegato che si trattava di meccanismo inconscio di rifiuto. Altre volte si era sentita ripetere dalla psicologa di bordo “Shepard, il mio consiglio è uno solo: devi amarti un po’ di più. Tu fai troppo per gli altri e ti privi di troppe cose per te stessa, finirai per autodistruggerti”. Era vero, doveva riconoscerlo. La sera precedente era stata la prima volta, dopo il progetto Lazarus, in cui si era sentita davvero felice; più che felice, semplicemente normale. Una donna normale che trae piacere da una conversazione spensierata, che riesce a ridere senza farsi trascinare a fondo dalle ansie, una donna che si sente protetta dalle braccia di un uomo. Lei, che non aveva mai chiesto a nessuno di prendersi cura della sua persona, si era sentita di nuovo fragile e invincibile per la prima volta dopo tanto, troppo tempo. Le fu inevitabile ripensare a Kaidan, a quella storia che era nata e si era consumata in breve tempo a bordo della prima Normandy, quando una parte di lei credeva ancora al concetto di eternità, quando esisteva ancora una patina d’illusione ad avvolgere le loro vite e la morte era solo una silenziosa compagna sempre troppo ignorata, tanto da non venire mai presa in considerazione.
I primi periodi dopo il brusco risveglio in quella base di Cerberus erano stati i peggiori. Chissà per quale motivo, aveva immaginato, o forse solo sperato, di trovare i vecchi compagni accanto a sé, Kaidan a stringerle le mano ed ad aiutarla ad alzarsi dal lettino, un viso conosciuto pronto a spiegarle perché i suoi ultimi ricordi la vedessero lottare contro l’assenza di ossigeno nel vuoto cosmico e invece adesso sentisse l’aria affluire all’interno dei polmoni, come dopo una lunga apnea. Col tempo, e soprattutto dopo Horizon, aveva imparato a fare i conti con quella realtà nuova che le era stata imposta, e aveva iniziato a cercare un appiglio altrove, ripetendosi che perdere l’affetto di una persona cara non poteva essere la fine del mondo, non adesso che il suo mondo era ricominciato da zero. Ma quello che aveva provato con Thane era un’incognita inspiegabile.
Perché lui? Perché adesso? E’ solo una mia debolezza?
“EDI, mettimi in contatto con Garrus”, disse di botto, quasi senza distinguere la propria voce fisica da quella che aleggiava nella sua mente. Dopo pochi istanti il Turian rispose con una punta di scocciatura nel tono. “Shepard, che succede? Sono le tre di notte…”
“Vuoi che non lo sappia?”, fece lei, “Sapevo di trovarti sveglio”.
“Mi conosci troppo bene… e questo è un punto a mio sfavore”, si lamentò lui.
“Non fare il prezioso con me. Se ogni tanto non ti rompessi le scatole inizieresti a parlare col Thanix”, sorrise lei, “ammesso che tu non lo faccia già”.
Garrus sospirò e decise di stare al gioco. “Mi arrendo. Volevi dirmi qualcosa o semplicemente fare quattro chiacchiere con un altro insonne?”
Shepard realizzò che non aveva minimamente idea di cosa volesse davvero da lui, pur essendo consapevole di ciò che inconsciamente sperasse di ottenere. Comprensione, forse… ma davvero aveva creduto di ottenerla da Garrus? Un Turian, di sesso maschile oltretutto, e impacciato com’era, poi.
Al diavolo…
“Volevo parlarti di…”, si bloccò improvvisamente, ricacciando indietro un flusso di parole che non credeva di stare per pronunciare davvero. “…di quei giunti FBA”, concluse, dandosi dell’imbecille. Seguì una lunga pausa che contribuì solo ad accrescere il suo disagio.
“Shepard, sputa il rospo. Lo so dove vuoi andare a parare… Mi scuso in anticipo, ma eravamo tutti troppo su di giri ieri e…”
“Di che stai parlando?”
“Lo so che vuoi le mie scuse formali, te le invierò in allegato con tanto di firma digitale se è questo quello che desideri”.
“Scuse? Ma per cosa? E poi… mi fai davvero così subdola?”, domandò lei alterata. Aveva appena capito di aver fatto un gigantesco buco nell’acqua.
“Ieri sera, io e Joker”, rispose lui scocciato e rassegnato allo stesso tempo. “Neanche ricordo bene…”
“Vedo che hai una bella opinione di me. Ti ho chiamato solo per fare due chiacchiere, non per estorcerti una confessione”, replicò lei, mantenendo un tono di voce leggero per evitare di sembrare più offesa di quanto non fosse. Garrus cadde ancora una volta nel silenzio e Shepard se lo immaginò a torcersi le mani nel più completo imbarazzo. “No, hai ragione”, disse, “sono partito in quarta come al solito. Ma sai come sono fatto… questi discorsi non fanno per me. Tali però… ecco, parla con lei. Si lamenta sempre di non passare mai del tempo col suo Comandante e poi le farebbe bene distrarsi, dopo la faccenda dell’Alarei…”
Shepard non riuscì a trattenere una piccola risata. Quel Turian sapeva sempre come uscire di scena con stile ed in effetti non aveva tutti i torti riguardo a Tali. Si era assicurata che stesse bene,  avevano parlato, ma poi una missione aveva seguito l’altra e la stanchezza aveva prevalso su tutto. “Ricevuto, Vakarian”, sospirò mestamente. “Torno a dormire, e ti consiglio di fare lo stesso, domani potremmo dover tornare in azione”.
“Agli ordini”, esclamò lui, risollevato. “E… per quanto banale possa suonare, Shepard… io, beh, sono con te”. Shepard sorrise e, per evitare un’altra ondata d’imbarazzo, chiuse la chiamata e dopo poco riuscì miracolosamente ad addormentarsi.
 
 
 
Thane non era mai stato una persona invidiosa. Sin da piccolo, quando i suoi genitori avevano deciso di onorare il Contratto e affidarlo agli Hanar, aveva sviluppato la forte convinzione che ognuno ha ciò che merita e desiderare di più sarebbe stato l’equivalente di oltraggiare gli dei. Le sue credenze religiose, che affondavano le radici nella cultura millenaria del suo popolo, in minima parte gli erano state tramandate dalla famiglia, ma il ruolo più importante nella sua crescita spirituale spettava al suo Maestro. Era un Drell come lui, poco più che quarantenne quando l’aveva conosciuto per la prima volta, e parecchi anni dopo la fine dell’addestramento, era venuto a sapere che aveva contratto la sindrome di Kepral. Qualche settimana dopo, Thane si era ritrovato faccia a faccia col verdetto del suo esame medico e aveva interpretato quel responso come un segno divino. Si era buttato a capofitto sul lavoro, focalizzandosi solo su ciò che sapeva fare meglio, cercando di onorare così gli insegnamenti di quel Maestro a cui sentiva di dovere tutto. Quando apprese della sua scomparsa, si rese conto di non  voler fare la stessa fine; non voleva andarsene così, nel silenzio, senza una famiglia a salutarlo per l’ultima volta… ma era ormai troppo tardi. Qualche giorno dopo, avrebbe detto addio a un’altra delle persone più care della sua vita e, insieme ad Irikah, anche alla speranza di un futuro migliore.
Non era mai stato una persona invidiosa, ma quella notte non poté fare a meno di chiedersi perché gli riuscisse così difficile uscire dalla propria cabina e andare a farsi un drink fra una chiacchierata ed un’altra, come faceva il resto dell’equipaggio nelle serate tranquille come quella. A loro bastava così poco per staccarsi da un pensiero… un dibattito sulle armi appena uscite sul mercato, un mazzo di carte da Poker, l’ultima bravata di Grunt, un commento sui tatuaggi di Jack…
E lui, invece, non riusciva a pensare ad altro che a Shepard. Erano ormai tre ore che guardava il soffitto metallico della sua cabina, senza poter, né voler trovare conforto in nessun ricordo che non avesse come oggetto quell’Umana dall’aspetto così fiero e deciso, eppure così dannatamente dolce e fragile. Aveva capito subito quanto fosse speciale, rifiutandosi tuttavia di cercare la bellezza in quel viso così diverso dal suo, ricamato da sottili cicatrici. Era stata la bellezza a trovarlo, e lui, ormai disarmato, non aveva avuto la forza di opporre resistenza. Gli si era mostrata in tutta la sua sfolgorante essenza al cospetto di Sidonis, quando aveva scorto nei suoi occhi quella purezza che solo molti anni prima aveva intravisto attraverso il mirino del suo fucile. Aveva capito chi fosse, cosa rappresentasse adesso per lui e neanche quella definizione era abbastanza quando si ritrovava a pensare a lei, a quegli occhi verdi come smeraldi, ai suoi lunghi capelli, alle sue labbra…
Era davvero troppo da sopportare, soprattutto quando non riusciva a trovare una ragione, quel dettaglio nel quadro generale che avrebbe giustificato tutto il resto.
Perché ora, perché adesso che stava morendo, perché proprio quando era riuscito a trovare un equilibrio?
E se anche lei gli avesse permesso di entrare nella sua vita, sarebbe stato un terribile errore. Non avrebbe sopportato di vederla soffrire, non poteva caricarla di un peso così grande, non in una situazione estremamente delicata come quella, dove le loro vite erano appese ad un filo e rispondevano ad un disegno più grande, più grande di ogni sentimento. Se davvero sentiva di provare qualcosa per lei, il regalo più grande che avrebbe potuto farle era risparmiarle la sua presenza. Ne era certo ormai; quel pensiero aveva lentamente preso spazio nella sua mente, fagocitando con prepotenza ogni altro desiderio egoistico. Aveva avuto più di un’occasione nella vita per essere felice e l’aveva sprecata stupidamente, convinto di avere tempo, convinto di avere il controllo. Adesso, l’unica cosa che gli restava a dargli conforto, era sapere di poter fare la differenza nella Galassia e l’aver potuto dare una seconda possibilità a Kolyat. Non meritava altro. Si addormentò cullato da quel pensiero crudele, consapevole che fosse la cosa giusta, mentre seppelliva a forza i suoi sentimenti sotto una coltre pesante fatta di rimpianti ed errori.
 
 
 
Shepard fu svegliata dalla voce di EDI che richiedeva la sua presenza sul ponte di comando. Si vestì in fretta e raggiunse Joker alla sua postazione, senza neppure concedersi il solito caffè mattutino. Erano giunti nei pressi di Zada Ban, un pianeta ricco di Eezo, apparentemente ospitabile, ma la cui atmosfera risultava contaminata da letali gas nocivi.
“Comandante, le scansioni preliminari rilevano tracce appartenenti alla genealogia Vorcha. Ritengo che ci siano buone probabilità che si tratti di mercenari appartenenti al Branco Sanguinario, coinvolti nel traffico illegale di armi. Ho individuato la loro base”, disse EDI, confermando i sospetti di Shepard che a quel punto era chiamata a decidere se lasciar perdere o approfittare della situazione nella speranza di trovare risorse utili e togliere di mezzo un po’ di feccia criminale. Dopo aver vagliato attentamente le opzioni e dato un’occhiata sommaria alle scansioni in suo possesso, decise che avrebbero raggiunto la superficie con una piccola squadra. “Un po’ di movimento non ci farà male”, aveva detto, profondamente convinta di aver bisogno di una missione come quella, adesso. “Vakarian e Krios in sala tattiche fra quindici minuti”, annunciò poi, attraverso il canale di comunicazione principale, prima di tornare in cabina a prepararsi. Se ci aveva visto giusto, avrebbe avuto semplicemente bisogno di due fucili a coprirle le spalle e di un po’ di supporto biotico. Accantonò ogni pensiero fuori luogo e si rese conto che probabilmente quella scelta l’avrebbe aiutata a riacquistare il controllo che aveva tanta paura di perdere. “Bisogna affrontarli i propri demoni, non fuggire come conigli al loro cospetto”, si ripetè mentalmente, ricordando il preciso momento in cui, anni fa, il suo istruttore l’aveva scossa per le spalle spingendola a compiere la sua prima carica biotica in campo.
 

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La navetta atterrò in un posto piuttosto lontano dalla base, per ragioni logistiche e strategiche. La base del Branco Sanguinario era scavata nella roccia, collegata alla terra ferma solo tramite formazioni rocciose troppo strette e fragili per sostenere il peso di una vettura. Shepard non aveva mai visto niente del genere. Quella struttura calcarea si trovava al di sotto di una serie di cascate che discendevano a strapiombo per alcune decine di metri. “Hanno trovato un posto molto suggestivo per darsi alla produzione di armi, questo devo concederglielo”, sorrise lei dietro il casco, lasciando la navetta. Garrus si guardò intorno con circospezione, rabbrividendo a solo pensiero di potersi ritrovare ad annaspare nel torrente che gorgogliava sotto di loro. Attraversarono il lungo ponte naturale che collegava la zona di atterraggio con la parete di fronte, prestando attenzione ad ogni passo finchè non si trovarono a costeggiare le pareti rocciose della struttura. A Shepard quel posto ricordò Sur’Kesh, pieno di vegetazione rigogliosa e un’infinità di rivoli d’acqua che si mescolavano a lunghe e robuste liane, conferendo all’ambiente tutto l’aspetto di un posto ideale dove passare le vacanze, atmosfera letale a parte. Si sentiva il frinire degli insetti in lontananza, si vedevano strane specie di uccelli vorticare nel cielo, stagliandosi contro i raggi di una luminosissima stella. C’erano persino fiori, dai colori vividi, quasi saturi… Era quasi difficile credere che togliersi il casco e respirare quell’aria avrebbe potuto ucciderli, difficile persino resistere alla tentazione di farlo.
Camminarono per una ventina di minuti in silenzio, prestando attenzione ad ogni rumore esterno, poi iniziarono a intravedere le prime casse che presentavano il simbolo di un teschio, segno che dovevano essere giunti a destinazione. L’unica pecca era che la struttura iniziava a presentare alcune problematiche per la loro strategia. Oltre che fare attenzione al fuoco nemico, avrebbero dovuto cercare di non fare una fine rovinosa cadendo dalle sottili passerelle che collegavano una zona all’altra. Shepard, che riconosceva di possedere l’agilità di un elefante, decise che non c’era modo più prudente di evitare quel problema che lanciarsi ripetutamente in cariche biotiche da un nemico all’altro, sperando che Garrus e Thane avrebbero anticipato le sue mosse togliendole di mezzo i nemici più pericolosi. Si appostarono dietro a una grossa stalagmite e diedero un’occhiata alle prime scansioni inviate prontamente da EDI. Elaborarono in fretta una strategia e si prepararono ad attaccare nello stesso momento in cui un paio di mercenari emersero dal fondo dell’ampia grotta e iniziarono a sparare. Si trattava effettivamente di Vorcha, equipaggiati con armi piuttosto rudimentali ma potenti, tra cui pericolosi lanciafiamme e fucili ad arpioni. I primi due vennero fatti fuori dai colpi del Mantis e del Viper, mentre Shepard si preparava a caricare un Vorcha al di là di uno stretto corridoio roccioso. Thane, che aveva trovato copertura dietro una cassa, trattenne il respiro quando la  vide lanciarsi contro il nemico, volando letteralmente da una piattaforma all’altra. “Si farà ammazzare”, pensò Garrus, lanciando un colpo stordente verso un altro Vorcha che si avvicinava pericolosamente a lei. Era un pensiero che gli veniva sempre in mente quando la vedeva combattere, costantemente smentito poi dagli esiti della missione. Doveva imparare a fidarsi di più, ma gli veniva difficile di fronte a uno stile di combattimento così diverso dal suo.  Ben presto la situazione diventò più complicata del previsto, i mercenari iniziarono a spuntare anche dall’alto e Shepard costituiva un bersaglio facile, sotto quel fuoco incrociato. Thane e Garrus si concentrarono ad eliminare i cecchini delle file nemiche, mentre lei si destreggiava tra una carica biotica e un lancio, scaraventando i nemici sulle rocce appuntite sottostanti, concedendosi un sorriso divertito di tanto in tanto. Non le capitava spesso di ritrovarsi a combattere in un posto come quello e traeva una certa soddisfazione nel vedere che riusciva ad avere il controllo della situazione anche quando la natura imponeva maggiore attenzione del solito. Fu allora che decise di fare una pazzia, complice una scarica d’adrenalina che le aveva attraversato il corpo dopo l’ennesima carica. Si lanciò verso una liana, afferrandola con entrambe le mani e la usò come appiglio per attraversare una fragile passerella rocciosa. Atterrò direttamente con i piedi sul nemico, strappandogli poi il fucile di mano e conficcandogli il calcio dell’arma sulla fronte, mentre sulla mano aveva già pronto un globo d’energia biotica da indirizzare a un secondo Vorcha alla sua destra. Thane e Garrus si scambiarono uno sguardo preoccupato, nascosto dalle loro protezioni visive, poi corsero in sua direzione, facendo attenzione a non sbilanciarsi troppo sulla passerella. Quando giunsero dall’altra parte, Shepard aveva già sterminato quattro o cinque mercenari, e aveva trovato copertura dietro una cassa. Ansimava, stanca, e stava iniettandosi una dose di stimolanti per sopperire all’eccessivo uso dei biotici. Sentiva già gli amplificatori bruciare leggermente alla base del cranio, ma non erano lontani dalla meta. La cavità rocciosa era pulita e restava solo un rudimentale portellone a separarli dalla sala principale. EDI aveva individuato dei picchi di calore provenire dall’interno, probabilmente c’erano delle cisterne e sarebbe bastato farle saltare in aria per sterminare la base e ciò che restava del branco di mercenari. Si concessero il tempo di riprendere fiato, mentre dall’altra parte i nemici dovevano stare preparando il contrattacco al massimo delle loro possibilità.
“Shepard…”, provò a dire Garrus, accovacciandosi di fianco a lei mentre Thane teneva d’occhio il portellone.
“Non starai per farmi la ramanzina come al solito, vero Vakarian?”, fece lei, inserendo una clip termica alla Phalanx.
“Nah, dico solo che potevi evitare di farci scendere dalla navetta se avevi intenzione di fare tutto tu…”, rispose lui canzonatorio.
“Oh, andiamo… avevo bisogno di muovermi un po’”.
“E ridurti a prendere stimolanti?”
“Mi sto solo preparando per l’attacco finale, voglio essere in forma”.
Thane serrò la mascella, aumentando la presa della mani sul Viper. No, non gli piaceva vederla così avventata, soprattutto dopo che aveva intimato a lui di non fare il kamikaze sul campo. Si accovacciò accanto a lei e Garrus si alzò immediatamente a prendere la sua postazione.
“Non è necessario portarsi al limite delle forze quando abbiamo tutto sotto controllo”, le disse pacatamente. Lei non rispose, limitandosi ad osservarlo dalla fessura del suo casco. Era consapevole che avessero ragione, ma era altrettanto consapevole di aver agito  in modo corretto. Un po’ avventato forse, ma in battaglia anche il comportamento più logico può portarti alla morte. Il rischio è ovunque e lei non aveva intenzione di starli a sentire un momento di più. “Bene”, sospirò, “farò in modo di lasciarvi più spazio là dentro. Andiamo”. Si alzò e guidò la squadra fino al portellone. Quando attraversarono il corridoio, la sala che si parò loro davanti era l’equivalente di un grande bunker scavato nella roccia, pieno zeppo di casse, probabilmente contenenti materiale altamente infiammabile, e due grosse cisterne. C’erano almeno una dozzina di mercenari, fra cui un Krogan ben equipaggiato che vantava una corazza spessa e di ottima fattura. Non c’era modo di farlo fuori semplicemente con una carica biotica, bisognava prima azzerare i suoi scudi. Ci pensò Garrus, sovraccaricandoli, mentre Thane eliminava un paio di mercenari dalle retrovie. Shepard lanciò una deformazione in direzione del Krogan, poi rotolò per non farsi travolgere dalla sua carica e mirò con la Phalanx ai suoi punti più deboli, facendolo vacillare. Thane intervenne con una combo di poteri biotici e quello capitolò all’indietro. Shepard lo finì con un altro paio di colpi e poi si avventò sul primo mercenario disponibile, facendo in modo che i suoi impianti assorbissero parzialmente gli scudi cinetici del nemico andando a rimpolpare i suoi. Garrus tolse di mezzo altri due mercenari, e altri tre di loro fuggirono impauriti in una sala adiacente. Poco male, sarebbero morti in seguito all’esplosione.
“Piazzate le cariche”, ordinò Shepard indicando il punto esatto. Thane e Garrus obbedirono e al suo segnale le attivarono con un dispositivo manuale. Una manciata di secondi e sarebbe saltato tutto in aria. I loro visori iniziarono a lampeggiare, fornendo un allarme acustico che andava via via ad aumentare d’intensità con lo scorrere del tempo. Iniziarono a correre verso l’uscita… In testa c’era Garrus, poi Shepard e subito dietro Thane. “Dobbiamo sigillare il portellone!”, urlò Shepard facendo marcia indietro appena si rese conto che quell’espediente avrebbe potuto attutire in parte la brutalità dell’esplosione. “Ci penso io”, rispose Thane, mentre il segnale acustico era diventato ormai insopportabile. Una fatalità improvvisa. Un lembo della sua giacca si era impigliato all’interno del portellone. Due strattoni, ma niente. Shepard corse immediatamente verso di lui, ignorando quel maledetto bip che era quasi diventato un suono continuo e lo tirò per un braccio con quanta forza aveva in corpo. La giacca si strappò rovinosamente, restando incastrata nel portellone e Thane, ormai libero, prese a correre velocemente in direzione di Garrus. Shepard restò indietro a chiudere il portellone come meglio poteva. Quando l’esplosione arrivò, furono travolti da un’ondata di polvere e un rumore assordante che azzerò per un attimo l’udito, riducendolo a un fischio. Nessuno si era accorto che Shepard era stata sbalzata violentemente su una roccia e che adesso giaceva su quel masso appuntito, coperta parzialmente dalle lamiere del portellone troppo fragile per resistere all’onda d’urto. Thane l’aveva vista dietro di sé l’ultima volta, e adesso la rivedeva dieci metri più avanti, accasciata malamente su quello spuntone. Garrus si voltò e restò inorridito, nello stesso momento in cui realizzò che le esplosioni non cessavano di susseguirsi e che probabilmente sarebbe crollato tutto di lì a poco. Thane liberò Shepard dalle lamiere con una spinta biotica e se la caricò immediatamente sulle spalle iniziando a correre, superando Garrus in breve tempo. “Sta per saltare tutto in aria, abbiamo bisogno di supporto!”, urlò Garrus attraverso il comm. La navetta apparve immediatamente da dietro la montagna e si fermò a mezz’aria, consentendo ai tre di salire a bordo prima che la pedana sulla quale poggiavano i piedi si sgretolasse come il resto della struttura, provocando un’ondata di polvere che investì in pieno la navetta facendola vacillare.
Una volta a bordo, si concentrarono sulle condizioni di Shepard. La adagiarono sul pavimento metallico, togliendole il casco. Sotto di lei, una grossa pozza di sangue che si ingrandiva a vista d’occhio. Aveva il fianco sinistro completamente lacerato, e un’ustione sul braccio destro. I segni vitali erano deboli, ma non sembrava in pericolo di vita. L’armatura aveva attutito gran parte del colpo e il casco le era stato di vitale importanza. Thane si sfilò la maschera e Garrus ebbe giusto il tempo di notare la sua espressione sconvolta, prima di concentrarsi nuovamente su Shepard tentando di tamponarle la ferita con quello che avevano a disposizione. La liberarono del pettorale per far sì che respirasse meglio, poi si concentrarono sul taglio, facendo in modo che non perdesse più sangue di quanto ne avesse già versato. La Chakwas era stata prontamente informata e li attendeva all’hangar, con un kit di pronto soccorso e una barella. A bordo la notizia si era sparsa in fretta e stavano tutti col fiato sospeso, in attesa che la navetta rientrasse.
 
 
 
Neanche un quarto d’ora dopo, Shepard era adagiata su un lettino dell’infermeria, con la Chakwas che preparava gli strumenti di lavoro e Thane che cercava di svegliarla.
“Cos’è successo?”, riuscì a dire lei debolmente dopo una manciata di minuti, con gli occhi appena aperti. Aveva la vista appannata e un fortissimo mal di testa che sovrastava persino il dolore lancinante al fianco.
“L’esplosione”, rispose Thane, mentre la dottoressa le iniettava una dose di medigel.
“Devo ricucirti quella brutta ferita, Shepard”, disse la Chakwas in tono greve. Lei annuì con le poche forze che le restavano, riacquisendo un minimo di lucidità. La dottoressa si avvicinò e la guardò dolcemente. “Non è così brutta come pensavamo. E’ profonda, ma sei stata fortunata, non ci sono danni agli organi interni”. Lei avrebbe voluto sorridere, se solo non fosse stata paralizzata dal dolore.
La Chakwas iniziò a liberarla dagli spallacci e lanciò uno sguardo a Thane e poi di nuovo a Shepard. “Forse è meglio se…”. Shepard scosse lievemente il capo. “Può restare”, disse flebilmente, cercando di collaborare come poteva per farsi togliere l’armatura. Il medigel la aiutò a riprendersi velocemente e a prendere coscienza della situazione. Mentre le toglievano gli stivali e i parastinchi, notò la bruciatura al braccio destro, dove la tuta protettiva formava quasi uno strato unico con la pelle. Anche Thane era ustionato in più parti, ma niente di così preoccupante.
“Sembra che Cerberus sia in debito con te di una nuova giacca”, gemette lei, sorridendo lievemente. Thane la guardò, ma non riuscì a sorriderle di rimando, sentendosi l’unico vero responsabile delle sue attuali condizioni. “Cos’abbiamo qua? Dell’umorismo?”, esclamò la Chakwas, risollevata nel vederla combattiva come sempre. “Riesci a metterti su un fianco?”, le domandò poi, cercando un modo per liberarla dalla tuta protettiva. Shepard ci provò, inutilmente. L’ustione al braccio era insopportabilmente dolorosa. La Chakwas decise di occuparsi prima di quella, lasciando Thane a tamponarle la ferita, in attesa. Nel tentativo di separare il tessuto dalla pelle ustionata, Shepard non riuscì a trattenere un urlo e si aggrappò istintivamente al braccio di Thane, serrando gli occhi a forza. Lui fu scosso da un brivido, incapace di affrontare lucidamente una situazione come quella. Restò silenziosamente al suo fianco, finchè la Chakwas non riuscì a separare il tessuto dalla sua pelle per poi spalmarvi sopra un cospicuo strato di medigel, poi decise di uscire dalla stanza. Non riusciva a vederla così, non quando incolpava solo se stesso per ciò che era accaduto. “Sarò qui in attesa che finisca la medicazione”, disse alla Chakwas, guardando Shepard un’ultima volta prima di andare via.
Lasciarla lì da sola non poteva essere stato più doloroso, adesso che aveva colto una richiesta di aiuto nei suoi occhi arrossati e si era voltato, ignorandola. Si appoggiò al portellone della saletta, concedendosi un lungo sospiro. Garrus lo affiancò immediatamente. “Come va?”, domandò.
“Se la caverà”, rispose lui a fatica, lottando contro il desiderio di stare da solo e in silenzio. Garrus sembrò notarlo e si accontentò di quella risposta, tornando alla Batteria Primaria.
 
Dopo una trentina di dolorosissimi punti e una spessa fasciatura intorno al torace, Shepard poté finalmente provare a sedersi sul lettino, nonostante le lamentele della Chakwas. “Hai la febbre, è meglio che passi la notte qui”, le aveva detto preoccupata, mentre passava lo scanner del factotum sulla sua fronte.
“No. Non voglio che l’equipaggio pensi che la situazione sia più grave di quella che è”.
“Ma…”
“No, uscirò da qui sulle mie gambe e andrò a riposare nella mia cabina. Sto bene”.
“Non stai bene, Shepard. Hai appena perso l’equivalente di due sacche di sangue, hai un braccio completamente ustionato e la febbre a 39°”.
“C’è qualcosa che può farmi guarire prima in infermeria?”
“Beh, no, ma…”
“Allora farò come ho detto. Aiutami a infilarmi questo maledetto camice”. La Chakwas obbedì e la accompagnò fino al portellone, scuotendo la testa nel vederla zoppicare malamente. “Sto bene”, rimarcò Shepard, uscendo dalla saletta.
Thane le rifilò involontariamente uno sguardo carico di apprensione e le si avvicinò, permettendole di appoggiarsi al suo braccio. “Accompagnami”, gli disse lei semplicemente. Non c’era nessuno nei paraggi, a parte un paio di soldati semplici che rispettosamente cambiarono strada prima che potessero incrociarli. Quando giunsero all’interno dell’ascensore, Shepard si allontanò e si appoggiò alla sbarra di ferro. “Non è stata colpa tua”, disse a bassa voce, voltandosi a guardarlo. Thane non ebbe il coraggio di sollevare lo sguardo da terra, fermamente convinto a non rispondere. Qualunque cosa avrebbe potuto dire in quel momento, sarebbe stata sbagliata. Shepard lo pungolò su un braccio; un comportamento inusuale, ma che trovava una sua spiegazione nello stato febbricitante in cui versava, unito alla massiccia dose di medigel assorbita dal suo organismo. “E’ per questo che mi ignori. Pensi che sia stata colpa tua”, insistette, formulando la frase quasi come se fosse un’affermazione, più che una domanda.
“Forse è meglio parlarne quando starai bene”, si costrinse a rispondere lui, mentre le porte dell’ascensore si aprivano di fronte alla cabina di Shepard. Lei si appoggiò di nuovo a lui e si fece accompagnare davanti al portellone, aprendolo con difficoltà. Si sentiva talmente debole che il mondo aveva iniziato a girare intorno a lei, come se fosse stata reduce dalla peggiore delle sbronze. Lui la accompagnò lentamente fino al letto, poi si assicurò che riuscisse ad entrare sotto le coperte e le chiese se avesse bisogno di qualcosa. Lei scosse la testa, sorridendo debolmente mentre cercava una posizione comoda, lottando contro i brividi di freddo.
“Saresti potuta restare in infermeria”, disse lui.
“Smettetela di dirmi cosa devo fare, tutti quanti”, sbottò lei, socchiudendo gli occhi, infastidita.
“Le persone si preoccupano per te, Shepard”.
Lei sbuffò in maniera quasi adolescenziale e lui, stavolta, non riuscì a trattenere un sorriso, seppur appena percettibile.
“Ah!”, esclamò lei, puntandogli un dito contro mentre un largo sorriso si formava sulle sue labbra. Lui scosse il capo, rassegnato. Le era così difficile capire come doveva sentirsi lui, in quel momento?
“Shepard…”, mormorò, visibilmente a disagio, “è meglio se riposi adesso. Se hai bisogno di qualsiasi cosa…”
“Resta”, gli disse lei, sostituendo il sorriso divertito di prima con uno sguardo che non ammetteva repliche.
“Non è una buona idea”.
“Resta”, stavolta suonò quasi come una supplica e lui non fu in grado di opporsi. Lei tirò lentamente un braccio fuori dalle coperte e gli fece cenno di raggiungerla sul letto. Per quanto una parte di lui non desiderasse altro, l’altra parte, quella più razionale, vide tutti i buoni propositi di starle lontano sgretolarsi ad uno ad uno mentre, un passo dopo l’altro, si sdraiava accanto a lei, lasciandola libera di trovare il proprio spazio fra le sue braccia. “Stai tremando”, le disse, sfiorandole piano la fronte. “E’ la febbre”, sorrise lei. Lui la strinse più forte, facendo attenzione a non farle male, e aspettò che si addormentasse, senza smettere di accarezzarle teneramente i capelli… chiedendosi dove tutto ciò li avrebbe portati.





 



Vi lascio con questo capitolo, pubblicato in una rarissima ora buca, prima di tornare dai miei andare ufficialmente in vacanza. Spero tanto di avere il tempo di visitare spesso questa sezione nelle prossime due settimane, perchè già mi manca da morire e ho tante recensioni da lasciare e capitoli da leggere.
Nel frattempo vorrei ringraziare di cuore chi segue la mia storia... davvero non pensavo minimamente che avrei potuto ricevere delle recensioni e ognuna di queste è tanto, troppo preziosa.
E per concludere, grazie ancora ad Altariah per questo e per tutte le altre volte che mi hai regalato una cosa così bella, trasformando in qualcosa di reale e visibile ciò che è stato per tanto tempo solo nella mia mente. 

Liane e scimmie a caso.
   
 
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