Ecco
una nuova ff. M'impegnerò a terminarla. Infatti ho
già pronti altri capitoli! Così almeno per un po'
sono apposto e se mi viene il blocco posso continuare a darvi da
leggere :)
I personaggi descritti in questa Fanfiction non sono di mia
proprietà intellettuale.
Appartengono a Suzanne Collins e alla saga di Hunger Games.
Non scrivo a scopo di lucro, ma per intrattenere i lettori.
Ho apportato dei leggeri cambiamenti alla trama dell'epilogo di
Mockingjay per semplice comodità.
Spoiler di Chatching Fire e Mockingjay, quindi se non li avete letti,
non andate oltre!
Un abbraccio a tutti :)
01.
*Boom*
Grido.
Chi
è morto? Chi
non vedrò mai più?
Prim.
Rue.
Finnick.
Chi?
Mi
sento stringere tra
braccia forti.
«Tranquilla
Katniss, è
solo un temporale. Non siamo nell’arena. Non è
morto nessuno» mi sussurra Peeta
nell’orecchio stringendomi forte a sé.
«Sono
morti tutti
Peeta, sono morti tutti» sibilo cominciando a piangere.
Sono
passati nove anni
dalla fine della guerra, dalla morte di Snow, dalla fine degli Hunger
Games.
Nove
anni dalla morte
di Prim, nove anni dalla morte di Finnick, nove anni dalla morte di
centinaia
di persone.
Nove
anni durante i
quali tutta Panem si è trovata ad una svolta. Per gli
abitanti di Capitol City
è cominciato un periodo di mancanze, di disagi, di
difficoltà, mentre per tutti
quelli che erano considerati gli sfortunati è iniziato il
periodo di rinascita.
I
primi tempi è stata
dura per tutti ma ora le cose si stanno sistemando e le differenze
abissali che
prima dividevano i distretti si stanno pian piano attenuando.
Mi
stringo forte a
Peeta sperando che le lacrime si fermino da sole, ma so bene che non
è così.
Prima
che Peeta venisse
a vivere con me ero stata capace di piangere per quasi sei giorni
consecutivi.
Una
volta ripresa la
calma, mi sento completamente svuotata.
Mi
libero dalla sua
stretta e vado in cucina.
Mi
siedo davanti alla
finestra e guardo il cortile, il Villaggio dei Vincitori, la casa di
Haymitch.
Fuori
è tutto fermo e
silenzioso.
In
lontananza sta
sorgendo il sole.
«Katniss,
torna a
letto. Non sono nemmeno le sei» dice Peeta comparendo
all’ingresso.
«Non
riesco più a
dormire. Tu riposati pure, non preoccuparti. Io preparo la
colazione» rispondo,
concedendomi un lieve sorriso.
Forse
capisce che ho
voglia di stare da sola, oppure ha realmente sonno, comunque Peeta
ritorna in
camera da letto.
Sospiro,
poi mi alzo e
vado verso gli armadietti. Non mi sono ancora abituata ad avere il cibo
a
portata di mano. Ho passato tutta la mia infanzia a cacciare per
sopravvivere.
Preparo
tutti gli
ingredienti per il pasto mattutino, poi mi preparo per uscire a fare
una
passeggiata.
Indosso
la giacca da
caccia di mio padre, gli scarponi e una sciarpa, poi esco.
L’aria di metà
inverno è pungente e mi risveglia completamente.
Qui
al Dodici è
cambiato tutto. Niente più Forno, niente Pacificatori,
niente mamma, niente
Prim…
Prim.
Alzo
lo sguardo al
cielo, pensando a cosa avrebbe fatto in giornate come queste.
Probabilmente
sarebbe
rimasta al Distretto Quattro con la mamma.
Forse.
Oppure
sarebbe tornata
qui con me al Dodici e avrebbe vissuto con me, con Peeta e con quel suo
gattaccio orrendo.
Da
quando è morta,
Ranuncolo è rimasto con noi.
L’ho
rivalutato e credo
che lui abbia rivalutato me.
Certo,
non siamo anime
gemelle, ma quantomeno non ci soffiamo più contro
l’uno con l’altra.
Cammino
ancora,
oltrepasso il Prato e vago senza una meta, finché non arrivo
davanti a ciò che
resta della vecchia casa di Peeta.
Ricordi.
Lui
che mi lancia quel
pane bruciato, che mi salva la vita.
Lui
che mi protegge dai
Favoriti nell’arena dei Settantaquattresimi Hunger Games.
Lui
il cui cuore si
ferma durante i Settantacinquesimi Hunger Games.
Lui
che combatte contro
sé stesso dopo che Snow l’ha torturato.
Lui
che mi abbraccia di
notte ogni volta che ho gl’incubi.
Lui,
che mi ha risollevata
dall’abisso nero della depressione dopo la morte di Prim,
dopo la fine del mio
vecchio mondo.
Lui
che ha sempre fatto
tanto per me e che io non ho mai trattato con il dovuto rispetto.
Torno
a casa di corsa e
lo trovo in cucina, che sta preparando la colazione per tutti e due.
Si
volta a guardarmi
con i suoi occhi azzurri e nella mia mente ritrovo la conferma di
ciò che ho
già capito nove anni fa.
Ormai
è lui il mio
mondo.
Con
lui non ci sono più
Arene, non ci sono più morti, non ci sono più
incubi.
Mi
ci sono voluti nove
anni, ma forse sono arrivata ad una svolta.
Cammino
verso di lui e
lo abbraccio.
«Tutto
bene?» mi
domanda.
Annuisco
contro il suo
petto respirando il suo profumo.
«Sì,
tutto bene.
Scusami» rispondo.
Lui
mi scosta e mi
guarda dritta negli occhi.
«Scusa
per cosa?»
«Per
averti trattato
male in tutti questi anni, per essere stata scostante, acida, cattiva
nei tuoi
confronti. Scusa per non aver mai premiato tutta la tua gentilezza
verso di me.
Sono veramente mortificata».
Ride.
Una
risata cristallina,
felice, infantile.
«Sciocca.
Non hai nulla
di cui scusarti. Se tu non fossi stata scostante, acida
e…cattiva nei miei
confronti a quest’ora probabilmente il mondo non avrebbe
nemmeno una Ghiandaia
Imitatrice ancora in vita, non credi?» dice con un sorriso
sulle labbra,
facendomi capire che ormai, per quanto brutto sia stato quel periodo,
è tutto
passato.
Ridiamo
entrambi.
Erano
anni che non
ridevo così di gusto.
Una
volta finita la
colazione sistemiamo i piatti, poi ci sediamo sul divano e accendiamo
la tv.
Non
esistono più
programmi televisivi obbligatori.
«Sono
quasi le otto,
che ne dici di andare a trovare Haymitch?» propongo guardando
l’orologio.
«Prima
devo chiederti
una cosa» dice Peeta spegnendo la tv.
Lo
guardo negli occhi.
Mi
prende le mani tra
le sue e trae un profondo respiro.
«Mi
vuoi sposare? Vero
o Falso?»
Sono
impietrita, senza
parole.
Eppure,
prima ancora
che riesca a formulare realmente una risposta nella testa, prima ancora
che
riesca a capire la domanda, ecco che le mie labbra si muovono in
autonomia.
«Vero».
Mi
chiamo Katniss
Everdeen, ho ventisei anni, sono sopravvissuta a due edizioni degli
Hunger
Games, ho messo fine dominio di Capitol City e ho liberato Panem, ho
appena
accettato la proposta di matrimonio di Peeta Mellark.