Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Carlos Olivera    31/08/2013    1 recensioni
Kyrador.
La più bella cosa che esiste al mondo.
Kyrador è il sogno di ogni uomo.
E' una pudica fanciulla che accende i desideri.
E' una veemente pantera che fa di te la sua preda.
E' una ricca vedova che promette molto ed esige il doppio.
Kyrador ti possiede.
Kyrador ha tutto ciò che puoi desiderare.
Può darti la felicità o condurti alla miseria.
Farti provare la gioia più sconfinata e il più assoluto dolore.
E' il piacere e l'agonia.
Il bianco e il nero.
La vita e la morte.
Semplicemente, Kyrador
Genere: Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2

 

 

Il detective di polizia Sean Neeson sentì squillare il proprio telefono nel preciso istante in cui era sul punto di consumare il pranzo che si era portato da casa.

Per un poliziotto di quartiere assegnato alla stazione principale del nono distretto, la più orrenda e malfamata fogna a cielo aperto della città, la vita poteva essere già un inferno, e a casa la situazione non era certo migliore.

Alle soglie della cinquantina il detective era da poco uscito da una lunga causa di divorzio che gli era costata l’affidamento dei figli, e anche se in quel particolare momento il lavoro era tutta la sua vita quando anche quell’unico, piccolo piacere che era il cibo gli veniva a mancare era segno che la giornata aveva davvero preso la piega sbagliata.

Sbuffando aprì la finestra di comunicazione, e come vide comparire il volto di Vick la sua pelle nera si fece per un attimo bianca come il latte.

«Owen!?» disse incredulo «Come hai avuto questo numero?»

«Sean, tu devi aiutarmi.» rispose lui senza togliere gli occhi dalla strada o le mani dal volante

«Che vuoi stavolta? Sei finito di nuovo nei guai?»

«Ho per le mani qualcosa di grosso, Sean. Di molto grosso. E ho bisogno che tu mi aiuti.»

«Ah sì?» rispose sardonico Sean «Come quella volta che hai piazzato quel ciarpame alla polizia criminale spacciandole per prove di un caso irrisolto?»

«Sean, tu non capisci! Avevo appuntamento col procuratore militare, e invece mi hanno mandato un sicario! Ho un assassino alle costole, chiaro?».

Di fronte alla veemenza rabbiosa del giovane truffatore il poliziotto cominciò a convincerci che stesse dicendo la verità.

«In che cosa ti sei cacciato?»

«Te l’ho detto, qualcosa di grosso. Di molto grosso. Abbastanza da spingere chi rischio di mandare all’aria a togliermi di mezzo, non importa come. Tu devi aiutarmi!

Vediamoci al museo della scienza e ti spiegherò tutto».

Sean ci pensò un momento, e guardatosi attorno per esser certo di non avere addosso occhi indiscreti si avvicinò ancora di più allo schermo abbassando ulteriormente la voce.

«Senti, ora sono in servizio. Ti raggiungo appena riesco a liberarmi.»

«Sean, io rischio di restarci secco, lo capisci?» sbraitò Vick sempre più spaventato

«Un’ora, Vick. Un’ora al massimo e sono da te».

Una chiamata del commissario per una riunione interruppe in quella la conversazione.

«Ora devo andare Vick. Ricorda, tra un’ora al museo.»

«D’accordo.» rispose rassegnato il giovane «Tra un’ora».

 

Il museo della storia e della scienza in centro a Kyrador poteva pure essere un tempio della meraviglia e delle infinite potenzialità del genio dell’essere umano, ma per chi come Jason era costretto a lavorarci era solo una enorme, immensa costruzione che ogni giorno doveva essere tirata a lucido da cima a fondo.

Jason era solo uno dei tanti giovani arrivati dalla campagna in cerca di fortuna nella città più avanti del mondo. Gli avevano sempre detto che Kyrador era la terra delle opportunità, dove servivano solo caparbietà e determinazione, il luogo dove chiunque poteva emergere e diventare qualcuno, e lui dal canto suo aveva un chiodo fisso: il chandra.

Oltre al fatto che, come molti giovani della sua generazione, era sempre stato affascinato dallo sport più popolare di tutti, quello che bramava davvero erano i soldi, la fama, il prestigio che ricopriva letteralmente tutti i grandi campioni, a cominciare dalla indiscussa stella del momento, la bella e letale Octavia.

E poi le ragazze. I chandristi maschi erano una macchina attira prede come poche altre. Non che Jason avesse problemi sotto questo aspetto, con quegli occhi azzurri e quel visetto gentile che gli avevano fruttato conquiste a palate, ma un po’ di sana abbondanza era sempre gradita.

Le speranze e l’ottimismo erano a mille il giorno in cui aveva messo piede in città, invece dopo due anni tutto quello che era riuscito ad ottenere era un precariato part-time da pochi spiccioli come tuttofare al museo, e questo solo grazie all’intercessione del suo compagno di stanza che gli aveva trovato quell’impiego, altrimenti sarebbe stato disoccupato.

Accettare la realtà era stata dura, ed il pensiero di poter un giorno dimostrare le proprie potenzialità realizzandosi come sognava era l’unica cosa che gli aveva permesso di andare avanti, ingoiando quella situazione per lui umiliante. Eppure, dopo tutto quel tempo, qualcosa in lui sembrava essersi spento, quasi come se la solita routine quotidiana fatta di pavimenti da lucidare, pattumiere da svuotare e bagni da pulire avesse iniziato a prendere il sopravvento, spegnendo poco per volta il suo ardore giovanile e tramutandolo in rassegnata e quotidiana monotonia.

I giorni passavano, e così i mesi, e l’occasione non gli si era ancora presentata, al punto che, passato il momento iniziale, aveva quasi smesso di affannarsi a cercarla, lasciando scorrere placidamente le giornate divise tra il lavoro, qualche storia passeggera e tante serate spese con gli amici e i colleghi a sbronzarsi in qualche bar.

A conti fatti, quella per lui era solo una giornata come le altre.

Una giornata in cui niente sarebbe successo, e tutto sarebbe rimasto come prima.

 

Mettendo piede per la prima volta nel museo della storia e della scienza, Ally capì come mai Meracle ne avesse sempre parlato con tanto entusiasmo.

Varcato il monumentale ingresso a forma di tunnel, realizzato sì da rassomigliare ad una sorta di galleria del tempo, la bambina e tutti i suoi compagni si ritrovarono immersi in un mondo tra realtà e fantasia.

Non soltanto il frutto di quattro secoli di storia di Celestis, ma anche antiche testimonianze del passato e della lunga epopea dell’Uomo sul suo pianeta natale erano ospitate nelle innumerevoli sale che riempivano i cinque piani dell’edificio.

L’atrio principale aveva la forma di un tronco di piramide rovesciato, ed il lato che guardava all’esterno era interamente ricoperto di vetro, che unito all’assenza di edifici particolarmente alti nelle immediate vicinanze grazie all’ampio cortile permetteva al sole di inondarlo di luce.

Ad altezze regolari e sempre più protese verso l’esterno, quasi a formare una imponente scala rovesciata, si stagliavano i terrazzamenti dei piani superiori, e ovunque era un trionfo del verde grazie alle innumerevoli aiuole, siepi e persino dei piccoli giardini pensili ridondanti di piante e fiori.

Completava il tutto uno dei pezzi più famosi del museo, raffigurato anche nei suoi volantini e depliant turistici, la parte terminale del muso della nave coloniale Aurora, posizionato in verticale al centro dell’atrio con accanto una targa commemorativa recante la frase che si diceva fosse stata pronunciata dal suo comandante nel momento in cui mise piede a Celestis.

 

In questo luogo e in questo giorno

Inizia il secondo capitolo della storia dell’Umanità

 

Ally e gli altri furono rapidamente travolti dalla meraviglia, e al termine del lungo giro in compagnia dei maestri si dispersero a piccoli gruppi per tutti gli angoli di quella specie di castello delle favole, ansiosi di rivedere la cosa che li aveva maggiormente colpiti.

Dal canto suo Ally sapeva esattamente cosa voleva rivedere, e assieme a Meracle si diresse verso i sotterranei, dove, all’interno di una sala grande in sé come un intero piano dell’edificio sovrastante, faceva superba mostra di sé in tutta la sua imponenza una autentica ricostruzione dell’Aurora in scala uno a due.

Cinquecento metri di incalcolabile sapere scientifico, realizzato combinando le più moderne, per quei tempi, conoscenze in campo aerospaziale con la più grande quantità di sapere magico mai messa insieme, al fine di realizzare la prima nave interstellare nella storia dell’umanità, capace di percorrere i sessanta anni luce che separavano la Terra da Celestis in soli cento anni.

A prima vista la sua linea appariva slanciata e solenne, con quella forma a punta di freccia, le quattro potenti turbine, i pennoni, ora ripiegati lungo la fusoliera, che ospitavano le vele solari, il gigantesco anello stabilizzatore per la simulazione della gravità, e infine, ben impressa su entrambe le fiancate, la raffigurazione del globo terrestre, magnifico, con segnato ben in evidenza il punto da cui la nave era partita, nel cuore della steppa russa, il tutto sovrapposto dalle lettere UN, a testimoniare il carattere internazionale della missione, votata anzitutto al progresso e all’avvenire dell’umanità.

Unica nota stonata, almeno secondo il personale parere di Ally, quel muso squadrato e leggermente sgraziato, che a suo dire toglieva armonia al tutto, oltre a quella colorazione così scura, ma, stando ai cartelli informativi, indispensabile per consentire alla nave di assorbire dalle stelle quanta più energia, indispensabile per consentire il lungo viaggio altrimenti impossibile.

Ally, Meracle e non solo loro si erano sentite crollare il mondo addosso quando, passando da lì durante il giro, avevano trovato l’interno della nave chiuso al pubblico per dei lavori di manutenzione, e la delusione divenne se possibile ancora più grande quando, ritornate nella speranza di avere maggior fortuna, trovarono invece la situazione ancora invariata.

«Io non mi arrendo.» esclamò Meracle, che con passo deciso si avviò verso l’addetto che stava pulendo la scaletta d’ingresso alla nave, un ragazzo sui venticinque anni dall’aria tutto sommato amichevole, e per questo disposto a fare un favore a due bambine delle elementari.

Sulla targhetta dell’uniforme aveva scritto il suo nome, Jason.

«Mi scusi.» disse Meracle sfoggiando tutta l’innocenza e l’amorosità infantile di cui era capace «Non è che potremmo visitare l’interno della nave?»

«Non si può, mi dispiace.» rispose gentilmente ma fermamente Jason

«La prego. Io e la mia amica ci tenevamo così tanto. Non staremo dentro molto, glielo prometto».

Jason parve esitare, indeciso sul da farsi, e dopo qualche attimo si guardò furtivamente attorno per accertarsi che non vi fosse in giro nessuno dei suoi colleghi.

«D’accordo.» mugugnò «Ma solo per dieci minuti.»

«La ringrazio, signore. Lei è stato molto gentile».

Ally per la verità si vergognava come una ladra al pensiero di dover fare una cosa del genere, ma come Jason aprì il portello chiuso a chiave permettendo loro di entrare lo stupore e la meraviglia si sostituirono a tutto il resto, tacitando sul nascere la voce della coscienza.

L’interno era incredibile ed entusiasmante almeno quanto l’esterno, con tutti quei corridoi scintillanti di bianco, quelle luci incastonate direttamente nelle pareti, e quell’incalcolabile numero di capsule lunghe e strette all’interno delle quali avevano viaggiato i loro antenati nei cento lunghi anni che avevano impiegato a raggiungere Celestis.

Ce n’era una ogni cinque o sei metri, ogni singola stanza ne era piena, e se davvero quella ricostruzione era così accurata come si diceva dovevano essere almeno mezzo milione, per la maggior parte concentrate nella grande stiva all’ultimo livello della nave, quella però al momento assolutamente off-limits per via dei lavori che avevano richiesto la chiusura.

Le capsule sembravano delle enormi bottiglie, cilindriche e per buona parte in vetro, e alcune erano aperte, sì da mostrare il complesso sistema di meccanismi e apparecchiature necessarie al sostentamento di chi vi aveva dimorato nell’interminabile viaggio tra le stelle.

Secondo quanto riportavano le guide la maggior parte dei coloni erano rimasti lì dentro per tutta la durata del volo. Solo l’equipaggio della nave era stato periodicamente risvegliato, una volta ogni cinque anni, giusto il tempo necessario per ricontrollare la nave e assicurarsi che fosse tutto in ordine prima di tornare a dormire.

«I nostri antenati sono rimasti davvero cento anni chiusi qui dentro?» chiese Ally fermandosi assieme all’amica accanto ad una delle capsule aperte

«Beh, stavano dormendo. Per la precisione erano in animazione sospesa. Il loro corpo è invecchiato molto lentamente, tanto che in cento anni di viaggio loro, nel momento in cui sono usciti, ne avevano perso solamente uno».

Ally non riuscì a resistere alla tentazione e vi si infilò dentro.

«È piuttosto stretto.» commentò guardandosi attorno

«Non avevano bisogno di spazio, dopotutto. E poi erano oltre un milione. Non sarà stato facile far entrare tutte queste persone in una nave infondo così piccola, non sei d’accordo?».

Dall’interno si poteva comprendere meglio la struttura di una di quelle capsule. C’erano cinghie per sorreggere il corpo, respiratori, cannule per la somministrazione di sostanze nutritive e una infinità di apparecchi per mantenere il corpo in vita e assicurarne la salute.

«Quasi non riesco a credere che avessero tutte queste conoscenze scientifiche quattrocento anni fa.»

«È incredibile, non è vero?» disse Meracle «Chissà, forse quando saremo grandi faremo anche noi un viaggio così, chiuse dentro una di queste capsule.

Io ho sempre sognato di potere un giorno vedere la Terra.»

«Ma la signorina Maifang dice che nonostante siano passati quattro secoli con le nostre attuali conoscenze ci vorrebbero ancora quasi cento anni per fare ritorno sulla Terra.

Questo vorrebbe dire che al tuo ritorno su Celestis sarebbero trascorsi duecento anni. Non troveresti niente di quello che hai lasciato.»

«Sì, forse hai ragione.» rispose l’amica soppesando questa eventualità «Ma sarebbe comunque una bellissima esperienza, non trovi?».

Inavvertitamente, in quel momento, Meracle toccò il pulsante che azionava il portello della capsula, e da un istante all’altro Ally si ritrovò chiusa dentro.

«Ally

«Meracle, che cosa hai fatto?» disse spaventata Ally colpendo la superficie vitrea «Fammi uscire!»

«Ci sto provando!».

Purtroppo i due comandi che permettevano alla capsula di riaprirsi sia dall’interno che dall’esterno erano in alto, troppo in alto per due bambine delle elementari, ed il portello era troppo duro perché fosse possibile aprirlo manualmente.

«Aspettami qui, vado a cercare quel signore delle pulizie. Torno subito».

Ally quindi rimase sola, e per quanto i suoi genitori le avessero insegnato a controllare la paura quell’ambiente così stretto ed angusto la metteva incredibilmente a disagio.

Per non farsi prendere dal panico la bambina cercò di pensare ad altro, guardandosi attorno nel tentativo di dare un senso agli innumerevoli circuiti, spinotti e apparecchiature che affollavano quella specie di congelatore capace, a quanto si diceva, di conservare un corpo a decine di gradi sotto zero, fino a che, aguzzando bene la vista, le parve di scorgere qualcosa, qualcosa di insolito, appoggiato sul pavimento della capsula e seminascosto dalla copertura del pavimento sotto la quale era quasi interamente nascosto.

A prima vista sembrava una scaglia, un pezzo di rivestimento staccatosi a causa del tempo e dell’incuria, ma quando lo prese fuori si accorse che invece si trattava di un qualche accessorio per computer.

Una scheda di memoria probabilmente, di quelle che si potevano infilare in ogni apparecchio informatico.

Incuriosita provò ad infilarla nel comunicatore, ma tutto quello che apparve nello schermo fu una lunga lista di nomi, date e altre informazioni per lei senza senso.

«Lo avrà perso qualcuno?» si domandò.

Qualche minuto dopo Meracle tornò accompagnata da Jason, che azionata l’apertura della capsula poté finalmente liberare la bambina.

«Ve l’avevo detto che poteva essere pericoloso.» le rimproverò il giovane dopo averle condotte all’esterno «Avanti ora, tornate dai vostri compagni.»

«Ci scusi ancora.» disse educatamente Ally, poi entrambe tornarono verso l’atrio dove il resto si era nel frattempo ricomposta nei pressi del negozio di souvenir.

Giusto il tempo di comprare dei regalini per i propri genitori, e nello stesso momento in cui Ally e Meracle uscivano dal museo per la medesima porta girevole vi giunse invece il detective Neeson, che guardatosi un momento intorno scorse infine Vick piegato in due su di una panchina dell’atrio, un po’ defilata rispetto al centro.

Era pallido come la morte, e dalla sua espressione Sean intuì che vi fossero molte altre cose a turbarlo, oltre al sicario al quale era appena sfuggito. Gli andò incontro, sedendosi accanto a lui.

«Sono venuto appena possibile. Allora, che è successo?»

«Sono morto.» mugugnò Vick come se non lo avesse sentito

«Che cosa?»

«Io lo sapevo. Lo sapevo che non dovevo farmi coinvolgere in tutta questa storia.»

«In che razza di casini ti sei cacciato, si può sapere?».

Vick restò a lungo in silenzio, poi si decise a parlare.

«Se ci pensi è ironico. Un truffatore incallito, uno che si è fatto tre anni di galera, chiede aiuto allo stesso sbirro che l’ha fatto finire dietro le sbarre.»

«Sì certo, è tutto molto ironico.» tagliò corto Neeson «Ora però fuori il fiato.»

A quel punto Vick raccontò ogni cosa. Disse che qualche tempo prima un impiegato che lavorava negli uffici della polizia di stato aveva trovato le prove di molti casi di corruzione e malaffare tra i vari distretti della città, soprattutto in quelli più poveri e degradati, inclusi i nomi delle mele marce e i numeri dei conti dove erano stati depositati i soldi sporchi.

Poi, si accorse dell’espressione del detective, e rise sotto i denti.

«È esattamente lo stesso modo in cui l’ho guardato io quando me ne ha parlato.

Ma quando mi ha fatto vedere parte del materiale che aveva raccolto, la mia espressione è cambiata dal giorno alla notte.»

«Cioè… tu lo hai visto? Hai visto quel materiale? Nel senso, hai visto cosa conteneva?»

«Non tutto. Solo una parte. Per riuscire ad esaminarlo tutto ci vorrebbero mesi. Ma credimi, quel poco che ho visto mi ha sconvolto. Ce n’è abbastanza per scoperchiare il vaso di pandora.»

«Che vuoi dire?»

«C’è tanta gente in quella lista. Gente che conta. Dai vigilanti di quartiere ai prefetti di polizia. Persino tuoi colleghi a quanto ho avuto modo di vedere.»

«Che intendi con miei colleghi!?» esclamò sorpreso il detective

«Gente del tuo distretto. Persone che chiami abitualmente amici, e che si sono intascati un sacco di soldi sporchi proprio sotto il tuo naso».

Sean deglutì, mentre il sudore gli rigava le tempie scure.

«Non posso crederci. Non riesco a concepirlo. I miei amici.» quindi guardò nuovamente Vick «Ma ne sei sicuro? Non è che quel tipo ha cercato di tirarti un bidone passandoti delle false informazioni?»

«Se solo tu lo avessi visto, Sean. Io l’ho guardato negl’occhi, e ci ho visto una maledetta paura. Mi sono svenato per venire incontro alle sue richieste, e subito dopo aver preso i soldi quel tipo è sparito».

Il detective guardò il pavimento, trovando a stento la forza di deglutire.

«E queste prove… le hai qui con te?»

«È questo il problema, Sean. Sono sparite.»

«Che cosa!?»

«Non ho scelto a caso questo posto per incontrarci. Non mi sentivo al sicuro nel tenerle in casa, così le avevo nascoste qui. Contavo di dirlo al procuratore quando ci fossimo incontrati. Il fatto è che sono appena andato dove le avevo lasciate, e non ci sono più.»

«Come sarebbe a dire non ci sono più?» replicò un po’ arrabbiato Sean «E poi, che razza di idea venire a nasconderlo proprio qui. Non ti hanno mai detto che per questo museo passa ogni giorno un fiume di gente?»

«Avevo scelto il nascondiglio molto bene.»

«Evidentemente non troppo.

Vuoi sapere cosa penso? Se la storia che mi hai raccontato è vera, e ti avviso che ho ancora qualche dubbio in merito, le persone che rischiavi di distruggere hanno trovato i documenti, li hanno distrutti, e ora vogliono mettere a tacere te.»

«Forse.» rispose Vick senza guardarlo «Ma non sanno che io ho un asso nella manica.»

«Un asso? Che asso?»

«Dovresti conoscermi. Lo sai che ho sempre un piano di riserva. Ho fatto una copia di quei documenti e ho nascosto anche quelli in un altro luogo.»

«E dove?»

«Non lontano da qui. Se mi sbrigo dovrei poterli andare a prendere, e poi vorrei che li portassi al procuratore. Io non mi fido più ad agire personalmente.»

«Non credo che sarebbe una buona idea.»

«Per quale motivo?»

«Pensaci bene. Chi ti dice che anche il procuratore non sia coinvolto? Avevi appuntamento con lui, e invece ti ha mandato un assassino. Forse c’era anche il suo nome su quella lista, o è collegato a qualcuno di loro, e così ha voluto tutelarsi.»

«Però è strano. Perché esporsi tanto? Poteva benissimo comprare le mie informazioni e poi distruggerle. A che pro cercare di eliminarmi?»

«Morto te, muore lo scandalo. Mi sembra ovvio. Non importa che tu sappia o meno il contenuto di quei documenti, il solo fatto di volerli smerciare ti rende pericoloso. Non vogliono correre rischi.»

«E allora cosa dovrei fare?».

Sean ci pensò qualche momento.

«Hai detto che lo scandalo coinvolge solo Kyrador. Conosco delle persone. Persone fidate, appartenenti ad altre prefetture. Gente al di sopra di ogni sospetto e assolutamente incorruttibile. Potresti darle a loro.»

«Bada però, che non faccio sconti. Ora come ora quel materiale è tutto quello che ho. Sono rimasto senza niente per ottenerlo, e voglio ricavarci quanto basta per sistemarmi a vita.»

«Non sono un contabile, e il mio portafogli non è abbastanza grande.» lo ammonì il detective «Ma queste persone sono gente potente. Sono sicuro che ti pagheranno bene. Soprattutto perché la rovina d’altri sarebbe la loro fortuna».

L’orologio tridimensionale che sovrastava ogni cosa batté l’una del pomeriggio.

«Ora devo tornare in centrale.»

«Aspetta, e i documenti?»

«Non posso restare lontano per troppo tempo, e ci vuole parecchio a ritornare. Tu recupera il materiale, io intanto farò qualche telefonata.»

«D’accordo, dove ci incontriamo?»

«Molo sei.» disse il detective dopo una breve riflessione «All’una di notte. Davanti alla statua dell’esploratore.»

«Un luogo simbolico.» sorrise Vick «Per tutti e due.»

«Vedi di non fare tardi. E guardati le spalle».

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Carlos Olivera