Salve
a tutti! Come promesso ecco la
continuazione della mia One-Shot. ^-^ Cercherò di non
dilungarmi troppo, ma ci
sono alcune cose che devo necessariamente dire. Prima, e più
importante, questa
storia avevo già cominciato a pubblicarla su un altro sito
(Battle Spirits
Unofficial Forumfree)... sono sempre io: non è un plagio! E
di conseguenza, chi
non vuole rovinarsi la sorpresa non vada a guardare. ;) Seconda cosa
riguarda
come essa è nata. Alla fine di "Battle Spirits Dan il
Guerriero
Rosso", io e mio fratello abbiamo sbirciato la trama di Brave
(sì,
lo so non si deve fare...) e siamo rimasti scioccati dalla conclusione.
E così
ci siamo detti: perchè non creiamo noi un altro finale?
Risultato? Quello che è
nato come un gioco, è diventato un progetto ambizioso:
sviluppare tanti episodi
quanti quelli di una serie per cambiare tutte quelle cose che ci
avevano
lasciato l'amaro in bocca. Questo episodio è solo il primo,
dunque, di una (si
spera) lunga serie. Quindi, terza e ultima premessa: a sviluppare le
trame di
questi episodi sono state dunque due teste (quella di mio fratello e la
mia), a
scriverle materialmente sono le mie mani e per quanto riguarda la
creazione dei
duelli (se no che Battle Spirits è?) il merito va tutto a
mio fratello. Con
questo concludo. Ah, un'ultima cosa... in questo episodio non
ci sarà
ancora Gran RoRo, ma forse l'avevate capito: si chiama "Episodio 0"
proprio perchè sistema alcune cose che saranno poi
fondamentali per dare il via
alla storia. Ho detto proprio tutto. Solo un'ultima cosa: buona
lettura! ^-^
HikariMoon
Capitolo 1
Il cielo era
terso e limpido. La volta azzurra del cielo di fine estate era velata
soltanto
da poche nuvole bianche e sfilacciate che pigramente la solcavano. Gli
alberi,
seppur ancora verdi e pieni di foglie, iniziavano a tradire il sempre
più
vicino arrivo dell’autunno e qualche foglia ingiallita
prematuramente si
staccava delicata dai rami e, fluttuando come in una danza, si posava
silenziosa sui sentierini in pietra ben curati del cimitero. Esso, se
non fosse
stato per le lapidi marmoree perfettamente allineate e per i fiori
lasciati
accanto agli incensi accesi, le cui volute di fumo creavano arabeschi
contro
l’azzurro, non sarebbe neppure parso tale. In quella giornata
quasi autunnale
l’aria era fresca e pungente e un leggero venticello
proveniente dal mare, che
si intravedeva lontano dietro la città, portava con
sé su quelle colline il suo
odore salmastro e nostalgico che ben si armonizzava con il fruscio
delle foglie
e l’odore degli incensi. Quel giorno il cimitero era quasi
deserto e un’immensa
tranquillità pervadeva quel luogo. Soltanto una ragazza era
inginocchiata
davanti ad una lapide piuttosto recente davanti a cui erano appoggiati
un
bastoncino d’incenso e un mazzo di fiori formato da rose
rosse e garofani rosa
inframezzati dai piccoli fiori bianchi del velo di sposa e circondati
dai fiori
lilla e bluette della pervinca, dei non ti scordar di me e della
pulmonaria
avvolti infine da una corona bianca e gialla di biancospino e corniolo.
L’abito
bianco e rosa risaltava e, allo stesso tempo, si confondeva con i
colori tenui
del posto.
I capelli
viola
lunghi fino alle sue spalle, trattenuti soltanto da un fermaglio rosa
sulla
sinistra, venivano mossi dal vento e alcune ciocche le passavano
davanti agli
occhi. La ragazza, che aveva poco più che sedici anni,
però, non sembrava dare
loro attenzione e, inginocchiata, fissava con uno sguardo malinconico e
triste
dei suoi occhi ametista la foto incastonata nella lapide. Essa
immortalava il
volto di un ragazzo probabilmente della sua età con i
capelli rossi e gli occhi
marroni che sorrideva con la mano alzata e delle carte in mano. La
ragazza
sollevò lentamente la mano e dolcemente sfiorò,
appena con la punta delle dita,
la foto. Un colpo di vento più forte scosse i suoi capelli e
una lacrima rigò
la sua guancia e scivolò fino ad infrangersi su
un’altra foto posta davanti ai
fiori, raffigurante la stessa ragazza a braccetto con due ragazzi, di
cui uno
era il ragazzo con i capelli rossi.
Mai sorrise e
con una mano si asciugò la lacrima che scorreva sulla sua
guancia. Poi si alzò
e il suo sguardo vagò sull’orizzonte del mare
lontano fino a quando non tornò a
fissare la foto del ragazzo.
“Ci
sarebbe
tanto bisogno del tuo aiuto Dan.”
La ragazza
sorrise perché era convinta che in qualche modo Dan la
potesse sentire. Un
colpo di vento fece sollevare da terra alcune foglie rosse e arancioni
che
iniziarono a danzare in aria. Mai le seguì con lo sguardo ed
ebbe l’impressione
che a pochi passi da lei, dove quelle foglie iniziarono a danzare a
spirale per
qualche istante, ci fosse Dan. La stava guardando con il suo solito
sguardo
deciso che quella volta aveva, come altre volte, una sfumatura che lo
addolciva. Mai sorrise e tornò a voltarsi verso la lapide,
mentre le foglie
riiniziarono a correre nel vento e la figura di Dan si dissolse. La
ragazza
iniziò a giocherellare con una ciocca di capelli.
“Sai,
da quando
siamo tornati qui nel nostro tempo io, Hideto e Kenzo ci siamo
impegnati di
nuovo per far sapere la verità a tutti. Lo dobbiamo a tutti
gli abitanti di
Gran RoRo, del futuro, a Kajitsu, a Yuuki e a te, Dan. Sono certa che
un giorno
ci riusciremo. Passo dopo passo, riusciremo a far cambiare questo mondo
e così
allora Magisa riaprirà i portali. Basterà farlo
pian piano. Sono fiduciosa.
Però sarebbe bello farlo con te al mio
fianco…”
La mano di Mai
cercò il ciondolo che portava al collo, un ciondolo dorato
con al centro
un’ametista.
“Vedrai,
sarò
all’altezza di tutto quello che tu hai sempre fatto per il
bene di tutti. Ora
che è arrivato il mio turno, non mi arrenderò.
Combatterò anche per te, Dan.”
Mai
alzò la
testa a guardare il cielo azzurro mentre con la mano sinistra spostava
i
capelli di lato. Era proprio una bellissima giornata. Mai si
voltò e iniziò a
camminare lungo i vialetti deserti. Era piacevole tutta quella calma e
tranquillità. Quante poche volte aveva potuto godere di
quella calma in tutti
quegli anni. Mai fece vagare lo sguardo tra le lapidi e le aiuole
soffermandosi
su un vecchietto che molti metri più in là stava
posando un mazzo di fiori
davanti ad una di esse. Mai chiuse gli occhi e fece un ampio respiro
riempiendosi i polmoni dell’aria fresca. Pensò per
un attimo che l’estate stava
per finire, presto sarebbe arrivato l’autunno e poi
l’inverno. Tutto poteva
cambiare, ma le stagioni si sarebbero continuate a susseguire. Mai si
fermò e
si voltò verso la tomba ormai lontana di Dan. Il vento le
scosse i capelli e i
vestiti. Con profonda malinconia pensò a quante stagioni
sarebbero passate, una
dopo l’altra, anche ora che Dan non c’era
più. Il tempo continuava a scorrere,
le piante a fiorire, il vento a soffiare. Mai sorrise. Il futuro glielo
aveva
insegnato, anche i periodi più brutti passavano.
Sentì una volta di più che un
giorno, prima o poi, sarebbero riusciti a far cambiare il mondo.
Dopo un
attimo,
Mai tornò a voltarsi e i suoi occhi furono attirati da
un’altra persona che ora
si trovava nel cimitero. Lontano il vecchietto se ne stava andando.
C’erano
probabilmente solo loro due. Mai guardò con
più attenzione e vide che era
una ragazza forse di uno o due anni più grande di lei. Era
voltata di schiena,
inginocchiata vicino ad una lapide di marmo chiaro. Indossava un
bolerino
arancione a maniche lunghe sopra un vestito di colore giallo oro. I
capelli castano
chiaro erano sciolti e le arrivavano un po’ più
giù delle spalle. Quando il
vento gli muoveva si vedeva un cerchietto arancione che li teneva fermi
sulla
fronte.
Mai rimase
immobile ad osservare la ragazza chiedendosi se la persona, che era
venuta a trovare,
era una persona importante per lei come per lei era stato Dan. Scorsero
alcuni
attimi e un soffio di vento scosse i suoi capelli e la sua gonna
facendola
rabbrividire per un istante. La ragazza alzò una mano per
trattenere i capelli
che il vento muoveva davanti al suo viso. All’improvviso la
ragazza si alzò e
Mai si riscosse. Ebbe l’impressione che dicesse qualcosa ma a
causa della
distanza Mai non sentì le sue parole. Poi la ragazza
iniziò ad allontanarsi con
passi frettolosi dopo essersi guardata di lato come per vedere che
nessuno
l’avesse vista. Dopo che la ragazza si era allontanata di una
ventina di metri,
Mai non riuscì a reprimere la curiosità di vedere
quella tomba e si avvicinò
lentamente. Si fermò davanti alla lapide e il suo sguardo
cercò di nuovo la
ragazza, che ormai era diversi vialetti più in
là. Poi i suoi occhi si
abbassarono e per prima cosa videro il mazzo di fiori posato davanti
alla
lapide. Era un mazzo di rose bianche avvolto in una leggera carta verde
chiaro.
Mai provò una strana sensazione di ansia mentre i suoi occhi
lentamente
salivano a guardare la lapide e per un attimo provò quasi
paura di vedere cosa
c’era scritto. Su un lato della lapide era cresciuta una
piantina di roselline
selvatiche di color rosa, i cui fiori iniziavano ad appassire. Al
centro c’era
la foto di una ragazzina di circa quattordici anni, il cui volto dalla
carnagione chiara era circondato da lunghi capelli verde chiaro. Gli
occhi rosa
chiaro sembravano scrutare chi la guardava come per leggere dentro di
lui e un
sorriso enigmatico illuminava il suo volto. La voce di Mai, a causa
dello
stupore, uscì dalla sua bocca in un sussurro.
“Kajitsu…
Momose…”
Di scatto si
voltò nella direzione in cui la ragazza si era allontanata.
Era ancora più
lontana di prima. Mai tornò a voltarsi ancora una volta
verso la lapide, prima
di mettersi a correre verso di lei. Voleva capire. Chi era quella
ragazza? Come
conosceva Kajitsu? Perché le aveva portato un mazzo di
fiori? Doveva sapere.
Sentendo i suoi passi di corsa sul selciato, la ragazza, senza
voltarsi, aveva
affrettato il suo passo. Mai si chiese se avesse qualcosa da
nascondere. Se era
così, lo avrebbe scoperto. Accelerò e di
conseguenza anche la ragazza iniziò a
correre. Mai però fu più veloce e
riuscì ad afferrarla per un braccio
costringendola a fermarsi. La ragazza si voltò quasi
spaventata cercando di
liberarsi da Mai.
“Lasciami
andare! Non ho fatto niente di male! Lasciami o chiamo
qualcuno!”
Mai si
sorprese
a quella reazione e i suoi sospetti aumentarono. Cercando di
tranquillizzarla
sorrise, ma la ragazza continuava a cercare di sciogliersi dalla mano
di Mai
per correre verso l’uscita.
“Lasciami
andare! Non so chi tu sia, ma lasciami andare!”
“Non
voglio
farti niente. Voglio solo che tu risponda ad una domanda, poi ti lascio
andare.
Cosa ci facevi a quella tomba?”
La ragazza non
sembrò ascoltarla e la guardò con un misto di
rabbia e di paura.
“Quello
che
fanno tutti! E adesso lasciami andare!”
La ragazza
riuscì a liberare il braccio dalla mano di Mai e
iniziò a correre. Non riuscì a
fare pochi passi che la voce di Mai la fermò.
“Come
conoscevi
Kajitsu Momose? Avevi conosciuto lei e suo fratello Yuuki? Rispondimi,
ti
prego!”
La ragazza si
voltò con sorpresa e guardò Mai con
più attenzione. Mai ne approfittò per avvicinarsi.
“Li
conoscevi?
Conoscevi i fratelli Momose?”
La ragazza
però
non rispose e la guardò con vago sguardo indagatore.
“E
tu come
facevi a conoscerli?”
Mai decise di
stare al suo gioco nella speranza di scoprire qualcosa.
Voltò lo sguardo di
lato e iniziò a giocherellare con una ciocca di capelli.
“Ero
una loro
amica…”
A quel punto
la
ragazza la scrutò con ancora più attenzione
avvicinando il volto a Mai che la
guardò a sua volta un po’ sorpresa.
“Tu
sei… tu
sei… Mai Viole?”
Una marea di
ricordi le passò per la mente sentendo quel nome e si chiese
come mai quella
ragazza avesse usato proprio quello. Ma non le sembrava una persona
pericolosa.
Decise di arrischiarsi a confermare.
“Sì,
sono io.
Ma non mi faccio chiamare così da un sacco di tempo. Ormai
ho ripreso il mio
vero cognome. Shinomiya.”
La ragazza
indietreggiò e, sorridendo felice, congiunse le mani
soddisfatta. Sembrava
entusiasta.
“Allora
sei un
Maestro della Luce. Sono così contenta di averti incontrato!
O sperato per
tanto tempo di poter incontrare uno di voi! Avrei voluto venirvi a
cercare, ma
non ho mai trovato il coraggio perché temevo sarebbe stato
troppo rischioso!”
Mai rimase un
po’ interdetta dal fiume di parola della ragazza e da quel
repentino cambio di
atteggiamento. Senza contare il fatto che era decisamente raro
incontrare
qualcuno che sognava di incontrare uno dei Maestri della Luce in quel
periodo.
Non sapeva più se essere sospettosa o incuriosita.
“E
come mai
volevi incontrare uno di noi? E si può sapere chi
sei?”
La ragazza
sorrise
quasi a volersi scusare e si colpì delicatamente la testa
con un pugno quasi a
punirsi della mancanza di cortesia.
“Scusami
se non
mi sono presentata. Mi chiamo Elisabeth. E riguardo a tutto il resto,
risponderò ad ogni tua domanda ma non qui.”
Il viso di
Elisabeth
assunse un’ espressione seria e i suoi occhi azzurri si
mossero velocemente a
guardarsi attorno, come per essere sicura che non ci fosse nessuno.
“Devi
capire,
qualcuno qui potrebbe sentirci. Vieni con me. A casa mia staremo
più tranquille.”
Elisabeth a
quel punto si voltò e iniziò a camminare verso
l’uscita mentre Mai era sempre
più sorpresa dagli atteggiamenti di quella ragazza. Mai si
guardò attorno e non
vide nessuno. Cosa c’era di così segreto da non
poter parlare in quel posto? Mai
venne riscossa dalla voce di Elisabeth che si trovava ormai vicino al
cancello
e le faceva gesto di sbrigarsi.
“Mai,
vieni.
Che cosa stai aspettando?”
“Niente,
arrivo.”
Mai si
affrettò
e raggiunse Elisabeth. Aveva deciso di fidarsi di lei. Prima di
attraversare il
cancello si voltò indietro. La tomba di Dan era
lì tra tutte quelle altre.
Sorrise e strinse il ciondolo. “A presto Dan.”
Poi Mai
attraversò il cancello e vide Elisabeth in attesa sul bordo
del marciapiede.
Dopo un attimo sorrise e alzò un braccio muovendolo in segno
di saluto. Mai
guardò nella sua stessa direzione e vide avvicinarsi verso
di loro una limosine
grigio metallizzato che si fermò davanti a Elisabeth. Dal
posto di guida scese
un uomo sulla quarantina in divisa che fece un leggero inchino verso
Elisabeth.
“Scusi
il
ritardo, Lady Elisabeth. La signorina accanto a lei
è…”
Elisabeth
sorrise e prese Mai a braccetto. “È
un’amica. È una dei Maestri della Luce, Mai
Viole il Guerriero Viola.”
L’uomo
sorrise
e annuì. “Capisco. Presumo che la signorina Mai
verrà alla villa con noi.”
Elisabeth
aprì
la portiera sorridendogli di rimando, prima di tornare a voltarsi verso
di lei.
“Esattamente.
Mai sali, arriveremo in pochi minuti a casa mia.”
Mai
annuì
meccanicamente e salì sulla limosine, imitata subito dopo da
Elisabeth. L’uomo,
prima di salire sulla macchina, guardò attorno come per
controllare che non ci
fosse nulla di sospetto. Soddisfatto dal controllo, salì e
mise in moto.
La limosine
cominciò a seguire la strada che si snodava tra le colline.
Il cimitero e la
città rimasero dietro ancora di più. Nelle conche
si riusciva a vedere il mare
azzurro che lontano scintillava. Mai, seduta sul sedile, guardava fuori
dal
finestrino mentre davanti le passavano i muri delle case, i giardini e
i prati.
Si continuava a chiedere chi fosse quella ragazza, che cosa avesse a
che fare
con loro Maestri della Luce e con Yuuki e Kajitsu Momose. Elisabeth era
seduta
davanti di lei e la guardò per un attimo, indovinando in
parte i pensieri di
Mai.
“Intanto
scusa
per la mia reazione di prima. So che ti sembro strana, con tutte queste
preoccupazioni o paranoie sul fatto di essere sentita e seguita, ma
quando
arriveremo a casa mia capirai tutto.”
Mai la
guardò.
“Immagino che neppure qui puoi rispondermi.”
“Sì,
sarebbe meglio.
Scusa se faccio tanto la misteriosa, ma non si sa mai chi potrebbe star
ad
ascoltare. Non è per Kosuke, di lui mi fido ciecamente e poi
sa tutto anche
lui. Il fatto è che voi Maestri della Luce avete ancora
così tante persone che
vi odiano e non aspettano altro che voi cerchiate di far sentire
più forte la
vostra voce per mettervi a tacere. Questo però immagino che
tu lo sappia,
vero?”
Mai
annuì
tristemente. Eccome se lo sapeva. Era anche per quello che era andata
nel
futuro. Per ritrovare in un certo senso se stessa. Prima aveva perso la
fiducia
in sé, aveva smesso di lottare perché non ce la
faceva più di essere derisa,
indicata con disprezzo, odiata. Solo per voler dire la
verità… e sapeva anche
bene che bastava che loro alzassero un po’ la testa per
rivedersi ripiombare
tutto addosso. Dopotutto era quello che era successo a Yuuki e sarebbe
potuto
succedere anche a Dan. Era per quello che ora, che aveva ritrovato la
forza per
riprendere a lottare, aveva deciso insieme agli altri di farlo passo
dopo
passo. Elisabeth la fissava e vedendo la sua espressione triste si
pentì di
quello che aveva detto.
“Scusa,
se ho
tirato fuori un argomento triste. Non volevo, credimi!”
Mai sorrise e
scosse la testa. “Non dovevi scusarti, sono io che mi sono
persa nei miei
ricordi.”
Elisabeth
sembrò sollevata e guardò fuori dal finestrino.
Alla fine della salita di
quella collina, c’era un cancello di ferro battuto molto
elaborato che chiudeva
una cinta di mura. Oltre si vedeva una villa di colore bianco-giallo
circondata
da un grande giardino. Mai imitò Elisabeth e
osservò la villa sempre più
vicina.
“Ecco,
ormai
siamo arrivati. Quella è casa mia.”
Mai
continuò a
guardare, mentre il cancello si apriva e loro entravano nel parco lungo
una
stradina sterrata e segnata da mattoni perfettamente allineati. Davanti
alla
casa le attendevano un maggiordomo. L’uomo si
avvicinò e aprì la portiera
aiutando a scendere Elisabeth. Poi accortosi dell’ospite,
aiutò anche Mai a
scendere. A Mai tornarono in mente Serge e Gaspard. Quei due uomini
assomigliavano loro.
Elisabeth si
voltò verso il maggiordomo “Kojiro, in mia assenza
è successo qualcosa?”
“No,
Lady Elisabeth.
Tutto tranquillo.”
Elisabeth
sorrise soddisfatta anche se, sotto sotto, sembrò essere
anche un po’ delusa.
Mai nel frattempo si guardava attorno. Quel posto era veramente
rilassante e
molto bello. Il suo sguardo passò poi sulla casa dove molte
finestre erano
aperte e le tende all’interno venivano mosse dal vento.
“E
per quanto
riguarda le sue condizioni, è cambiato qualcosa?”
Mai a quelle
parole si voltò chiedendosi di chi stessero parlando.
Qualche parente malato di
Elisabeth?
“No,
Milady.
Sono rimaste stabili, come ieri. Più tardi verrà
l’infermiera per i soliti
controlli, mentre il giardiniere ha già preparato i fiori.
Sono posati sul
tavolino all’entrata.”
Elisabeth
sospirò guardando verso una delle finestre del secondo
piano. Poi guardò con un
sorriso di riconoscenza il maggiordomo.
“Grazie.
Allora
vado subito a trovarlo.”
Il maggiordomo
annuì prima di spostare la sua attenzione su Mai.
“E
la signorina
che è venuta con voi?”
Mai, chiamata
in causa, fece un inchino. “Buongiorno. Sono Mai Shinomiya,
molto piacere.”
Elisabeth
guardò sorridendo il maggiordomo.
“È
il Guerriero
Viola, una dei Maestri della Luce.”
Mai si accorse
che anche il maggiordomo a quelle parole annuì, come se
sapesse benissimo che
cosa stava succedendo. Sarebbe voluta essere al suo posto. Non sapere
che cosa
stesse succedendo la infastidiva.
“Capisco,
molto
bene. Vado a dire di preparare il tè. Se mi volete
scusare.”
L’uomo
si
allontanò mentre anche la limosine si allontanava verso la
rimessa accompagnata
dal rumore della ghiaia. Mai guardò dentro il portone e vide
la sala d’entrata
con due grandi scalinate al centro. Elisabeth iniziò a
salire i pochi gradini
d’accesso facendolo cenno si seguirla.
“Mai
non
restare lì, entra. Non voglio sembrare scortese lasciandoti
qua fuori. Vieni.”
Mai la
seguì ed
entrò nel fresco della sala atrio. I loro passi rimbombavano
sul marmo del
pavimento. Sulle pareti c’erano alcuni quadri che
raffiguravano certamente la
famiglia di Elisabeth. Ai lati si aprivano due corridoi e altre porte
c’erano
oltre le due scalinate. Accanto alle pareti c’erano alcune
credenze di legno
antiche. Nello spazio al centro, dove si incontravano le due scalinate,
c’erano
un divanetto con accanto un tavolino. Su di esso Mai vide un altro
mazzo di
rose bianche, tenute legate da un filo di ferro. Un altro mazzo di rose
bianche. Elisabeth si avvicinò al divanetto e
posò la sua borsa facendo gesto a
Mai di fare lo stesso. Mai posò la borsa bianca accanto a
quella di Elisabeth,
mentre la ragazza prendeva in mano il mazzo di rose.
“Prima
di
rispondere alle tue domande, vorrei mostrarti una cosa. Ti avverto che
forse
potrebbe essere un po’ scioccante per te. Vieni.”
Elisabeth
iniziò a salire la scalinata. Mai prima si seguirla la
guardò incuriosita,
chiedendosi il perché di quell’avvertimento.
Capendo che, solo seguendola, lo
avrebbe scoperto, Mai la raggiunse. Salirono fino al secondo piano.
Elisabeth
prese il corridoio sulla sinistra. Da un lato si aprivano porte,
dall’altro
c’erano le finestre che davano sulla parte dietro del
giardino. Mai capì che
stavano andando nella stanza le cui finestre, Elisabeth aveva osservato
dall’entrata. Le tornarono in mente le sue parole: vado
subito a trovarlo, le
sue condizioni… Mai si chiese di chi stessero parlando.
Ormai non credeva più
che fosse un suo parente; dopotutto che motivo c’era di
farglielo incontrare
altrimenti? Se voleva che lui avesse delle visite, non avrebbe certo
portato
una sconosciuta incontrata mezz’ora prima. Mai si chiese
un’altra volta chi era
quella persona misteriosa. In quel momento Elisabeth si
fermò davanti ad una
delle porte e mise la mano sulla maniglia, senza però
aprirla. Mai si fermò
accanto a lei.
“Vorrei
chiederti di non gridare o reagire in modo troppo esagerato…
in realtà dubito
che ti potrà sentire, ma cerca di non farlo comunque?
Ok.”
Mai
annuì
mentre la tensione dentro di lei cresceva. Senza contare lo sguardo
malinconico
con cui Elisabeth aveva parlato. Chi c’era oltre la porta e
che cosa aveva?
Come a volerle rispondere, Elisabeth aprì la porta ed
entrò fermandosi subito
con le rose in mano. Mai entrò.
La stanza era
fresca e leggermente soleggiata. Le leggere tende bianche volavano fino
in
mezzo alla stanza a causa del vento. Le pareti erano bianche e
c’erano appesi
alcuni quadri che raffiguravano paesaggi. Accanto alla porta
c’era un mobile
con alcuni soprammobili e dei libri. Nell’angolo opposto
c’era un divanetto con
due poltroncine con al centro un tavolino decorato da un centrino di
pizzo. Un
soffice tappeto troneggiava al centro della stanza. Sulla parete
c’era un
orologio. Davanti di loro c’era un letto con accanto un
comodino con un vaso di
rose ormai un po’ appassite, una foto girata verso il cuscino
e quello che Mai
riconobbe come un mazzo di carte di Battle Spirits.
Dall’altro lato del letto
c’erano alcuni apparecchi medici che emanavano un lento e
continuo bip. Alcuni
cavi li collegavano alla persona distesa nel letto. Era un ragazzo di
alcuni
anni più grande di Mai che sembrava star dormendo. Due
cuscini lo sorreggevano,
coperto da un lenzuolo bianco. Sulla bocca aveva un respiratore e il
braccio
destro disteso sul materasso aveva alcune flebo attaccate ad esso. I
capelli
azzurro pallido erano delicatamente mossi dal vento e gli occhi erano
chiusi.
Il suo respiro era regolare e tutto avrebbe fatto credere che stesse
dormendo,
se non fosse stato per i valori indicati su quelle apparecchiature.
Valori
troppo bassi per uno che dormiva.
Mai
arretrò di
un passo, gli occhi sbarrati dallo stupore. Erano passati
così tanti mesi
dall’ultima volta che lo aveva visto e, sebbene sapesse che
era impossibile,
sapeva anche che non poteva essere che lui. Non poteva crederci, non ci
riusciva. Lui non poteva essere lì. Nella mente si
affastellarono immagini del
passato: da quando lo aveva incontrato per la prima volta, a quando
l’aveva
visto per l’ultima volta… quando era andata a dire
a Dan e agli altri che lei
non ce la faceva più, che si arrendeva. L’ultima
volta prima di quel giorno. Elisabeth
la guardava in attesa che lei dicesse qualcosa o magari temeva che lei
si
mettesse a gridare. Ma Mai non aveva la forza neppure per parlare,
figurarsi
per gridare. Mai scosse la testa posandosi al muro della stanza e
afferrando
istintivamente il ciondolo che pendeva al suo collo. Non - poteva -
essere.
Quelle parole continuavano ad essere scandite nella sua mente. Poi alla
fine,
dopo aver deglutito, riuscì a tirare fuori abbastanza voce
per sussurrare.
“Yuuki…
Momose…
non è possibile…”
Elisabeth a
quel punto si avvicinò al comodino e con gesti lenti
cambiò le rose nel vaso
con quelle che aveva. Appoggiò quelle appassite su una sedia
e cercò di
ravvivare un po’ le altre nel vaso. Mentre lo faceva,
parlò a Mai senza
voltarsi.
“Te
l’avevo
detto che sarebbe potuto essere un po’ scioccante.”
Scioccante…
Mai
pensò che era dir poco. Come puoi reagire se uno ti mostra
ancora vivo qualcuno
che in teoria tu consideravi morto? Mai cercò di riprendere
il controllo di se
stessa. Sarebbe dovuta essere contenta di vedere un suo amico ancora
vivo, ma
la sorpresa era ancora troppo forte per realizzarlo. Mai si
avvicinò lentamente
verso il letto tenendo lo sguardo fisso su Yuuki. Nel frattempo
Elisabeth aveva
terminato di sistemare le rose e si era voltata verso Yuuki. Con
delicatezza
aveva sistemato il lenzuolo che il vento aveva leggermente spostato.
Poi aveva
incrociato le mani e aveva sorriso.
“Buongiorno,
Yuuki. Hai visto chi è venuta oggi a trovarti? Una delle tue
amiche, ti
ricordi? Il Guerriero Viola. Sai, l’ho incontrata al cimitero
dove ho portato i
fiori da parte tua per tua sorella. Come è piccolo il mondo,
vero?”
Mai la
guardò. Elisabeth
non sembrava per niente infastidita dal fatto che il ragazzo non le
rispondesse, anzi, sembrava invece che per lei fosse normale e ne fosse
abituata. Ad un certo punto si mise a ridere.
“Sì,
lo so.
Avrei dovuto cercare lei e gli altri prima, ma devi capirmi. Avrei
rischiato di
metterti in pericolo e tu hai bisogno di tranquillità e
riposo per riprenderti.
Sono certa che un giorno capirai.”
A quel punto
Elisabeth
si voltò sorridendo verso Mai e facendole cenno verso Yuuki.
“Dai,
prova a
dirgli qualcosa. Il dottore ha detto che gli fa bene sentire parlare. E
poi
sono certa che sentire una voce conosciuta gli farà ancora
più bene. Dopotutto
ha sempre solo sentito la mia. Si chiederà chi cavolo sono.
Ma io mi sono
presentata fin dal primo giorno, te lo assicuro: è una cosa
che si deve fare
ogni volta che si conosce qualcuno di nuovo. Dai, parlagli.”
Mai
affiancò Elisabeth
e solo in quel momento si rese conto pienamente dello stato di Yuuki:
era in
coma. Sapeva bene che cosa significava. E se esso risaliva a quel
giorno, dopo
tutto quel tempo, capì che non c’erano neanche
più molte speranze che lui si
risvegliasse. Gli occhi le si inumidirono e non riuscì a
trovare nulla da dire.
Alla fine riuscì a sussurrare le prime parole venutele in
mente.
“Ciao,
Yuuki. È
un po’ che non ci vediamo…”
Prima che Mai
potesse trovare qualcos’altro da dire, lei e Elisabeth
sentirono bussare. Un
attimo dopo apparve sulla porta aperta il maggiordomo.
“Perdoni
l’intrusione, Milady. Volevo solo avvertirla che il
tè è pronto e che è appena
arrivata l’infermiera. Le ho detto che voi eravate qui e che
aspettasse un
attimo.”
Elisabeth
annuì. “Ti ringrazio Kojiro, dille che scendiamo
subito. Credo che anche Mai
debba un attimo riprendersi.” Poi si voltò verso
Mai e le posò una mano sulla
spalla. “Dai, vieni. Dopo se vuoi puoi tornare ancora, ma ora
l’infermiera deve
fare i controlli.”
Mai annuì e la seguì fuori dalla stanza come un’ automa. Prima di uscire, però, si voltò un’altra volta a guardare Yuuki disteso su quel letto.
Rieccomi
qua. Cosa ne pensate? ^-^ Penso che per essere la prima parte
dell'episodio (ho
dovuto dividerlo in più parti perchè se no era
troppo lungo) ci siano
abbastanza colpi di scena, vero? Yuuki è ritornato
(quasi...): non potevamo far
morire il nostro Guerriero Bianco, vero? E poi neppure in Brave erano
molto
chiari... e la prossima volta perciò scopriremo quello che
secondo me (e mio
fratello) gli è successo. Povera Mai, non se lo aspettava
proprio! Ok,
non vi trattengo ancora molto... solo un ringraziamento a chi ha
recensito e
inserito nelle preferite o nelle seguite "Waiting For You", ovvero:
Lacus Clyne, ShawnSpenster e chicca12lovestory. Mi raccomando, se vi va
e avete
tempo lasciatemi una recensione, anche piccolina. Ma vi ringrazio anche
se solo
leggerete. A presto, Hikari
P.S.
purtroppo non posso ancora segnare i personaggi perchè non
ancora presenti
nella sezione. Man mano che scriverò farò
richiesta che vengano aggiunti e per
questo vi chiedo, se sarete d'accordo e vi andranno bene, di votarli.
Grazie
mille.