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Autore: kirlia    07/10/2013    6 recensioni
[Sequel di "Eternal Flame - Un amore perfetto"] 
Continuano le avventure di Miles e Franziska, insieme alla piccola Annika. 
Cosa dovranno affrontare i due procuratori? Riusciranno a fare chiarezza sui loro sentimenti e finalmente vedere coronato il loro sogno d'amore segreto? 
E chi sta tramando nell'ombra - e forse dall'aldilà - per distruggere la loro felicità? 
Dal capitolo 5: 
Insomma, Miles aveva ammesso di amarmi, magari non direttamente, ma le sue intenzioni erano chiare! La mia felicità, quella che avevo intravisto nei miei sogni e nei momenti di pericolo era a portata di mano, così vicina da poterla afferrare in un attimo e stringerla al petto, rendendola finalmente mia.
Eppure esitavo. Perché lo facevo?
Perché avevo paura. Paura che tutto si rivelasse una sciocchezza, paura che Miles si sarebbe stancato di me, mi avrebbe abbandonato o avrebbe fatto solamente finta di volermi bene come Manfred von Karma aveva fatto dal giorno della mia nascita.
E avevo paura di deludere me stessa, cedendo a qualcosa che avevo rifiutato per anni. Avevo paura di cambiare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
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Capitolo 3 – I can’t be Tamed
 
For those who don't know me, I can get a bit crazy 
Have to get my way, ya, 24 hours a day 
'Cause I'm hot like that 
Every guy everywhere just gives me mad attention 
Like I'm under inspection, I always get the 10s 
'Cause I'm built like that 

I can't be tamed, I can't be saved 
I can't be blamed, I can't, can't 
I can't be tamed, I can't be changed 
I can't be saved, I can't be (can't be) 
I can't be tamed 

I can’t be tamed.

{Miles Edgeworth}

«Mein Gott! Questa casa è bellissima, Onkel Miles! Possiamo venire ad abitare qui?» strillò un’emozionata Annika, quando il grande portone di ferro si aprì, rivelando il grandioso ingresso di quella villa.
Sì, finalmente avevo deciso di trasferirmi: adesso che le cose con le mie due “ragazze” sembravano andare per il verso giusto, non c’era più alcun motivo per restare in quell’appartamento così piccolo e angusto. Tutti necessitavamo un po’ di spazio in più, avevamo bisogno di un ambiente più confortevole, una casa che fosse abbastanza grande da ospitare un’intera famiglia.
Sospirai felice, ricordando a me stesso che non sentivo la piacevole sensazione di appartenere ad una vera famiglia da molti, moltissimi anni. Certo, Franziska era sempre stata importante per me, ma l’influenza di una figura inquietante come Manfred von Karma aveva sempre impedito che si istaurasse una vera atmosfera famigliare, quando vivevo alla magione con loro.
In quel momento, tutto era diverso: c’era una certa serenità quasi palpabile, nelle risate gioiose della bambina che avevo adottato solo da pochi giorni, nell’abbaiare festoso di Pess e Phoenix quando tornavamo a casa, persino nelle occhiate di sufficienza che la mia… “sorellina” mi lanciava. Tutto contribuiva a rendere la mia vita più luminosa, come non lo era mai stata.
«Annika, non sporgerti troppo dal finestrino.» disse Franziska. La sua voce tagliente era addolcita da una nota di tenerezza, nei confronti della nipote, persino quando la rimproverava.
Questo suo comportamento mi piaceva e allo stesso tempo mi dispiaceva: sarebbe stato carino che lei si fosse rivolta a tutti in quel modo, ma, soprattutto, avrei voluto che parlasse a me con questo tono. Sapevo, comunque, che era impossibile. Frannie era fatta così, e in fondo a me piaceva proprio per quello. Oh, forse non avrei dovuto dire così…
«Ja, Tante Frannie. Quando posso scendere dall’auto?» chiese allora la piccola, senza riuscire a stare ben ferma sul suo sedile. Fortunatamente, la cintura allacciata le impediva di muoversi troppo.
«Fra poco. Lascia solo che parcheggi» commentai tranquillamente, prima di prendere posto accanto ad un’auto grigia e spegnere il motore. A quel punto la bambina si catapultò fuori, correndo verso l’ingresso della bella villa dai colori chiari circondata dal verde.
Era davvero un bel posto dove vivere, ed immaginavo che piacesse molto anche alle mie coinquiline: per quanto non avesse esattamente il gusto classico a cui erano abituate, sembrava davvero sontuoso. Si trovava nel quartiere più ricco della città, dove una volta anche io avevo una casa, almeno prima che decidessi che io e Pess, da soli, non avevamo bisogno di tanto spazio. Tornare a viverci sarebbe stato strano, ma adesso avevo molta più compagnia.
«Allora… cosa ne pensi?» chiesi pacatamente alla ragazza accanto a me, che scrutava intensamente l’edificio con quegli occhi azzurro cielo. Sembrava che la stesse quasi analizzando, probabilmente alla ricerca di un difetto da indicarmi. Non avrebbe mai ammesso che le avessi proposto una casa “perfetta”.
«Mi sembra… passabile, herr Miles Edgeworth.» rispose, come avevo previsto. Non voleva che mi sentissi soddisfatto della mia scelta, e questo mi fece sorridere. Sapevo che in realtà la casa le piaceva, per quanto non volesse dirmelo direttamente.
A proposito, aveva ricominciato a chiamarmi per nome e cognome da quando, un paio di giorni fa, l’avevo chiamata affettuosamente “Frannie” davanti a Wright e alle sue assistenti. Ero certo che non si fosse poi offesa così tanto, ma era brava a tenere il broncio a lungo. Io, in ogni caso, riuscivo ad ignorare questi suoi dispetti da ormai tanti anni, quindi non era un problema. Mi divertivano questi suoi giochetti infantili… mi ricordavano i momenti della nostra infanzia insieme.
Senza aggiungere altro, si diresse verso l’ingresso della casa, dove Annika ci aspettava. Sembrava impaziente di vedere questa possibile dimora. Ne avevamo girate parecchie, ma nessuno era sembrata abbastanza perfetta per le mie due von Karma. Quest’ultima, pensai con sollievo, sembrava almeno essere gradita alla piccola.
«Entriamo, entriamo! Deve essere bellissima!» ci prese ognuno per una mano, tirandoci all’interno, dove altre persone stavano osservando l’immobile.
Una donna, probabilmente la responsabile dell’agenzia con cui avevo fissato un appuntamento al telefono, venne ad accoglierci. Indossava una giacca blu con sopra un tesserino che citava “Amanda”.
«Oh, voi dovete essere i signori Edgeworth. Avete proprio una bella bambina!» commentò amabilmente, carezzando una guancia di Annie che, infastidita, si nascose dietro di noi. Credevo che fosse più coraggiosa e adulta, ma, in alcuni momenti, tornava ad essere semplicemente una piccola di soli sette anni.
Ma non era questa l’osservazione più importante da fare. La signora ci aveva scambiato per una coppia con una figlia e questo… beh… era piuttosto imbarazzante. Non che Franziska non fosse stata una bella donna da presentare come moglie – non potevo fingere di ignorare l’attrazione che provavo per lei – ma non credevo che questo errore le fosse gradito. La vidi infatti irrigidirsi, come se si fosse pietrificata sul posto. Incrociai il suo sguardo e notai che era impallidita e poi arrossita.
Tutto ciò era strano da parte sua: l’avrei immaginata frustare a morte l’agente immobiliare o, vista l’assenza della frusta, mi sarei aspettato che le urlasse contro che lei era una von Karma. Invece rimase in silenzio, come se non riuscisse ad opporsi. Cosa le succedeva? Quello non era un atteggiamento normale, per lei.
«Si… si sbaglia. Loro sono mia sorella e mia fi… ehm, nipote.» tossicchiai nervosamente. Avevo chiarito subito ad Annika che ero suo zio, e non suo padre, e quasi la chiamavo figlia? Beh, era difficile decidere quale appellativo darle. Come era complicato, a dire il vero, definire “sorella” Frannie. Forse, in fondo, sarebbe stato meglio fare credere alla signora che si trattasse della mia compagna.
«Oh! Mi scusi, signore. Credevo che…» si interruppe, guardandoci come se notasse qualcosa che a noi sfuggiva, poi continuò «Beh! Meglio cominciare il giro della casa, che ne dite? Da questa parte!»
Ci indicò il percorso e noi la seguimmo.
 
La signora Amanda sembrava piuttosto allegra, troppo allegra, mentre ci mostrava i “fantastici” fornelli e la “mitica” vasca da bagno. Dava persino sui nervi.
Mi massaggiai le tempie, mentre la ascoltavo sproloquiare sulla “stupefacente” tonalità di giallo di cui era tinta la stanza che sarebbe stata utile come studio – o come stanza dei cani, come aveva fatto notare Annie. Lanciai un’occhiata stranita alla persona accanto a me.
Franziska, cosa davvero sorprendente, molto più degli oggetti di quell’immobile, non diceva una parola. Eppure sapevo quanto odiava gli individui del genere, troppo emozionati e felici per delle sciocchezze. Di solito, li avrebbe fissati con odio, stringendosi elegantemente la manica della camicetta con la mano guantata, e la sua fronte chiara sarebbe stata incrinata da rughe di impazienza. Quel giorno invece sembrava essere in un altro mondo, distante, pensierosa.
Per un attimo il terrore si fece strada dentro di me, mentre ricordavo che l’ultima volta che l’avevo vista così aveva preso la decisione di partire, lasciandomi da solo.
No, non stavolta. Non poteva prendere una decisione del genere, perché non le avrei permesso di portare via la bambina e, senza di lei, non si sarebbe mossa di un millimetro. Ma, allora, cosa stava pensando?
«Frann… Cioè, Franziska? Cosa c’è? Se questa casa non ti piace, possiamo pure andare...» le dissi, con un tono vagamente preoccupato. Non era da lei comportarsi così, e in un attimo di coraggio – o non sapevo come altro definirlo – le poggiai una mano su un braccio.
«N-Nein!» rispose, vagamente sorpresa, scostandomi. Che fosse così distratta da non accorgersi quasi della mia presenza? Sapevo che, quando rispondeva improvvisamente in tedesco, erano i suoi sentimenti a prendere il sopravvento e a parlare per lei.
«… No, Miles. Ero sovrappensiero. Ritengo che questa casa sia perf… adatta a noi.» la sentii rispondere, con una voce ancora vagamente tremante. Aveva cercato di riprendere la sua solita calma, ma non c’era del tutto riuscita. Riuscivo a capirlo anche dal fatto che fosse tornata a chiamarmi semplicemente per nome, per un probabile errore.
Era da quando avevamo varcato quella soglia che non diceva una parola: che si fosse davvero offesa per l’insinuazione di quell’agente immobiliare? Non mi sembrava da lei, eppure era l’unica soluzione che mi veniva in mente.
Ignorai quei pensieri che continuavano a tormentarmi e tornai a sorridere leggermente. Dovevo essere positivo, e non rimuginare su supposizioni che probabilmente non avevano niente di vero: Franziska stava meditando soltanto su quale stanza avrebbe scelto come sua camera da letto, ne ero certo.
«Mi piace, mi piace! Onkel, Tante, possiamo trasferirci subito qui?» commentò Annika che, a sua volta, era rimasta silenziosa per tutto il tempo.
Annuii e sospirai di sollievo. Finalmente l’avevamo trovata! Avevamo scelto la casa giusta per noi, e tutto sarebbe andato per il meglio.

{???}

Sospirai per l’ennesima volta, dopo aver preso un sorso dalla mia tazza di tè fumante.
Un altro giorno chiusa lì dentro. Chissà quanti ne erano passati?
Troppi, in ogni caso.
Ma non avevo altra scelta.
E in quel momento mi ritrovavo seduta su quella poltrona troppo scomoda per una personalità importante come me, a rimuginare sui miei errori. I miei errori, che non erano di certo quelli che tutti immaginavano.
In realtà, non facevo altro che sprofondare nel senso di colpa, ripensando a tutti quei piani talmente ben articolati, talmente perfetti da essere andati in fumo.
Buchi nell’acqua, uno dopo l’altro.
All’inizio, quando ero stata chiusa dentro quel luogo così scuro e angusto, pensavo di aver perso la mia prima ed unica occasione di togliere di mezzo quella ragazzina. Avevo passato i giorni a rimproverarmi come una stupida: quello era il momento in cui avrei dovuto farla fuori! Quella sarebbe stata la sua fine e la mia rivalsa!
Il mio cognome sarebbe stato riabilitato, la mia famiglia sarebbe di nuovo stata sulle bocca di tutti per le nostre straordinarie capacità!
E avevo mandato tutto all’aria per il semplice errore di essermi affidata alle persone sbagliate, di aver contato sul fatto che sarebbero bastate poche prove ad incriminarla.
Mi ero sbagliata, perché la fortuna sembrava essere sempre a suo favore.
Tante volte avevo pensato di trovare un altro modo per eliminare la sua minaccia, per fare il modo che il nome di P…
«Signora?» mi interruppe un agente, aprendo la porta della mia stanza.
Il filo dei pensieri che andavo costruendo fu spezzato dalla sua voce, così dura e fastidiosa. Non sapevano proprio come rivolgersi ad una persona del mio calibro.
«Mi dica…» risposi sorridendo, falsa come sempre, e prendendo poi un altro sorso del mio tè, che si andava raffreddando. Lo posai sul tavolino lì accanto a me.
«C’è una telefonata per lei, e sembra essere molto urgente» mi informò l’uomo in divisa, invitandomi poi a seguirlo fuori dalla camera.
Mi alzai stancamente, come se persino stare seduta tutto il giorno fosse faticoso.
E in effetti era così, specialmente per una persona che dovrebbe essere piena di impegni come me.
Mi decisi a seguirlo, anche se non pensavo che la persona dall’altra parte della cornetta mi avrebbe offerto una possibilità che non credevo più di avere.
Questa volta non avrei fatto errori, questa volta l’avrei eliminata.


{Franziska von Karma}

Non ero esattamente felice della situazione.
C’era qualcosa che non andava, in tutta quella recita di me, Miles e Annika come una “famiglia felice”, ma non riuscivo a capire cosa. Forse si trattava del semplice fatto che noi, in realtà, eravamo solo degli individui che si sono costretti a vivere insieme per ironia della sorte? O forse… Forse la verità era che sembrava che ai miei “coinquilini” non dispiacesse affatto tutto ciò?
Perché, in effetti, loro apparivano tremendamente tranquilli e felici di quello che stava succedendo. Io, invece, continuavo a riflettere su una soluzione diversa, qualcosa che non comprendesse il mio “fratellino” nel pacchetto.
Non che lo odiassi: anche se spesso avevo affermato il contrario, persino lui sapeva, nel profondo, che i miei sentimenti per lui non comprendevano affatto l’odio. Ma io ero una von Karma, e volevo rimanere fredda e impassibile agli occhi degli altri. Una famiglia così gioiosamente legata, come ci stavamo dimostrando, non era proprio il modo migliore di dimostrarmi una perfetta seguace della perfezione.
Decisi, quindi, che per far riemergere la Franziska di una volta, di certo mancava un accessorio essenziale.
«Dove stai andando… Franziska?» chiese Miles, mentre mi accingevo ad indossare il cappottino nero e invitavo la mia nipotina a fare lo stesso.
Quella mattina avevo deciso finalmente di uscire a fare “spese”, ma Annika aveva insistito nell’accompagnarmi. All’inizio ero stata totalmente in disaccordo con lei, e avevo pensato di trovare una scusa per lasciarla a casa insieme al nuovo tutore, ma poi mi era venuta in mente un’idea.
La piccola era così fragile ed indifesa, un po’ come me alla sua età, quindi perché non aiutarla a diventare una donna forte e indipendente?
Di lì a poco l’avrei iscritta a scuola, e Miles insisteva nel fatto che dovesse trattarsi di una scuola pubblica. Inutile dire che io non ero affatto d’accordo, ma purtroppo, lui ci teneva sempre a ricordarmi di avere la tutela di Annie, e con essa la facoltà di decidere per lei.
Bene. Se proprio aveva voglia di mandarla in mezzo ad un branco di sciocchi bambini americani per niente educati, la bambina avrebbe avuto bisogno di difendersi.
«Onkel Miles! La Tante mi porta a comprare una frusta tutta per me! Non è fantamitico?» commentò emozionata la piccola.
Io la guardai con una punta di rimprovero, totalmente smorzata dal mio sorriso affettuoso.
Beh sì, mi ero ritrovata a sorridere spesso da quando lei era con me: era proprio per questo che avevo bisogno della mia migliore amica frusta. E ne avrei presa anche una piccina per lei, in fondo aveva già l’età per poterla utilizzare al meglio.
«Si dice “fantastico”, Nichte. Ti chiedo di non ripetere queste sciocche parole prive di senso che di certo sono stati herr Phoenix Wright e la sua combriccola ad insegnarti» le dissi, mentre la aiutavo ad indossare un bel cappellino bianco. Quella mattina faceva piuttosto freddo, e non volevo che si raffreddasse. Il solo pensiero che potesse sentirsi poco bene mi faceva andare nel panico, visto che non sapevo come prendermi cura di un’eventuale bambina ammalata.
«C-cosa? No, non sono per niente d’accordo con tutto ciò» ribatté Miles, come ovviamente mi aspettavo avrebbe fatto, alzandosi dalla poltrona dove stava leggendo e venendo nella nostra direzione.
Mi alzai ritrovandomi faccia a faccia con lui. Beh, non esattamente, visto che lui era un po’ troppo alto per me. In quel momento, poi, si ergeva in tutta la sua altezza solo per farmi sembrare più bassa, ma non mi avrebbe fatto desistere con il suo atteggiamento.
«Non mi importa se non sei d’accordo, herr Miles Edgeworth. Annika ha bisogno di sapersi difendere dal mondo esterno, e io le insegnerò a farlo» risposi io, mettendo le mani guantate sui fianchi e guardandolo in modo ostile.
Lui sembrò vacillare per un momento, e questo mi diede modo di sorridere. Anche lui si rendeva conto che la piccola sarebbe stata troppo esposta ai pericoli della vita reale, e che aveva bisogno di un’arma.
«M-ma… ci sono altri modi! Come suo tutore, non ti permetto di regalarle una frusta» riprese il controllo lui, incrociando le braccia e guardandomi con aria di rimprovero.
Ma come si permetteva di parlarmi in quel modo?! Credeva forse che fossi una mogliettina che poteva controllare come più gli pareva?
Ecco cosa non mi piaceva di tutta questa situazione “familiare”. Se lui credeva di poter essere il capo, non aveva capito proprio niente!
Strinsi una mano sul fianco, desiderando di avere a disposizione proprio quella frusta che stavo andando a comprare, e mi resi conto che dovevo reagire alla svelta e riprendermi il mio posto.
«E come sua zia, non mi importa niente del tuo parere! Ha bisogno di quell’oggetto per farsi valere, cosa vuoi saperne tu?» strillai, un po’ troppo coinvolta da quella discussione. Avrei dovuto prenderla con più calma, ma in quel momento mi ero totalmente innervosita.
Lui non era proprio nessuno per dirmi quello che potevo e che non potevo fare!
La mia reazione lo stupì, riuscii a vederlo dai suoi occhi. Non si aspettava che me la prendessi tanto, forse, e arretrò di un passo. Che le mie parole l’avessero davvero colpito?
Il suo sguardo si spostò sulla piccola figura accanto a me, e io non potei fare a meno di seguirlo.
Annika ci guardava, tenendo le piccole mani davanti alle labbra rosee aperte in una piccola “O” sorpresa. I suoi occhi color mare erano lucidi di lacrime e le guance arrossate. La sua espressione era chiara: non si aspettava assolutamente di vederci litigare, non così aggressivamente, almeno.
Deglutii sommessamente e cercai di ricompormi. Avevo fatto di tutto per non fare notare questa parte di me alla piccola, e improvvisamente perdevo il controllo per un motivo così sciocco. Come avevo potuto? E se adesso non si fidasse più di me…?
Il mio sguardo tornò a Miles, stavolta allarmato dalla situazione, e lui si rese subito conto di ciò che volevo dirgli solo guardandomi. Sospirò e si passò una mano tra i capelli argentei, prima di sorridere leggermente.
«Avete ragione, scusate se sono stato così reticente…» cominciò lui, e io rimasi paralizzata.
Ero io quella che avrebbe dovuto scusarsi. Ero stata io ad alzare la voce in quel modo per niente appropriato, mostrandomi alla bambina come una donna decisa a fare di testa propria. Aggressiva.
E invece era lui quello che si stava scusando?
«Miles, io…» cercai di dire, anche se per me era sempre un duro colpo ammettere di aver sbagliato. Lui alzò una mano, per bloccare quel flusso di parole che stentavano ad uscire dalla mia bocca.
«Lo so. Alla piccola non farà male conoscere un buon modo per difendersi. E sono sicuro che troveremo un accordo.» rispose alla frase che non ero riuscita a concludere.
Improvvisamente mi stava dando ragione, e lo stava facendo su una cosa che avrebbe sempre considerato inaccettabile. Qual era la sua strategia? Perché non riuscivo a capire cosa gli stesse passando per la mente?
Poi mi resi conto.
Lui non voleva, come me, che noi apparissimo ad Annika come due tutori che si urlavano contro per colpa sua. Per la bambina, sarebbe stato terribile pensare che noi due litigassimo per faccende che la riguardavano, sarebbe stato come ammettere che la sua presenza aveva distrutto la nostra serenità.
Sapevamo entrambi che Annie era piuttosto intelligente, e se sarebbe giunta a questa conclusione chissà cosa avrebbe fatto...! Non volevo nemmeno immaginare le possibilità: poteva fuggire di casa, essere investita da un camion… No. Non dovevo nemmeno pensare a quest’eventualità.
Sorrisi, cercando di ricacciare indietro tutta la rabbia che era scaturita da quel conflitto, e risposi.
«Sapevo che avresti capito, Miles. Ti andrebbe di venire con noi?» lo invitai, sogghignando improvvisamente.
Forse avrebbe avuto un attacco isterico vedendo scegliere alla bambina la sua frusta personale. Sarebbe stato piuttosto divertente da vedere, visto che lui non si scomponeva mai.
Il mio “fratellino” impallidì, poi annuì.
E, per fortuna, vidi Annika sorridere.

«Non… credevo che esistessero negozi specializzati nella vendita di fruste» commentò Miles, mentre osservavamo la vetrina dove erano esposti fruste e frustini di tutti i generi, colori e qualità.
Lo guardai di sottecchi, mentre stringevo ancora la manina di Annika che, come non avrei mai immaginato, osservava affascinata la merce. Sembrava che l’idea di possedere quell’arma le piacesse, forse perché l’avrebbe fatta sembrare ancora più simile alla zia?
«E dove pensavi che avessi preso la mia, in un sexy shop?» chiesi ironicamente, mentre spingevo la porta di ingresso ed entravo nel locale.
Non ebbi bisogno di voltarmi per sapere che era arrossito di imbarazzo, perché lo sentii dire, in tono molto nervoso «Franziska! Non davanti alla bambina!»
Ridacchiai leggermente, lusso che mi concedevo di rado, ma non così tanto ultimamente. Vivere insieme a lui e alla mia nipotina includeva scene abbastanza comiche in cui non si poteva far a meno di sorridere.
«Cos’è un secsi sciop, Tante Frannie?» chiese in quel momento Annie, tirandomi per la manica del cappotto. Io la guardai serenamente e poi additai l’uomo insieme a noi.
«Te lo spiegherà Onkel Miles quando sarai più grande, Nichte» risposi, per poi lanciare un’ultima occhiata divertita a lui, incrociando il suo sguardo di rimprovero.
Sì, mi piaceva creargli problemi. Era divertente vederlo reagire ogni tanto, visto che di solito se ne stava sempre così calmo e compassato!
Lui tossicchiò, poi sembrò essere sul punto di dirmi qualcosa, ma fu interrotto dall’arrivo del commesso del negozio, che sembrò vagamente stupito di vederci. Speravo solo che non ci avesse confuso con una “famiglia felice” come sembravano fare tutti ultimamente.
«Buongiorno. Mi dica, ha bisogno di qualcosa?» mi chiese in modo cortese.
Io lo degnai appena di un’occhiata, prima di lasciare che mi esponesse i migliori prodotti del suo negozio.

Erano passate delle ore, prima che il signore finisse di mostrarmi tutte le pregiate armi che teneva nel suo locale, e probabilmente avrei perso il conto se avessi deciso di numerare tutte le volte in cui mi aveva chiesto «In particolare, a che cosa le servirebbe questa frusta?»
Non che lo volessi uccidere, ma in quel momento se i miei occhi glaciali ne sarebbero stati capaci, probabilmente si sarebbe ritrovato sul pavimento senza vita. Che importava poi a lui? Non faceva parte del suo impiego sapere a cosa mi serviva la frusta.
Ah, nella mia amata Germania i commessi non erano così invadenti, e facevano il loro lavoro con professionalità e correttezza.
Questo tizio invece, sembrava ostinato a sapere che utilizzo volessi fare del mio acquisto, e lanciava strane occhiate a Miles. Mi chiedevo perché… e speravo per lui che non si fosse fatto strane idee!
«Vi lascio scegliere in privato, io vado un attimo in magazzino» commentò, con uno sguardo molto strano che passava da me al mio accompagnatore, poi si dileguò.
Sospirai, prima di passare a prendere in mano le varie fruste, per saggiarne la pesantezza e l’elasticità. Non tutte erano adatte a me: il manico doveva essere piuttosto piccolo, per fare in modo che potessi impugnarla bene, e la pelle utilizzata doveva essere di ottima qualità.
Non avrei accettato niente che non fosse la perfezione.
Annika stava provando un piccolo frustino azzurro – non sapevo con che colorante fosse stato tinto, ma prendeva una bella colorazione turchese – e colpiva l’aria con colpi potenti e decisi. Oh sì, era proprio mia nipote!
«Che ne dici di scegliere in fretta? Sono ore che siamo in questo negozio, e il venditore continua a guardarmi in modo strano» commentò nervosamente il mio “fratellino” avvicinandosi a me e cominciando a dare un’occhiata anche lui alla merce.
Io annuii, ma mi trovai in disaccordo con lui.
«Lo so, ma devi darmi tempo. Non posso rischiare di scegliere l’arma sbagliata. Ah, se ci fosse herr Sciattone qui lo potrei usare come cavia…» dissi in modo sognante, strappandogli un sorriso.
Lui però sembrò deciso a sbrigarsi con quella faccenda, e mi passò una lunga frusta nera, che alla luce del sole sembrava avere dei riflessi blu scuro. Anche questa doveva essere stata trattata, il che mi faceva dubitare vagamente della sua resistenza.
La presi in mano stringendone l’impugnatura e rimasi in silenzio. Sembrava essere perfetta per la mia piccola manina guantata, quasi più della mia fidata frusta rimasta in mano alla polizia dopo essere stata considerata arma del delitto.
Provai a farla schioccare, ed essa si inclinò elegantemente sotto il mio colpo, con una precisione assoluta. Passai un dito sulla pelle, che si rivelò liscia e resistente come l’acciaio, eppure totalmente elastica.
Mi ritrovai a sorridere entusiasta. Non avevo mai visto un’arma più perfetta!
«Sembra che la mia scelta ti sia piaciuta, Frannie. E guarda! È persino in tinta con quella di Annika» commentò Miles, indicandomi il frustino azzurro della bambina.
Non mi piaceva molto dare soddisfazioni a quel procuratore in rosso, ma in questo caso non potevo fare altrimenti. Era davvero perfetta.
«E visto che ho accettato di venire qui con voi, sarò io a regalarvi questi oggetti» aggiunse, per poi chiamare il commesso e pagare entrambe le fruste.
Non mi diede nemmeno tempo di replicare che io ero una donna indipendente e come tale avrei pagato da sola il mio acquisto, ma evitai di lamentarmi. Per oggi avevo già esagerato e, anche se odiavo ammetterlo, avrei dovuto continuare a recitare la scena della “famiglia felice”.
L’avrei fatto per Annika, che finalmente vedevo sorridere come prima. 


Angolo di Kirly: 
Okay, non uccidetemi. Il mio ritardo non ha scuse, assolutamente, soprattutto perché non sono stata assente da Efp. 
Solo che avevo vagamente perso l'ispirazione e mi ero data ad altre scritture. Mi capirete mai? ç_ç 
Vabbè, ignorando tutto ciò, torniamo al capitolo. 
Come avrete immaginato, la sfida che vi propongo oggi è indovinare chi è il personaggio misterioso che compare più o meno a metà capitolo! Chi sarà il misterioso "???"? Lo scoprirete solo continuando a seguire la fic *-* 
Altre cose da segnalare? Oh, si! Spero che avrete notato la caaara citazione di Hunger Games che non ho potuto evitare di utilizzare. Ci stava troppo, devo ammetterlo. 
Oggi non vi lascio immagini perché non riesco a far funzionare bene il pc... ma mi rifarò, promesso! 
Spero che vorrete dirmi cosa ne pensate! 

Un bacio e a presto, 
Kirlia <3 
   
 
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