Rosso
Parte I
Parte I
«Dare
un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza
senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.»
(Antologia di Spoon River)
(Antologia di Spoon River)
Il tragitto
verso casa è la parte della giornata che Gabriele odia
maggiormente, dieci minuti interminabili durante i quali ci sono solo
lui, i suoi pensieri e l'amor proprio ferito ed essi, instancabili,
combattono tra loro. Avviano una battaglia silente, intestina, che lo
scuote fin nelle membra e lo lascia sempre un poco stordito;
perché in fondo ci ha pensato fin troppe volte a come
zittire quel gradasso di Antonio e i suoi compari, in dodici anni di
vita ci ha davvero pensato troppo, agendo poco al riguardo e
lasciandosi sopraffare dalla paura. Perché, sì,
la codardia ha sempre avuto la meglio, affossando ulteriormente il
già quasi inesistente orgoglio. Quando arriva sulla soglia, dopo aver sorpassato come d'abitudine di ritorno da scuola quel vecchio parco accanto a casa, il bambino suona il campanello. Quando sua madre gli apre, le sorride rassicurante ― non vuole che lei si impensierisca ― poi si chiude la porta alle spalle e un ultimo sguardo, prima che la porta sbatta, va al mare, distante e impervio. Debole di costituzione così lo definiscono i medici. Un modo carino per dire gracile, un mero eufemismo per affermare che il ragazzino in questione non ha né la salute di ferro dei suoi coetanei né la forza fisica di un suo pari; per non parlare dell'altezza, che con i suoi 141 cm è ben al di sotto della media. «Crescerai, Gabriele» gli dicono loro, i dottori, eppure non è che lui ci creda davvero. Gli pare gli rifilino un mare di fandonie, perché è sapere comune che i grandi, gli adulti, infarciscano i loro discorsi di infinitesimali bugie. Come quando nonna gli raccontò del giorno in cui nacque e che, a suo dire, lo trovarono sotto un cavolo; quella volta avrebbe volentieri ribattuto che, no, l'aveva letto su un libro che i bambini escono dalla pancia delle mamme e non si trovano sotto i vegetali. Ma quello, dopotutto, era solo uno dei molti esempi che avrebbe potuto enumerare. A raccontare menzogne, però, non sono solo gli adulti, anche coloro che lo chiamano femminuccia o donnicciola o, ancora, ragazzina dicono il falso, dal momento che è palese che lui non sia tale. E, certo, non è il più alto della classe o il più muscoloso, ma fino a prova contraria è ancora un maschio. Maschio, non femmina; lui è un maschio. E una volta di queste Gabriele vorrebbe domandarlo, vorrebbe chieder loro per quale motivo lo chiamino così e, meglio ancora, perché dovrebbe essere tanto offensivo sentirsi dare della femmina. Cosa ci sarebbe di così sbagliato nell'essere femmine? Mamma è brava a far tutto, ragiona lui senza trovare risposta alcuna. |