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Autore: rolly too    16/04/2008    8 recensioni
[Partecipante al Storie Edite Contest indetto da Mokochan]
Il Villaggio della Sabbia sta attraversando una situazione critica; Gaara è stato deposto e condannato a morte, e il nuovo Kazekage sta trascinando Suna verso la rovina con una guerra contro Konoha.
Mentre Kankuro dovrà chiedere aiuto a Konoha, Temari e Shikamaru cercheranno di salvare Gaara...
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Shikamaru Nara, Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Ed ecco a voi il secondo capitolo, che racconta il primo giorno di "convivenza" di Temari e Shikamaru. Comparirà anche Gaara, mentre Kankuro sarà lasciato in disparte e tornerà nel prossimo... (Deve dividersi la fine del capitolo con il fratello, quindi una volta l'uno e una volta l'altro) Dopo aver detto questo, vi lascio alla lettura.

Shikamaru, seduto sui talloni, guardò Temari, che dormiva accanto a lui. Si agitava nel sonno, mormorando parole senza senso. Non gli era mai capitato di pensare a lei come ad una persona in grado di perdere il controllo, piangere e disperarsi. Eppure, era proprio quello che era successo. La sera prima, quando aveva finito di illustrarle il suo piano, che la ragazza aveva approvato incondizionatamente, era corsa in bagno. Aveva aperto l’acqua, e dopo un po’ il ragazzo aveva sentito chiaramente dei singhiozzi soffocati.
Quando era tornata, la kunoichi aveva gli occhi lucidi di pianto, ma lui aveva deciso di ignorarlo.
Improvvisamente la giovane si rizzò a sedere, e si portò istintivamente una mano sul volto. Lui distolse lo sguardo. Non aveva mai visto Temari perdere il controllo, si sentiva a disagio ad osservarla.
Da uno spiraglio sul soffitto, dove si trovava la botola, entrava un fascio di luce chiara e della sabbia sottile.
“E’ giorno, Mendekouze.” la informò quando lei si voltò a guardarlo.
“Lo so perfettamente.” replicò quella. “Ma avevi detto che ci saremmo mossi di notte, se non sbaglio.”
“Sì, ma stavo pensando che sarebbe troppo rischioso.” La giovane aggrottò le sopracciglia.
“E cosa vuoi fare, allora?”
“Andare al villaggio. Tu sei la sorella del Kazekage e ti conoscono tutti, ma io non sono nessuno; sono sicuro che passerò inosservato.” spiegò. “Loro si aspettano che ci muoviamo di notte, perché tutti lo farebbero.”
“E’ rischioso.” obiettò la ragazza, accigliata.
“Anche penetrare nelle prigioni del Villaggio per liberare Gaara lo è. Però, se non sbaglio, è tra i tuoi progetti, Mendekouze. E’ una seccatura enorme, preferirei rimanere a dormire, ma ho un debito con te.” si alzò e si avvicinò alla botola.
“Sei ferito.” gli ricordò Temari. “Cerca di non esagerare, e soprattutto, cry-baby, non metterti nei guai. Nessuno ti verrà a salvare.” e rimase ad osservarlo mentre, con una smorfia contrariata, apriva la botola e usciva dal rifugio.

Shikamaru si guardò intorno. Era nel bel mezzo del deserto di Suna, come Temari gli aveva spiegato, e, se ne rendeva conto solo in quel momento, non aveva idea di dove fosse il Villaggio. Aguzzò la vista, cosa difficile sotto al sole accecante di quel Paese, ma non gli sembrò di scorgere nulla di particolarmente rilevante.
Fu tentato di tornare nel rifugio e chiedere indicazioni a Temari, ma sicuramente la ragazza lo avrebbe deriso e sbeffeggiato per l’eternità, una volta che quel disastro fosse passato. D’altra parte, nonostante fossero passati quasi due anni, lo chiamava ancora ‘cry-baby’, anche se, in effetti, il suo tono era molto diverso da quello che utilizzava tempo prima.
Si incamminò verso sud, pregando che fosse la direzione giusta. Quando si accorse che era in vista delle porte del Villaggio, rallentò il passo.
Procedeva lentamente, riflettendo.
Non aveva mai avuto, in tutta la sua vita, un’idea tanto azzardata come quella che l’aveva invaso la sera prima, e che l’aveva convinto ad esporre un piano decisamente folle a Temari, che, dal canto suo, ancora sconvolta per le sorti dei due fratelli e incapace di mantenere il pieno controllo di sé, aveva accettato.
Erano entrambi ninja dotati di grande logica e astuzia, che non guastava, ma rimaneva il fatto che erano due contro tutte le forze armate del Paese, che, a giudicare dal nuovo regime, non si facevano scrupoli ad uccidere e torturare chiunque, in cambio di una lauta ricompensa dai propri superiori.
Come avrebbero fatto, inoltre, se fossero riusciti ad entrare nelle prigioni, a portare fuori Gaara? Nella migliore delle ipotesi l’avrebbero trovato sfinito, forse affamato o ferito, ed era troppo ovvio il fatto che sarebbero stati seguiti e che li avrebbero attaccati.
Dubitava che Kankuro sarebbe riuscito ad aiutarli. Forse Konoha poteva intervenire in campo diplomatico, ma cosa sarebbe successo all’Hokage se le altre Potenze Ninja avessero scoperto che aveva dato ordine di assassinare il Kazekage? A poco sarebbe servito spiegare che si trattava di un ribelle, che sottometteva il popolo con il terrore e la violenza, che aveva sperperato il denaro del Villaggio e che aveva deliberatamente corso il rischio di far annientare tutto il Paese dichiarando guerra a quella che probabilmente era la maggiore potenza militare. In molti Paesi era così.
Arrivò alle porte del Villaggio, e una guardia gli corse incontro.
“Straniero! Che fai qui? Cosa vuoi fare in questo Villaggio?” gli domandò. Shikamaru lo squadrò per un istante.
“Straniero?” esclamò, indignato. “Vivo qui da più tempo di te, e hai il coraggio di chiamarmi straniero? Fammi passare, il Kazekage mi ha fatto chiamare e verrà a ringraziare te se arriverò in ritardo.” A quelle parole, la guardia impallidì, e si fece da parte. Il ragazzo di Konoha non osò immaginare le punizioni che erano riservate a quegli uomini.
S’incamminò nella parte ovest del Villaggio.
Si avvicinò all’edificio delle carceri. Era per metà sotterraneo; la parte che si vedeva era rivestita interamente di metallo, che sicuramente rendeva l’interno troppo caldo per essere sopportato. C’era un’unica apertura, una minuscola finestrella al livello del terreno.
La fissò per un po’. Se si fosse avvicinato, le guardie che controllavano l’edificio l’avrebbero fermato ed interrogato, e avrebbero scoperto che non era un abitante di Suna. Tuttavia, se non avesse controllato... Forse quello era l’unico modo per entrare. Forse quella era la chiave per la salvezza di Gaara.
C’erano due guardie. Come poteva fare ad allontanarle entrambe? Si inginocchiò a terra, mormorando “che seccatura”, e congiunse le mani, come era solito fare, per pensare meglio.
Afferrò un kunai, e vi legò una carta bomba. Attento a non farsi vedere, in quella zona sovraffollata del Villaggio, lo lanciò contro una parete rocciosa. Dopo qualche istante, quella esplose. Le persona, per strada, iniziarono a gridare. Le guardie si allontanarono correndo, gridando tra la polvere, cercando chi avesse causato un disastro simile.
Shikamaru non si lasciò scappare l’occasione. Si inginocchiò accanto a quella apertura, e guardò all’interno delle prigioni.
Uomini, donne, bambini, tutti in un’unica stanza.
Erano sudati, sporchi, stremati; cadevano al suolo uno dopo l’altro, i bimbi piangevano, qualcuno gridava. Si sforzò di cercare qualcosa che potesse aiutarlo. All’improvviso, una figura lo fece sobbalzare. Un ragazzo con i capelli rossi e le vesti strappate, accasciato a terra, stava immobile nella parte più lontana della grande stanza.
Cercò di sporgersi un po’ per distinguerlo meglio, ma era impossibile, con tutte quelle persone accalcate una sull’altra.
Si allontanò dall’edificio quando realizzò che le guardie sarebbero tornate di lì a poco. S’incamminò nuovamente verso il deserto, attento a non farsi seguire.
Avrebbe dovuto dire a Temari quello che aveva visto? Quel ragazzo poteva essere Gaara, ma se invece fosse stato qualcun altro? Avrebbe avuto senso darle una falsa speranza? Ma se invece non fosse stata una falsa speranza... Ma solo una ragione in più, una motivazione più forte...
Incapace di trovare risposta ai suoi ragionamenti, arrivò davanti alla botola. Si guardò attentamente intorno, cercò di tendere l’orecchio per avvistare eventuali inseguitori, ma gli sembrava tutto tranquillo. Nell’oasi non c’era nessuno, ed era circondato dal deserto. L’unico modo per seguirlo sarebbe stato quello di rendersi invisibili, ma era pressoché certo che non esistesse una tecnica simile.
Aprì lentamente la botola e si calò all’interno.

“Allora, cry-baby?” fece la voce di Temari da sotto alle coperte. “Scoperto qualcosa di interessante?”
Shikamaru rimase zitto per un po’, pensieroso. Non sapeva cosa fare.
La ragazza lo guardò. Le sembrava di sentire la mente del giovane lavorare freneticamente. Cosa cercava di tenerle nascosto?
“Ho visto all’interno delle carceri.” spiegò alla fine. “Ho visto un ragazzo che avrebbe potuto assomigliare a Gaara.”
Lei scattò in piedi e gli si avvicinò, scrutandolo, indagatrice.
“Era lui?” domandò in un sussurro. “Credi che fosse lui?”
Shikamaru annuì.
“Credo di sì.”
“Come stava?”
“...”
“Cry-baby...” il tono di lei si fece più minaccioso.
“Male. Sembrava privo di sensi.”
Rimasero in silenzio. Shikamaru osservò la ragazza, ma non aveva idea dello scompiglio che le aveva creato nel cuore.

Lei si voltò, dandogli le spalle.
“Era ferito?” la voce le uscì più tremolante di quanto avrebbe voluto, ma non era sicura che gliene importasse.
“Non lo so.”
Batté con violenza il pugno contro la parete di legno. Si sentiva arrabbiata, delusa, spaventata, preoccupata.
Se Kankuro non fosse riuscito a farsi aiutare? Se l’Hokage avesse rifiutato una missione così pericolosa, una missione che avrebbe potuto uccidere molti dei suoi ninja? Se anche lui fosse rimasto vittima della violenza del nuovo Kazekage? Forse l’avevano già catturato... E lei era lì, a fare nulla, a stare nascosta. A rimanere protetta.
Era davvero ciò che le avevano insegnato? Una grande kunoichi, c’era chi la riteneva la migliore del villaggio, eppure in quel momento era rinchiusa sotto al deserto in attesa di farsi salvare. Come le principesse di quelle storie sciocche che, da bambina, non le erano piaciute.
Anche poche ore prima, aveva lasciato che fosse Shikamaru ad avventurarsi al villaggio, che fosse lui a rischiare di farsi uccidere.
Non era quello in cui credeva.
“Voglio andare al villaggio. Voglio andare subito da Gaara.” disse, ostinandosi a non guardare il ninja di Konoha.
Avrebbe voluto Kankuro accanto a lei. Si sentiva stranamente a disagio insieme a quel ragazzo perennemente svogliato che, però, le aveva proposto di andare a salvare suo fratello, e che aveva spontaneamente creato un piano d’azione.
“Non possiamo andarci adesso.” replicò Shikamaru. “E’ giorno, e, come ti ho già spiegato, ti noterebbero. Ci muoveremo di notte.”
La ragazza annuì, e si andò a sedere in un angolo. Cinse le ginocchia con le braccia e vi affondò il volto, immobile.
Shikamaru la fissò per un po’, indeciso sul da farsi.
Era quasi certo che stesse piangendo, ma era altrettanto sicuro che una sola parola fuori posto gli sarebbe costata la vita.
Cercò di concentrarsi. Cosa avrebbe fatto un altro al suo posto? Se non avesse avuto davanti una ragazza terribilmente orgogliosa e violenta, l’avrebbe consolata. Ignorò il fatto che Temari rispondesse perfettamente a quella descrizione, e fece un passo in avanti.
Alla fine, le si avvicinò cautamente e le si sedette accanto. Non era sicuro che lei gliel’avrebbe permesso, ma provò lo stesso a posarle una mano sulla spalla. Considerò un buon segno il fatto che lei non si fosse ritratta.

“Andrà tutto bene...” le sussurrò dolcemente, accarezzandole la schiena, scossa da singhiozzi. Lei non rispose, così il ragazzo decise di continuare.
“Sono sicuro che Kankuro stia benissimo. Tra due giorni sarà a Konoha, lì troverà qualcuno che lo aiuterà...”
Temari tirò su col naso, ma non si mosse.
“Per quanto riguarda Gaara... lui è forte. Lo salveremo, lo tireremo fuori di lì.” non trovò null’altro da dirle. Fare promesse che, lo sapevano entrambi, non potevano essere mantenute, non era saggio né tanto meno consolatorio. Si guardò intorno, cercando un’ispirazione che lo potesse aiutare, inutilmente. Avrebbe voluto poter fare di più.
Non si sarebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile.
Di solito, nella loro squadra, era Ino quella che piangeva. Il più delle volte per rabbia o frustrazione, ma generalmente era Choji a consolarla. Glielo diceva sempre, il suo amico, che non sapeva come comportarsi con le ragazze, soprattutto quelle in lacrime.
E solo in quel momento si accorgeva di quanto fosse vero.
Aveva avuto occasione di incontrare Temari solo poche volte, e gli aveva sempre dato l’impressione di una ragazza forte e del tutto estranea al pianto e alla disperazione.
Era stato molto stupido pensarlo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Quando Gaara, durante l’esame di selezione dei chunnin, gli aveva raccontato la propria vita, non si era preoccupato di pensare a ciò che volesse significare vivere accanto a lui. Forse, tra Gaara e i suoi fratelli, erano loro quelli che avevano sofferto di più. D’altro canto, stavano a contatto con un bambino psicolabile, con una potenza al di là della concezione umana, che provava piacere nell’uccidere le persone. Erano cresciuti nel terrore di essere i prossimi? Era per quello che si erano allontanati da lui, che avevano deciso di abbandonarlo?
Mentre era immerso nei suoi pensieri, si accorse che Temari gli si era poggiata addosso, ed ora piangeva con il volto premuto contro la sua maglia. Gli sembrava di sentire la sua sofferenza, e avvertì una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
Le cinse le spalle con un braccio, e la strinse a sé. Con l’altra mano le carezzò i capelli ricci e spettinati, lasciando che si sfogasse, che ritrovasse da sola l’autocontrollo.

Gli sembrava che fossero passate ore quando Temari si scostò da lui. Aveva gli occhi rossi e gonfi, era pallida, tremava.
“Credo che sia quasi il tramonto, Mendekouze.” la informò quando realizzò che era abbastanza tranquilla per poter intavolare una conversazione sensata.
Lei annuì, incapace di parlare.
“Andiamo, su, dobbiamo fare il girò più lungo se vogliamo passare inosservati.” si diresse verso la botola, e lei lo seguì.

Uscirono dal rifugio, il volto colpito dall’aria fredda del deserto. Il sole stava tramontando ad ovest, e le lunghe ombre delle rocce che proteggevano Suna si stagliavano sulla sabbia rossastra.
Arrivarono fino ad una di queste, lontani dalle porte del Villaggio. Si arrampicarono in silenzio fino in cima, attenti a non farsi vedere né sentire dalle centinaia di guardie che sorvegliavano l’ingresso.
Quando sentirono una di loro che si avvicinava, si nascosero insieme in una stretta insenatura nella parete rocciosa. Immobili, vicini, potevano sentire l’uno il respiro dell’altro, e a Shikamaru parve di avvertire anche il cuore della ragazza, che batteva furiosamente.
Quando la guardia se ne fu andata, camminarono lentamente fino alla porta del Villaggio. Distrassero le sentinelle con una carta bomba, e riuscirono ad arrivare senza intoppi fino alle carceri.

Shikamaru le indicò la finestrella da cui aveva visto il ragazzo che sembrava Gaara.

Temari si avvicinò cautamente, e guardò dentro. Un forte odore nauseabondo le arrivò prepotente alle narici, facendole salire alla gola un conato di vomito. Ignorò la nausea e continuò a cercare il proprio fratello.
Alla fine, lo vide.
Sdraiato nella parte più lontana della stanza, circondato da alcune donne che si stavano prendendo cura di lui, fissava il soffitto immobile. C’era una macchia di sangue che si allargava intorno a lui, gli abiti erano inzuppati del liquido scarlatto.
La ragazza chiuse gli occhi. Non era possibile.
Gaara, il neonato con gli occhi azzurri; l’esperimento mal riuscito del quarto Kazekage; il bambino che doveva essere ucciso; l’arma segreta di Suna; il ninja più forte del Villaggio; il quinto Kazekage; suo fratello minore, ridotto ad un ragazzino sanguinante, pallido come cenere,  immobile a terra.
Avrebbe voluto correre da lui, abbracciarlo, medicare le sue ferite, invece era costretta ad osservarlo da una finestrella larga poco più di dieci centimetri, che probabilmente era stata creata da qualche prigioniero e che le guardie non avevano ritenuto abbastanza rischiosa perché meritasse di essere chiusa.

Si allontanò dalla finestra, e guardò Shikamaru.
“Come possiamo fare?” sussurrò.
“Ci verrà in mente qualcosa.” replicò il ragazzo. “Dovremmo procurarci una pianta della prigione, però.”
“E anche cercare di capire quando sono i momenti migliori per tentare di entrare. Perché suppongo che tu non voglia tendere un’imboscata, vero?” aggiunse lei, inarcando un sopracciglio. Le avevano sempre insegnato ad attaccare, sempre e comunque, per ottenere qualcosa. Era stata semplicemente la sua indole a condurla sulla via del ragionamento e della strategia, che a volte, però, non le pareva più così efficace.
“Infatti. Sarebbe un suicidio. Le guardie sono molto più forti di noi, e sono certo che non si farebbero problemi ad ammazzarci.”
“Sono entrata nelle prigioni una volta soltanto.” rifletté la ragazza. “Le celle si trovano in fondo a dei corridoi stretti, bui e bassi.”
“Un pessimo posto, dunque.”
“Già. All’ingresso di ogni corridoio ricordo che c’erano delle guardie.”
“Non ricordi altro?”
“La prigione è costruita su cinque piani, di cui tre sotterranei, uno semi-sotterraneo e uno sotto al tetto.” recitò lei. “L’ho studiato a scuola” spiegò, davanti allo sguardo interrogativo di Shikamaru. “Però non so dove sia l’entrata.” aggiunse.
“Ci lavoreremo. Adesso cerchiamo di capire quali sono i punti deboli di questo posto.”
Iniziarono a osservare attentamente l’edificio. Shikamaru misurò lo spessore delle pareti, Temari cercò dei punti meno controllati, ma senza successo.
L’unico accesso a quell’edificio sembrava essere proprio quella minuscola finestrella.
“Se facessimo saltare la parete, però, probabilmente crollerebbe tutto.” constatò il ragazzo, sovrappensiero. “E non possiamo mica farci arrestare per andare dentro, no... Che seccatura.” concluse, sedendosi a terra.
“Cry-baby...” la voce di Temari non gli era mai sembrata così minacciosa. “Se ripeti ancora una volta ‘che seccatura’, io ti giuro che non rispondo più di me.” Si accoccolò accanto a lui, e lo guardò.
Il giovane non rispose. Improvvisamente, l’unico pensiero che il suo cervello sembrava essere in grado di formulare riguardava gli occhi verdi di Temari, e sicuramente spiegarle che gli piaceva molto il modo in cui la luce fioca della una si rifletteva nelle sue iridi, facendo brillare quel colore così intenso, sarebbe stato senza dubbio il modo più semplice, veloce ed efficace per perdere all’istante la facoltà di respirare.
Alla fine, però, rifletté che in fondo non era necessario metterla al corrente dei suoi pensieri, e che quindi poteva tranquillamente continuare a fantasticare.
La osservò mentre si alzava, e nuovamente guardava in quella finestra.
L’unico modo per avvicinarsi a suo fratello. Per lei era l’unica cosa che la spingeva a continuare con quel piano folle, ma per lui? Che cosa aveva convinto Shikamaru a impiegare le sue energie per aiutarla? Sospirò, ben consapevole della risposta.
Il ricordo delle vecchia Temari, con quella scintilla maliziosa che le illuminava gli occhi quando lo chiamava ‘cry-baby’; i suoi capelli ricci, stretti in quei quattro codini troppo ridicoli per non risultare semplicemente perfetti, su di lei; il profumo della sua pelle, che sapeva di sabbia; il suo carattere forte e deciso, che l’aveva aiutata a tenere insieme quella famiglia caduta a pezzi, che l’aveva portata a sopravvivere alla solitudine, alla tristezza, alla paura, ma che in quel momento non la stava aiutando.
Sembrava che stesse lentamente cadendo a pezzi, che stesse lasciando crollare quella maschera che si era costruita in quegli anni. Per quanto avrebbe potuto sopportarlo? Quanto avrebbe resistito, prima di impazzire, di dover sfogare tutti i sentimenti repressi da anni; la voglia di piangere, di gridare, di essere consolata anche lei, per una volta? E lui, Shikamaru, sarebbe stato in grado di rincuorarla, se ce ne fosse stato bisogno? Si era già dimostrato incapace una volta...
Alla fine, giunse alla conclusione che l’unico modo per aiutarla fosse liberare Gaara. Improvvisamente tutto gli sembrò incredibilmente assurdo.
Dovevano agire la notte, e il tempo non sarebbe mai bastato per elaborare un piano decente.
Si alzò.
Il sole sorgeva all’orizzonte. Rimanevano soltanto sei giorni.

***

Gaara si lasciò cadere in ginocchio, stremato. Si piegò su sé stesso per il dolore.
Un ennesimo pugno lo colpì alla testa, mandandolo a sbattere contro il pavimento freddo con il volto. Una delle guardie lo prese per le braccia e lo costrinse a mettersi nuovamente in piedi.
Il ragazzo barcollò, e puntò gli occhi chiari su quelli neri della guardia, che lo afferrò per i capelli per tenerlo fermo e lo colpì all’addome con un ginocchio.
La sabbia aveva smesso ormai da un po’ di proteggerlo, e se ne stava immobile a terra, rossa di sangue. Da quanto tempo era lì? Non ne aveva idea; non riusciva neppure a capire se fosse giorno o notte.
Un ennesimo colpo al torace lo fece annaspare. Cadde a terra, in ginocchio, mentre una guardia gli si avvicinava e con un calcio lo costringeva a guardarlo.
“Ne hai abbastanza?” gli domandò. Gaara non rispose.
Sì, ne aveva abbastanza. Voleva andarsene da lì, voleva rivedere i suoi fratelli. Nonostante fosse difficile ammetterlo, gli mancavano immensamente. Desiderava sentire ancora la voce rassicurante di Temari, che prima gli parlava dolcemente e poi lo sgridava perché doveva finire tutto ciò che aveva nel piatto; voleva ancora sentire Kankuro frignare perché aveva rifiutato di mandarlo in missione a Konoha, dove doveva incontrare una persona misteriosa di cui né lui né Temari erano ancora riusciti a scoprire l’identità, o ricordargli che certo, aveva avuto paura di lui in passato, ma che ora aveva capito di volergli bene; voleva ancora sentirlo dire che dovevano recuperare il tempo perduto, mentre lavavano insieme i pavimenti in seguito ad una delle numerose punizioni della sorella.
Avrebbe fatto qualunque cosa per sentirli ancora quando lo chiamavano “fratellino” solo per farlo innervosire... Se fosse uscito vivo di lì, decise che non si sarebbe mai più arrabbiato per una sciocchezza simile. Che lo chiamassero come preferivano, purché fossero insieme a lui.
Perché in quel momento era solo, di nuovo, con il peso di una condanna a morte sulla testa. Non gli importava più di tanto, per qualche strano motivo non aveva preso in considerazione la possibilità di essere ucciso.
Non si era ancora del tutto rassegnato all’idea che la sabbia non riusciva più a proteggerlo come un tempo, nonostante fosse ancora un valido aiuto, per lui. Il chakra a disposizione influiva sempre di più sul controllo di quell’elemento che per tanti anni era stato scudo e arma, vita e morte.
“Dove sono i tuoi fratelli?” il pugno arrivò veloce e preciso. Sentì un dolore acuto, e il sangue che dal naso gli colava sul volto e sui vestiti.
“Da me non saprai niente.” replicò, fissando il suo aguzzino, che emise un suono basso simile ad un ringhio. Chissà quanto doveva essere frustrante, per lui, sentirsi ripetere la stessa frase da ore, ad ogni colpo, ad ogni minaccia.
“Dove si sono nascosti?”
“Da me non saprai niente.” Un altro colpo, allo stomaco.
“Va bene, fai a meno di dirmelo. Ma sappi una cosa: quando li troveremo... e accadrà presto, vedrai... li ammazzerò personalmente davanti a te. Anzi, tua sorella è una bella ragazza, magari...”
“Stai zitto.” lo interruppe Gaara, preso da una collera improvvisa. “Stai zitto.” ripeté, facendosi forza e raddrizzandosi.
Fissò il soldato negli occhi, e per un momento a quell’uomo parve di vedere la stessa scintilla di cattiveria che aveva imparato a riconoscere tanti anni prima in un Gaara ancora bambino, quando ancora era agli ordini del Quarto Kazekage.
Indietreggiò quando la sabbia, a terra, si sollevò, e con un guizzo si scagliò contro di lui, mentre il ragazzo sembrava aver ripreso un po’ della sua energia.
Fu colpito solo poche volte, prima che il giovane si accasciasse a terra, privo di sensi.
Lo afferrò e lo trascinò fino alla cella dove lo tenevano insieme agli altri prigionieri. Lo gettò all’interno, con le gambe che ancora gli tremavano per la paura. Aveva davvero temuto che il ragazzo perdesse il controllo.
Si allontanò, portandosi una mano sulla guancia, dove il sangue rosso colava da un profondo taglio.

Gaara aprì gli occhi. Era a terra, vicino alla porta della cella.
Cercò di respirare profondamente. Il caldo era insopportabile, e quando si portò una mano sulla fronte la scoprì madida di sudore. Gli abiti intrisi di sangue gli si erano appiccicati addosso, gli mancava l’aria, aveva sete.
Si passò la lingua sulle labbra screpolate, guardando fuori da quella piccola finestrella che costituiva l’unico contatto con il mondo esterno. Certo, i piedi dei passanti non erano particolarmente interessanti né utili, ma quel pezzetto di cielo che riusciva ad intravedere gli diceva, almeno, se fosse giorno o notte.
In quel momento riusciva a scorgere persino la luna...
Gli sembrava di sentire, in lontananza, la voce della sorella che diceva qualcosa riguardo alla missione, chiamare “cry-baby”...
Chiuse gli occhi, aspettando che la fatica e il sonno prendessero il sopravvento su di lui.
Le parole di Baki gli risuonarono nella mente ancora una volta, come era successo per tutto il tempo in cui era stato sotto tortura.
“Temari mi ha chiesto di dirti che ti tirerà fuori di qui.”
Era seguito un attimo di silenzio.
“E che ti vuole bene.”

Solo un sospiro, e tutto divenne nero.

Allora... quesito per i miei lettori: credete che io sia andata troppo OOC con Temari in questo capitolo? Se è così, fatemelo sapere, così provvederò ad aggiungere l'avvertimento.

Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo!

Baci,

 rolly too

   
 
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