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Autore: Sairen    20/04/2008    1 recensioni
Continuavo a correre finchè non raggiunsi un portone alto e finemente decorato. Lo riconobbi subito. Lo avevo visto una miriade di volte da bambina.
Lo aprii un poco, poi mi fermai. Un battito d’ali, poi, un tocco. Qualcosa di viscido mi si era posato sulla fronte. Colava veloce verso il naso. Era caldo. Alzai una mano per toglierlo ma quando vidi di cosa si trattava spalancai gli occhi. Quel liquido era rosso e caldo. Sangue.
Alzai lo sguardo osservando l’interno della stanza. La porta ora era aperta del tutto e si potevano vedere chiaramente due corpi distesi a terra immersi in pozze di quel liquido purpureo e una figura in piedi nascosta dell’ombra della camera.
Feci un passo avanti involontariamente. Quelle persone io le conoscevo bene. Una lacrima mi solcò la guancia destra.
Genere: Romantico, Triste, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angelic Midnight

Capitolo 2. Babysitter

Quando mi calmai era ormai buio e la luna pallida illuminava il cielo insieme alle stelle. Non un filo di vento sferzava l’aria, nessun rumore giungeva alle mie orecchie. Il silenzio più assoluto mi circondava. Mi alzai dalla sedia avviandomi verso la cucina con la tazza di te, ormai freddo, in mano. Il corridoio è buio. Arrivata in cucina posai la tazza di te nel lavandino.
Uscii dalla stanza tornando di fronte alla porta-finestra. Osservai nuovamente il mondo esterno. La luna non era piena, ma presto lo sarebbe stata. Presto, avrei dovuto iniziare ad eseguire il mio compito, presto avrei dovuto uscire.
Presi il foglio appoggiato malamente vicino alla sedia piegandolo in due parti e avviandomi verso le scale. Le salii senza badare agli scatoloni appoggiati agli scalini. Alla fine di essi trovai la porta che separava la mia stanza dal resto della casa. Vi entrai appoggiando il foglio sulla scrivania accostata al muro alla destra della porta. Davanti a me stava il letto a due piazze. Mi ci sdraiai sopra con malagrazia chiudendo gli occhi. L’indomani avrei dovuto andare a trovare Maria Nice. Tirai un sospiro triste. Poi, tornai tra le braccia di Morfeo.
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Quando mi svegliai era mattina. Ero sudata e avevo il fiato corto. Avevo sognato ancora quel giorno. Quando sarebbe finito? Quando avrei smesso di essere tormentata dai ricordi?
Mi misi a sedere sul materasso respirando affannosamente. Un timido raggio di sole mi obbligò a chiudere gli occhi. Mi alzai per scostare le tende che coprivano la finestra. Fuori il sole splendeva radioso, gli uccellini cantavano come il giorno prima, se non di più, la gente camminava per strada sorridente. Cosa avevano tutti da essere così felici? Cosa era successo per renderli così gioiosi? Lasciai ricadere le tende a coprire quella visione oscena. Presi dall’armadio una gonna azzurra e una maglia a mezze maniche blu. Tolsi i vestiti del giorno precedente, che non mi ero tolta la sera prima, e misi quelli appena presi.
Mi guardai allo specchio. Quasi non mi riconoscevo. Davanti a me avevo una ragazza triste, senza nessuno scopo nella vita se non la vendetta. I lunghi capelli neri scendevano dritti fino a metà della schiena dietro le spalle esili, gli occhi azzurri come il mare ora ricordavano il ghiaccio, il volto solare di un tempo aveva lasciato il posto ad un espressione seria. Chi era quella ragazza di apparentemente 16 anni? Dove era finita la bambina solare e felice che giocava con sua so… I pensieri mi si smorzarono nella mente. Diedi un ultima occhiata alla figura riflessa nello specchio per poi voltarmi e uscire dalla camera.
Mi diressi verso il bagno dove mi pettinai e lavai i denti. Mi truccai appena. Secondo il mio punto di vista, il trucco era inutile, a parte un po’ di ombretto e un accenno di matita sotto gli occhi. Non avevo mai avuto l’abitudine di truccarmi, a differenza di quelle oche che venivano a farmi visita di tanto in tanto.
Uscita dal bagno scesi le scale e uscii di casa dopo avere preso la borsetta nera e le chiavi. Mi avviai per la strada verso l’abitazione di Maria Nice senza degnare di troppe attenzioni i passanti. Ogni tanto passava un ragazzino e mi guardava per poi fischiare o dire – Uau!-. Beh, ci ero abituata, mi avevano sempre detto di essere molto bella, ma non avevo mai dato molto retta a quella gente perché l’unico scopo di quei complimenti era ingraziarsi i miei favori. Solo sei persone godevano della mia attenzione. Quattro erano miei amici d’infanzia, li conoscevo da quando ero nata. Gli altri due erano i miei genitori. Qualche tempo fa ve ne era una settima, ma ormai, anche lei era diventata una presenza scomoda, ai miei occhi.
Senza rendermene conto ero arrivata davanti alla villetta della famiglia Nice. Era una di quelle case classiche, vecchio stile, formata da due piani e di un colore giallino. Il tetto era grigio scuro e un grazioso giardino incorniciava la casetta.
Feci un respiro profondo e mi avvicinai. Mi avvicinai e suonai il campanello posto sul muretto che recintava la villetta. Dall’interno della casa si sentirono provenire dei rumori e all’improvviso, dalla porta sbucò una bambina. Aveva dei capelli castani che le incorniciavano il viso e probabilmente arrivavano fin poco sotto le spalle. Sul volto un sorriso radioso mi dava il benvenuto. Portava un vestitino rosa che le arrivava fino alle ginocchia e delle scarpine, anch’esse rosa. Mi venne incontro cercando di aprire il cancello, ma era troppo bassa e non ci arrivò. Così dovette venire una donna molto bella che spostò un po’ la bambina e mi aprì. Come ho gia detto, era molto bella, coi suoi capelli corti sopra le spalle di un castano molto chiaro, gli occhi grigi come la luna e il viso dai contorni perfetti. Non so se fosse dovuto al vestito, ma sembrava molto magra e formosa al punto giusto. Rimasi a guardarla per qualche secondo. Se mi dicevano che ero bella, di lei avrebbero detto che era stupenda. Poi, quando mi ripresi, mi presentai.
- Piacere, sono Alice, mi ha chiamato per fare da Babysitter a sua figlia- Mi sorrise felice e mi invitò ad entrare. Mentre camminavamo verso l’entrata della cassa fece le presentazioni. – Io sono Alicia, mentre lei è la peste cui dovrai tenere dietro. Si chiama Maria, ed è una vera furia. Spero che non ti faccia impazzire. Mi dispiace di doverti disturbare, ma oggi ricomincio a lavorare e non posso proprio stare con lei- Rimasi sorpresa. – Oh, si figuri, nessun disturbo, anzi, mi piace prendermi cura dei bambini, mi piacciono molto- Mi sorrise ancora per ringraziarmi. Abbassai il volto imbarazzata e mi soffermai su Maria che ci seguiva come un cagnolino. Quando si accorse che la guardavo mi sorrise. – Piacere, io sono Maria. Sei tu la babysitter?- - Si, mi chiamo Alice. Spero diventeremo amiche- le porsi la mano e lei la strinse raggiante. Forse, pensai, avrei potuto dimenticare il passato e pensare al futuro. Forse.
  
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