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Autore: V a l y    05/11/2013    1 recensioni
"Che ne dici di una sfida di resistenza? Chi perde farà da schiavo al vincitore fino a quando Rufy non diventerà Re dei Pirati."
Strane vicende del destino portano Zoro e Nami a un ribaltamento dei ruoli.
Ma quando anche emozioni e battaglie verbali si scontrano, i due avranno a che fare con i loro stessi del passato. Nuovi sentimenti tormenteranno la loro relazione impossibile da definire persino da loro stessi.
{ La mia vecchia long fic, ripescata dopo… quanti anni? Troppi. Ma ho avuto un improvviso, irrefrenabile impulso di occuparmi di nuovo della mia vecchia coppia preferita, continuando quella che, secondo me, era la mia fic più promettente e sentita del mio archivio.
Grazie a chi passerà a leggere ♥ }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dopo la Red Line, il destino di ogni nave è dettato unicamente dal Log Pose. La strada viene scelta da sé, e nessun navigatore, anche il più eccelso, può tracciare sulla cartina il proprio itinerario. E, modestamente a parte, se la Going Merry non ci riesce neppure con me che sono la migliore nel mio campo, quel che si dice al di fuori della Rotta Maggiore è ineluttabilmente vero.
È stato solo un caso se il Log Pose ha deciso di portarci a Rue du Peche, una delle isole più conosciute persino nel Mar Orientale. Non che come lo One Piece o altre isole simili abbia la fama di essere una pericolosa dimostrazione di coraggio per l'avventuriero che la trova, allestita da trappole e pericoli del millenario ingegno umano e divino; e non è neppure l'alcova di alcun tesoro segreto che farebbe andare in pensione anche pirati poco più che ventenni assicurando loro un futuro benestante degno di un pascià di sangue blu; semplicemente, è la meta più rappresentativa del filibustiero in vacanza. Si può dire che se mai avessero inventato un parco giochi unicamente per loro, Rue du Peche sarebbe senz'altro quello più azzeccato.
Ogni casucola fatiscente, stradina acciottolata zeppa di folla ubriaca fin dal mattino, odore di alcol che si propaga lungo ogni viottolo trasuda lo spirito stesso dei pirati. Le uniche attività che mandano avanti l'economia dell'isola sono taverne, armerie e bordelli.
Quando abbiamo attraccato la Going Merry nel porto più traboccante di vele e scafi che abbia mai visto (talmente tanto che per trovare un posto in cui ormeggiare abbiamo dovuto zigzagare lungo le banchine per un'ora intera, ringraziando il fatto che la nostra nave è molto più piccola di tanti maestosi vascelli che imperversano nel porto), Sanji è stato, guarda caso, il primo a notare le donne succinte della città. Come lui riesca ad accorgersi di certi particolari è un mistero per tutti, dal momento che la banchina del porto e le case più vicine distanziano di almeno un chilometro, ma quando si tratta del gentil sesso il suo sguardo può diventare più preciso ed efficiente di un radar della Marina.
Dopo essere sceso dalla nave roteando su se stesso come una trottola, il resto della ciurma l'ha seguito senza nascondere una certa eccitazione a quella nuova meta raggiunta.
Comparando le abilità di Rufy a quelle di Sanji, le bravure di entrambi gareggiano nell'essere portentose, ma i loro interessi sono completamente distanti. Se l'abilità di Sanji è di tipo visiva, si può dire che quella di Rufy sia totalmente olfattiva, e anziché amare le donne predilige esclusivamente il cibo.
Appena messo piede sulla terraferma, le narici del capitano si sono allargate fino a diventare ampie come quelle di un ippopotamo, riuscendo a captare almeno dieci diversi odori in tutto il raggio della vallata.
Usop e Chopper sono stati calamitati dalla furia allegra di Rufy e l'hanno seguito senza pensarci due volte cercando di tenergli il passo invano, intralciati da una buona calca di pirati di tutti i tipi che si affollano per ogni strada, ghigni lunghi e storti, cicatrici che solcano di traverso facce orribili e poco raccomandabili. Un bel cocktail di spaventosi e loschi figuri che ha risvegliato la natura fifona e autoconservatrice dei miei due amici, i quali si sono nascosti più volte dietro i barili e nei vicoli delle case perdendo inesorabilmente di vista il capitano.
Ed ora ecco qui finalmente io, all'ingresso della città e con già più della metà della ciurma dispersa per chissà dove. Sbuffo, cingendomi i fianchi.
“Possibile che ogni volta che si approda in una nuova isola succede questo? Mai che mi ascoltino davvero quando dico di stare tutti insieme!”
Robin sorride. Zoro invece, da che siamo usciti dalla nave, non ha ancora smesso di stiracchiarsi.
“Visto che ne parliamo e quasi tutta la ciurma si è sparpagliata, che ne dici se anch'io mi avvio per la mia strada?” chiede Robin. “Ho sentito che a Rue du Peche esiste una specie di banco dei pegni dove i pirati lasciano oggetti rubati. Potrei trovare qualche interessante trattato di archeologia.”
“Ma sì, uomo più uomo meno...” acconsento. In fondo me l'ha chiesto, e a questo punto diventa più semplice dividerci per i propri interessi. I miei sono altri.
“No.”
Mi giro verso Zoro.
“Come?” gli chiedo interdetta.
“Hai capito perfettamente, navigatrice. Ti conosco troppo bene: la tua natura spilorcia diventa improvvisamente generosa quando si tratta di vestiti da comprare. E tu hai un sacco pieno di soldi. Perciò no, non ti accompagnerò anche stavolta a fare shopping.”
Bingo. Peccato che è bastata qualche occhiata per capire che in questa città non esistono negozi d'abbigliamento.
“Che malpensante che sei. Io penso sempre prima di tutto alla Going Merry!”
Lo sguardo di Zoro dice tutto. Un misto tra ho davvero sentito quel che ho sentito? e mi stai prendendo per i fondelli.
“Ad ogni modo,” soggiungo più seria possibile, “ci mancano cannoni e la polvere da sparo, e ci servirebbe del legno per riparare le balaustre della nave.”
In effetti avevo davvero pensato a questo. L'avrei fatto dopo aver comprato una dozzina di capi vestiari nuovi, ma ci avevo pensato.
Ci dirigiamo nella prima armeria delle vicinanze e chiediamo al proprietario una ventina di palle di cannoni e un sacco di polvere da sparo.
“1034 Berry in tutto.”
“Così tanto?!” esclamo con studiata teatralità, poggiando le mani sulle guance. “La prego, signore, ci faccia uno sconto...”
E quello, una specie di gorilla dai riflessi lenti e intontito, forse anche a causa di sentirsi dare del lei dalla sottoscritta (in fondo siamo a Rue du Peche, ed è già tanto se ti senti chiamare col nome proprio rispetto agli epiteti pirateschi poco educati che si aggirano per queste strade), mi studia con devota precisione.
“Be', sventola,” e appunto ecco arrivato il primo epiteto, “non si fanno sconti se non si dà qualcosa in cambio.”
I gorilla come lui alludono sempre a una sola cosa. E io sto al gioco.
“E più è alto lo sconto, più lo scambio è succulento,” propongo io avvicinandomi al bancone. “A quanto me lo fai?”
“600 Berry... se mi, come dire, dai tutta te stessa.”
“Così mi tenti...” sussurro io sorridendogli maliziosa.
“Che diavolo fai?!” mi urla praticamente in faccia Zoro, frapponendosi tra me e il bancone.
“Stavo... mettendomi d'accordo col signore...” mormoro io cercando di sorridere e rimanere il più contegnosa possibile alla strana improvvisata del mio amico.
“I soldi ce li abbiamo. Tieni,” dice Zoro al negoziante rubandomi dalla cintura il sacco con le monete e buttandolo sul bancone. “Si paga cifra tonda.”
“Che diavolo fai tu!” sussurro a Zoro di soppiatto reprimendo per quanto posso il nervosismo e la rabbia.
“Grazie e arrivederci!” esclama lo spadaccino prendendosi il resto e trascinandomi letteralmente fuori dal locale.
“Stupido microcefalo dalla testa verde!” urlo in mezzo alla folla inviperita come una iena che non mangia da due settimane. “Stavo per avere un bello sconto!”
“E per averlo dovevi fare... quelle cose?!”
“Gli avrei detto di farle, mica le avrei fatte d'avvero! Gli allupati come lui son tutti ingenui, gli fai un'occhiata complice e sensuale, quelli ci cascano, lasci il numero della locanda in cui non hai mai alloggiato in vita tua e, puf!, bussano che probabilmente si trovano un altro allupato senza cervello!”
“Non mi piace,” dice solo Zoro, scontrosamente.
“Cosa non ti piace?! L'ho sempre fatto e non mi hai mai detto nulla!”
Lo sguardo che mi lancia sa di rivelazione. Per qualche secondo mi osserva negli occhi e basta, come se non riuscisse a trovare le parole. O forse non ha nulla da dire, forse per lui si spiega tutto da sé. Zoro è sempre stato il membro della ciurma più criptico di tutti.
E poi, non gliel'avevo mai visto quello sguardo. È come... imperscrutabile.
“Be'?” lo incalzo io.
“Io non voglio che tu...”
Si blocca, forse per soppesare meglio le parole. “Non ti dà fastidio... umiliarti così?”
Oh, già. L'onore virile dei samurai. Che ne può sapere lui? Parla di principi brandendo tre spade e sconfiggendo nemici nel giro di un minuto. Io che non posso, che non sono mai stata forte, che non ho mai potuto difendermi, è così che ho sempre vissuto. È solo così se sono ancora viva. Posso sfruttare solo la mia intelligenza e un po' del mio corpo. Non ci vedo niente di male a usare le mie capacità.
Perché adesso, solo adesso, mi sta giudicando?
In un moto di spregio volgo lo sguardo a terra. “Non capisci mai niente, idiota.”
Mi aspetto una reazione a catena, psicologicamente pronta a un litigio che sarebbe smesso solo quando le corde vocali di uno dei due avessero chiesto pietà (succede sempre così con lui, quasi ogni giorno mi sgolo per sputargli sentenze e rispondere alle sue), e di certo a nessuno dei presenti in strada tangerà, visto che saranno abituati a liti più violente e sanguinose.
Alza una mano, e non so perché, aspettandomi un colpo in viso, d'istinto mi arcuo in avanti e chiudo gli occhi. Ma la sua mano rimane a mezz'aria. Mi sfiora appena il mento.
“Sei tu che non capisci mai niente...”
Si volta dandomi le spalle. “Vado a comprare una pietra diamantata per affilare le katane. Tu sta' qui. E questo è un ordine. In fondo rimani ancora la mia schiava, no?”
Se ne va, senza aspettare neppure che io risponda. Sbuffo. Su una cosa ha ragione: non ho capito un fico secco di che cavolo gli è passato in quella testa verde.
Quel moralista! Non è colpa mia se a volte sfrutto la mia arte di bugiarda truffatrice finta ragazza facile. Anche se a pensarci quella di prima non era affatto una situazione da potersi definire “di sopravvivenza”. Mi divertivo con quello scimmione per il gusto di prenderlo in giro e per il mio personale tornaconto di ragazzaccia avara quale sono. Tutti noi abbiamo la nostra imperfezione. Rufy, ad esempio, quando mangia nelle taverne si scorda sempre di non avere soldi e scappa via come Usop scapperebbe da qualunque pericolo. Quelli come Zoro, quelli coraggiosi e impavidi in ogni momento, non possono capire cosa sia il pericolo.
Rimango appoggiata con la schiena alla parete di una casa di legno, e con disinteresse seguo le faccende dei passanti. Molti sono in gruppo a tracannare boccali di grog, probabilmente pirati, mentre altri tentano di agganciare bottone con le poche donnacce in strada, le quali aprirebbero le orecchie, e probabilmente pure le gambe, se solo anziché sentire inutili chiacchiere vedessero qualche soldo vero.
I miei occhi si fermano su un individuo diverso dagli altri. Indossa abiti vistosi, quegli abiti che a primo attrito gli conferiscono l'aria del capitano, e alla cintura porta diverse armi da lama e da fuoco. I suoi occhi socchiusi sono ispidi e sembrano ispezionare ogni centimetro della strada. Si gira verso di me, e mi sento mancare l'aria. Conosco quell'uomo.
Quando metto a fuoco la sua immagine, lui non c'è più. Forse è stato solo un abbaglio. Il ritorno improvviso di un brutto ricordo.
Il mondo del Grande Blu non può essere così piccolo...
Una morsa feroce al braccio, simile a quella di un aquila che afferra un topo, mi trascina nel vicolo buio adiacente. Le mie gambe cozzano su alcuni barili lasciati a terra ed inciampo, ma la persona che mi stringe il braccio riesce ad alzarmi in tempo.
“Oh, ma io ti conosco...” fa una voce nell'ombra del vicolo, suonando rauca e lugubre nel più adatto degli ambienti bui e puzzolenti in cui ci troviamo. “Un fiorellino così bello come faccio a dimenticarlo?”
Solo ora riesco a mettere a fuoco l'immagine dell'uomo davanti a me. Un brivido mi assale per tutto il corpo. Pensavo di aver avuto solo un abbaglio.
“E tu ti ricordi di me?”
“...No...” mento, e lo dico in un singulto. Neppure un ingenuo come Rufy mi crederebbe. Ed è strano, visto che come riesco a recitare io non ci riesce neppure un attore con un bagaglio professionale trentennale.
“Ma davvero?” chiede lui. “Forse dovrei morderti il collo per ricordartelo. O forse strapparti direttamente i vestiti. Che ne dici?”
Rabbrividisco. L'affanno si fa pesante.
Potrei urlare e da un momento all'altro Zoro verrebbe in mio soccorso.
Perché non ci riesco?
“Penso che anche la mia ciurma si ricordi ancora di te, sai, Nami? È un nome così delizioso. Sta a pennello su un fiore come te. Non si dimentica mica.”
“Ti prego...” sussurro soltanto. Perché sto supplicando. Cosa supplico? Forse di non farmi ricordare il mio passato. Non voglio ricordare niente. Ho una nuova vita, dei ricordi dolci e caldi, la girandola di Genzo, i tatuaggi di Nojiko, i sorrisi di Bellmer. Non voglio ricordare altro.
“Hai sempre e saputo dire solo ti prego,” ride l'uomo. Quell'uomo di cui non ricordo il nome, ma di cui vorrei dimenticare anche la faccia. Ce l'ho sempre messa tutta, ma non sono mai riuscita a scordare le facce dei pirati che mi hanno strappato via le speranze e mi hanno umiliato fino a farmi dimenticare cosa sia la gioia e la dignità. Che mi hanno lasciato lividi lungo tutto il corpo. Che mi hanno strappato la verginità.
“Vedo con gioia che sei arrivata fino a qui, dove pochi uomini riescono ad arrivare. Forse hai derubato tutti i pirati del Mare dell'Est e non sai più dove mettere le mani? O forse quelli del Grande Blu hanno le tasche più piene e sono più abbordabili?”
Si avvicina a me accostando il suo corpo al mio.
“O forse sei diventata la prostituta di qualche rinomata ciurma?”
“Smettila,” riesco a dire trovando non so dove il coraggio e la voce. “Io non sgraffigno più, non frego più la gente, non... mi do a nessuno. I miei compagni sono diversi... Hanno battuto Arlong e liberato Coco.”
In tutta risposta, parte una risata colma di derisione e ironia. “Arlong era una mezza sega. Qualunque pirata del Grande Blu sarebbe riuscito a batterlo. Ma lui era furbo. Non voleva lo One Piece, si accontentava di un'isola sotto dittatura e dei favoritismi della Marina, ingraziandosi i pirati più forti come noi regalando oro e qualche favore. E sai bene a quale favori mi riferisco...”
Mi mette una mano sulla coscia. La sua bocca che puzza di alcol si accosta al mio orecchio.
“Sai, eri la favorita di Arlong, e anche la nostra. Sei diventata proprio una bella donna... anche se per me, già a quindici anni, eri perfetta per noi.”
Ho paura. Una paura inspiegata che mi blocca i muscoli. Il bastone è a portata di mano. Basterebbe allungare le dita, ma qualcosa mi frena.
Ricordo quella ciurma di animali spietati. Quei pirati che mi hanno fatto credere per anni che se esisteva una feccia e una piaga nel mondo erano loro. Quei pirati così diversi da Rufy, la persona più buona e più saggia che abbia mai conosciuto.
Nella mente riaffiora una scena atroce. I pirati mi tenevano forzatamente sdraiata a pancia in su, schiacciando le mie braccia sulla terra.
“Prima il capitano,” aveva detto lui sorridendo e abbassando i pantaloni.
Una fitta mi percorre il ventre, assalita dalla sensazione di rivivere quel momento. Chiudo gli occhi, stringendo le cosce.
“Nami?”
È Zoro. È qui e finalmente può aiutarmi. Allora perché non voglio che rimanga a vedermi così?
“Lui è uno di quelli che ha ucciso gli uomini pesce di Arlong?” chiede staccandosi da me.
“E tu chi sei?” chiede Zoro imbracciando il fodero e alzando con la pressione di un dito l'elsa della katana.
“Perché non glielo dici tu, Nami?”
Zoro mi guarda interrogativo.
“Andiamocene...” sussurro, ma non riesco a divincolarmi dall'uomo.
“Conosco Nami da molto prima di te, anche se era già una signorina...” racconta il pirata che non mi dà pace. “Direi che la conosco intimamente.”
“Basta!” urlo con tutto il fiato che in corpo, dandogli una spinta. “Basta...”
Continuo a ripeterglielo, prostrandomi a lui in ginocchio e con le spalle a terra. Sembro una serva, un patetico bruco che striscia per terra. L'uomo ride.
“Ci rivedremo, fiore. Rue du Peche è piccola, sai?, e anche il Grande Blu.”
Se ne va, e tutto il peso che mi comprimeva la schiena e l'anima svanisce in un attimo. Torno a respirare con regolarità, e inevitabilmente (prima o dopo sarebbe successo) guardo Zoro. È stranito. Meravigliato, o deluso. Difficile dirlo. Di sicuro è sorpreso nel vedermi così, la grande Nami, regina dei sette mari, la navigatrice più orgogliosa, arrogante e che ha tenuto testa persino a un Dio despota su di un'isola nel cielo ora sta strisciando come un verme. Trattengo le lacrime e guardo a terra come una codarda.
Non voglio che Zoro e gli altri sappiano delle amarezze con cui mi sono scontrata in passato. Voglio che il rapporto con la mia ciurma rimanga immacolato e senza macchie. Voglio che mi guardino con gli stessi occhi di sempre. Che mi chiamino strega e taccagna, che pensino che io sia solo una calcolatrice ruba-tesori sempre con la risposta pronta e viziata dalle carinerie di Sanji. Mi manca lo sguardo di Zoro di prima, che mi ha giudicato per aver approfittato dell'ingenuità di un negoziante.
Lo spadaccino si inginocchia di fianco a me.
“Ti ha fatto qualcosa?”
Non rispondo. Non voglio rispondere.
“Posso farlo a fette in tre secondi,” mi dice, quasi scherzando. Può farlo davvero, in effetti. Poche sono le persone che tengono testa a Zoro. Ma quel che ricava da ciò che ha enunciato è solo uno sguardo a metà tra lo sprezzante e il disperato che gli lancio da dietro la spalla.
Lo vedo, mi guarda frastornato più che preoccupato. Non sa cosa mi sta prendendo. Non lo so neppure io.
Una mano si posa sulla mia schiena, forse per consolarmi. È solo un attimo, e torna alle katane in un moto automatico e involontario.
“Allora dimmi cosa posso fare per farti stare meglio...”
“Niente, non puoi fare niente!” sbraito io prendendolo per il bavero. “A meno che tu non possa prendere a calci fino a renderli informi e invertebrati come una gelatina tutti e i mille pirati che fin da piccola hanno cercato di ostacolarmi in tutti i modi!”
“Era... uno di loro?”
“Sì! Ma a quanto pare, come dice lui, il Grande Blu è più piccolo di quel che credessi! Chissà con mia somma gioia quanti ne incontrerò ancora!”
“Quando accadrà li ucciderò con le mie mani.”
“Tu la fai facile! Non sai cosa mi hanno fatto passare!”
“No, non lo so!” esclama Zoro urlando quasi quanto me. “Perché non me lo dici anziché fare la misteriosa?! Ti hanno inseguita e derubata dopo che hai dato loro il numero di una camera sbagliata di una locanda?!”
Senza pensarci, in un raptus di rabbia improvviso, gli lancio uno schiaffo. Lo colgo alla sprovvista.
Perché mi punisce ancora per quella storia?
“Sei uno stronzo! Uno stronzo senza speranza!”
“Scusa, io non voglio che...”
Me ne vado via e, quando mi trovo in mezzo alla folla, scoppio in un pianto disperato.


***

Dopo aver girovagato per tutto il pomeriggio, con gli occhi rossi dal troppo sforzo di lacrimare, mi avvicino alla baia e, scendendo per una scalinata di pietra che porta direttamente al mare, mi accuccio, unisco le mani a mo' di calice e mi sciacquo la faccia. È sera, non ho luce sufficiente per appurare che il mio viso sia fresco e rosa come al suo solito, ma con la compagnia dei miei amici e un po' di rum tutto tornerà come prima.
Per fortuna, prima che tutti si separassero come di buona norma accade ogni volta che approdiamo in una nuova isola, ho dato istruzioni a Sanji (colui che più mi ascolta di tutti, visto l'interesse nei riguardi del gentil sesso) di alloggiare per una notte nella locanda più vicina al porto.
Non è stato difficile trovarli, infatti. I miei ragazzi sono tutti lì, a brindare un nuovo giorno, una nuova partenza e una nuova avventura. Vederli spensierati mi addolcisce il cuore e cancella ogni risentimento e tristezza avuti quella mattina.
Guarda caso, come sempre, è Sanji il primo della ciurma a notarmi.
“Nami caraaaa!” urla trottando verso di me con abili slalom tra i camerieri e i clienti della taverna. “È buio e tu ancora non tornavi. Ci hai fatto preoccupare.”
La solita galanteria eccessivamente apprensiva del cuoco. Però gli sorrido, sinceramente grata.
“Namiiiii!” urla Rufy, salutandomi sventolando un cosciotto di chissà quale gigantesco esemplare di mammifero. “Siccome pensavo che non saresti tornata stasera, ho mangiato la tua parte di cena!”
“Che fesserie vai dicendo?!” strilla Sanji assettandogli un calcio sulla testa.
“No, Sanji, Rufy era appena guarito dalle mie cure!” si dispera Chopper esasperato aprendo il kit medicinale che si è portato nello zaino, sicuro che sarebbe di certo servito anche quella sera.
Questa è la mia ciurma. Sgangherata e un po' pazza, ma l'unica al mondo che riesce a scaldarmi così.
Appena mi siedo, noto che Zoro si è appostato al lato opposto del tavolo. Abbassa lo sguardo appena incrocia il mio, ed io faccio altrettanto. Forse dovrei dargli delle spiegazioni. Sono combattuta.
E quando quello sembra il problema più grosso, in uno scherzo poco divertente del destino, l'uomo di stamani entra nella taverna. Il sangue mi si raggela di nuovo.
“Ragazzi...” dico nascondendomi dietro la schiena di Robin, “credo di essere un po' stanca...”
“Non vuoi neppure un po' mangiare, Nami?” chiede Sanji preoccupato.
“Ma proprio neppure un po'?” chiede Rufy con la gioiosa e ovvia speranza di potersi davvero dedicare a tutta la mia parte di cena.
“Siete gentili, ma... davvero, è meglio che vada...”
Alzandomi, mi scontro con lo sguardo di Zoro. Non dice nulla, né mi fa un cenno di saluto. Avrà notato anche lui il nuovo arrivato?
“Ehilà, ciurma!”
È lui. Di sottecchi, lo vedo sedersi accanto al capitano.
“Ehilààà!” urla Rufy. “Quella carne sul piatto è per caso tua?”
“Perché, la vuoi tu?”
Rufy neppure risponde. La divora nel giro di dieci secondi.
“Fei proprio gentile, pirata!” esclama a bocca piena.
“È che è da molto che sono qui, e ho notato i vostri visi nuovi, perciò speravo di offrirvi qualcosa e brindare insieme,” dice pagando all'oste e riferendogli: “Servi finché non saremo tutti sazi!”
La mia ciurma esulta al nuovo arrivato. Sciocchi e creduloni. Si accontentano di essere serviti, ignari di quel che mi ha fatto passare quell'uomo.
Per un secondo la paura che lui racconti tutto di me mi immobilizza le ossa, ma pensandoci più razionalmente questo non sarebbe affatto un problema. Lui è uno sconosciuto venuto da chissà dove, mentre io sono la loro capitana. Crederebbero senz'altro più a me.
Mi accingo a salire le scale che portano alle camere, e nella confusione nessuno nota la mia marcia più agitata e veloce del consono.
“Ah!” urla l'uomo di stamani, “ma io offro solo alla ciurma intera! Siete al completo?!”
“Manca Nami!” esclama Chopper ridendo e chiamandomi, credendo di farmi un favore.
“Eccola!” esulta Sanji indicandomi. Maledetto lui e quell'occhio da lince che individua qualunque femmina nel raggio di un chilometro.
“E così si chiama Nami!” esclama gioioso e sornione l'uomo che vorrei non aver mai incontrato in vita mia. “Perché non ti siedi con noi?”
Mi volto a guardarlo. Gode a distruggermi la psiche, ma ancora non me ne configuro il motivo. Uomini come lui, che sottomettono e giocano coi sentimenti altrui, non dovrebbero esistere. La maggior parte della sofferenza che c'è nel mondo è a causa loro.
Chiudo le mani in due pugni e mi giro senza elargire neppure un sorriso. Al contrario, lui mi guarda arridendomi in quella sua maniera viscida e crudele con cui mi violentava anni prima.
E poi, un cazzotto lo butta del tutto a terra. Arriva inaspettato persino per lui.
Sgrano gli occhi verso colui che si è macchiato del misfatto.
Zoro si accarezza il pugno (forse perché ha usato troppa forza) e il suo sguardo vago rappresenta il totale disinteresse per le occhiate incredule della ciurma.
“Che cazzo ti è saltato in testa, marimo?!” gli urla addosso Sanji avvicinandosi minacciosamente a due centimetri dalla sua faccia.
“Rufy!” lo chiama Zoro ignorando il cuoco. Il capitano si gira con la forchetta in bocca, anche lui non del tutto divertito dalla bravata del suo compagno nei confronti del loro benefattore di cibi e bevande.
“Gli ho dato un cazzotto,” dichiara a gran voce zittendo le lamentele della ciurma, “perché ha detto che il tuo cappello di paglia fa schifo!”
Gli occhi di Rufy si colorano di rosso. “Come hai osato?!” bisbiglia nel delirio dell'ira, e prima che l'uomo si riprenda, è già a terra per colpa di un altro cazzotto.
Al secondo affronto, la ciurma della mia vecchia conoscenza scorre verso il nostro tavolo in cerca di vendetta. Sono all'incirca una trentina di uomini contro cinque. Ma i miei ragazzi, anche coi nemici in sovrannumero come spesso succede, riescono a tenere la situazione sottomano. Tre pirati sono già volati oltre le vetrate della finestra, due sono rimasti misteriosamente appesi al lampadario sul soffitto. Nel caos e nella mischia, tra tavoli ribaltati, confusione e altri pirati che si sono aggregati alla lite per puro divertimento, neppure io riesco a capire la sequenza esatta delle vicende.
Un piatto vola addosso in faccia a un filibustiere qualche tavolo più lontano. Di tutta risposta, prende quello del vicino e lo tira addosso ai miei compagni; di tutt'altra risposta, il vicino di colui che ha appena tirato il piatto ancora pieno di carne succulenta prende un altro piatto e glielo spiattella in faccia per ripicca.
Un concatenamento di strani eventi porta tutta la taverna a menarsi di brutto senza cognizione di causa, compresi i camerieri. Sorrido, preparando il mio bastone. Mischiarsi nella masnada sarà divertente, soprattutto se la punta del mio bastone arriverà dritta nei denti della mia vecchia conoscenza.
Ma nella mischia, evitando un calcio qui e un cazzotto lì, non riesco a localizzare la mia preda. Appena mi pare di vederla, un uomo grassoccio e rosso in viso esce da una stanza al primo piano e urla sull'attenti a tutti.
Non so come, ma la sua carica voce è riuscita davvero a fermare tutti.
“Chi ha osato distruggermi il locale?! Chi di voi è lo sciagurato che ha fatto cominciare la rissa?!”
“È stato lui!” ammette candidamente Rufy indicando Zoro.
“Razza di stupido spione che non sei altro!” urla lo spadaccino prima di scappare inseguito dal padrone e tutti i camerieri. Sanji e Robin gli fanno da scudo mettendone alcuni K.O., e grazie a qualche colpo basso di Usop che ne stordisce altri con della salsa piccante lanciata con la fionda, Zoro riesce a svignarsela dal locale. Esco per appurarmi che sia davvero riuscito nell'impresa, quando lo vedo tornare dal lato opposto.
“Che diavolo stai facendo?!” strillo prendendolo per il polso. “Vuoi farmi credere che il tuo senso dell'orientamento farebbe così schifo da farti correre attorno al perimetro della locanda senza accorgertene?!”
Zoro, colto in fragrante, non emette alcun suono. L'evidenza parla da sé.
Appena vedo alcuni camerieri lanciarsi fuori dal locale, trascino Zoro con me in un vicolo buio, percorrendo stradine sempre più strette e nascoste all'occhio di tutti. Ora che è notte, e le luci dei lampioni sfavillano solo nei viali principali, è difficile anche per me vedere dove sto mettendo i piedi. Alcuni acciottolati sono più spessi e alti di altri, e mi fanno incespicare; talvolta, le pozzanghere mi bagnano le scarpe aperte lasciandomi un senso di fredda viscosità.
Man mano che avanziamo, le urla e il trambusto urbano si affievoliscono sempre più, fino a quando non sento null'altro che il rumore delle onde marine che scrosciano sulla banchina del porto.
Non sono più brava a correre come una volta. Le gambe cedono e il fiato diventa insopportabilmente pesante. Cado a terra, vicino a un tombino, e Zoro mi segue accasciandosi a una rete da pesca ammassata.
Aspetto che il fiato riprenda il suo dolce e regolare ritmo prima di voltarmi verso il mio compagno. Anche lui, a modo suo, mi ha lasciato senza respiro.
“Qualunque cosa ti abbia fatto quell'uomo...” dice lo spadaccino ancora in preda al fiatone, “qualunque cosa... io gliel'ho fatta vedere. L'ho steso con un solo pugno.”
Poi si gira verso di me, ghignando soddisfatto. “Adesso ne mancano solo novecentonovantanove. Il Grande Blu è piccolo, l'hai detto anche tu. Sarà un gioco da ragazzi.”
Mi copro la bocca con la mano per nascondere un singhiozzo. Zoro, lo stupido bifolco della ciurma, mi ha di nuovo inaspettatamente commossa.
Scoppio a piangere, stavolta con più partecipazione di stamattina. Mi accascio con il volto a terra, senza strisciare come un verme per supplicare qualcuno.
Ed ora, non so perché, il grande macigno che schiacciava la mia anima esce di nuovo con una facilità strabiliante e inaspettata.
“Quell'uomo... mi ha violentato...” riesco a dire con voce rotta. “Con tutta la ciurma... E non è il solo pirata ad averlo fatto... anche tanti altri incontrati nel mare l'hanno fatto, e la Marina di Nezumi, e Arlong... a volte facevo finta di prostituirmi per ingannare me stessa di non essere succube a queste violenze... Questa era la mia vita prima di incontrare voi...”
Non guardo Zoro neppure una volta. Non voglio sapere quale sia la reazione che lo sta scuotendo. Non so neppure perché gli stia dicendo queste cose. Forse perché Zoro è diverso.
Zoro mi ha letto più volte dentro.
Non è vero che non ha mai capito niente.
Una mano si posa sui miei capelli. Si è avvicinato senza che me ne accorgessi.
Mi prende il volto tra le mani. Stavolta non indugia, né mi sfiora solamente o ritrae le dita.
“Io... ti renderò così felice che nessun vecchio pirata ti farà più piangere.”
Sgrano gli occhi. Le sue parole hanno qualcosa di diverso, un suono più intenso e caldo.
Trasudano di una passione pericolosa.
Mi stringe a sé. Per la prima volta affondo in un abbraccio che non sia quello di Genzo, o Nojiko, o Bellmer. Spesso ne ho avuti anche con la ciurma, ma erano diversi, più distanti, come quando tieni a braccetto qualcuno per festeggiare una vittoria o una nuova avventura.
Cingo Zoro a mia volta. Il suo profumo è quello del mare. Chiudo gli occhi, e rimango lì a farmi cullare.
Quando l'alba giunge e il sole bacia coi suoi raggi i primi tetti, abbandono le mie forze e mi lascio andare in un sonno rigenerante.
  
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