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Autore: _elanor_    21/04/2008    3 recensioni
La mia prima storia è dedicata a Lily, James, Severus, Sirius e Remus: delle loro vite ai tempi di Hogwarts. Questo è il primo capitolo, in cui vengono presentati i personaggi nell'arco della serata che precede la loro partenza per Hogwarts. Spero che vi piaccia quanto a me è piaciuto scriverla
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Il treno scarlatto

 

   La piccola Mini rossa della famiglia Evans parcheggiò di fronte alla stazione di King’s Cross di Londra, alle nove e mezzo di una assolata giornata di inizio settembre. Tutta la famiglia si affrettò a scendere dalla macchina. Il signor Evans corse a scaricare dalla bauliera le due pesanti valige della figlia minore, mentre sua moglie andava a cercare un carrello per trasportarle. Petunia se ne stava guardinga in disparte, con le braccia conserte, accigliata. Lily, euforica e nervosa, continuava a scorrere con gli occhi la lista del necessario per la scuola, per essere certa di aver preso tutto.

   Dopo aver caricato i bagagli sul carrello, si avviarono ai binari. Ma, come sospettavano, nessuno dei cartelli riportava il numero “nove e tre quarti”.

   < Oddio, mamma! E adesso come facciamo! > chiese, agitata, la ragazzina dai capelli rossi.

   < Non preoccuparti, tesoro. Vedrai che lo troveremo, in un modo o nell’altro… > le disse sua madre per tranquillizzarla. Nel frattempo, suo padre era andato a chiedere ad un ferroviere delle informazioni, ma l’uomo, dopo averlo guardato torvo, si allontanò dicendogli di risparmiarsi certi scherzi idioti alla sua età.

   Si sedettero un po’ rabbuiati su una panca davanti ai binari nove e dieci, pensando a come cavarsela.

   Lily cominciava a scoraggiarsi. Si chiedeva se, dopo tutta quell’attesa, i preparativi e gli acquisti per la partenza, i tanti voli di fantasia che aveva fatto in quegli ultimi mesi, sarebbe tutto finito in quella maniera, ancora prima di iniziare. Cominciava a pensare che non avrebbe mai visto il famoso castello di Hogwarts.

   Alzò gli occhi, ricacciando indietro le lacrime che cominciavano a salire, e lo sguardo le cadde su un ragazzino dai capelli castani che si dirigeva in quella direzione con i suoi genitori, che spingevano un carrello con un grosso baule marrone. Il ragazzo portava con sé una gabbietta nella quale c’era quella che sembrava una civetta; piuttosto insolito come animale da compagnia.

   Subito, Lily scattò in piedi e si buttò su suo padre.

   < Papà! Chiedi a quei signori se sanno come arrivare al binario! >

   < Ma Lily…> cominciò suo padre, spiazzato dall’irruenza della figlia.

   < Dammi retta! > continuò Lily, senza dare il tempo al padre di ribattere. < Nella lista c’è scritto che gli alunno possono portare dei gufi con loro. E quel ragazzo ha una specie di gufo! Forza papà! Muoviti! >

   Il signor Evans si alzò dalla panca, un po’ titubante, e si avvicinò alla famiglia.

   < Ehm… scusatemi tanto, ma… mi stavo chiedendo se sapete… per caso… >

   < Non sapete come raggiungere il binario “nove e tre quarti”, vero? > disse la madre del ragazzo, che aveva notato i bagagli di Lily e la sua aria disorientata, prima che il signor Evans potesse finire di parlare. < Capita spesso quando si viene da famiglie di Babbani >.

   < Beh… ecco… > cominciò il signor Evans, che non era certo di aver capito quello che diceva la donna.

   < Non c’è problema > continuò lei. < Anche noi stiamo andando dalla stessa parte. Seguiteci >.

   Le due famiglie si avviarono assieme nel corridoio tra i binari nove e dieci. Lily osservava il ragazzino, incuriosita. Non era molto alto, e aveva un aspetto decisamente malaticcio. Era gracile, dalla carnagione chiara, e aveva grandi occhi color nocciola. Inoltre, aveva una cicatrice sulla guancia sinistra.

   < Quindi, immagino che per vostra figlia sia il primo anno a Hogwarts > disse la madre del ragazzo.

   < Oh, si > rispose la signora Evans. < È stata una vera sorpresa per noi! Prima che ricevesse la lettera, non avevamo la minima idea che esistesse un mondo dei maghi. E suo figlio invece? >

   < Anche per il nostro Remus è il primo anno… >

   < Allora, tu ti chiami Remus > disse Lily rivolgendosi al ragazzo, ansiosa di fare conoscenza.

   < Ah! Ehm… si > fu la risposta del ragazzo, che fece quasi cadere la gabbia con la civetta appisolata per l’emozione. < Remus Lupin >.

   < Io mi chiamo Lily. Lily Evans >.

   < P-piacere > rispose timidamente Remus.

   I signori Lupin li condussero di fronte ad un muro di mattoncini rossi che divideva i due binari.

   < Bene. Eccoci arrivati > disse il signor Lupin, indicando il muro.

   I signori Evans rimasero perplessi.

   < Mi scusi, ma… >

   < Ma si, dovete attraversare il muro per raggiungere il binario > disse tranquilla la signora Lupin. Poi, vedendo che la famiglia Evans la guardava allibita, aggiunse: < È semplice. Ora vi mostro come si fa. Remus, caro, corri verso il muro come ti ho detto >.

   Il ragazzo si posizionò di fronte al solido muro, a qualche metro di distanza, e iniziò a corrergli incontro. Lily si tappò gli occhi con le mani. Di certo, quel ragazzo si sarebbe rotto tutte le ossa.

   Ma, al contrario di quello che si aspettava, non ci fu alcun rumore di collisione. E, quando riaprì gli occhi, vide che Remus era scomparso. Poi fu il turno della signora Lupin. Lily la vide gettarsi contro il muro, e sparire inghiottita dai mattoncini rossi.

   < Wow! > esclamò stupefatta. < Tunia, hai visto? > chiese alla sorella, che fissava incredula la compatta parete.

   < Adesso provaci tu > le disse il signor Lupin.

   Lily si mise davanti al muro, come aveva fatto poco prima l’altro ragazzo, chiuse gli occhi e cominciò a corrergli contro. Poco dopo andò a sbattere contro qualcuno, e riaprendo gli occhi si accorse che era finita addosso alla signora Lupin, che li stava aspettando. Era riuscita a raggiungere il binario “nove e tre quarti”.

   Mentre il resto della comitiva li raggiungeva, i grandi occhi verdi della ragazza osservavano increduli quel luogo. Il binario era ingombro di persone. Alcune erano vestite in maniera talmente assurda, che sembravano pronti per una festa in maschera. Dappertutto c’erano ragazzi e ragazze di tutte le età che si salutavano calorosamente e si raccontavano delle loro vacanze; alcuni di loro avevano già in dosso la divisa nera della scuola. C’erano genitori che abbracciavano i figli in procinto di partire. Un ragazzo di circa sedici anni mostrava con orgoglio un lucente manico di scopa ad un eccitato gruppo di amici. Una ragazzina dai capelli biondi rincorreva il suo gatto grigio, che non voleva saperne di farsi acchiappare. Sulle rotaie, un treno a vapore dalle carrozze di un bel rosso scarlatto, sbuffava e lanciava grandi nuvole bianche, annunciando la prossima partenza.

   Lily si voltò verso il ragazzo appena conosciuto, con un’espressione piena di entusiasmo.

   < Non riesco ancora a crederci! Sto veramente per andare ad Hogwarts! È fantastico, no? >

   < Già… > commentò il ragazzo, che era decisamente meno euforico di lei.

   < Che cos’hai? > chiese Lily, stupita della fredda reazione del ragazzo. < Non sei contento di partire? >

   < No… cioè si… Cioè io, spero solo… che vada tutto bene… >

   Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, la signora Lupin chiamò suo figlio. Remus e Lily si salutarono, dicendosi che si sarebbero rivisti a scuola.

 

 

ef

 

 

   Nel frattempo, qualche metro più avanti, James Potter stava salutando frettolosamente i suoi genitori, ansioso di salire nel treno scarlatto.

   < Mi raccomando, piccolo mio, fai il bravo >.

   < Si mamma, non preoccuparti >.

   < E scrivici qualche volta >.

   < Si, si, certo >.

   Sua madre si chinò verso di lui, per abbracciarlo prima della partenza.

   < Mamma no! Sei impazzita? Vuoi che faccia la figura del ragazzino? > scattò James, tirandosi indietro.

   < Ma, tesoro… >

   < Dai, ci vediamo a Natale. Ciao vecchi! Statemi bene! > disse James ai genitori, e salì di corsa sul treno, trascinandosi dietro il pesante baule rosso.

   Si avviò per la corsia cercando uno scompartimento che non fosse vuoto, deciso a fare nuove conoscenze il prima possibile. Vide da un vetro un ragazzo di circa dodici anni, dai capelli neri e l’aria noncurante, che giocherellava con una Gobbiglia spaparanzato su un sedile. James aprì la porta a scorrimento dello scomparto e gli chiese:

   < Scusa, sono liberi questi posti? >

   Il ragazzo alzò leggermente lo sguardo e lo osservò con poco interesse.

   < Sicuro > fu la sua risposta.

   James entrò e si richiuse la porta alle spalle. Con qualche difficoltà, sistemò il baule sulla cappelliera, mentre l’altro continuava a intrattenersi con la Gobbiglia, guardando distrattamente fuori dal finestrino la gente che si salutava e si affaccendava sul binario. Poi si buttò pesantemente sulla poltroncina.

   < Io sono James Potter. Piacere > si presentò James, porgendogli la mano.

   < Sirius Black > rispose semplicemente l’altro, stringendogli la mano; e tornò a contemplare l’esterno.

   Rimasero in silenzio. James, che desiderava ardentemente fare subito nuove amicizie, cercò qualche argomento di conversazione.

   < Ehm… ti piace il Quidditch? > fu la prima cosa che gli venne in mente.

   < Mah. Così, così > rispose l’altro, senza neanche guardarlo.

   Deluso dalla risposta, provò con un altro approccio.

   < A che anno sei? >

   < Devo fare il primo > rispose Sirius.

   < Sul serio? Anche io! Forse saremo smistati nella stessa Casa > disse James con entusiasmo.

   < Forse… > rispose l’altro distrattamente.

   James non sapeva più di cosa parlare. Aveva scelto lo scompartimento occupato di certo dal ragazzo più altezzoso e antipatico di tutta Hogwarts. Era davvero una delusione per lui, che amava chiacchierare con chiunque incontrasse, ricevere così poca considerazione.

   Consapevole che era inutile provare a scambiare quattro chiacchiere con quel tipo, tirò fuori dallo zaino che aveva con sé una rivista sui Cannoni di Chudley e si mise distrattamente a sfogliarla, osservando le figure animate dei suoi beniamini. Ma non aveva voglia di leggere in quel momento, e quasi subito richiuse il giornaletto.

   Si mise allora ad osservare la gente all’esterno. La sua attenzione cadde su uno strano ragazzino. Era a dir poco grottesco: magrissimo e alto, di circa la sua età, aveva capelli neri lunghi e disordinati, che sembravano un ammasso di stoppa. Indossava una camicetta a fiorellini sbiaditi, decisamente femminile, e un paio di calzoni marroni sdruciti che gli stavano troppo larghi e troppo corti.

   Era di certo il ragazzo più assurdo e fuori luogo che avesse mai visto. James non riuscì a trattenere una fragorosa risata, che ridestò l’altro dai suoi pensieri.

   < Che hai da ridere? > gli chiese, incuriosito dalla strana reazione del compagno di viaggio.

   < Niente, è che… Guarda quello là. Quello con quegli assurdi vestiti > rispose James.

   Sirius guardò ora con attenzione le persone sul binario. Quando individuò lo strano ragazzo rise anche lui, divertito.

   < Oh cielo! > esclamò tra le risa. < Ma che cos’ha addosso?! Sua madre gli ha prestato la sua camicetta preferita? >

   James rise divertito dalla battuta del ragazzo.

   < Gia! E che ne dici dei calzoni? Deve avere un tubo dell’acqua rotto, per portarli così allo zompo, non trovi? >.

   < E guarda che capelli! > continuò Sirius, ridendo.

   < Saranno almeno due anni che non se li pettina! > gli fece eco James. < Gli sarà morto il parrucchiere > .

   < È il soggetto più patetico che abbia mai visto! Che Mocciosus… > commentò infine Sirius.

   I due ragazzi, che non riuscivano a smettere di ridere delle loro battute pungenti, si girarono a guardarsi.

   < Sei simpatico, Potter > commentò quasi incredulo Sirius. < Credevo che fossi un po’ stupidotto, invece sei divertente… Mi hai stupito, sai? >

   < Già. Se è per questo, io ti facevo uno snob antipatico > rispose James, pungente.

   I due si osservarono per qualche secondo. Poi scoppiarono a ridere di loro stessi, e continuarono a chiacchierare.

 

 

ef

 

 

    Il treno sarebbe partito da lì a mezz’ora, e Lily doveva ancora fare una cosa. Doveva sistemare una questione lasciata in sospeso la sera prima. Sapeva benissimo che se non lo avesse fatto in quel momento non avrebbe avuto altra occasione per molto tempo.

   Si girò verso la sorella, che se ne stava silenziosa in disparte, con le braccia incrociate sul petto e un’espressione amara sul viso.

   < Tunia, posso parlarti un attimo? > le disse Lily e, prima che la sorella potesse ribattere qualsiasi cosa, le prese la mano e si allontanò dai genitori, per non fargli sentire di cosa parlavano.

   < Senti, ti volevo dire che lo so che vorresti venire anche tu con me, ma… >

   < Ma stai scherzando?! > scattò Petunia. < Io non voglio proprio andarci là! >

   < Dai, lo so che vuoi venire e mi dispiace che non puoi! Mi dispiace, Tunia, mi dispiace! > disse Lily alla sorella, tristemente. Poi le prese una mano e, con dolcezza, continuò dicendo: < Ascolta, forze quando sarò là… >.

   Petunia cercava con forza di liberarsi dalla presa della sorella, ma Lily le stringeva la mano troppo forte.

   < No, ascolta Tunia! Forse quando sarò là, riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea! >

   < Io non… voglio… venirci! > esclamò la sorella bionda, divincolandosi. < Tu credi che io voglia andare in uno stupido castello per imparare ad essere una… una… > ma non finì la frase; i suoi occhi vagarono sdegnati tra le persone che occupavano il binario. < Credi che io voglia essere un… un mostro? > concluse infine freddamente.

   Lily rimase attonita alle parole della sorella. Senza rendersene conto lasciò andare la mano, come indebolita, e calde lacrime le velarono gli occhi. Come poteva Petunia essere tanto crudele e fredda nei suoi confronti?

   < Io non sono un mostro > trovò la forza di dire, mentre le lacrime scendevano a rigargli il viso. < È una cosa orribile da dire >.

   < È la che stai andando > ribatté sua sorella, con un tono orgoglioso. < In una scuola speciale per mostri. Tu e quel Piton… due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gente normale. Per la nostra sicurezza >.

   Lily era sconvolta dalla cattiveria che sua sorella le stava riversando addosso. Ogni parola che le usciva dalla bocca era per lei uno schiaffo in pieno volto. Era ingiusta e meschina. E sapeva bene che in realtà non pensava affatto quelle cose; che in realtà anche lei voleva appartenere a quel mondo di “mostri”.

   Una grande rabbia nei confronti della sorella maggiore stava crescendo dentro di lei.

   < Non pensavi che fosse una scuola per mostri > disse con rabbia, < quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti >.

   Petunia, che di certo non se lo aspettava, divenne rossa come un pomodoro maturo.

   < Supplicare? Io non l’ho supplicato! > rispose con un timbro di voce troppo alto e acuto.

   < Ho letto la risposta > confessò Lily. < Era molto gentile >.

   Petunia sgranò gli occhi.

   < Non dovevi… > balbettò, sempre più paonazza. < Era una cosa personale… Come hai potuti…? >

   Lily distolse lo sguardo dalla sorella, e vide a pochi metri da loro il suo amico Severus accanto a sua madre, con la solita aria cupa. Era stato proprio lui a mostrarle la lettera. Nel pensarlo, Lily arrossì leggermente.

   Petunia colse la reazione della sorella. Di colpo il porpora lasciò rapidamente le sue guance.

   < L’ha trovata quel ragazzo! > sibilò con poco fiato per la rabbia e la vergogna. < Siete entrati di nascosto in camera mia! >

   < No… > cercò di giustificarsi sua sorella, < non di nascosto… Severus ha visto la lettera e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per… >

   < A quanto pare, i maghi ficcano il naso dappertutto! > la interruppe Petunia, ed aggiunse poi esasperata: < Mostro! > e, senza darle il tempo di ribattere, si diresse verso i suoi genitori, che stavano allegramente commentando ciò che li circondava.

   Lily, rimasta sola, non sapeva più cosa fare, né cosa dire a sua sorella. Non riusciva ancora a credere che la odiasse fino a quel punto. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Petunia l’aveva umiliata e bistrattata con accuse ingiuste e orribili.

   Si asciugò le lacrime col dorso della mano. Non voleva che i suoi genitori fossero in ansia per lei pochi minuti prima della sua partenza.

   Insieme a loro si avvicinò a una delle carrozze del treno. Suo padre le caricò all’interno le valige. Prima di salire, abbracciò forte sua madre e suo padre, e non riuscì più a trattenere le lacrima che ripresero a scenderle lungo le guance. Coprendosi il volto con le mani, disse ai genitori che era triste perché doveva separarsi da loro, mentre sua sorella teneva gli occhi bassi e le braccia incrociate, con un’espressione cupa in viso.

 

 

ef

 

 

   Nel binario nove e tre quarti Severus Piton, accanto a sua madre che parlava animatamente con una vecchia amica dei tempi della scuola, se ne stava silenzioso e ricurvo come di consueto.

   Suo padre non era venuto con lui e la madre ad accompagnarlo per prendere l’espresso per Hogwarts, e la cosa non lo aveva di certo stupito. Ma guardando intorno a se tutti quei genitori affettuosi che salutavano con profusione di abbracci e carezze i loro figli provava una stretta al cuore. Era invidioso dell’affetto che ricevevano questi ragazzi così fortunati. Non poteva fare a meno di chiedersi perché proprio a lui era toccato un padre così crudele.

   Spostando lo sguardo tra la folla che occupava il binario si accorse che a qualche metro di distanza da lui c’era Lily Evans con la sua famiglia. Era così evidente che si trattava di Babbani: i signori Evans si guardavano attorno con aria decisamente esterrefatta, al contrario della maggior parte delle persone che li circondavano.

   Severus stava per precipitarsi a salutare l’amica, ma si accorse appena in tempo che stava discutendo con la sua antipatica sorella, Petunia. Sembrava una discussione piuttosto accesa: Lily teneva con forza la mano della sorella, che si divincolava per allontanarsi da lei. Il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla scena. Ad un tratto Petunia disse qualcosa che di certo scosse molto la sorella, perché Lily sgranò gli occhi, lasciò andare la mano e scoppiò in lacrime.

   Si sentì come se qualcuno gli avesse tirato un pugno in pieno stomaco nel vedere il volto dell’amica rigato dalle lacrime. Avrebbe voluto andare da lei e consolarla. Oppure, prendere a schiaffi Petunia per aver ferito la sua amica. Ma non poteva intromettersi tra di loro.

   Le due sorelle continuarono a discutere. Lily disse qualcosa che turbò Petunia. Poi girò lo sguardo e si accorse che c’era anche lui e che le stava fissando. Anche Petunia si accorse di lui e, con aria ancora più adirata, si scagliò contro la sorella. Infine, Petunia si allontanò lasciando la sorella in lacrime, mettendo fine alla discussione.

   Severus la vide asciugarsi il viso e raggiungere i suoi genitori. Poi con loro si avviò a uno dei vagoni, confondendosi tra la folla.

   < Mamma io salgo sul treno, sennò non troverò neanche un posto > disse Severus richiamando l’attenzione della madre. Doveva assolutamente trovarla e consolarla.

   < Va bene > rispose sua madre. < Vuoi una mano con i bagagli >.

   < No faccio da solo, grazie >.

   Si scambiarono un veloce abbraccio e Severus si girò per andare verso il treno. Poi però, si bloccò. Si voltò di nuovo e fissò i suoi profondi occhi scuri su quelli altrettanto scuri della madre.

   < Non ti fare trattar male da papà > gli disse con espressione seria.

   A quelle parole, sua madre lo guardò stupita e lo abbracciò di nuovo, stavolta con molta più intensità e calore. Lo strinse a se per diversi minuti. Severus non ricordava quando era stata l’ultima volta che sua madre gli aveva dimostrato così tanto affetto. Quando lo lasciò andare, si accorse che lei aveva gli occhi lucidi.

   Severus si voltò di nuovo e facendosi largo tra la folla sul binario arrivò al treno. Salito su una carrozza, la prima cosa che fece fu andare in bagno. Dal suo baule tirò fuori la sua nuova uniforme nera. Finalmente poteva indossare un abito nuovo e della sua misura. Si tolse velocemente la camicetta a fiorellini e i calzoni sbiaditi, che gli stavano una taglia più grande e gli arrivavano sopra le caviglie, e indossò la veste nera. Guardandosi allo specchio della toilette stentava a riconoscersi. Con quegli abiti aveva un aspetto molto più ordinato.

   Nel frattempo l’espresso aveva cominciato il suo viaggio verso Hogwarts. Severus gettò i suoi vecchi abiti dal finestrino e uscì dal bagno. Per la prima volta si sentiva a suo agio tra altri ragazzi.

   Con in mano il suo baule si mise a cercare lo scompartimento dove era seduta Lily. Attraversò due vagoni prima di trovarla. Stava seduta accanto al finestrino, con il viso schiacciato contro il vetro, in uno scompartimento insieme ad altri tre ragazzi che chiacchieravano animatamente tra di loro, senza nemmeno fare caso alla sua presenza. Severus aprì la posta, si fece largo tra le gambe dei tre ragazzi e si sedette di fronte a lei. Lily lo guardò per un attimo, e poi tornò ad osservare fuori dal finestrino. Aveva gli occhi rossi e gonfi.

   < Non voglio parlare con te > disse a Severus con voce soffocata.

   < Perché? > chiese il ragazzo.

   < Tunia mi… > rispose lei, ricominciando a piangere, < mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di Silente >.

   < E allora? > chiese Severus.

   < Allora è mia sorella! > scattò Lily, con uno sguardo duro.

   < È solo una… > cominciò Severus, che non sopportava affatto Petunia Evans. Ma sapeva che se avesse detto quello che pensava dei Babbani a Lily non lo avrebbe mai perdonato, e si fermò in tempo. < Ma ci stiamo andando! > continuò poi con un gran sorriso, per cambiare discorso e risollevare l’amica. < Ci siamo! Stiamo andando a Hogwarts! >

   Lei annuì con la testa, asciugandosi gli occhi umidi, e accennò un sorriso.

   < Speriamo > continuò Severus, < che tu sia a Serpeverde >.

   < Serpeverde? >

   Uno dei tre ragazzi che dividevano con loro lo scompartimento guardava Severus con aria sprezzante. Era magro, non molto alto, con disordinati capelli neri e un paio di occhiali che coprivano due vispi occhi scuri.

   < Chi vuole diventare un Serpeverde? > continuò il ragazzo, mentre Severus lo guardava attonito. < Io credo che lascerei la scuola, e tu? > chiese ad un ragazzo dai capelli neri ed un’espressione noncurante.

   < Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde > rispose lui.

   < Oh cavolo. E dire che mi sembravi a posto > commentò il ragazzo con gli occhiali.

   < Forse io andrò contro la tradizione > disse con un mezzo sorriso l’altro. < Dove vorresti finire se potessi scegliere? >

   < Grifondoro… culla dei coraggiosi di cuore! > rispose, tirando fuori il petto e fingendo di impugnare una spada invisibile. < Come mio padre >.

   Severus a quelle parole non riuscì a trattenere un verso sprezzante. Da quello che sapeva tutti quelli che finivano a Grifondoro non erano altro che degli incoscienti, dei palloni gonfiati e sbruffoni, sempre pronti a menar le mani alla prima occasione valida. E quel ragazzo con gli occhiali, di certo era la persona più adatta a farne parte.

   < Qualcosa non va? > chiese il ragazzo irritato, che si era accorto della sua smorfia.

   < No > rispose Severus, senza riuscire poi a trattenersi, < se preferisci i muscoli al cervello…>

   < Tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due? > intervenne l’altro ragazzo dai capelli neri.

   I due amici scoppiarono in una fragorosa risata. Severus li fissava torvo e livido di rabbia, senza riuscire a dire una parola. Non si era neanche accorto che l’amica dai capelli rossi si era alzata dal sedile.

   < Andiamo, Severus, > la sentì dire con tono gelido, < cerchiamo un altro scompartimento >.

   Un tiepido calore gli pervadeva tutto il corpo nel constatare che Lily aveva preso le sue difese. L’espressione gelida e sprezzante che la ragazza rivolgeva a quei due presuntuosi antipatici lo riempiva di gioia, e un pallido rossore gli colorò il viso slavato.

   Si alzò un coro di “Oooooh…” divertiti per la reazione della ragazza. Severus e Lily raccolsero le loro cose e uscirono dallo scompartimento, tra le risatine e le prese in giro dei due amici. Quello con gli occhiali fece quasi cadere Severus, facendogli lo sgambetto.

   < Ci si vede, Mocciosus! > disse qualcuno prima che la porta scorrevole si chiudesse.

   < Che idioti! > fu il commento di Lily. < Non li sopporto proprio i tipi così sbruffoni! >

 

 

ef

 

 

   < Ci si vede, Mocciosus! > gridò Sirius al ragazzo pallido che stava uscendo dallo scompartimento con la sua amica dai capelli rossi. Anche se ora indossava l’uniforme di Hogwarts, aveva riconosciuto subito il ragazzino dagli abiti assurdi che avevano visto lui e James sul binario prima di partire. Era stato proprio quello strano tipo a fargli rivalutare James Potter, il ragazzo che divideva lo scompartimento con lui.

   < Che idioti! > commentò James dopo che la porta si fu richiusa dietro di loro. < E poi quella tipa rossa che se l’è presa così tanto per il suo amichetto! >

   < Già. Però era carina > aggiunse Jordan Miller, un ragazzo dai capelli biondi che divideva lo scomparto con gli altri due.

   < Ehi! Immagina se dovessi finire nella stessa Casa di uno di quei due?! > continuò James, tra l’inorridito e il divertito.

   < Immagino che, se faccio la fine della mia famigli, finisco con Mocciosus > rispose Sirius.

   < Ma tu… > chiese Jordan, fissando il ragazzo, < sei il figlio di Orion Black? >

   < Già > rispose Sirius, con poco entusiasmo.

   < Cavolo! La vostra è una famiglia molto importante tra i maghi, da quel che so. Papà parla spesso di voi >.

   < Immagino che cosa può dire su di noi… > commentò stizzito Sirius.

   I suoi genitori erano rinomati, non c’era dubbio. Non esisteva una famiglia di almeno due generazioni di maghi che non li conoscesse. E non era un mistero che fossero alcuni tra i più ferventi sostenitori dell’importanza del sangue puro.

   < E tu, Jordan, dove speri di essere smistato? > chiese James, mettendo fine a un breve momento di silenzio.

   < Mah, non lo so > rispose Jordan. < Papà e mamma erano entrambi in Tassorosso. So quello che dicono di chi finisce in quella Casa, perciò preferirei finire in un’altra. Grifondoro sarebbe il massimo >.

   < In pratica > concluse James, < è quasi sicuro che finiremo tutti e tre in una Case diverse >.

   I tre continuarono a parlare allegramente tra di loro, mentre il treno rosso fiamma li conduceva sempre più lontani dalla stazione di Londra, attraversando paesini di campagna e pascoli verdi. Il tempo trascorreva velocemente, e senza che i ragazzi se ne accorgessero era arrivata l’ora di pranzo. Una signora paffuta  aprì lo scompartimento e chiese ai tre ragazzi se desideravano acquistare qualcosa dal carrello. Jordan acquistò solo un pacchetto di Bolle Bollenti, mentre Sirius e James diedero fondo ai loro risparmi ed acquistarono dolciumi di tutti i tipi.

   Circa un’ora dopo, mentre i ragazzi stavano mangiando le ultime Cioccorane, scambiandosi le figurine che si trovavano all’interno, lo sportello si aprì di nuovo. Stavolta però, ad entrare fu Narcissa, la cugina quindicenne di Sirius. La sua pelle lattiginosa e i suoi capelli di un biondo chiarissimo facevano un forte contrasto con l’uniforme nera, sulla quale spiccavano i colori verde-argento della Casa di Serpeverde.

   < Ciao Sirius > si rivolse a lui la cugina, < come va? >

   < Ciao. Bene, grazie. A te come va? > rispose il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.

   < Oh, molto bene. Sai, sono passata perché la zia mi ha chiesto di darti un occhio. Vuole che questa sera gli scriva dopo lo smistamento. Ma, tanto, potremmo farlo insieme nella sala comune dei Serpeverde, giusto? >

   < Si, infatti. Comunque non ti scomodare, cuginetta; so badare a me stesso > rispose Sirius con una nota di irritazione nella voce. Era tipico di sua madre comportarsi così: assicurarsi che qualcuno lo sorvegliasse e gli riferisse ogni minimo passo falso che faceva.

   Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, Narcissa riprese a parlare.

   < Senti… perché non vieni a sederti nello scompartimenti dove sto io? Ti posso far conoscere alcuni dei miei amici. C’è Lucius Malfoy, Shon Dolohov, Amanda Peutery… C’è anche un ragazzino che deve fare il primo anno come te. Fa di cognome… Avery… se non mi sbaglio… >.

   < No, grazie. Preferisco stare qui > rispose con voce piatta Sirius.

   < Bene, come vuoi > disse Narcissa, evidentemente irritata. < Ci vediamo dopo >.

   E uscì chiudendosi lo sportello alle spalle.

   < Tua cugina, immagino > fece sarcastico James.

   < Già. È la figlia minore del fratello di mia madre >.

   < E… ti controlla da parte sua? > aggiunse James.

   < I miei non si fidano molto di me > spiegò Sirius. < Per loro sono un impertinente e ingrato ragazzino che “non rispetta le tradizioni della nostra antica e nobile casata”! > disse, facendo un’esagerata imitazione della voce di sua madre.

   < Wow, un ribelle! > disse scherzosamente James.

   Sirius accennò un sorriso e cambiò discorso, tornando alle figurine delle Cioccorane. Non sopportava proprio parlare della sua famiglia. E, inoltre, il fatto che sua madre avesse chiesto a Narcissa di controllarlo non gli andava proprio giù; tantomeno il fatto che l’adorabile cuginetta avesse dovuto dirlo proprio di fronte ai suoi nuovi amici appena conosciuti, facendogli fare la figura dell’imbranato.

 

 

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Qualche vagone più lontano, Remus ascoltava la ragazza dai capelli rossi, che aveva conosciuto la mattina alla stazione, ripetere la stessa cosa per la terza volta

< Se ci ripenso mi vengono ancora i nervi a fior di pelle! Che ragazzi patetici! Spero proprio di non finire nella loro stessa casa! >

Il suo amico, Severus Piton, se ne stava seduto accanto a lei in silenzio. Aveva un’aria truce e malinconica, ed i capelli che gli ricadevano disordinatamente davanti al viso accentuavano l’effetto.

Remus li aveva incontrati poco prima di mezzogiorno mentre andava in bagno. I due si aggiravano per i vagoni del treno trascinandosi dietro i pesanti bagagli, alla ricerca di uno scompartimento libero. E per loro fortuna, nello scompartimento dove viaggiava lui c’era solo un altro ragazzo che, essendo un prefetto, non faceva che girare per le carrozze a controllare. Quindi li aveva invitati a unirsi a lui, e Lily gli aveva raccontato dell’incontro con quegli “odiosi ragazzi”.

Erano ormai le cinque e mezzo passate. Fuori il cielo si scuriva sempre più rapidamente. Il paesaggio che scorreva dal finestrino sembrava una landa disabitata tra i boschi e le montagne. Era impossibile stabilire dove si trovassero, ma di sicuro erano molto lontano da Londra.

La porta dello scompartimento si aprì e apparve una ragazza bionda con in dosso la divisa di Tassorosso, e una spilla da Prefetto appuntata sul petto.

< Scusate ragazzi > disse la ragazza, < ma dovreste indossare le vostre divise. Tra non molto saremo arrivati >.

Lily tirò fuori dal suo bagaglio la veste nera, guardò i suoi compagni di viaggio e disse:

< Credo… che sia meglio che mi vada a cambiare in bagno >.

Quando fu uscita, lasciando i due ragazzi soli, Remus chiese a Severus:

< È un problema per te se mi cambio qui dentro? >

Severus fece cenno di no con la testa, e Remus tirò le tende. Quando si tolse la maglia notò che il ragazzo moro gli osservava con molto interesse il torace, che era pieno di segni rossi e vecchie ferite rimarginate, che il ragazzo si era procurato durante la luna piena.

< Come mai hai tutte quelle ferite? > chiese Severus.

< Ecco… mi sono… fatto male cadendo in giardino > rispose un po’ titubante Remus, infilandosi frettolosamente l’uniforme per nascondere le ferite.

< Ah… > fece Severus, con un’espressione poco convinta. < E come hai fatto a cadere? >

Remus era nel panico. Non riusciva a capire come aveva fatto a non pensare di andarsi a cambiare in bagno. Temeva che quel curioso e petulante ragazzo potesse scoprire il suo “problemino” prima che fossero arrivati a scuola.

< Sono… sono… sono inciampato in un ramo > disse con il volto in fiamme, < e sono caduto in un cespuglio di rovi >.

< Ma… > continuò il ragazzo, < non indossavi una maglietta? >

< S-si, certo, ma si è strappata tutta >.

< Ah… ma… >

Ma per fortuna in quel momento rientrò Lily, e Remus tirò un sospiro di sollievo.

< Hai fatto presto > disse con enfasi, per cambiare discorso.

< Si, non c’era fila per fortuna >.

Remus notò che Severus lo guardava in modo strano. Di sicuro non era convinto dalle risposte che aveva ottenuto.

Un’ora dopo, più o meno, una voce metallica risuonò per tutto il treno, annunciando:

< Tra cinque minuti arriveremo a Hogwarts. Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà portato negli edifici della scuola separatamente >.

I tre ragazzi uscirono dallo scompartimento, come il resto dei passeggeri del treno, e si formò una grossa calca di gente nei corridoi stretti. Remus cominciò a tremare per l’agitazione. Solo in quel momento aveva realizzato, infatti, che stava succedendo per davvero; stava realmente per vedere il castello di Hogwarts.

Il treno rallentò fino a fermarsi, e tutti gli studenti scesero disordinatamente, riempiendo in pochi secondi la banchina della stazione.

< Primo anno! Da questa parte! > gridava una voce roca e bassa, che apparteneva a un’enorme omaccione, alto almeno due metri, dalla barba folta e i capelli neri ispidi.

Tutti i ragazzi del primo anno rimasero a bocca spalancata nel vedere quella specie di montagna umana.

 < Allora, primo anno! Ci siete tutti? Manca qualcuno…? Bene, allora seguitemi >.

 

 

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