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Autore: Rodelinda    08/05/2008    6 recensioni
"Le storie che voglio raccontare riguardano quelle ragazze che io, proprio perché “normale”, potevo solo osservare.
Carezzare un po’ con gli occhi. Guardare con la fiducia incondizionata di chi affida a qualcosa la propria attenzione.
Perché erano troppo belle, troppo intelligenti, troppo colte, troppo folli. Troppo."
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Mundus intra Mundo - Liceo Scientifico Torquato Tasso' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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La Cantastorie
Nota dell’autrice
Questo capitolo è dedicato a Ilychan, per il suo incondizionato sostegno che segue “Istituto Torquato Tasso” sin dalla sua prima stesura e per il suo incessante lavorio di recensione che mi ha accompagnato facendomi sentire più vicini sia i lettori dall’altra parte dello schermo che la storia stessa. Grazie, grazie, grazie.

La Cantastorie

Federica Massifreddi era nota anche come “la Cantastorie”.

A vederla non la si sarebbe detta una di quelle splendide, eteree creature troppo che voglio descrivere.
Era di corporatura media, piuttosto bassa, con un viso rotondo dominato dalla bocca carnosa e dalla fronte decisa, bombata; i suoi sottili, obliqui occhi grigi scrutavano il mondo con aria ora vaga ora attenta, ombreggiati dalle ciglia rade e dalle sopracciglia incolori.
La folta chioma castano scuro, che pettinava raramente; aveva una passione per le mollette curiose, eccentriche, a forma di coccinella o farfalla, insomma, quegli ornamenti per capelli buffi e graziosi che solitamente piacciono alle ragazze.
Il suo look era nella norma – normali jeans e magliette, t-shirt, a volte qualche top, e maglioni comodi e colorati d’inverno.
Infatti il suo aspetto non aveva niente di particolare.

Federica era in classe con me, e io la trovavo fantastica; come molti, del resto; era ciò che diceva e faceva a renderla speciale: la creatura più ammaliante, ipnotica che avessi mai visto.
Quando raccontava, parlava o qualsiasi altra cosa dicesse, non riuscivi a toglierle gli occhi di dosso. E la cosa ancora più incredibile era che lei stessa ne era completamente inconsapevole.
Non era semplice charme il suo: bensì una combinazione esplosiva di carisma e fascino.
Molte volte assistetti a scene incredibili; poniamo che Alex stesse raccontando la sua ultima escursione in parapendio davanti a una piccola folla, e che, contemporaneamente, dall’altra parte del corridoio, stesse passando Sachiko, splendida, altera, circondata da ammiratori.
Ecco, in quel momento poteva succedere che, dai bagni, uscisse Federica con una sua amica; e poteva anche accadere che Fede le stesse raccontando una storia, o la cronaca di una gita, oppure semplicemente di come era arrivata la mattina in autobus.
Quando la risata argentina di Federica rimbalzava sui muri scrostati e sulle piante ornamentali trasformate ormai in enormi posacenere, gli ammiratori lasciavano la corte di Sachiko e la piccola folla abbandonava Alex (che adorava Federica, e si univa a loro) per sentire quello che stava dicendo.
Ecco, Federica viveva in un suo fantastico mondo tutto fatto di storie; e aveva un tale richiamo che, quando le raccontava, non potevi fare a meno di lasciarti avvolgere dalla sua voce dolce e credere che quanto stesse narrando fosse vero.

Così poteva accadere che la settimana bianca con la classe si trasformasse in una missione intergalattica, o che da dietro la cattedra, all’improvviso, spuntasse un dragone cinese sputafuoco che aggrediva sistematicamente ogni prof che provasse a sedervisi.
Da dietro ogni angolo la fantasia poteva emergere esplodendo prepotente, e lei la prelevava a piene mani, spennellando l’esistenza con il suo colorato, stupefacente splendore.

La vita per Federica era un’incredibile sequela di racconti, di esperienze fantastiche e ai confini del reale. La realtà stessa, per lei, costituiva un optional trascurabilissimo.
Era meravigliosa, fanatica, folle.
E qui, in quest’emisfero di eccentricità inconsapevole, stava quel fluido magnetico che non ti permetteva di evitare di ascoltarla quando parlava, o raccontava, o Dio solo sa cosa faceva.
Per questa sua particolarità la chiamavano “la Cantastorie”, come l’omino barbuto delle musicassette di fiabe per bambini.

Un’altra cosa che apprezzavo personalmente moltissimo della Cantastorie era la sua immensa cultura.
La chiamavano anche TreccaFede (fusione tra Treccani, l’enciclopedia, e il nome Federica) per la grandiosa quantità di informazioni più svariate che stazionavano in quel cervello apparentemente svagato e distratto.
Al momento giusto riusciva a tirar fuori di tutto dalle nebbie della sua mente: la formula chimica dell’acido cianidrico, la data di nascita di Lugi XIV, la definizione di cesaropapismo.
Con una precisione quasi matematica.
Tuttavia, benché il suo stupefacente nozionismo destasse stupore, la cultura di Fede non era a senso unico: approfondiva molto ciò che la interessava, era estremamente curiosa e si appassionava a molti argomenti diversi contemporaneamente.
Leggeva molto, visitava musei e mostre, ascoltava musica di tutti i tipi (dal glam rock alla lirica) e cercava di stimolare la propria attività ed elasticità mentale con tante sollecitazioni differenti.
Aveva il cervello più ricettivo che avessi mai visto.

Giravano un mucchio di leggende sul suo conto, e la maggior parte erano anche vere poiché Federica non era circondata da quell’alone di mistero che avvolgeva invece Cassandra, Sachiko o anche, in una certa misura, Alex.
La Cantastorie era estremamente sincera su sé stessa e non si faceva problemi a dire che viveva in via Nicola Porpora 16 con sua madre Anna, suo padre Luigi e due fratelli gemelli di due anni più grandi, Giovanni e Antonio.
Inoltre non teneva lontana la gente come Alex, gli altri alunni non la scansavano come Cassa né era lei stessa ad essere superba e altera come Sachiko.

Anzi, la Cantastorie aveva moltissimi amici, e usciva con un bel gruppo.
Molte persone non aspettavano altro che di esserle amiche, e lei non aveva che l’imbarazzo della scelta.
Ebbe anche un paio di ragazzi, durante tutti i cinque anni; il primo, Marco, era dell’altra sezione: un ragazzo come me, normale. Infatti, durò solo un paio di mesi!

Il secondo, che poi Federica sposò, lo conobbe in quarta liceo. Aveva diciannove anni, ed era un deflagrato totale.
Si chiamava Andrea Persani, e già a vederlo ti sorgeva il dubbio che fosse matto quanto e più della Cantastorie.
Benché fosse, a detta di quasi tutte le ragazze, decisamente attraente, era anche stordente.
Piuttosto basso, sul metro e sessantacinque, ma per una come Federica (che non raggiungeva il metro e cinquantotto) sembrava alto; aveva un cespo di capelli biondo cenere ricci, striati da larghe méches blu, grandi occhi azzurri circondati da ciglia incolori e sopracciglia sottili, un naso leggermente appuntito e labbra sottili e ricurve.
Fisicamente era snello, con le unghie della destra molto più lunghe delle altre perché suonava la chitarra (peraltro piuttosto male) ed era un convinto assertore dell’inutilità dei plettri.
Chiunque li vedesse di primo acchito avrebbe potuto credere che fossero diversi come il giorno dalla notte, ma non era così: benché Fede fosse certamente più colta, la pensavano esattamente alla stessa maniera su moltissimi argomenti e avevano una quantità impressionante di cose in comune, a partire dal colore preferito per finire con la marca di whisky.
E proprio la marca di whisky fu la cosa che li fece conoscere; più precisamente a metà della quarta, alla festa di compleanno di Alssandra Persani, la sorella minore di Andrea, la quale si era dimenticata di avvertire che il fratello sarebbe stato presente.
In effetti, nemmeno Alessandra lo sapeva; fatto sta che nel bel mezzo della festa il tipo scese dalle scale con aria minacciosa brandendo una chitarra elettrica mezza smontata in una mano e un mazzo di corde nell’altra, ringhiando di abbassare im-me-dia-ta-me-nte quella ”lagna del cazzo” (nello specifico, i Take That) e indicando lo stereo con un cenno del mento.
E, vicino allo stereo, c’era la Cantastorie, una fiaschetta di Laproaigh’s in mano, che guardava i vecchissimi vinili abbandonati accanto al medesimo.
In quel momento lei stava esaminando un LP di Janis Joplin originale con aria ammirata; colpito più dalla bottiglia che dalla ragazza, in effetti, Andrea si diresse come ipnotizzato verso di lei che, tra parentesi, era già piuttosto partita e si lasciò sottrarre il superalcolico senza protestare, e passò tutta la serata a chiacchierare con lui degli argomenti più disparati: da Bob Marley alla Seconda Guerra Mondiale, da quanto facesse schifo Melrose Place all’algebra.
Non si sa se Fede incantò anche lui con la sua incredibile capacità di raccontare, ma è certo che quella sera tra di loro scattò qualcosa… qualcosa ulteriormente confermato dal fatto che, a fine serata, vennero rinvenuti dall’ultima persona sobria di tutta la festa (ossia la solita, intuitiva, geniale Giovanna Refraschini che aveva svelato il mistero del braccialetto di Cassandra) sullo stesso divanetto consunto su cui erano rimasti seduti tutta la sera; posso solo commentare che le loro lingue non erano più nella bocca del rispettivo proprietario.
E non era la solita cazzata fatta da ubriachi.

Ricordo che nel vedere quella scena mi si strinse il cuore.
Perché, per quanto potessero essere diversi, insieme Andrea e Federica erano bellissimi. Non avevano il fascino pericoloso di Sid Vicious e Nancy Spungen1, come l’altra coppia famosa della scuola (Cassandra e Sachiko), ma l’armonia di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir2, mescolata alla passione di Abelardo ed Eloisa3.
Non era un amore distruttivo come quello di Cassandra per Sachiko, né volto all’accudimento come quello della geisha verso Cassa.
Era un sentimento delicato che si alimentava delle piccole cose quotidiane, nato su quanto avevano in comune e cresciuto nelle poche, grandi differenze.
Era l’amore che io invidiavo.
Perché per me Federica è stata la cotta, l’ossessione della mia adolescenza. E il fatto che lei stesse con un altro, che donasse le sue carezze, la sua anima, la sua mente ad Andrea mi riempiva di dolore ogni volta che lo vedevo.
L’unica volta che mi sono ubriacato l’ho fatto per dimenticare lei, per non pensare a lei, per togliere l’immagine del suo sorriso largo, con gli incisivi larghi e distanziati, dalla mia mente.
Per convincermi di non aver perso nulla, anche se lei era così lontana da me.
Per la cronaca, sono riuscito a non rivolgere la mia mente verso di lei solo per la durata della sbronza. Il giorno dopo non solo la rimpiangevo, ma ho sofferto anche i postumi della mia bravata giovanile.

***

I miei sentimenti nei confronti della Cantastorie nacquero in seconda liceo, alla gita di una settimana a Roma.
Prima di allora non ero mai rimasto in alcun modo vittima del suo carisma, né della sua non troppo latente pazzia, tranne che nei modi in cui la sua brillantezza coinvolgeva tutti. La consideravo un po’ troppo eccentrica e quella sua impressionante cultura mi faceva sentire troppo inferiore, troppo limitato per pensarla anche solo avvicinabile.
Non so ancora bene come, ma finii seduto accanto a lei sul pullman durante l’andata e, dopo la prima mezz’ora di smarrimento, la sua impressionante capacità di attaccar bottone con chiunque mi colse e iniziammo a chiacchierare.
Per la verità, fu lei ad iniziare con una sorta di soliloquio sui Nirvana (credeteci o no, fu così convincente che iniziai ad ascoltarli anche io e tutt’ora li trovo bravissimi…), e nel giro di un paio d’ore ero innamorato perso di lei.
Così. Semplicemente.

Non era uno di quegli amori studiati a tavolino, né una di quelle affezioni autodistruttive, e neppure una passione sfrenata. Era un tipo di sentimento più devastante: un amore a senso unico, adolescenziale, immaturo e senza la minima possibilità di maturare, timido.
E non ebbi neppure il coraggio di dirglielo.

***

In singolare contrasto per una persona tanto colta, Fede non aveva affatto una media stupefacente. Studiava solo quello che le piaceva, nelle misure in cui le andava e quando le pareva.
Diceva spesso che il liceo sarebbe durato solo cinque anni, e che sputare l’adolescenza sui libri non era il suo ideale di vita.
L’ammiravo molto anche per questo: benché non si facesse problemi a lasciare che le cose che sapeva trasparissero all’esterno (non sembrava rendersi conto di essere in una posizione intellettuale privilegiata e non si preoccupava di prendersi della secchiona) aveva il coraggio di vivere la propria vita senza essere schiava del suo pur notevole cervello e della nomea che esso le dava.
In classe era molto attiva, ma senza adulazioni e leccapiedismi: capiva sempre tutto prima degli altri, ed era la più brillante in quasi tutte le materie umanistiche. Naturalmente portata al ragionamento e all’astrazione, partecipava con stupefacente entusiasmo alle lezioni; l’unica materia in cui avesse seri problemi era matematica.
In effetti, talvolta la sua eccezionale lucidità destava in me invidia o rabbia: era sempre due passi davanti a tutti noi, sembrava riuscire a comprendere tutto senza sforzo apparente. Ma poi sorrideva, faceva una battuta e tutte le mie emozioni contrastanti svanivano come neve al sole.

Credo che si rendesse conto di essere molto eccentrica, almeno parzialmente. Ma, invece di sentirsi isolata per questo, considerava la propria latente anormalità come un’arma, una riserva, un modo per sentirsi libera.
La sentii parlare con Stefano una volta; non ha mai saputo che quella conversazione tanto intima dietro le quinte del teatro della scuola, alla festa di fine quarta, aveva avuto un terzo spettatore non desiderato.
Nell’aria c’era l’odore dolciastro della cannabis, che, inizialmente, mi fece storcere il naso nello scoprire che la mia piccola isola di sospirata tranquillità era stata turbata da quelli che credevo due primini pregni del desiderio di trasgredire. Stavo per uscire allo scoperto con una filippica fenomenale, quando mi accorsi che le voci arrochite dal fumo che chiacchieravano in sottofondo mi erano singolarmente familiari.

« Quindi, » stava dicendo Andrea. « tu ci fai o ci sei? Voglio dire… qui tutti dicono che sei matta. No, per quello lo dicono anche di me… » risatina, non so se provocata dal fumo o dall’effettiva assurdità dell’affermazione. « Ma mi chiedo, quanta di questa presunta pazzia è vera? »
Qualche secondo di silenzio pensoso, interrotto solo dal nervoso espirare di Federica.
« Be’, diciamo che ci sono e ci faccio. »
« Che intendi dire? »
« Sai, la mia stravaganza è in parte dovuta al fatto che quasi tutti sono massificati in un unico stampo… » cara vecchia Cantastorie, unica creatura sulla terra capace di utilizzare termini come “massificato” sotto l’effetto dell’erba… e, se per questo, anche senza cannabinoidi di sorta! « Ma il fatto che la mia pazzia sia, in un certo senso, riconosciuta come un dato di fatto… mi da’ la possibilità di parlare e comportarmi come voglio. Dal mio punto di vista è un ottimo metodo per conservare il mio modo di pensare intatto e di esprimermi senza temere qualche forma… di ostracismo sociale… »
« E quindi? »
« Sì, si può dire che ci sono, ma anche che… colorisco, ecco, sì, colorisco un po’ il tutto. Sai, mi diverte molto provocare, e, a volte, mi diverto a farlo così, anche senza ragione. Giusto per il gusto di farlo… »
Lo schiocco di un bacio.
« Ma… sai… » stavolta fu Andrea a prendere per primo la parola. « certo… un matto può dire quello che vuole. Ma poi… poi chi sta ad ascoltarlo? »
Inconfondibile suono di un altro bacio, una risata calma e sincera di Fede.
« Tu, Andre. Tu sei matto come me… e tra matti ci si ascolta! »
Risate, stavolta di tutti e due.
« Ma… tu… insomma… » stavolta parlava di nuovo Andrea, con tono esitante. « Voglio dire… mi sembra che tutti ti ascoltino. Certo, non ti danno ragione ogni volta, ma ti ascoltano. Non tutti stanno a sentire quanto dico, o faccio, o scrivo io… »
Mi sporsi un po’ dal sipario, riuscendo a vedere la testa della Cantastorie che si scuoteva, una sua mano che stringeva con due delle sue dita minuscole e affusolate lo spinello.
« Vedi, Andre… in parte è un’abilità che ho sempre avuto… in parte esprimersi è qualche cosa che si può imparare. » sorriso. Vedevo la sua piccola mano tremare. « Io… ecco… mi piace troppo provare a rifare la realtà. Vedere se con una tavolozza e un po’ di colori il mondo può diventare migliore! E ho scoperto che la fantasia è molto meglio della realtà in sé. »
Trascorse qualche minuto, poi la voce di Andrea si fece sentire di nuovo. Non era ferma, ma tremava.
Si rendeva conto che Federica gli stava aprendo uno spaccato della propria anima, forse lo scorcio più importante. Mi sentivo orgoglioso e insieme un ladro, per averlo potuto cogliere anche io.
« Ma… tu… non arrivi a desiderare di barattare la realtà con il sogno, in questo modo? »
Altra risata, ma stavolta non era sincera. Semplicemente era nervosa, stanca, quasi sfibrata.
« Sì, Andre, lo desidero continuamente. Vorrei che il sogno potesse affogare la terra, ripulire questa prosaica morte lenta che è vivere. » si fermò per dare un tiro alla canna. « Ma non è possibile. Quando ho capito che non potevo, per un po’ mi sono resa conto che avevo perso la ragione per accettare, sì, accettare di essere stata buttata nel mondo contro la mia volontà… »
Vidi la sua piccola mano tremante sommersa dalla destra decisamente più grande di Andrea; per afferrare un solo dito di lui Federica doveva usare tutto il palmo.
« E allora ho imparato a portare la fantasia nel mondo reale. E, per non dimenticarmi cosa fare… ho imparato a scrivere. E a mettere su carta quello che non volevo venisse sommerso dagli sforzi combinati della realtà circostante e delle altre fantasie che sorgevano prepotenti a sostituire o arricchire quelle vecchie. »

Fu in quel momento che, sopraffatto dalla sensazione di intimità che si prova a spiare da una serratura, mi dovetti allontanare.

***

Sì, io amavo quella sua follia, quell’essere fiera della sua diversità. Tanto fiera che evitava l’ostracismo sociale.
L’amavo con l’intensità dell’adolescenza, quando un amore può essere conservato senza nessun incentivo esterno, quando immaginare me che la salvavo da qualche situazione di pericolo mortale bastava per farmela sentire vicina.

Per questo quando, dieci anni dopo la maturità, ormai fidanzato con Chiara, seppi all’annuale rimpatriata del liceo che Federica si era sposata, sentii improvvisamente una pugnalata al cuore.
Sentii Giovanna Refraschini e Carola Giovanardi che ne parlavano, la prima stupefatta e quest’ultima che sputava le parole con astio e disprezzo.

« Oh, io l’ho sempre saputo che lei era matta, e che quel Persani era peggio di lei… » stava malignando, come al solito, la Giovanardi, masticando rapace una tartina e rimettendosi a posto sul naso gli enormi occhiali dalla pesante montatura in corno.
« Ma no… Fede era simpatica… ma dimmi dimmi, cosa è successo?  »
« Oh, uno scandalo! Uno scandalo! La sposa si è presentata in camicia e frak di seta bianca, con un cappello a cilindro dal quale pendeva il velo come una specie di veletta! Come bouquet aveva un mazzo di rose blu in cera! Lui invece aveva una sorta di kilt nero, che assurdità!, e come musica c’erano cose tipo i Nirvana, Patti Smith, i Deep Purple… Pensa, la marcia nuziale era “Smoke on the water”! Tzé, sempre detto io che quella tipa era bislacca! »
Mi avvicinai, fingendo di ascoltare interessato.
« Be’, pensa, io scommettevo che non si sarebbe mai sposata, guarda tu un po’… » disse Giovanna, serafica, addentando una tartina.
« Mah, ti ho già detto che la cerimonia si è svolta sull’isola di Wight, con rito celtico e davanti a un druido? Che roba… »
Pur nella mia sofferenza, non potei far altro che scoppiare a ridere nel venire a sapere di quest’ennesimo colpo di testa di Fede, che, nel frattempo, era dall’altra parte della sala a intrattenere Guido, ora l’ingengner Guido Fioravanti, l’unico altro maschio della classe, con una storia assurda su un concerto dei Pixies che era andata a vedere a luglio.
« Non trovo proprio cosa ci sia da ridere, Francesco. » gracchiò Carola, guardandomi come una sorta di viscida lumaca nella lattuga. « E’ scandalosa una simile presa in giro della religione e del matrimonio… »
« Oh, ma piantala! » sbottò Giovanna, a quel punto. « Presumo che se tu avessi avuto la possibilità di sposarti, l’avresti fatto pure davanti al diavolo in persona! »
« Già… » assentii, di fronte alla Giovanardi, immagine di una stupefatta, rapace gallina. « D’altronde, dalla Cantastorie non ci si poteva aspettare niente di meno… »
E, in quel momento, volsi la testa verso la diretta interessata.

Federica era sempre bassina, sempre piuttosto paffuta… ma era bellissima. Era bellissima perché nei suoi occhi verde-grigi potevo leggere qualcosa che le dava una forza a me ignota. Era felice, e credo di sapere perché.
Non ha avuto figli, ma ha riempito la sua vita con viaggi, libri, esperienze di ogni tipo.
Ha inseguito il mondo con la tenacia di un segugio, cercando i punti in cui esso si incontrava meglio colla sua fantasia. E, a giudicare dai suoi libri, che puntualmente vendono migliaia di copie, ce l’ha fatta.

Lei sì, era riuscita a portare i suoi sogni dentro la realtà.

***

Sid Vicious e Nancy Spungen= la più celebre “coppia maledetta” del punk. Pare che sia stata Nancy (ex prostituta) ad avviare Vicious sulla strada della droga, che alla fine l’ha perso. Sono morti entrambi di overdose.
Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre= personalmente una delle mie storie d’amore preferite. Senza essersi sposati né fidanzati ufficialmente, la relazione tra la madrina del movimento femminista francese e il celeberrimo filosofo esistenzialista andò avanti per oltre sessant’anni. Dopo tutto questo tempo Jean-Paul dava ancora dei lei a Simone, come segno del suo rispetto.
Riposano uno fianco all’altra nel cimitero Montparnasse, a Parigi.
Abelardo ed Eloisa= Lei era la più bella e colta tra le fanciulle di Parigi del XII secolo; lui era il più illustre tra gli studiosi della sua epoca, e aveva circa 15 anni più di lei. Tra di loro scoppiò un'ardente passione, dove si intrecciarono ragione e religione.
Il loro amore fu fortemente ostacolato dalla nobile famiglia di lei sia dall’occupazione di lui: costretti a nozze segrete poiché lui era chierico, e gli era perciò precluso il matrimonio, Abelardo mandò Eloisa nel monastero di Argenteuil dove era stata educata. I parenti pensarono che Abelardo avesse costretto Eloisa a farsi monaca per liberarsi di lei e decisero di vendicarsi: una notte, mentre Abelardo dormivano nella sua casa, tre uomini lo aggredirono e lo evirarono. In seguito due di essi verranno catturati e, secondo la legge del taglione, accecati ed evirati a loro volta, mentre Fulberto, il mandante dell’aggressione, verrà solo sospeso dai suoi incarichi.
Da questo momento le loro strade si separeranno e i due amanti non si rivedranno mai più. Due drammi paralleli si svolgeranno insieme: Eloisa prende i voti e trascorre il resto della sua vita in convento; Abelardo, diventato eunuco, ritorna alla sua vita accademica ed ecclesiale. Eloisa avrà comunque un atteggiamento completamente diverso rispetto a quello del suo amato, il quale, nonostante due condanne da parte della Chiesa per le sue idee teologiche, godrà comunque la fama di grande maestro.
Continueranno a scriversi per tutta la durata della loro vita, e verranno seppelliti insieme. La leggenda dice che le braccia del cadavere di Abelardo si aprirono quando la salma di Eloisa fu posta insieme a lui nel loculo ove era stato deposto.
Ora riposano in un sarcofago monumentale al cimitero di Pére-Lachaise, a Parigi.
(informazioni in parte prese da Wikipedia)

***

Ed eccoci, nuovamente, allo Spazio Recensioni e Commenti A Ruota Libera. Posso informarvi che ho finito la revisione del capitolo relativo all’ultima figura, e che quindi presto sarà tutto online, ma che la sua figura ha subito qualche cambiamento perché non mi ha mai convinto fino in fondo in tutta la sua delineazione. In ogni caso, ringrazio vivamente tutti coloro che mi hanno seguito, recensito o anche solo letto per tutta la durata e il parto definitivo di questa giganclopica Fabbrica del Duomo.
Ci risentiremo presto!
Ilychan= la tua defezione, mia cara, mi colpisce alquanto profondamente, perché tenevo in gran conto le tue articolate, lunghe, oneste recensioni. Mi piaceva molto vedere che a ogni singolo capitolo c’erano le tue parole (quasi sempre d’elogio) a incentivare il mio lavoro: era qualcosa che mi faceva godere profondamente sia l’atto di scrivere, ricevere opinioni franche e dirette. Mi mancherà sul serio la tua opera di recensore accanito. Riguardo alle recensioni, la mia non voleva essere una critica a ciò che avevi precedentemente detto, ma l’espressione di una mia opinione! Contrariamente a circa l’80% di tutti gli autori presenti in questo sito, infatti, io tengo molto al libero scambio d’opinioni tra me e chi legge, anche perché un autore che pubblica lo fa, ovviamente, oltre che per se stesso anche per far conoscere ciò che redige con fatica ad altri. E il parere e ciò che pensano questi altri è fondamentale per incrementare la bravura, gli orizzonti e le capacità dello scrittore medesimo!
Riguardo alla tua opinione su Sachiko, ammetto che un po’ di me è scivolato dentro di lei ma che (oltre a Bellissima) è il personaggio che mi somiglia complessivamente di meno, a parte un certo modo di concepire l’affezione e la separazione (soprattutto quest’ultima). In ogni caso la tua supposizione è esatta, perché sia Sachi che Cassa si assomigliano più di quanto traspaia a una prima lettura: sono nichiliste, contraddittorie, sofferenti e hanno grandi separazioni alle spalle. Solo che Sachi ha una molla dentro di se che le permette di superare il dolore e rialzarsi. Credo sia una molla che tutti abbiamo, ma che in alcuni si inceppa, talvolta per non disincastrarsi mai più. Ecco, Cassa ha subito un processo simile, mentre Sachi ha tentato di rimettere insieme i cocci e si è rifatta una vita. Sachiko è infinitamente più ammirevole, coraggiosa e forte di Cassandra, e, anche se è uscita dalle mie mani, la stimo.
Ti ringrazio ancora infinitamente, e spero che continuerai a seguire tutto il resto della storia, sia pure senza recensione alcuna. Grazie mille!
Hinata Hyuuga= carissima Hinata (o Costanza? Come preferisci essere chiamata?), mi ha fatto immensamente piacere vedere i tuoi complimenti, e le tue considerazioni – assolutamente pertinenti – su Cassa e Sachiko a confronto. Amo molto quando i miei lettori inseriscono nelle recensioni dei riferimenti alle loro personali opinioni, anche quando non sono molto d’accordo, perché ciò alimenta e arricchisce l’emisfero mio come autrice e adoro tenere i contatti con voi. Soprattutto perché nei commenti siete educati e civili (a volte addirittura adulatori!).
Sì, come mi pare già di aver affermato, Sachiko è forte. Molto più forte di tutti i personaggi ivi descritti, persino della Cantastorie: perché Sachi non si appoggia, nel momento del più nero bisogno, ad altri che a se stessa, alla propria fierezza, al proprio orgoglio. Cassa, secondo me, è stata codarda, ma quella è una codardia ingiudicabile, perché chiunque commetta un atto simile lo fa perché non in grado di alzarsi di nuovo in piedi e di riprendere a vivere. Vivere è faticoso, impegnativo, impossibile se hai il cuore spezzato: e la vita è crudele nel suo proseguire implacabile anche se tu non vuoi più farlo.
In ogni caso, grazie mille! Un bacio e alla prossima!
Lidiuz93= grazie mille! Le tue lodi sperticatissime mi riempiono sempre di orgoglio (e finiranno per farmi diventare un qualsiasi Allevi o Einaudi mediocre!). Mi fa piacere quando un lettore giovane – come sei tu – viene catturato dal ritmo della narrazione tanto da desiderare di andare sempre avanti a leggere, perché è ciò che provo anche io nei confronti dei miei libri e delle mie storie preferite! In ogni caso vai tranquilla: non mi offendono mica i complimenti, anzi!
Druggedseele= cara Luna, il tuo commento mi fa arrossire e mi inorgoglisce parecchio, anche se non posso far altro che darti torto; infatti, in questo sito, ci sono molti autori molto più bravi di me (e anche di un bel pezzo!) che non sarebbero affatto contenti di sentirsi deprezzati in questa maniera, quindi diamo a Cesare quel che è di Cesare. In ogni caso mi fa sempre comunque molto piacere ricevere recensioni positive, e spero che quell’immagine da Cerbero che ti sei fatta di me svanisca nel momento in cui leggerai questa risposta: la motivazione per cui sono spesso – per citare le tue parole – “dura e professionale” è che EFP, pur essendo un bel sito, è strapieno di ragazzine che scrivono tanto per fare, senza mettere il minimo impegno in quello che fanno. Temo che tu abbia letto solo le mie recensioni negative (che sono molte), e mi spiace, perché agli autori che le merito ne scrivo anche di positive, molto articolate e complimentose. In ogni caso, se posso permettermi, la ragione della mia cosiddetta professionalità è che io quando scrivo lo faccio con estrema serietà: e non mi pare troppo aspettarmi la medesima cosa dagli altri. In ogni caso, vivissimi ringraziamenti per i complimenti.

Un bacio a tutti e a risentirci al prossimo capitolo!
   
 
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