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Autore: emotjon    11/12/2013    29 recensioni
Heidi, 20 anni. Zayn, 22 anni.
Lei, cieca. Lui, grande osservatore.
Lei gli insegnerà ad ascoltare.
Lui le insegnerà a vedere.
E insieme impareranno ad amare.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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*ormai non ha nemmeno più senso che io mi scusi per il ritardo.
quindi, non lo farò. vi dico solo che questo capitolo sembra di passaggio ma non lo è.
che a me piace particolarmente la fine.
e di non sottovalutare il mal di testa, perchè ha un senso.
bene, che altro? ah, grazie per le recensioni e i preferiti, siete l'amore.
okay, vi lascio alla lettura. alla prossima pasticcini c:
xx Fede.*




 
15.


HEIDI'S POINT OF VIEW.

Mi massaggio le tempie per l’ennesima volta questa mattina, senza riuscire a placare questo stramaledetto mal di testa. Tengo gli occhi chiusi, cercando almeno di fermare i pensieri. Perché sono sicura che siano loro a causarmi questo fottuto dolore, sbattendo contro la scatola cranica.
Sbuffo. Odio stare peggio di quanto non stia di solito.
Sono ferma sul mio letto da un paio d’ore, da quando Zayn ha chiamato al telefono dicendomi che avrebbe passato la mattinata con la sorellina. A gambe incrociate da due ore, tentando inutilmente di far smettere i martelletti che sbattono nel cranio.
Due ore. E ancora niente da fare.
«Dannati pensieri», borbotto tra me, facendo un respiro profondo. Ma la situazione sembra solo peggiorare. Mi arriva più aria. E anche il fruscio che fa passando nei polmoni, fa aumentare il mal di testa. Non ne posso più, letteralmente.
Scaglio il primo cuscino che mi capita a tiro attraverso la stanza, ma non sento il rumore che dovrebbe causare il cuscino una volta a terra. Solo silenzio, seguito dalle mani ormai familiari di Zayn che si intrecciano con le mie. Ridacchio leggermente, sentendo il suo odore mischiarsi al mio, e il suo respiro calmarmi a poco a poco.
«Non dovresti essere con… ciao Safaa», mi correggo all’ultimo momento sentendo un altro peso sul materasso, seguito dall’odore dello shampoo della piccola Malik. Sorrido appena , quando la sento ridacchiare e avvicinarsi per abbracciarmi. «A cosa devo questa bellissima sorpresa?».
«Non la smetteva di ripetere quanto gli mancassi».
Mi sento arrossire violentemente, mentre la piccola che tengo ancora abbracciata ridacchia, e Zayn rimane in silenzio. Inclino la testa da un lato, divertita. «Mi è mancato anche lui», dico a Safaa, ma a voce abbastanza alta perché mi senta anche il fratello.
Mi è mancato, è vero.
E poi con qualcuno che mi distrae magari smetto di pensare al dannato mal di testa che mi fa compagnia da ieri sera. Ancora non riesco a capire a cosa sia dovuto. Solo, non vedo l’ora che finisca.
«Okay, allora vado giù da Victoria, piccioncini…», ci dice lasciando un bacio prima a me e poi a Zayn. Sento lo schioccare delle sue labbra morbide contro la sua guancia ispida, per poi scendere dal letto e andare al piano di sotto. Saltellando. Adorabile.
«Non sono qui solo perché mi mancavi», mi sussurra Zayn dopo un po’, riprendendo a giocare con le mie dita. Mi viene spontaneo inarcare un sopracciglio, borbottando poi qualcosa che nemmeno io capisco. Ride, e lo sento scuotere la testa. Ride, apparentemente senza pensieri. «Ti devo una spiegazione».
Ah, ecco.
«Non mi devi niente…».
«Sì, invece», mi interrompe posandomi due dita sulle labbra. Sorrido, di riflesso, per il leggerissimo solletico che mi provoca. «Tu mi hai detto di Alex, io ho bisogno di raccontarti di me», aggiunge piano, lasciandomi un bacio quasi impalpabile sulla punta del naso. Ho bisogno. Allora mi limito ad annuire, massaggiandomi piano le tempie. «Hai ancora mal di testa?».
Annuisco ancora, un mezzo sorriso a stendermi le labbra. Ma non voglio parlare di come sto io. Sono stata sempre e costantemente al centro dall’attenzione altrui negli ultimi tre anni. Sono stufa. Basta parlare della ragazza cieca, per una volta.
«Pensiamo dopo al mio mal di testa…», dico tentando di sorridere, ma è più che probabile che ne sia appena venuta fuori una smorfia. Mi sistemo meglio sul letto e lo sento avvicinarsi, senza far staccare le nostre mani.
«Non mi sono comportato bene in passato, sicura di volere la mia versione?», mi sento chiedere. È un sussurro, come se nemmeno lui ne fosse convinto. Come se fosse indeciso se dirmi tutto o no. Ma dopotutto mi ha già detto tutto Charlotte, no?
Annuisco, di nuovo.
«Di cosa hai paura, Zayn?», gli chiedo aumentando leggermente la presa sulle sue mani. In questo momento vorrei proprio vedere la sua espressione. Perché alla cieca è peggio del solito. Non capisco. «Charlotte mi ha già detto tutto… e io sono ancora qui, no?», aggiungo tentando un sorriso.
Lo sento scuotere la testa, ma comincia col suo racconto prima che possa ribattere, come se mi avesse appena ignorata. Mi mordo il labbro, soprappensiero, ma dopo un attimo non posso far altro se non venire rapita dal suono della sua voce, che mi ripete le stesse cose che sono uscite dalle labbra della sua migliore amica.
Solo, col suo impatto emotivo, ovviamente.
Mi racconta di come ha conosciuto Nathan. Di come si sia fidato di lui, ciecamente. Di come abbia iniziato a spacciare. Del primo spinello. Della prima pasticca di anfetamina. Del suo rapporto con Harry e Charlotte. Di Perrie e del suo amore per lei. E mi scappa un sorriso, a sentirlo parlare così di lei… forse solo perché spero che prima o poi possa parlare in quel modo di me. Non lo so.
«Non mi ha mai amato, non quanto io abbia amato lei».
Lo interrompo con una mezza risata. No, impossibile che l’abbia detto. Forse ho conosciuto una persona diversa, e non la stessa Perrie che è stata con lui. Forse mi hanno presentato un’altra ragazza, giusto per confondermi le idee.
«Ti ama da morire, credimi», borbotto portandomi le ginocchia al petto, come se volessi proteggermi. Non posso farmi vedere shockata davanti a lui. Anche perché ancora non ha finito di raccontare. Ancora non si è aperto, non del tutto. «Ignorami… continua», aggiungo passandomi velocemente la lingua sulle labbra.
E per fortuna che mi da ascolto.
Non credo di potergli spiegare quanto mi dia fastidio quella parte del suo passato. Perrie, intendo. Mi da fastidio quello che ha avuto con lei. L’amore che ha provato e proverà sempre nei suoi confronti. Mi da fastidio, e non posso farci un bel niente.
Mi passo una mano tra i capelli mossi, prendendo a giocare con un boccolo, nell’attesa che parli. Che mi parli. Perché ho bisogno della sua voce, ora. «Mia sorella…», inizia, ma si ferma un attimo dopo, sospirando. «Non ci riesco, Heidi».
Inclino la testa da un lato. Ce la deve fare. Deve riuscire a parlarmi di lei. E non tanto per la mia curiosità, o perché io lo voglio sapere. Credo che dovrebbe pensare a sé stesso per una volta. Credo che sfogarsi con me gli farà bene.
«Usciamo, ti va?», gli chiedo dopo diversi minuti di silenzio. E non mi da nemmeno fastidio che non se la senta di parlare con me della sorella morta misteriosamente in un incidente d’auto. Non mi da fastidio, no. Vorrei solo che si aprisse. «Magari passiamo da tua sorella…», butto lì tentando un sorriso.
Sento la sua mano irrigidirsi contro la mia. Stringere forte, fino quasi a farmi male.
Apro la bocca come per dire qualcosa, ma non ci riesco, sono come bloccata. Perché per la terza volta in tre anni, mi si è appena schiarita la vista. Vedo grigio. E i contorni sfocati. E in quell’attimo – prima di poter sbattere le palpebre e tornare a vedere il buio – non sento più quell’orrendo cerchio alla testa che mi non mi ha dato pace tutta la mattina.
«Stai bene?». La voce di Zayn mi riporta sulla Terra, ma è come attutita, lontana. Mi limito a scuotere la testa, confusa. Mi sta scoppiando la testa. Mi sento prendere tra le braccia e cullare come fossi una bambina. E poi, la sua voce, bassissima, a canticchiare Yellow, come al nostro primo – e unico – appuntamento. «Vuoi che ti prenda qualcosa… o che chiami il medico?», mi chiede dopo un po’ a voce bassissima, accarezzandomi piano i capelli.
Scuoto leggermente la testa, spalancando gli occhi.
Non voglio il medico. È solo un po’ di mal di testa. «No», riesco a sussurrare, cercando di respirare a fondo per far passare la fitta. Mi lascio stringere, sperando irrazionalmente che quell’abbraccio porti via tutto. Dolore. Paura. Ansia. «Voglio che mi racconti di Doniya».
Mi viene da piangere, da quanto mi fa male la testa. Ma non mi importa.
Voglio sapere quello che prova.
«Okay, ma prova a riposarti…», acconsente in un soffio, lasciandomi un bacio leggerissimo sulla fronte e facendomi stendere, per poi stendermisi di fronte. Ho il suo respiro sulle labbra, e una sua mano sul fianco. «E domani andiamo dal medico, che tu lo voglia o no».
Sporgo il labbro inferiore, facendolo ridacchiare. «Solo se sto ancora male».
Mi regala un bacio a stampo, come a dirmi che è d’accordo col mio ragionamento. Che in effetti non fa una piega, dal mio punto di vista. Non mi piacciono i medici. Meno vedo gli ospedali, meglio sto, sia chiaro.
Così è costretto a riprendere il suo racconto. Gli trema la voce, mentre parla di quanto volesse bene alla sorella maggiore. Di come lei si sia presa cura di lui quando i suoi non c’erano. Di quanto all’inizio non gli piacesse Nathan. E di come si sia innamorata di lui, fino a diventare cieca – metaforicamente. Non vedeva altro che lui.
«Me l’ha portata via… l’ha allontanata da me…». Non posso fare niente. Solo ascoltare le sue parole e trattenere le lacrime. Perché ogni sua pausa è un singhiozzo mal trattenuto. E ogni suo singhiozzo è un colpo per il mio povero cuore. «Ci ho litigato, qualche ora prima che morisse…».
Smetto di respirare per qualche secondo. E mi si ferma anche il cuore, ne sono più che sicura. Ecco perché non voleva parlarmene. Ha portato a galla tutto, per me. È colpa mia se sta piangendo. «Piccolo, shhh», mormoro stringendolo a me, mentre prende a singhiozzare più forte. Non riesco a parlare, solo a tenerlo stretto, con gli occhi chiusi.
E mentre lui si calma, anche il mio mal di testa si placa.
Appena, ma è già qualcosa.
Lascio che continui a piangere, in silenzio, contro la mia spalla. Lascio che riprenda a respirare col suo ritmo. Intanto io non riesco a smettere di pensare a quello che mi ha detto. Al fatto che abbia litigato con la sorella prima dell’incidente. Al fatto che nessuno tranne Nathan ne sappia niente.
Com’è possibile che nessuno sappia niente? Insomma, un incidente di quel genere deve aver coinvolto anche un’altra auto. A meno che anche gli altri passeggeri non siano morti, ovvio.
Scuoto la testa, confusa. È solo che, tutta questa faccenda mi confonde. Tutto quanto.
«Non volevo che uscisse con Nathan quella sera… sapevo che lui avrebbe bevuto, ed era come se sentissi che qualcosa sarebbe andato male», mormora distraendomi dai miei pensieri. Ha la voce roca, propria di chi ha appena smesso di piangere. Ma alle mie orecchie appare come più… sereno, in un certo senso.
«Quindi pensi che abbia guidato lui».
Lo sento annuire, appena prima che mi lasci un bacio alla base della mandibola. «Hanno trovato lui fuori dall’auto, e mia sorella al posto del passeggero e con la cintura slacciata», mi dice, stavolta straordinariamente calmo. A me però sembra ancora che ci sia qualcosa che non torna.
«E se avesse guidato Doniya?». Sento il suo sguardo addosso in meno di un secondo. Dal canto mio, io sto solo pensando ad alta voce. Insomma, posso capire che sua sorella non avesse la patente, perché ipovedente. Ma se davvero avesse guidato lei? Nathan, ferito lievemente, sarebbe potuto uscire dall’auto e spostarla… per proteggerla. «Vuoi farmi credere che non ci aveva mai pensato nessuno?», gli chiedo, inarcando un sopracciglio.
Andiamo, è surreale.
Ma non ottengo risposta. Non faccio nemmeno in tempo a pretenderla, né ad aprire bocca, né a respirare, che il corpicino di Safaa mi arriva addosso, smuovendo parecchia aria, unita al profumo di Victoria.
Me l’ha lanciata addosso. Che migliore amica stronza che ho.
 «Vic, sei una brutta persona!», le dico acida voltandomi di scatto, in modo che Safaa possa accoccolarsi tranquillamente tra me e suo fratello. La sento trattenere il respiro. E non so se è per come ho sbottato o per gli occhi probabilmente gonfi di Zayn. Più probabile che sia per la seconda.
Mi accorgo appena della mia migliore che esce dalla stanza, perché la piccola Malik mi sta stritolando, il viso nascosto contro il mio collo. Ha capito tutto. No, è impossibile che quello scricciolo abbia solo dieci anni.
Mi limito ad accarezzarle la schiena, lasciando che anche lei si sfoghi.
«Vi va una passeggiata, piccole?», ci chiede Zayn lasciandomi un bacio leggero sui capelli. Annuisco con un mezzo sorriso, mentre Safaa tira su col naso, staccandosi leggermente dal mio abbraccio. «Magari passiamo a trovare Doniya…», aggiunge, riuscendo a farmi sorridere.
Ma sono sicura che lo stia facendo per Safaa, non per me.
Ed è giusto così.

***

ZAYN'S POINT OF VIEW.

Mi ha ascoltato. Ascoltato e basta, senza interrompermi. Mi ha tenuto stretto. Mi ha fatto sfogare. E la verità è che dall’incidente di mia sorella, nessuno l’aveva mai fatto, non davvero. Non tenendoci. Non volendo capire.
Si erano preoccupati tutti di come stessero mia madre e mia sorella minore.
Zayn, tu sei grande, ti passerà.
Era questo che tutti continuavano a ripetere. Che mi sarebbe passata. Come se la perdita di una sorella potesse passare. Certo, come no. Dicevano che col tempo sarei riuscito ad andare avanti, che magari l’avrei dimenticata, e sarebbe stato addirittura meglio.
Come se avessi potuto dimenticare mia sorella. Come se il tempo avesse potuto guarirmi dalla perdita che avevo appena subito. Come se lasciandomi in balia di me stesso avessero risolto tutto, tutti quanti. Come se l’odio che provavo – e provo – per Nathan potesse passare da un giorno all’altro.
Con lei invece è diverso. Mi ha spinto a parlarne, convinta chissà come che mi avrebbe fatto bene. Sfogarmi, parlarne, piangere. E aveva ragione. Come sempre del resto. Forse è addirittura troppo intelligente e intuitiva per stare con uno come me.
Forse. O forse no. Forse mi sto sottovalutando, tanto per cambiare.
E ora, guardando Safaa accarezzare la lapide di nostra sorella e tenendo Heidi stretta, con il mento posato sulla sua spalla, mi sento meglio. Non ho la tentazione di piangere, né di urlare, né di prendere a calci qualsiasi cosa mi capiti a tiro. È… strano. Ma lascia quel senso di serenità che non provavo da tanto. Troppo, forse.
«Grazie, piccola», le sussurro, facendola rabbrividire. E non per il freddo. Mi fa sorridere, soprattutto quando intreccia le sue dita con le mie, mentre le lascio un bacio alla base del collo.
Mugola qualcosa che non riesco a capire, nel momento esatto in cui una folata di vento le scompiglia i capelli. E con qualsiasi altra ragazza mi sembrerebbe surreale, starmene davanti alla lapide di mia sorella, abbracciati e in silenzio. Invece con lei mi sembra la cosa più giusta e normale del mondo.
«Di cosa?», mi chiede in un soffio, voltando appena la testa verso di me.
Di cosa? Di tutto. Dei sorrisi, degli abbracci, dei baci casti, e di quelli maliziosi. Delle mani intrecciate, delle carezze. Delle guance rosse, dei capelli scompigliati. Della sua risata, che oscura tutto il resto. Della luce che sta portando della mia vita, nonostante lei la luce non la veda. Dei demoni che sta spazzando via.
Di due cuori che battono all’unisono come se fossero stati creati per stare insieme.
«Mi stai salvando da me stesso, non ti ringrazierò mai abbastanza».


 
 
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(askate, vi supplico in ginocchio, lol)

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