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Autore: Francine    23/12/2013    2 recensioni
«Avanti, Semola! Preparati per la gloria!», lo esorta il cavaliere dandogli una gran pacca sulle spalle. «Ti mostrerò come si fa ad affrontare un drago, contento?»
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bedivere, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Trenta Giorni a Camelot'
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2.
 
Il Picco Inaccessibile tiene fede al proprio nome. 
Si tratta di uno sperone di roccia scura che sale snello fin oltre le nuvole. Alle falde, teschi e ossa spezzate testimoniano l'ardire di coloro che in precedenza hanno tentato di violare la sua vetta. Alcune armi, consunte e macchiate di ruggine, mostrano i segni delle bruciature del fuoco di Kalthu, che, a detta del saggio Merlino, dimora in un anfratto in cima al Picco. I grifoni ed le gargolle di pietra li hanno accolti poco più in basso, con i loro volti grotteschi e quelle espressioni demoniache che farebbero ghiacciare il sangue nelle vene dei diavoli, semmai i diavoli avessero il sangue. 
Sir Bedivere ha affrontato due settimane di viaggio, prima di raggiungere il Picco e compiere la sua missione. Credete forse che si sia limitato ad assecondare l'ambio del suo palafreno? Sia mai! Ovunque ci fosse anche solo sentore di guai o di damigelle in pericolo, eccolo montare in sella al destriero, lancia in resta, e sgominare i bruti e i malvagi che recano perenne offesa alla vedova, all'orfano, al povero… insomma, le solite, noiose occupazioni del perfetto Cavaliere. 

In realtà, il tempo necessario a coprire la distanza tra il castello di Camelot e la meta è di soli quattro giorni, ma salvando fanciulle, mulini in fiamme e vedove oppresse che saltano fuori come mosche non appena vedono il pennacchio dei baldi Cavalieri della Tavola Rotonda, s'impiega ben oltre il tempo strettamente necessario, suvvia! 
Così, ecco sir Bedivere scrutare il Picco Inaccessibile dalle sue fondamenta. O meglio: scruta il vasto strato di nubi, nere e minacciose, che oscurano la vista della cima, ma più di così non può di sicuro fare. 
Semola guarda perplesso ora il suo signore, ora le nuvole. Nessuna persona sana di mente salirebbe lassù per rubare un uovo di drago e portarlo ad un vecchio pazzo, che con buona probabilità vuol farsene una gigantesca frittata di cipolle. 
Ma sir Bedivere è forse sano di mente?, si chiede il giovane donzello sorreggendo il necessaire del prode Cavaliere. Sir Bedivere salirà su quel picco, cascasse il mondo, e porterà giù l'uovo. Semola spera almeno che Mago Merlino li inviti a mangiare la frittata, e che il suo signore non lo costringa a seguirlo in quella follia. 
«Avanti, Semola! Preparati per la gloria!», lo esorta il cavaliere dandogli una gran pacca sulle spalle. «Ti mostrerò come si fa ad affrontare un drago, contento?»
 
La cima del Picco è sferzata da venti implacabili e impetuosi. Semola si sente trascinare indietro più volte, tanto che alla fine decide di avanzare pancia a terra per non essere spazzato via come una piuma. Non dovrebbe temer male alcuno da chicchessia. Ha indosso un'armatura che sir Bedivere gli ha generosamente prestato, sa maneggiare la spada quel tanto che basta per salvarsi le chiappe e, sempre a detta del suo mentore, Kalthu sarà talmente vecchio e rincoglionito da costituire una pura formalità per lo scudiero del prode sir Bedivere. 
D'accordo, ad onor del vero non l'ha messa in questi termini, ma il succo del discorso è comunque questo. E, colmo della tragedia, gli occhi del cavaliere dai capelli rossi luccicavano mentre parlava, e questo non è mai un buon segno. 

«Vai, mio buon Semola! Copriti di gloria, è il tuo momento!», gli ha ripetuto aiutandolo a salire sul Picco. «Al nostro ritorno sarai armato cavaliere!»
Sempre se farò ritorno, pensa il giovane scudiero osservando l'orizzonte ad occhi socchiusi. Il pianoro su cui è arrivato è battuto da fortissimi venti, e coperto da una spessa coltre di nubi. Semola non vede ad un palmo dal suo naso. E dell'antro del Drago nemmeno l'ombra. 
E adesso?, si chiede aguzzando ancor di più la vista. Nulla, solo il vento che gli impedisce di tenere gli occhi aperti e la nebbia. 
Poi, all'improvviso, lo vede. L'uovo! Ecco l'uovo! Tondo, lucente, dalla superficie leggermente screziata di oro e marrone. E grande. Straordinariamente grande, quasi quanto la sua testa. 
«L'ho trovato! L'ho trovato!», urla a sir Bedivere, che con tutto quel soffiare di aria fredda nelle sue orecchie non capisce un'acca. 
«Chi hai incontrato? Non perdere tempo, e prendi l'uovo!», risponde il Cavaliere nel vento, e Semola vorrebbe dar testate al suolo per la disperazione. Chi mai si può incontrare in cima ad un Picco? San Giorgio? Santa Lucia? 
Mentre continua a chiedersi perché mai non abbia deciso di entrare in monastero come suo fratello Terry, il ragazzo nota un'altra cosa. La sagoma del Drago, grande quasi quanto il castello stesso di Camelot, affianca l'uovo cingendolo amorevolmente. Deglutisce a vuoto. 

Qui non si tratta più di fregare le uova dal pollaio dello zio Anthony. Qui la chioccia è cento volte più grossa, malvagia e inviperita. E se non stesse dormendo? E se non aspettasse altro che spalancare le fauci e farlo arrosto? 
Un Gromble esce dalla bocca del mostro, e il povero Semola già si sente spacciato. Si tuffa dietro uno sperone di roccia che sfida stoico il cielo, fuoriuscendo con la testa da una parte e il sedere dall'altra. Trema, come fosse febbricitante, le mani sull'elmo impennacchiato. Sono morto! Sono morto! Caro Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia, pensa il ragazzo segnandosi. 
E invece non accade nulla. Semola apre un occhio. Il Drago se ne sta spaparanzato e biascica qualcosa nel sonno. Gli ricorda un po' suo nonno Anselmo, se non fosse che il nonno non aveva la pelle ricoperta di scaglie vermiglie, due corna belle grosse in testa e fauci enormi da cui cola uno strano liquido verdognolo sui cui è meglio non indagare. 
La zampa del mostro attornia l'uovo con fare protettivo, anche se è distante dall'obbiettivo quel tanto che basta ad un giovane ed ossuto scudiero per sgattaiolare nel nido, afferrare l'uovo e battere in ritirata giù per il Picco. Ma Semola non vede alcun passaggio, o alcun trucco attraverso cui superare l'ostacolo. I suoi occhi sgranati sono incollati, quasi, alla fila di denti appuntiti che fa capolino dalla bocca socchiusa della bestia. 
Sgattaiola all’indietro, lungo la strada percorsa, tenendo d’occhio il nemico. Meglio riferire a sir Bedivere. Lui saprà cosa fare.

***

«Ecco il piano, mio buon Semola», gli dice sir Bedivere dandogli una pacca metallica sulla spalla. «Io attirerò l'attenzione del mostro, mentre tu salterai nel nido e porterai via l'uovo.» 
La faccia del ragazzo è più bianca del pennacchio sull'elmo di sir Lancillotto. «Sir Bedivere, ma Merlino ha detto che non si deve destare il drago», pigola timidamente, gli occhi pervasi dalla debole speranza che le sue parole inducano il cavaliere a non esporli ad un pericolo maggiore del necessario. 
Sir Bedivere, si ferma, il vento che gioca con la piuma di pavone che gli orna l'elmo, e sembra riflettere sulle parole del suo giovane scudiero. In effetti, lui potrebbe anche tenere testa al vecchio Kalthu - il quale potrebbe dargli del filo da torcere per recuperare il suo prezioso uovo - e, se il Cielo l'aiuta, mettere fine alla sua scellerata esistenza una volta per tutte, ma Semola? Lui dovrebbe prendere l'uovo, calarlo adagio giù per il Picco, legarlo saldamente alla sella del suo morello e galoppare di gran carriera fino a corte, ed il Drago quasi certamente non gli concederà quartiere, né attenderà bel bello che la sua prole sia trafugata lontano e al sicuro dalle sue zampacce artigliate. 
Come fare? 
Sir Bedivere si accarezza la barbetta da capra che gli adorna il mento. E se fosse Semola, invece, ad attirare l'attenzione del Drago? 
Il cavaliere guarda lo scudiero pelle e ossa: quale creatura potrebbe trovarlo appetibile, magro com'è? E poi, non ha forse giurato a sua madre sulle sante Reliquie di proteggere suo figlio e di farne un Cavaliere fatto e finito? Ammesso e non concesso che Kalthu decidesse di fare uno spuntino fuori programma, impiegherebbe pochi istanti prima di chiudere le sue fauci sul povero Semola e farne un solo boccone. Anche se il ragazzo decidesse di sacrificarsi, lui non avrebbe mai il tempo necessario per trafugare l'uovo e portarlo al sicuro sino a Camelot. 

«Semola, il tuo coraggio ti fa onore», dice il prode Bedivere al termine di un gran lavorio di meningi. «Tuttavia, non posso permettere che tu ti sacrifichi in questo modo. È in gioco la sicurezza di tutta la Cristianità, è vero, ma mi rifiuto di lasciar morire il mio scudiero, invano per giunta!»
Morire? Io? Ma quando mai?, pensa il ragazzo sgranando ancora di più gli occhi e trattenendosi dall'unire le punte delle dita e far andare su e giù il pugno. 
«Agiremo in un altro modo, ragazzo mio», prosegue sir Bedivere, avendo scambiato il lampo di terrore che ha attraversato gli occhi di Semola per ardimento e determinazione. «Ci appropinqueremo pian piano al nido del mostro. Tu scivolerai al suo interno, solleverai l'uovo e me lo porterai… Anzi, no. Magro come sei, ti sarà difficile andare in giro con quella corazza, figuriamoci ad alzare un uovo.»
Semola annuisce. Qualsiasi cosa, qualsiasi insulto è ben accetto se gli eviterà d'introdursi tra le zampacce unghiute del Drago. 
«Faremo così», gli annuncia il cavaliere, dando ogni tanto un colpo d'occhio alla bestia che se ne sta assopita a biascicare nel sonno e a proteggere l'uovo. «Io m'introdurrò nel nido e porterò via l'uovo. Addormenteremo il Drago grazie a questa polvere che mi ha dato Merlino. Renderà innocuo il mostro in un baleno, vedrai! Poi legheremo l'uovo e lo caleremo dolcemente fino a valle, dove l'isseremo in sella e torneremo galoppando il più veloce possibile a Camelot.»
Il più veloce possibile a Camelot. Queste sei parole restano marchiate a fuoco nella testa e nelle orecchie del giovane scudiero. Al diavolo i lunghi discorsi di sir Bedivere! Camelot! Casa! Le focacce allo strutto e guanciale di sua madre e le tenere ed audaci carezze della piccola Ada, questo solo interessa al ragazzo che non vede l'ora di scendere da quel pianoro battuto senza pietà dal vento. 
«Tutto chiaro, Semola?», gli chiede sir Bedivere passandogli una mano davanti al viso. 
«Signorsì!», replica il ragazzo. Se le cose vanno nel migliore dei modi, in meno di mezzora saranno al sicuro dal mostro, e a sera potrà riscaldarsi con la fumante zuppa di cavolo nero che fanno in quell'osteria lungo la strada. E la figlia dell'ostessa ha un bel paio di occhi neri… 

***

La corte principale del castello di Camelot è spesso teatro di mercati particolari. Carovane di venditori ambulanti, a volte provenienti da luoghi esotici come Nuova Caledonia, Zanzibar e Ausonia, oltrepassano il barbacane e salgono nelle stanze della regina per mostrare la mercanzia. Ginevra, bella in modo da far invidia alle fate, ha una sola debolezza, se s'eccettuano le ampie spalle e gli occhi azzurri del bellissimo Lancillotto: le chincaglierie. 
Ama circondarsi di stoffe dai colori accesi e non certo degni di una Regina, come il viola, il verde pavone e il giallo uovo, ama vedere le mille sciocchezze che attraverso le mani dei mercanti sembrano sempre mirabili e finissimi oggetti raffinati, e ama collezionare pettini per i capelli, insieme ad altre mille spezie che fanno la gioia delle cuoche. 
Capirete da voi come le carovane dei più grandi merciai sostino sotto le mura del castello, e come i mercanti stessi levino ben alta la voce per avvisare la Regina delle loro particolarissime, esoticissime e pregiatissime merci. 
Il povero Artù spostava ciclicamente la corte, da Camelot a Caraduel a Tintagel e via cantando, ma i mercanti, furbi come faine davanti ad un pollaio, seguivano il corteo reale come un'ombra, col risultato che in meno di una settimana erano punto e daccapo, senza contare i venditori che raccattavano strada facendo e che si andavano ad assommare a quelli che già vivevano nelle nuove sedi. 
L'unica soluzione a quel vociare continuo, e al depauperamento coatto delle finanze reali, è stata quella di spostare gli appartamenti della regina il più lontano possibile dalle mura del castello, e di porre a guardia della stessa uno dei più fidati Cavalieri del Re. Indovinate un po' quale? Esatto, sir Lancelot. 
Il quale sir Lancelot, nel momento in cui vi sto parlando, riposa tranquillo in grembo alla mia bella cognata. Sir Bedivere sta per rientrare, è questione di poco ormai, e il Re e il suo consigliere sono chiusi da giorni nel gabinetto reale per studiare non si sa bene cosa. 
Ginevra ha confidato al suo drudo che il Re non va quasi più a visitarla la sera, se non per augurarle una santa notte. Merlino lo sfianca con le sue paure e non fa che ripetergli sino alla noia che lui e lui solo dovrà toccare quell'uovo. Se il bel Lancillotto non avesse perso il senno e la ragione per il crine dorato della regina, si chiederebbe il perché di tutta questa paura, e perché mai, se quell'uovo costituisce una minaccia così grave, il Mago abbia preteso che sir Bedivere affrontasse da solo a solo Kalthu. Invece il pupillo della Dama del Lago lascia che la Regina accarezzi i suoi capelli color dell'orzo e sussurri al suo orecchio mille e dolci parole d'amore. 
«Uova! Uova di incomparabile pregio e valore!», urla dabbasso un vocione abituato a quei toni. Lancillotto e Ginevra non lo sentono. Il libro che stavano leggendo è un naufrago alla deriva sul tappeto blu mare che adorna la sala da lavoro della bella regina. 

«Uova! Uova freschissime, d'incomparabile valore!», continua a gridare il mercante mostrando alle donne del castello due grossi polli che si beccano l'un l'altro mentre lui li tiene fermi per le zampe, testa all'ingiù. «Venite, mie belle signore. Venite ed assaggiate le uova di Sebastian, le migliori uova che si possano trovare da qui a cinquanta miglia!»
«Cinquanta miglia? Bum, se l'hai detta grossa!», risponde Ada, la figlia della fantesca del castello. La cuoca, donna Maria, l'ha spedita a fare la spesa e la ragazza ha il paniere pieno di cose tanto buone quanto pesanti. 
Se solo Semola fosse qui, chiederei a lui di portare questo cesto così pesante!, pensa la fanciulla, rammaricata del fatto di non poter baciare il suo spasimante a causa di quel vecchio piantagrane di Merlino che ha convinto il Re a spedire sir Bedivere - e quindi il suo Semola - a raccattare un uovo di drago. Per farsene che, poi?, si domanda la ragazzina osservando i due polli darsele di santa ragione mentre il venditore li tiene capovolti. 
«Secondo te l'ho sparata grossa, eh, bimba?»,  le chiede Sebastian appoggiando i pugni sporchi di terra sui fianchi robusti. «Allora, facciamo un patto. Tu compri le uova da me, e le cucini per pranzo. La sera non te lo consiglio, sono così sane da risultare pesanti. Poi, se non ti sono piaciute, torni qui e mi sfasci questo cesto pieno pieno che tengo davanti ai tuoi occhi belli, uovo per uovo.» 
«E che succede se invece le uova sono buone come dici? Pari e patta?», chiede Ada divertita all'idea di fracassare tutte le uova sulla zuccona di quel tipo. 
«Eh no, così non vale!», protesta Sebastian. «Così io non ci guadagno nulla. Facciamo così: se le uova sono buone, tu mi dai un bacio. Sulla guancia», aggiunge lui con un lampo divertito negli occhi. 
«Screanzato! Sono promessa, io!», risponde lei incrociando le braccia, rossa in viso. 
«Promessa ad un povero sciocco, se ti lascia girare da sola, bella come sei!», ribatte il venditore appendendo i polli ad un gancio. 
«Sono promessa ad un futuro cavaliere!», ribatte Ada pestando un piede sul selciato. «Accompagna sir Bedivere in una missione pericolosissima! Sono andati a recuperare un uovo di drago!»
Sebastian alza la tesa del cappellaccio che lo ripara dal sole. «Uova di drago? Che porcheria! Se il buon Re Artù voleva papparsi una frittata come si comanda, non doveva certo spedire quei poveretti a rischiare l'osso del collo! Coi draghi, meno si ha a che fare, e meglio è!», sentenzia l'uomo con un'espressione disgustata. 
«Pensi solo a mangiare tu!», replica Ada scotendo la graziosa testolina. «Non credo che il Re voglia provare una frittata simile. Mangeresti uova di serpente fritte, tu? Non credo. E perché dovrebbe farlo il Re?»
«Non mi dirai che al Re non piacciono le uova?», domanda Sebastian preoccupato. «Se così fosse, farei meglio ad andarmene di nuovo a Brocelandia dal mago Merlino. Lui sì che è un buon cliente!»
«Sciocchezze!», ribatte Ada. «Al Re piacciono le uova in ogni salsa. Fritte, sode, stufate, alla francese, in salamoia… Piuttosto, hai qualcosa che valga la pena essere portata sulla tavola del Re? Bada, non delle uova qualsiasi: voglio che il Re mangi meglio del Mago Merlino.»
Sebastian, rincuorato da quelle parole, pensa a quello che gli ha richiesto la ragazza. Si gratta il mento, poi le dice: «Credo proprio di avere quello che fa al caso tuo», e scompare nel suo carrozzone. Quando ne esce, tenendo una cassetta di legno simili a quelle dove si conserva la frutta, le dice: «Ecco qua! Un uovo degno di un Re!». 
Ada guarda il capolavoro decantato da Sebastian. È un uovo enorme, scuro e con delle parti più chiare, dorate. Grigio. Grande come la sua testolina riccioluta. «Deve costare parecchio…»
«Come dici?»
«Che deve pesare parecchio… Sai, ho il paniere pieno e sono da sola.» 
«A tutto c'è rimedio, dice sempre la mia buona mamma», le replica Sebastian sorridendo.  «Puoi passarlo a prendere più tardi. O posso portartelo io, stasera…»
«Se potessi portarmelo tu, prima di pranzo, te ne sarei grata», taglia corto Ada; con la cifra che le sparerà quel bel tomo, il trasporto dovrà essere compreso nel prezzo, che lui lo voglia o no. 
«E va bene. Non so mai dire di no ad una bella fanciulla», risponde Sebastian, convinto che quella commissione straordinaria potrebbe rivelarsi più piacevole di quanto non sembri. 
   
 
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