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Autore: JoiningJoice    28/12/2013    12 recensioni
Venezia, 1577. Un orfano di nome Jean guarda il corpo del suo migliore amico bruciare tra decine di altri corpi, mutilati e deformati dagli effetti della Morte Nera.
Venezia, 1582. Mentre la città ormai guarita si prepara a festeggiare il Carnevale, Jean viene avvicinato da un misterioso ragazzo dalla maschera nera. Qualcosa di grande sta per succedere, qualcosa per cui Venezia non è neanche lontanamente preparata...
Davanti agli occhi di Jean si formò l'immagine delle pire che avevano illuminato a giorno il sestiere anche nelle ore più buie della notte, fino a qualche settimana prima. La cenere cadeva ancora, più lenta e rada in quel momento, ma cadeva. Fu assalito da un pensiero improvviso, malato.
(Stiamo respirando cadaveri.)
Genere: Angst, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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AUTORI E IMMAGINI COMPLETE
1, da Mokona. Tumblr e EFP. (Capolavoro. GRAZIE.)
2, da Muffin. Tumblr. Ne sta realizzando una versione completa CINQUANTA PER SETTANTA!
3 e 4, da TimCampi, Tumblr, DeviantArt e Efp. Andate a leggere quei diamanti delle sue storie e godetevi quelle perle dei suoi disegni. E leggete il suo libro, se potete. Non ve ne pentirete.
5, Marco disegnato da me. Senza vergogna, proprio.
Il capolavoro senza tempo disegnato da Giulia, aka LifYeah, che ha disegnato quest'opera d'arte e di cui pubblicizzerei anche l'ANIMA se ne conoscessi l'indirizzo. Per ora, accontentatevi del DeviantArt, Tumblr, secondo Tumblr dedicato alle proprie opere d'arte. <3


Non sono brava con le parole - ironia della sorte -, ma ci proverò.

Ciao, fidato lettore.

Oddei, non ho idea se tu sia o meno un fidato lettore; magari sei capitato qui per caso.

In qualunque caso, ti prego, rimani. Rimani almeno perchè io abbia il tempo di dirti grazie. Di dirti che mi dispiace. Di dirti che ti voglio bene per aver letto – che te ne vorrò sempre.

Mi avete resa migliore. Mi avete fatto tornare la voglia di scrivere.

Vi voglio bene.

Grazie a Giulia – soprattutto a Giulia, creatrice di questo mini mini mini mini micro fandom -, a Monica, a Silvia, a Muffin, Mattie, Mokona, Elena, Zazzy, ANCORA a Giulia (...ho sentito bene? COSPLAY?), a tutti gli altri. A tutti coloro che hanno creduto in me e che hanno fatto sì che provassi sulla mia pelle cosa vuoldire far provare dei sentimenti a qualcuno.

È tempo del gran finale. Delle ultime rivelazioni. Degli ultimi dolori.

Grazie. Per Marco. Per Jean. Per Ymir. Per la Maschera.

Per tutti gli altri.

Per Venezia.





Vita e Morte a Venezia


Nel caso vogliate sentire ciò che ho ascoltato scrivendo questo finale.



Il cappuccio alzato sul volto, svoltò l'angolo passeggiando tranquillo sotto i portici.

Mancavano pochi metri a Ponte Sant'Angelo.


*



In quei giorni, non era comune che a Venezia arrivassero visitatori. La città era ancora debole, ferita, e solo recentemente i cittadini avevano finito di spostare via dalle strade principali le macerie causate dalle esplosioni di cinque mesi prima.

Ma nessuno fece domande vedendo l'uomo camminare attraverso la Giudecca; il suo non era il volto di uno sconosciuto. Alcuni marinai e commercianti azzardono addirittura un saluto nella sua direzione, e un sorriso. Entrambi vennero restituiti cordialmente.

L'uomo si diresse verso la locanda dello Zudeo; era sceso dalla nave da poco, e sentiva il bisogno di bere. La sua meta non sarebbe scappata.

Una graziosa ragazzina, armata di ramazza, sostava di fronte alla locanda, impegnata a giocherellare con un gatto nero. Vedendolo arrivare, il gatto scappò via. La ragazza si voltò.


'Un soldo per i pensieri di questa belle giovane.' sorrise l'uomo.

Lei alzò un sopracciglio. 'Sarebbe un soldo sprecato. Siete approdato da poco?'

'Torno ora dalla bella Istanbul, dopo una breve sosta a Roma per accertarmi della salute di un caro amico. Come lo avete capito?'

Il volto della ragazza si illuminò quando sorrise. 'Ho occhio per queste cose. Profumate di sale e d'avventura.' si alzò, spolverando il grembiale. 'Conosco solo un'altra persona che profumi d'avventura, ma lei non sa di sale. Lei sa dei tetti di Venezia. Di sudore e sacrificio. Siete qui per vedere Ymir, non è così?'

'Un altro sì.' sorrise lui, compiaciuto. 'E voi sareste?'

La ragazza aprì la porta della locanda. 'Historia.' arricciò il naso in un modo che gli ricordò anche troppo la sua amica Volpe. 'La sua amata.' aggiunse, con una punta d'orgoglio. 'E voi siete Antonio.'

'Di nuovo corretto.'


Historia entrò nella locanda, seguita da Antonio. Ymir stava dietro al bancone insieme a un grosso uomo, impegnato a tagliare bruschette. Avvicinandosi, Antonio si rese conto che il coltello le scivolava fin troppo spesso dalle mani, risultando in tagli e imprecazioni sempre più frequenti. Sorrise. Non sembrava essere passato un giorno da quando l'aveva conosciuta, sfrontata e orgogliosa e terribilmente sola.

Alzò il volto verso di loro, succhiando il dito ferito e rivolgendo un sorriso a Historia.

No, decise Antonio; almeno la solitudine era scomparsa. Le rivolse un inchino divertito.


'Devo chiamarti dama?'

'Non azzardarti, vecchio.' Ymir conficcò il coltello nel legno del bancone e vi girò attorno, raggiungendolo per un abbraccio rispettoso e qualche pacca sulla spalla.

'Come va la vita?' chiese Antonio, sorridente.

Ymir strinse un braccio attorno al fianco di Historia, affondandole il muso nei capelli. La ragazza sorrise. 'Tranquilla. Noiosa. Stiamo mettendo da parte il denaro necessario a partire. Per andare dove, non lo sappiamo.' si incupinì. 'Sei tornato per...?'

Antonio annuì, serio. Il sorriso sparì rapido dal volto di Historia.

'Ci siamo scritti per tutto questo tempo. Ho fatto il prima possibile, ma affari mi hanno trattenuto un po' a Roma. Ve ne parlerò nel dettaglio più avanti. Nel frattempo, vi prego, servitemi del buon vino. Ho bisogno di recuperare le forze prima di affrontare un incubo durato cinque anni.'


*


Scoprire che c'era ancora qualcuno che trasportasse le persone in gondola fu una piacevole sorpresa. Il ragazzo che Antonio fermò aveva un'aria vagamente familiare, ma era troppo giovane per essere uno qualsiasi dei gondolieri di cinque anni prima. Gli chiese di trasportarlo a Dorsoduro.

Durante la traversata, il ragazzo gli lanciò occhiate sempre più frequenti e inquisitorie.

'Tutto bene?' chiese Antonio.

'Io...sì. Tutto a posto.' rispose, calando il cappello sul volto.

'Non sei un po' giovane per fare il gondoliere?'

Il ragazzo sorrise. 'Non siete un po' vecchio per andarvene in giro senza rischiare di spaccarvi l'osso del collo?'

Antonio si strinse nelle spalle, poi scoppiò a ridere. 'Ah! Quanto mi è mancata questa città! Voi giovani peggiorate di generazione in generazione. Ma davvero, cosa ti spinge a fare questo lavoro? Alla tua età io non facevo altro che ubriacarmi e fare a botte.'

'Sbagliato. Alla mia età sei scappato dalla casa di tuo padre per intraprendere una vita da trafficante di merci.'

Antonio rimase in silenzio, esaminando quel volto abbronzato dall'esposizione al sole. Il ragazzo non smise di remare.

'Faccio questo.' mormorò a un certo punto. 'Per sposare la donna che amo e vivere con lei. Una ragazza con gli occhi color tramonto e i capelli come corteccia d'albero. E non riesco a rivolgere queste parole a lei perchè sono l'ultimo degli imbranati.'

'Non lo sei.' rispose Antonio. 'Sei un uomo.' e poi, dopo qualche attimo: 'Tu e Sasha avete la mia benedizione.'

Connie sorrise, tirando una corda contro un piolo e avvicinandosi alla terraferma.


*


Antonio passò di fronte alla libreria dell'anziano Arlert, ancora vivo e vegeto nonostante il grande spavento provato, lanciando un'occhiata distratta al ragazzo biondo seduto lì fuori intento a divorare un libro e una mela.

Passò anche davanti allo studio del dottor Jaeger, trattenendo il fiato e osservando i resti della casa rasa al suolo dal terremoto e dalle fiamme.


'Mi scusi.' chiese alle guardie che passarono in quel momento. 'Che...ne è stato degli abitanti di questa casa?'

Una delle guardie si voltò; era una ragazza con corti capelli rossi. Guardò la casa, poi sorrise triste.

'I ragazzi che vi abitavano sono andati via dopo la morte del padre. Qualcosa riguardo a Bologna...o era Firenze? Auruo, era Firenze?'

Auruo si massaggiò la mano destra. 'Informazioni confidenziali. Andiamo, Petra, o il Comandante Rivaille ci farà pulire quel suo maledetto ufficio. Un'altra volta.' grugnì, per poi proseguire per la sua strada.


Antonio scosse la testa, riflettendo su come certe cose cambino troppo rapidamente.

Ed eccola lì, la cosa che non era cambiata; il piccolo vicolo quasi invisibile all'occhio che portava nella casa che aveva abitato per anni. Lo percorse con calma, misurando i passi, nella speranza che lui non fosse lì ad aspettarlo.

Ma lui c'era. Seduto di spalle di fronte al portone d'ingresso, proprio come aveva detto in quell'ultima lettera non scritta nella sua grafia. Si voltò verso Antonio, silenzioso, triste.


'Padre.' sussurrò Marco.

'Hai ancora la forza di chiamare padre l'uomo che ti ha dimenticato per cinque anni.' rispose Antonio, commosso. 'Quanto è grande il tuo cuore, figliolo?'

Marco si alzò per andargli incontro e stringerlo in un doloroso abbraccio silenzioso. Antonio lo strinse a sé, quasi in lacrime.

'Mio figlio.' lo scostò, guardando il volto diviso a metà. 'Che ti hanno fatto? Come ho potuto dimenticare?'

'Non fa nulla.' un piccolo sorriso comparve sul volto di Marco mentre scioglieva l'abbraccio. 'Non fa nulla.' ripetè a se stesso.

Antonio fece un cenno con la testa in direzione della piccola banchina. Si sedettero entrambi con le gambe penzoloni verso l'acqua.

'Ho ricevuto la tua ultima lettera.' spiegò Antonio. 'So che ti è impossibile scrivere. Chi ti aiuta?'

Marco guardò il moncherino grigio per qualche secondo, prima di rispondere. 'Armin. Armin Arlert. Siamo...siamo buoni amici.'

'Capisco.' annuì Antonio.

Dopodichè iniziarono a parlare, e a parlare degli argomenti più disparati. L'incontro con Ymir e Historia. Con Connie. Sasha. Il destino toccato a Eren e Mikasa. Marco spiegava e Antonio ascoltava, bevendo ogni sua parola e rispondendo come solo un padre può fare.


'Marco.' iniziò a un certo punto. 'Tu sai che faccio parte di una confraternita i cui membri sono sparsi su tutta la penisola, non è così?'

Marco annuì.

'Alcuni di loro si sono resi utili dopo il disastro di cinque mesi fa, aiutando i civili e salvando vite, e me lo hanno fatto sapere. Un caporale in buoni rapporti con la mia confraternita ha fatto sì di passarci sotto banco tutte le scoperte che siamo riusciti a sottrarre dal laboratorio di Grisha Jaeger prima che questo fosse raso al suolo dalle fiamme.'

Frugò nella tasca interna del mantello sotto lo sguardo vigile di Marco, e ne estrasse una fiala contenente un liquido verde. Marco si ritrasse istantaneamente.

'Vedo che ricordi la piccola bastarda infame.' sorrise Antonio. 'La principale responsabile di tutti i nostri guai, più del titanio modificato.'

'Perchè l'avete portata?' esclamò Marco, stridulo.

Antonio sospirò. 'Mi guardi con occhi che non sono tuoi, Marco. So riconoscere gli occhi di mio figlio, e questi sono quelli di un uomo che ha di mio figlio solo l'aspetto. So cosa ti è successo. Non lo hai detto una sola volta nelle tue lettere, ma non sei l'unico con cui ho mantenuto corrispondenza.'

Marco non rispose, lo sguardo rivolto all'acqua.

'Marco.' continuò Antonio. 'Vuoi parlarmi di Jean?'

Un singhiozzò salì dalla gola di Marco. Le spalle iniziarono a tremare, e la testa si abbassò contro il suo petto. Non disse nulla. Pianse soltanto.

'Marco...' insistè Antonio.

'È morto!' urlò Marco. 'Morto per salvare me...'

Antonio scosse la testa. 'No, Marco, no...non per salvare te.'

'Sì. È morto e sorrideva e non ho potuto fare niente. Non ho potuto fare niente...'

Le parole si trasformarono in balbettii e singulti confusi. Antonio strinse un braccio attorno alle sue spalle.

'Marco, io so quanto possa essere duro perdere qualcuno che si ama. Ti offro una scelta.'

Gli porse la fiala.

'La decisione sta a te.'

Marco guardò il liquido verde con occhi pieni di paura.


*


Ponte Sant'Angelo si apriva davanti ai suoi occhi. Marco alzò la testa, osservando le decine di persone che attraversavano il ponte.

Guardò con attenzione, nella testa gli echi della conversazione avuta con Antonio settimane prima.


*


'No!' urlò Marco, spingendo via la mano del padre. 'Siete impazzito? Che vi hanno fatto a Istanbul, padre?'

'Per il tuo bene, Marco, prendi la fiala.'

'No.' sussurrò. 'No.' scosse la testa, deciso. 'Non posso dimenticare Jean. Non posso. Non mi aspetto che capiate.'

'L'ultima possibilità, Marco. Poi spedirò questa fiala in fondo alla laguna.

Marco si protese in avanti, afferrò la fiala con la mano sinistra e la lanciò verso il canale.

Quando si voltò verso Antonio, sul volto del padre c'era un sorriso pieno, orgoglioso.

'Marco.' esclamò. 'Devo dirti una cosa...'


*


C'erano troppe persone. Marco alzò il cappuccio, spaventato all'idea che potessero vederlo.

Il cuore. Sentiva il cuore esplodergli.


('durante gli scavi per estrarre i corpi delle macerie, mi ha scritto un mio consanguineo della confraternita, hanno trovato qualcosa di molto particolare. Il corpo di un ragazzo, apparentemente morto, mantenuto in vita da qualcosa all'interno del suo sangue')

Voltati a destra.

('il ragazzo era in condizioni disastrose. Lo hanno trasportato, identificato grazie all'aiuto del caporale Zoe')


Ancora a destra.

('abbiamo convenuto che sarebbe stato meglio se fosse sparito dalla circolazione per un po'. Il tempo di rimettersi. Il tempo perchè la guardia cittadina veneziana potesse dimenticarsi della sua esistenza')


Ora a sinistra.

('lo abbiamo trasportato a Roma. Si è svegliato dal coma qualche giorno fa.')

Diritto davanti a te.

Eccolo lì.


('padre, non capisco... cosa state dicendo?')

(il sorriso sul volto di Antonio.)

('Hai superato la prova, Marco. Jean è sopravvissuto grazie al titanio modificato nel suo sangue. È vivo e ti sta aspettando a Roma')


Gli corse incontro, non badando al cappuccio scivolatogli indietro, non badando agli sguardi delle persone, dimenticandosi persino di esistere.

Cadde nelle sue braccia aperte, rifugiandosi in quel calore, toccandolo e tirandolo a se prepotentemente, come un bambino possessivo.

Jean. Jean. Jean.

La sua testa sulla spalla. Le sue mani attorno alla schiena. Jean. Jean e il suo profumo. Jean e il suo debole sorriso idiota.

E all'improvviso sentì di avere di nuovo undici anni e si protese verso di lui per baciarlo con forza.

Per sentire che era vivo.

Per sapere che era suo.


'Quella cosa della fiala per farmi dimenticare di te.' sussurrò. 'Tutta una bufala?'

'Ovviamente.'

'Sei un idiota.'

'Mmm-mmm.'

'Ti amo.' fu l'unica cosa che fu in grado di dire, tra le lacrime. 'Ti amo, ti prego non lasciarmi.'

'Mai più.' rispose Jean, e Marco potè sentire il sorriso che gli illuminava il volto sulle sue labbra. Mai, mai più.


FINE

   
 
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