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Autore: Hi Ban    05/01/2014    4 recensioni
«Oh, calzini calzini! Perché siete voi, calzini? Rinnegate la vostra puzza, rifiutate la vostra avversione per i buchi cuciti o, se non volete, giurate che vi farete lavare e io non vi butterò! Solo il vostro tanfo mi è nemico, voi siete vo-»
«Che diavolo vuol dire ‘io non vi butterò’?! Sbarazzati di quella merda se non vuoi finirci tu nella lavatrice con la bocca cucita.»
«... Che cosa vuol dire ‘buttare’? Non è una mano, né un pied-»
«Vuol dire che se non la pianti ti butto dalla finestra e raccolgo il tuo sangue con i tuoi calzini.»
«... ryokai.»
Genere: Comico, Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hidan, Shisui Uchiha
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piove anche sotto l'ombrello se Shisui non lo apre'
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10. È sempre mare




Era una domenica mattina come le altre. Sorvoliamo sul fatto che in quell’appartamento non ce ne fosse mai una normale, sarebbe un dettaglio superfluo. Shisui canticchiava allegramente in bagno e Hidan aveva solamente spinto il suo corpo ad avere un cambio di superficie piana su cui sdraiarsi. Pigro, molto pigro, ma era domenica, poteva permetterselo.
Era uno di quei rari attimi in cui non aveva Uchiha tra i piedi ed era una cosa tanto sporadica che non sprecava nemmeno quel tempo a rotolarsi sul divano dalla felicità come un porco in mezzo al fango, no. Semplicemente si rilassava. Perché il ragazzo nell’altra stanza aveva il fantastico dono di farlo ammattire anche solo respirando e, non potendo fargli venire i capelli bianchi, Hidan era nella trepidante attesa di vederne spuntare sulla sua testa uno nero.
Però. C’era un però. Hidan non lo avrebbe mai ammesso nemmeno per sbaglio, in stato di totale ubriachezza, ma ci si era abituato. Con un brivido, lo Hie scosse la testa e tremò prendendo atto della considerazione appena fatta.
Che poi, perché diavolo doveva avere pensieri così complessi di domenica?
Hidan, per quanto gli dolesse ammetterlo, doveva riconoscere che in lui c’era qualcosa che non andava. Suvvia, c’erano almeno due decisione che aveva inconsciamente preso e che gli permettevano di capire che sì, aveva bisogno di aiuto. Qualsiasi tipo di aiuto, forse anche un esorcismo sarebbe servito, se lo avesse liberato dal demonio che aveva preso possesso di lui. Anche se forse il Male abitava sotto il suo stesso tetto, più che dentro di lui, ma dettagli, era comunque vicino.
Ecco, la convivenza con Shisui era una delle due decisioni malate sopracitate – la seconda era l’aver scelto di andare all’università, ancora non capiva di cosa diavolo si fosse fatto a suo tempo per avere un tale colpo di genio.
Che poi l’avere Shisui in casa non era nemmeno stata una decisione, il jankenpon* aveva fatto tutto da solo e semplicemente gli aveva fatto notare che era una persona estremamente sfigata. E dopo la rivelazione del secolo si era trovato con l’Uchiha in mutande che gli girava per casa, lo infastidiva, lo molestava verbalmente – e fisicamente –, respirava, parlava, camminava… insomma, gli rompeva le palle.
Eppure si poteva dire che era diventato parte della sua routine e questa era la massima dimostrazione di affetto a cui lo Hie si sarebbe lasciato andare, anche in abito riflessivo, nei confronti dell’ameba. Inserirlo nel quadro della routine era ottimale, non gli dava troppo spessore ma rendeva bene l’idea. Non lo considerava più dell’abituale colazione a base di ciambelle al mattino, ma senza non sarebbe stata la stessa cos- No, ok, stava esagerando anche per un semplice pensiero, meglio non esporsi troppo.
Ad occhi esterni Hidan stava mettendo su una discretamente accurata pantomima, in cui digrignava i denti ed annuiva a tratti. Una specie di pazzo psicopatico solo per aver fatto due considerazioni mentali random sulla sua esistenza. Poi sua madre si chiedeva anche perché pensasse poco, quella capra di suo figlio. Un motivo c’era, ecco.
Fortunatamente era in casa sua, in cui l’unica persona che poteva vederlo era in bagno a cantare-
«Io e te non possiamo più convivere, siamo troppo diversi» la voce di Shisui Uchiha giunse chiara e forte a qualche metro di distanza da Hidan.
Lo Hie sbatté le palpebre un paio di volte, facendo varie considerazioni ad una velocità enorme – ‘diversi? Diversi in che senso? Convivere? Con chi? Con te, idiota!’ – in cui si era anche risposto e poi si tirò su a sedere repentinamente. Puntò lo sguardo su Shisui, che era dietro di lui e gli dava la schiena.
Lo Hie lo osservò per qualche secondo – minuto? Ora? – senza dire nulla, con la vaga consapevolezza che la sua bocca fosse storta in una smorfia e nella sua mente si stessero accavallando più e più pensieri pieni di qualcosa come odio, risentimento e biasimo verso il ragazzo.
Non ne conosceva la motivazione, ma come scusante aveva la velocità con cui era avvenuto tutto.
«Che cazzo vuol dire?» chiese poi dall’alto della sempiterna finezza, attirando l’attenzione di Shisui. Quest’ultimo si voltò e aveva come espressione facciale un misto tra tristezza, orrore e non comprensione. Una specie di mostro biblico, davvero brutto da vedere.
«Cosa vuol dire cosa?» si azzardò a domandare l’Uchiha, per poi voltarsi completamente verso il ragazzo che lo osservava con in maniera davvero poco benevola. Solo in quel momento, perciò, Hidan ebbe modo di vedere il paio di calzini malandati che Shisui teneva tra due dita, come se il prolungato contatto con più zone della pelle potesse procurargli morte istantanea. Con il senno di poi si rese conto che nessuno avrebbe avuto anche solo il coraggio di stare nella stessa stanza con i calzini di Shisui, il fatto che lui si azzardasse a tenerli addirittura in mano era già tanto.
L’Uchiha al momento se ne stava con un paio di calzini neri bucherellati in più punti ad osservare Hidan senza capire. Quest’ultimo, invece, abituato all’idiozia congenita del coinquilino, parve comprendere anche troppo.
Stava parlando con i calzini?
«Che diavolo stai dicendo?» sbottò, tentando di mantenere un profilo basso per non far assolutamente capire che, sì, per un attimo aveva pensato parlasse con lui e sì, sempre per un minuscolo attimo si era pure cagato addosso.
Perché, semplicemente, Hidan non voleva Shisui fuori dai piedi o lo avrebbe cacciato un sacco di tempo prima. Il lamentarsi in continuazione di lui era solo routine pure quello.
«Ah! Stavo parlando con i calzini, odio buttare la mia roba e avevo bisogno di un motivo valido per buttarli… lo so, ‘zini belli, anche io vi ho voluto bene ma davvero, non possiamo più convivere… voglio dire, voi siete bucati e io non posso più mettervi… mi piange il cuore a dirvi addio ma-» la cosa triste di quella scenata melodrammatica era che, se Hidan non lo avesse fermato, Shisui sarebbe andato avanti ancora per un bel po’.
Lo Hie si impose di non notare che l’Uchiha aveva davvero gli occhi lucidi, perché c’era un limite alla sopportazione umana e lui non era certo di potercela fare a vivere con uno che piangeva per dei calzini che al massimo potevano essere usati come arma di distruzione di massa in una guerra chimica.
«Smettila di dire stronzate, butta quei cosi che sento la loro puzza di merda fin da qui» lo rimbrottò con acidità non propriamente voluta – c’era ancora il vano tentativo del profilo basso, perché sì, Hidan si arrabbiava con Shisui per ogni minima cosa, ma poteva risultare strano se se la prendeva anche se metteva in scena Shakespeare con i calzini, ecco.
Shisui, con sprazzo del pericolo, annusò i calzini e anche lui dovette ammettere che non odoravano esattamente come le violette dell’Uzbekistan.
«Ma sono i miei calzini, come puoi essere così insensibile? Ne abbiamo passate tante insieme, già è stato difficile trovare un motivo per cui devo buttarli!» si lamentò, occhieggiando con antico dolore i calzini, che sembravano pronti a disintegrarsi da un momento all’altro dal momento che c’erano più buchi che stoffa.
«E ci hai messo anche così tanto a capire di dover buttare quella schifezza?» borbottò Hidan, voltandosi e tornando a dargli le spalle, sperando di mettere fine alla conversazione, così che l’altro se ne tornasse da dov’era venuto.
«Ho tentato di procrastinare questo momento, Hidapi, perché io a differenza di te ho un po’ di tatto!» ci sarebbe stata benissimo una voce in falsetto e sulla cassetta delle lettere all’entrata avrebbero potuto scrivere ‘Hie Hidan – Uchiha Shisuiko’.
Che poi lui aveva tatto, era Shisui che non ne aveva o non si sarebbe presentato nella stessa stanza in cui c’era lui a blaterare frasi senza senso e chiaramente fraintendibili che minavano la stabilità emotiva di Hidan. Sì, anche lui aveva una stabilità emotiva e l’unico problema collegato al destabilizzarla era che il tutto portava a istinti omicidi e ira funesta. Ovviamente con sangue annesso.
Seguì un silenzio piuttosto anomalo, perché non era davvero una cosa normale avere tranquillità in una stanza in cui c’era anche Shisui. In un modo o nell’altro quel ragazzo sapeva creare rumore, caos, disgrazie, tutto, anche solo battendo ripetutamente il piede alla fermata dell’autobus. Hidan era voltato di spalle, perciò non poteva vedere quel che stava facendo l’Uchiha, tanto che quando, un attimo dopo, dopo una serie di passi velocissimi, se lo ritrovò seduto davanti sul divano ad un palmo dal naso non poté evitare di sobbalzare.
«Che cazzo-» non poté terminare la frase perché Shisui si avvicinò ancora ed ancora, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia; arrivò tanto vicino che i loro nasi nemmeno si sfioravano, erano proprio premuti uno contro l’altro.
«Mai sentito parlare di distanza cortesia?» ringhiò senza tuttavia spingerlo via. Non vedeva molto oltre alla faccia di Shisui – troppo, troppo vicina – ma nei sei secondi prima gli era parso di notare che almeno non si era portato dietro l’arma mortale.
«La mia mamma mi ha sempre detto che sono una persona scortese, perciò non conta» e così dicendo premette maggiormente il naso contro quello di Hidan.
Visto da fuori erano quasi un quadretto idilliaco. Quel che vedevano loro, invece, era la versione ciclopica l’uno dell’altro.
«Che vuo-» sarebbe stata una domanda carina da porre, ma Shisui era davvero una persona scortese – o, meglio, spontanea – e lo interruppe.
«Perché ti sei arrabbiato tanto quando parlavo con i calzini?» parlò velocemente e l’unica cosa che al momento notava Hidan era lo snervante sorriso che gli si era disegnato sulle labbra. Come sapeva essere infantile Shisui non lo era nemmeno un bambino di due anni, a momenti. E per un attimo gli balenò nella mente l’immagine di uno Shisui bambino. Ringraziò il cielo più e più volte silenziosamente per aver avuto la fortuna nella sfortuna di averlo incontrato da adulto.
«Non mi sono arrabbiato» ribatté, ma Shisui parlò di nuovo, ignorando il commentò precedente.
«Eri geloso del calzini?»
«Non me ne frega nient-»
«Pensi preferisca te a loro?»
«Hai finito di dire stronz-»
«O forse pensavi parlassi con te quando dicevo che non possiamo convivere perché siamo diversi?» la velocità con cui espose la cosa non impedì a Hidan di comprendere, che tentò di tirarsi indietro istintivamente, ma l’Uchiha non era dello stesso avviso. Gli afferrò la testa con una mano e gli impedì di interrompere il contatto tra i loro nasi.
Lo Hie era leggermente perplesso; Shisui continuava a sorridere, mentre Hidan taceva e imprecava mentalmente.
Una cosa che non aveva mai capito dell’Uchiha era il modo di ragionare, probabilmente. O, più precisamente, quello che si agitava nella sua testa; per la maggior parte della sua vita passava il tempo a fare l’imbecille, facendo così credere a chiunque gli stesse intorno che sì, era un emerito imbecille. Eppure di tanto in tanto annientava questa convinzione, uscendosene con frasi argute o con intuizioni brillanti che non ci si aspetterebbe mai di sentire da uno che canta summer paradise in pieno inverno e parla con i calzini.
«Perché avrei dovuto pensare che ti stessi riferendo a me?» sbottò, perché in ventidue anni di vita aveva imparato che l’attacco era la miglior difesa.
Shisui fu scosso da una risatina che si propagò anche attraverso Hidan, visto che erano in contatto; sbuffò, perché Uchiha non sapeva nemmeno ridere come le persone normali, senza far tremare mezzo divano.
«Perché è fraintendibile, eri girato, non vedevi con chi parlavo» si fermò per un attimo e piegò un po’ di lato la testa, senza però allontanarsi da Hidan, per poi aggiungere: «E poi perché è vero.»
Hidan per un attimo – tentò di riprendere controllò di sé in breve, comunque – rimase leggermente perplesso da quella considerazione, forse perché non capiva in che modo la intendesse Shisui.
Per quel che ne sapeva lo Hie, l’Uchiha non aveva mai nemmeno preso in considerazione l’idea di staccarsi da lui, motivo, forse, che faceva sentire Hidan libero di trattarlo male e con poco riguardo. Tanto sapeva che era una presenza stabile, dov’era il problema? Routine. Non si era semplicemente mai chiesto se Shisui si fosse accorto dell’immensa diversità che c’era tra loro due, perché davvero erano l’uno l’opposto dell’altro. E ora che gli diceva che erano diversi – dimostrando che anche lui analizzava la realtà e, soprattutto, era dotato di facoltà di pensiero – non sapeva cosa aspettarsi.
Tentando di non far trapelare nemmeno un decimo di tutti quei pensieri, sbuffò e socchiuse gli occhi.
«Grazie per la grandissima rivelazione, genio della lampada, ma non ricordo di averti sfregato a suon di testate contro il muro per farti uscire» commentò piccato Hidan e quando giunse il confuso «Eh?» di Shisui scosse la testa e imprecò un paio di volte alla sua deficienza.
Come poteva passare da un atteggiamento pseudo intelligente ad uno totalmente idiota? Di che diavolo l’aveva imbottito la madre quando era piccolo, scemenza in pillole o in gocce? In entrambi i casi doveva aver sforato di un bel po’.
«È ovvio che siamo diversi, idiota» ripeté, per non fargli perdere il filo del discorso, in modo che non si concentrasse troppo sulla parte del genio, della lampada e del muro. A volte era davvero difficile intrattenere conversazioni con lui, specialmente se era qualcosa di vagamente serio.
«Abbiamo gusti diversi» commentò Shisui, quasi sovrappensiero. Il fatto di averlo così dannatamente vicino e non poterlo vedere bene in faccia impediva ad Hidan di capire quel poco che comunque ci sarebbe stato da capire sull’Uchiha in quel momento.
«Interessi diversi, gruppi musicali preferiti diversi, atteggiamenti diversi, faccia diversa, capelli diversi-»
«Un cervello diverso, io ce l’ho e tu no» non riuscì a trattenersi dall’aggiungere Hidan, che ottenne in risposta un vago cenno d’assenso di Shisui, che fece ovviamente annuire anche lui - perché diavolo non si erano ancora staccati?!
Proprio mentre Hidan si lamentava mentalmente di quella vicinanza leggermente scomoda, l’Uchiha si staccò di colpo, lasciandogli la testa e liberando finalmente il suo naso.
Prese a fissarlo con una certa determinazione che inquietò leggermente lo Hie. Quando pendeva quei colpi di testa il fattore eccentricità aumentava.
«E a chi dovrebbe importare, scusa?» chiese infine Shisui, mentre l’albino ancora si tastava il naso con qualche borbottio, contento che fosse ancora al suo posto.
Quella discussione non aveva un filo logico. L’Uchiha stava facendo tutto da solo e Hidan davvero stentava a stargli dietro.
«Che vuol dire?»
«Che non è importante se non abbiamo niente in comune» gli spiegò semplicemente, come se fosse qualcosa di sensato. Forse lo sarebbe anche stato se avesse avuto un contesto normale e logico in cui essere collocato.
Più che altro sembrava una considerazione che Shisui stesso stava elaborando per la prima volta in quel momento.
«Puoi parlare come mangi?» sbottò sardonico lo Hie, che si era seriamente perso per strada qualche pezzo.
Shisui piegò di lato la testa e si grattò il mento pensieroso.
«Tipo… mh, tipo tu di che colore vedi il mare?» chiese ad un tratto, giusto perché fino a quel momento non era ancora passato abbastanza di palo in frasca.
«Che domanda sarebbe?»
«Rispondi!» lo incitò, sedendosi meglio sul divano, mettendo una gamba sotto al sedere e lasciando l’altra a penzolare giù.
«E che ne so, non lo vedo da un sacco di temp-» ma perché diavolo non lo faceva finire di parlare?
«Potremmo andarci!» propose, colto da un’illuminazione divina, ritenendo quella la miglior idea che potesse venirgli.
«Sì, per fare la stessa stronzata del Fuji, arrivare, guardare la sabbia e tornare indietro. Pensi di piazzare la sveglia di nuovo alle quattro, imbecille?»
«Sei una persona davvero rancorosa, Hie, non fa bene al tuo karma» commentò desolato, scuotendo la testa.
«Pensa al tuo, di karma, prima che si stanchi di te e decida di venire a sgozzarti nel sonno» ringhiò Hidan, non sapendo nemmeno lui perché stesse assecondando la piega che Shisui continuava a dare alla conversazione.
«Quello se mai sei tu. È così che pensi di discolparti dal mio omicidio?»
«Oh, ma allora sai che un giorno ti farò crepare» era una buona notizia, quella.
«Sì, sì, certo… non cambiare discorso!»
«Ma se sei tu che-»
«Di che colore è ‘sto mare, Hidapi!»
Hidan sbuffò e prese in considerazione l’idea di affogarcelo, nel mare, magari dopo avergli tagliato la testa – anche se poi non era più morte per soffocamento, ma dettagli –, così da poter dire che lo vedeva di un bellissimo color sangue.
«Lo vedo blu, idiota, di che altro colore dovrei vederlo?»
«Specifica! Blu cosa, blu cornice che ti ha regalato tua madre?» ed indicò effettivamente il portafoto che sua madre gli aveva regalato un po’ di tempo fa e che ora troneggiava su uno scaffale. Dentro non c’era nessuna foto, ma un post it*. «O blu come la mia maglia?» e se la indicò con fare allusivo.
Perché dovesse fare domande così imbecilli proprio non sapeva spiegarselo e, soprattutto, Hidan non aveva assolutamente capito dove quell’ameba volesse andare a parare.
«Non lo so!» sbottò ancora, non si era mai messo a pensare che sfumatura di blu dovesse avere il mare ai suoi occhi e di certo non si sarebbe messo a pensarci perché l’Uchiha doveva fare riflessioni profonde senza né capo né coda.
Shisui sbuffò ed ebbe anche il coraggio di alzare gli occhi al cielo, ma, prima che Hidan potesse fargli rimpiangere tanta sfrontatezza, parlò di nuovo: «Tipo lo vedi blu corallo o blu cobalto?»
Lo Hie era senza parole. Sia perché non sapeva che sfumatura di blu associare al corallo e tantomeno al cobalto, ma anche perché davvero di domenica mattina quei due stavano parlando di una cosa del genere e non era una cosa umanamente accettabile.
Ne scelse uno a caso; «Cobalto» e Shisui schioccò la lingua, come se l’avesse predetto fin da subito.
«Appunto! Per me è blu corallo, siamo diversi! Non vediamo nemmeno il colore del mare uguale!» disse con tono deciso e Hidan ci capiva sempre di meno. Cosa voleva dirgli quella specie di scimmia che non vedeva un pettine da anni? E poi lui il colore lo aveva scelto a caso, non era una cosa attendibile.
«E…?» tentò facendo qualche gesto con la mano, come a volerlo invitare celermente a tirare le fila di quella cosa ingarbugliata che una volta era una discussione.
«E chissene frega!»
Il ragazzo era da ricoverare, fu l’unica cosa che pensò Hidan, che si prese qualche secondo per sbattere le palpebre varie volte, come se l’immagine del soddisfatto Shisui dinnanzi a sé potesse cambiare. Quest’ultimo aveva capito quel che voleva dire, ma lo Hie no.
Fortunatamente si premurò di spiegarlo anche ai comuni mortali.
«Non importa! Voglio dire, vedi il mare anche tu, no? Chissene frega del colore, è sempre mare, finché tu non vedi una capra e io un cavallo, tu un albero io una sedia, tu una scarpa io una ciotola di ramen, tu il mare io la montagna, tu-»
«Abbiamo capito» lo interruppe saggiamente l’albino.
«Eh, sì, voglio dire… vediamo le stesse cose, le vediamo con sfumature diverse perché siamo diversi, ma possiamo stare insieme benissimo» mentre Hidan ancora tentava di riprendere possesso delle sue facoltà di pensiero – era davvero una cosa rarissima sentire Shisui dire qualcosa di sensato –, l’Uchiha si avvicinò di nuovo a lui con fare cospiratorio.
«Sai, quella del ‘siamo troppo diversi’ è sempre una scusa, ma non dirlo ai calzini o ci rimangono male…»
Mentre l’Uchiha ancora complottava bisbigliando all’orecchio di Hidan, occhieggiando i calzini di tanto in tanto, lo Hie si rese conto che a poca distanza dalla faccia aveva un essere bipolare che attivava il cervello a fasi alterne e con una velocità impressionante. Ora gli stava facendo sapere che in verità i calzini doveva buttarli, ma doveva pensare ai loro sentimenti e perciò la scusa delle diversità era la migliore.
Hidan sentiva quasi una certa necessità di scoppiare a ridere in maniera incontrollabile e psicopatica, con la bocca indecentemente aperta, la pancia dolorante e probabilmente l’incapacità di controllarsi. Come un matto, in poche parole, ma si trattenne, perché sotto quel tetto uno sano di mente ci voleva. Ma voleva farlo, perché quella mezza preoccupazione che aveva era stata risolta dall’ignaro Uchiha e quella cosa lo faceva sentire un imbecille.
Mentre Shisui ancora parlava a vanvera di quei dannati calzini, Hidan si lasciò scappare un mezzo ghigno e gli afferrò la testa. Si ricreò la stessa scena di prima, naso contro naso, solo che questa volta era Hidan che teneva ferma la testa di Shisui.
«La prossima volta che vuoi fare il filosofo non metterci sei ore» lo sbeffeggiò con un ghigno.
«Puah, sei solo geloso perché tu non fai queste considerazioni intelligenti e-»
«Non credo esista nessuno al mondo che sia geloso di te» fece presente stizzito, anche perché chi sarebbe mai potuto essere geloso di un ammasso di deficienza con un cervello che funzionava a caso e per brevissimi momenti?
«Mh, hai ragione, la gente sa quando arrendersi di fronte alla perfezione e visto che io sono troppo perfetto e irraggiungibile non sono nemmeno più gelosi perché è inutile» questo era un chiaro esempio di cervello non in funzione.
«È per stronzate come queste che meriteresti di rimanere con la testa chiusa nel forno.»
«L’ho sempre detto che tu sei una persona tenerissima, Hidapi. Come i fiorellini in farm heroes saga*, sono così teeeeneri appena svegli!» ma quel ragazzo passava la sua vita a giocare o faceva anche altro? Probabilmente no.
E poi… lo aveva davvero appena paragonato ad un fiore?!
«Curati, Uchiha, davvero» commentò Hidan quasi schifato dal paragone. Poi aggiunse: «Ti puzza l’alito.»
«Anche a te» ribatté Shisui facendo spallucce.
«E staccati allora!»
«Non posso, Hie, hai arpionato la mia testa-» Hidan sbuffò e senza fargli terminare la frase lo baciò, anche se Shisui, per un attimo, vedendolo ritrarsi indietro, aveva temuto gli volesse tirare una testata. Non sapeva mai cosa aspettarsi da lui.
Poi Hidan si alzò e lasciò Shisui intento a sorridere come un deficiente.
«Ah! Hidapi! Qualcosa in comune ce l’abbiamo pure noi!» saltò su ad un tratto, disturbando il povero Hidan che aveva deciso di fare colazione – suvvia, erano solo le undici, ciambelle e tè ci stavano eccome.
«La casa?» commentò sarcasticamente, mentre faceva scaldare l’acqua nel bollitore.
«… Sì, anche, ma altro!»
«Cosa, Uchiha, cosa» mormorò tra i denti, in attesa dell’ennesima scemenza.
«Le mutande!» e così dicendo si abbasso di poco i pantaloni del pigiama per permettere ad Hidan di notare un tessuto verde acido piuttosto famigliare.
Rimase per un attimo con la bocca semi aperta, per poi rinsavire. Comprendere. Realizzare. E quando Shisui vide il lampo che gli attraverso lo sguardo, da folle omicida pazzo, comprese che forse avrebbe dovuto tacere.
«Sono le mie mutande, quelle?» erano le sue preferite, santo cielo! Verde acido!
«Beh…»
«E tu le hai addosso.»
«Ehm… Ma era per avere qualcosa in comune…»
«Sto benissimo anche così, grazie
«M-ma la- Hie, non ti avvicinare. Non ti-»
«Vieni, Uchiha, che te le cucio sul culo a suon di calci.»
E il fischio della teiera venne coperto dalle urla di Shisui e gli insulti di Hidan.


...
«Oh, calzini calzini! Perché siete voi, calzini? Rinnegate la vostra puzza, rifiutate la vostra avversione per i buchi cuciti o, se non volete, giurate che vi farete lavare e io non vi butterò! Solo il vostro tanfo mi è nemico, voi siete vo-»
«Che diavolo vuol dire ‘io non vi butterò’?! Sbarazzati di quella merda se non vuoi finirci tu nella lavatrice con la bocca cucita.»
«… Che cosa vuol dire ‘buttare’? Non è una mano, né un pied-»
«Vuol dire che se non la pianti ti butto dalla finestra e raccolgo il tuo sangue con i tuoi calzini.»
«… ryokai*.»










Il pezzo di Romeo e Giulietta che ho fatto amabilmente storpiare a Shisui XD è questo: «Oh Romeo Romeo, perché sei tu Romeo!? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti. Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu. Che vuol dire "Montecchi"? Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo.» Spero Shakespeare non me ne voglia troppo XD

*Riferimento alla oneshot non della raccolta jankenpon che spiega più o meno perché Shisui abita con Hidan. In verità servirebbe ancora una shot prima di quella… *rimugina*
*La storia del post it devo ancora raccontarvela, diciamo che ho inserito il post it in questa storia come promemoria della storia sul post it. Adoro essere complicata.
*Sì, io gioco a ‘sto farm heroes invece di studiare, prego vorrei un giro di applausi XD
*Ryokai: capito, ricevuto

Oneshot seria (pseudo seria, non esageriamo), cosa strana, lo so XD c’è un filo della solita demenza, non può mancare (si può dire che la scemenza sia lo sputo che tiene insieme questa raccolta), ma per una volta ho voluto dare un taglio diverso al tema che ho trattato. So che non è da Hidan fare riflessioni profonde, esternare sentimenti, blablabla, però qui la faccenda è ambientata in un contesto AU, in cui non sacrifica la gente e perciò le cose sono un po’ diverse. Penso che anche lui abbia la capacità di affezionarsi alla gente (Shisui) e che, per quanto il suo carattere di merda lo renda dispotico e tutto quel che è XD”, dei sentimenti li provi anche lui. Non so se glieli ho fatti esternare in maniera comprensibile senza farglieli esternare davvero (… sì, va bene, sorridete ed annuite a quel che dico anche se non s’è capito niente), ma il tentativo c’era XD
La storia del mare, del blu corallo e del cobalto l’ho presa da un film, Cyrano Agency, che consiglio tantissimo. Il modo in cui ho sviluppato io la cosa non c’entra davvero una fava, nel senso che io ho solo preso i due colori e il mare e ci ho ricamato sopra, li la faccenda è completamente diversa (e non me la ricordo nemmeno benissimo, ma dettagli XD). Sì, avrei potuto prendere altri due colori e, chessò, un divano come oggetto, ma dal momento che quella scena mi ha fatto venire in mente la shot ho pensato di usare quella XD
… come potrete notare Babbo Natale non mi ha portato il cervello che tanto desideravo, il che mi riporta ad un’altra shot che stavo scrivendo per la raccolta, sul natale, che ovviamente non ho finito (shame on me) e che sarebbe stata sullo stile di summer paradise… magari un giorno la finisco e ve la posto per pasqua, voi apprezzato la buona volontà *schiva scarpa*.
Mh, anche se con una lentezza allucinante, the show must go on! Sì, le idee ci sono, nel senso che ne ho davvero tante che vorrei scrivere, ma non ho il tempo, avrei bisogno di quella cosa furbissima che usa Hermione in Harry Potter, una giratempo, ma anche in quel caso, conoscendomi, farei ben poco XD
Boh, ringrazio chi continua a seguirmi, mi rendete really happy (:
  
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