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Autore: wanderjess    08/01/2014    3 recensioni
Ottantacinquesimo giorno dalla battaglia di Marineford.
Edward Newgate è morto e con lui le speranze e la felicità di migliaia di persone, primi fra tutti i componenti della ciurma, i suoi amati figli.
Marco la Fenice ha ormai preso una decisione: prenderà il posto di suo padre e farà risorgere la ciurma dell'uomo più forte del mondo, anche sacrificando se stesso.
Ma cosa accade quando il tormento diventa troppo grande da sopportare, quando la disperazione si fa strada tra le pieghe di un animo già distrutto, quando anche il più piccolo dosso si trasforma in un ostacolo insormontabile?
Il capitano Marco riuscirà a reggere il peso di tutte le responsabilità e delle speranze che grava sulle sue spalle? Riuscirà a ritrovare se stesso e ad avere il coraggio di affrontare un mondo che avanza senza aspettare i più deboli?
*****
[4/01/15: con mia grange vergogna, ho abbandonato la scrittura per mesi interi; chiedo scusa ai lettori ma annuncio che la storia verrà ripresa il più presto possibile]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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OP

Potrei gridarvi "Ehi, mettete giù i forconi!", ma non sarebbe nel mio stile. Vorrei solo scusarmi per gli (argh!) oltre quattro mesi di totale assenza: il capitolo, o almeno questa parte, è pronto ormai da molto tempo, ma alcuni contest a cui partecipavo e una buona dose di pignoleria mi hanno fatto ritardare di così tanto. So che si tratta di un capitolo davvero corto, ma ho preferito dividerlo a metà (questa è la parte più corta tra le due) per evitare di farvi aspettare ancora; l'altro pezzo è già scritto, deve solo essere riletto e modificato in minima parte, quindi lo posterò prima possibile, sicuramente entro una o due settimane :)

Che altro dire? Spero soltanto che il contenuto compensi almeno parte del tempo di attesa e che non risulti noioso - il che è un po' ciò che temo. Buona lettura! :)

CAPITOLO 2:





I movimenti si susseguivano frenetici. Il mio cuore batteva all'impazzata, mentre colpivo un nemico e subito dopo mi voltavo per ucciderne un altro. L'intero spazio era occupato da marines e pirati in fermento. Nulla era fermo sul campo di battaglia: gli uomini correvano, le spade fendevano l'aria con un sibilo e cozzavano tra loro stridendo, i fucili ed i cannoni sparavano ininterrottamente verso di noi.
Una sola, statuaria figura bloccava la dinamicità di tutti. Diedi una rapida occhiata verso l'alto, osservando il patibolo troneggiare, tetro, sulla baia: Sengoku si erigeva sopra di esso, ferito, serio ed attento allo svolgimento della battaglia.
«Ace!»
Rufy raggiungeva finalmente il fratello liberato, correva al suo fianco verso l'acqua ghiacciata, verso le nostre navi, verso la salvezza. Salvezza che sembrava così vicina, nel nostro pugno, che già potevo pregustare il momento in cui avrei abbracciato di nuovo quel testardo di Portuguese.
Così bello vederlo libero.
Così emozionante vederlo raggiungerci.
Così orribile vederlo morire sotto il colpo di Akainu.
Era successo in un attimo.
Avevo visto con orrore Ace dirigersi versi l'ammiraglio, battersi con lui e rimanere infine sconfitto, inerme tra le braccia di Rufy, morente e con un messaggio per tutti noi.
Grazie. Ci ringraziò  per avergli voluto bene, per avergli dato una famiglia.
E in quel momento pensai che era ingiusto. Che l'intera nostra esistenza era ingiusta. Perché un ragazzo non dovrebbe morire sul campo di battaglia, vittima sacrificale dell'odio del Governo.
Vittima perché figlio di un mostro.

Improvvisamente lo spazio cambiò ed io mi ritrovai sul ponte della Moby Dick, gremito di pirati nemici.

Osservai attentamente l'uomo di fronte a me, cercando i punti deboli che avrei potuto sfruttare a mio vantaggio.
Come se fosse difficile. Quell'uomo massiccio possedeva una forza nemmeno paragonabile alla mia e nei suoi occhi leggevo solamente brama di potere, non quella fiamma ardente, tipica di chi vive per un grande ideale.
Il corpo tozzo era in posizione di difesa: le gambe coperte da lunghi calzoni blu erano divaricate, la sinistra spostata leggermente in avanti. Le mani impugnavano una grossa sciabola e le dita tremavano impercettibilmente. Il volto era teso, un ghigno deformava la bocca e due piccoli occhi scuri mi fissavano truci.
Era convinto di poter vincere contro di noi... illuso.
Si trattava soltanto di un ridicolo pirata a capo di una ciurma di qualche centinaio di uomini, più galeotti e ladri che combattenti veri e propri. Non avevano possibilità di vittoria, ma il capitano che ora mi fronteggiava sembrava convinto di poter contare sulla nostra momentanea debolezza dovuta alla guerra.
Era anche troppo facile, mi venne da pensare mentre schivavo un colpo di spada dell'avversario, che pensò bene di chiamare a sé una decina dei suoi uomini. Questi, sotto suo ordine, cominciarono ad accerchiarmi mentre io, quasi annoiato, mi guardavo attorno, cercando di capire come se la stessero cavando i miei fratelli.
Rimasi soddisfatto dalla situazione: avevamo ormai la vittoria in pugno.
Volsi di nuovo l'attenzione ai pirati intorno a me e vidi i loro volti trasformarsi, diventare euforici, come all'apparizione di qualcosa che avrebbe significato la loro salvezza. Il grassoccio capitano mi stava di fronte e guardava nella mia direzione, il solito ghigno distorto a deformare il volto e a renderlo più simile a quello di un pazzo che di un uomo.
Socchiusi gli occhi e lo guardai meglio: la sua attenzione non era rivolta a me, i suoi piccoli occhi puntavano fissi un particolare a me ignoto.
Una risata, un soffio a me familiare alle mie spalle.
Non poteva essere...
Mi voltai di scatto e il mondo sembrò rallentare.
Lo vidi.
Il cuore diede un colpo più forte, doloroso, poi sembrò arrestarsi.
Sbiancai.
Scarponcini, corti pantaloni neri, cintura ed un coltello chiuso in una fodera.
Petto scoperto, allenato, muscoloso. Un tatuaggio.
Collana di perle arancioni.
Un cappello appena calato sul morbido capo d'ebano.
Una mano che si alzava a spostarlo sulla schiena, la bocca sottile che si piegava in un distorto sorriso.
Le lentiggini che si illuminavano
alla luce del Sole, sullo sfondo di una pelle diafana e due occhi neri che mi osservavano compiaciuti.
«Marco, ci rivediamo.»
Era forse ostile la voce che stavo udendo?
La voce di Ace. Il mio migliore amico.
Impossibile: lui era...
«Morto? No, Marco: io sono qui, davanti a te, guardami.»
Il sorriso si aprì, Ace inarcò un sopracciglio.
Io ero bloccato. La mascella rigida, la bocca semi-aperta, gli occhi sbarrati e il cuore in tumulto.
Mi lacrimavano gli occhi, avevo la gola secca.
No, tutto quello non poteva essere vero: Ace era morto di fronte ai miei occhi, Babbo non era più sulla nave con noi e mio fratello non avrebbe mai potuto allearsi con dei pirati avversari. Tutto quello che vedevo non aveva senso, eppure... eppure era così reale!
Vedevo i miei compagni e gli altri capitani starsene immobili davanti a quella scena. Ero talmente teso che non riuscivo più a muovermi, né a pensare coerentemente, né a reagire.
Me ne resi conto mentre una fiamma rossa cominciava ad ardere nella mano di Ace, e questa si chiuse a pugno quando il proprietario si avventò si di me.

Gridai.
Aprii di scatto gli occhi ed alzai il busto, sedendomi. Ero nella mia cabina, nel mio letto e tutto era al proprio posto. Quello di Ace non era che un incubo, uno dei tanti che popolavano le mie notti da mesi.
Mi distesi di nuovo sul materasso, cercando di calmare il respiro affattato e mi guardai attorno, alla ricerca di segni della quotidianità che potessero riportarmi alla realtà di ogni giorno, per riuscire a rendermi completamente conto che quello era solamente un incubo.
La cabina era un luogo che mi rispecchiava perfettamente: illuminata dalla luce del mattino appariva sobria, spaziosa e calma. I colori chiari erano predominanti e mi donavano un senso di pace; davanti a me si stagliava la grande scrivania in cedro che avevo comprato su una piccola isola anni prima e sopra di essa vi erano la penna e il calamaio, accompagnati da qualche foglio ordinatamente ripiegato sul tavolo. Odiavo il disordine... detestavo che il piano in legno fosse ricoperto di cianfrusaglie e scartoffie, così avevo catalogato le lettere e le mappe e le avevo appoggiate oltre la scrivania e la sedia, sopra due scaffali che facevano bella mostra di loro sul muro.
Dall'altra parte della stanza una piccola libreria poteva sfoggiare una buona quantità di volumi che una volta amavo leggere nelle giornate di sole, quelle in cui tutta la ciurma era rilassata ed il lavoro da svolgere era poco. Si trattava di libri di nautica, elaborate mappe dei quattro mari e delle loro terre, ma anche di romanzi di tutti i generi, dall'avventura alla letteratura storica, ai culti e alle tradizioni degli antichi popoli che abitavano il nostro mondo secoli prima. Potevo scorgere anche alcuni trattati d'astronomia e matematica, che mi dilettavo a leggere da giovane, mentre alcuni testi riportavano le idee dei grandi filosofi sul mondo. Oh, quanto avevo odiato la filosofia quando, da giovane, mio padre mi aveva obbligato a studiarla! Ma un giorno si era infiltrata nel mio cuore e mi aveva appassionato...

«Sono venti Berry, signore.»
Passai le monete all'anziano uomo che mi stava di fronte e uscii dalla libreria. Guardai attentamente l'oggetto che avevo appena comprato: era strano anche per un assiduo lettore come me, l'aver preso quel piccolo volume che ora tenevo tra le mani. Curioso come fosse stato l'unico ad attirare la mia attenzione tra gli stipati scaffali del locale, quasi mi stesse chiamando. Ma dopotutto, dargli un'occhiata non mi avrebbe certo fatto male.
Quella sera, mentre il cielo si scuriva e i miei compagni banchettavano nella mensa, io me ne stavo seduto in un angolo del ponte della nave, leggendo le prime pagine del mio nuovo acquisto.
Dovevo ammettere che era interessante, ma non ebbi nemmeno il tempo di confermare la mia idea iniziale poiché una mano, favorita dalla mia distrazione, sottrasse agilmente il libro dalla mia presa. Mi voltai di scatto per vedere chi fosse quell'avventato in cerca di guai, ma mi bloccai quando vidi che di fronte a me sostava nientemeno che Satch. L'espressione placida ma palesemente divertita mi suggeriva che il mio compagno d'avventure fosse orgoglioso della sua riuscita impresa.
Sospirai innervosito, alzando la mano verso di lui. «Ridammelo, Satch.» dissi eloquente.
Il mio interlocutore sembrò non sentirmi, ma più probabilmente fu solo per sfida che non mi diede retta e sollevò il libro appena sotto i propri occhi vispi e soddisfatti, leggendo il titolo.
Alzò le sopracciglia sorpreso e al contempo divertito:
«Filosofia, Marco? Non sapevo avessi di questi interessi, amico mio!»
«Satch...» era un avvertimento il mio.
«Dai, Marco, non te la prendere. Era per farsi quattro risate!»
«Ehi, li ho trovati: Marco, Satch!»
Mi voltai nella direzione da cui proveniva quella voce. Non ci voleva: si trattava di Vista e di alcuni degli altri capitani e Satch non mi aveva ancora restituito il libro.

Ero nei guai, sapevo che presto sarei stato lo zimbello dei miei fratelli. Penso che si divertissero a prendermi in giro per quella mia passione della lettura. Alcuni di loro sapevano appena leggere e scrivere, o comunque se ne servivano solo per ragioni di tipo pratico: dispacci da inviare al Babbo quando le loro navi erano lontane, lettere ai capovillaggi delle isole sotto la nostra protezione. Nessuno di loro amava particolarmente la letteratura e vedere uno di loro leggere assiduamente ogni genere di testo li aveva lasciati alquanto straniti. O, perlomeno, questo all'inizio... prima che cominciassero a trovare divertente l'idea di punzecchiarmi ogni qualvolta mi trovassero con un libro tra le mani.
Fu per quello che non mi stupii nel vedere Satch sorridere. Probabilmente
già pregustava il momento in cui avrebbe reso partecipi i nuovi arrivati della notizia appena scoperta. E, quasi a confermare la mia idea, lo vidi alzare una mano bloccandomi mentre cercavo di rimpossessarmi del volume, il quale arrivò direttamente nelle mani di Fossa. Il gigantesco uomo lo prese al volo e Izo, sistemato accanto a lui, lesse ad alta voce il titolo stampato sulla copertina rigida, mentre Satch sghignazzava senza riuscire a trattenersi.
«Ahah! Filosofia, Satch, ora pure questa ci voleva!» proruppe senza ritegno Fossa.
Ormai nessuno tratteneva più le risate ed io, pur sapendo che non mi deridevano per davvero, pensai con un briciolo di sconforto che nessuno di loro mi avrebbe mai compreso veramente.
Solo il Babbo...

Angolo dell'autrice:

Rieccomi, solamente per dirvi due cose :)
Be', innanzitutto spero di essere stata capace di esprimere al meglio le emozioni di Marco, anche se questo capitolo è fatto più che altro di sogni e ricordi. È noioso? Il prossimo riguarderà principalmente il passato "più passato" della Fenice, spero vi piacerà... ci sarà comunque più azione (un minimo, almeno) commista ai pensieri del protagonista :)

Volevo infine ringraziare EmmaStarr, Ikki, Miyuki chan, Sugar_Ginger, TokorothX3, Yellow Canadair, _ANNA17_, che hanno seguito e preferito la storia, ed un "grazie" speciale per chi ha lasciato le quattro bellissime recensioni, ricche di consigli e apprezzamenti (siete troppo buone!). Spero di ritrovarvi anche qui, nonostante il colossale ritardo :)
Al prossimo capitolo!
Kora ;)

  
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