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Autore: rekichan    03/06/2008    2 recensioni
Chissà cosa lo aveva spinto a credere che gli Uchiha fossero tutti uguali.
Lo avrebbe dovuto comprendere subito che Obito, col suo sorriso incancellabile, perfino nella morte, aveva costituito una tanto improbabile quanto meravigliosa eccezione.
Così come doveva comprendere che quel ragazzino dagli occhi neri e il broncio sul volto non sarebbe mai stato come lui.
E non avrebbe più riso, perché le risate dei bambini, quelle che si rompono e si trasformano in etere fate, si erano perse per strada allo svoltare dei suoi sette anni.
No.
Decisamente, a Kakashi, quel Sasuke adolescente non piaceva.
Forse, perché erano troppo simili.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Oh, what'll you do now, my blue-eyed son

 

Oh, what'll you do now, my blue-eyed son?
I'm a-goin' back out 'fore the rain starts a-fallin',

I'll walk to the depths of the deepest black forest,

 

Kakashi aveva smesso di aver paura dei fantasmi.

Kakashi continuava, però, a crogiolarsi nel rimpianto.

In fondo, è più facile rassegnarsi alla sofferenza che combatterla.

Aveva ventisei anni e una vita sprecata.

Logorata dalla quotidianità.

Aveva ventisei anni e lo sguardo antico.

Invecchiato da troppe colpe mai perdonate.

Non udiva la voce del suo sensei affermare bonariamente: «Hai fatto del tuo meglio.»

Era sempre stato gentile con tutti, in fondo. Perché lui avrebbe dovuto costituire l'eccezione?

Non sentiva la voce di Rin mormorare con quel suo tono dolce e comprensivo: «Ti voglio ancora bene.»

Era sempre stata una ragazza pronta all'amore, in fondo. Come avrebbe potuto non voler bene a qualcuno?

Non ascoltava la voce di Obito, che gli sussurrava all'orecchio la propria comprensione e un amichevole: «Non è colpa tua.»

Era sempre stato un ragazzo facile al perdono. Perché non avrebbe dovuto fare lo stesso con lui?

Semplicemente, Kakashi aveva chiuso le orecchie al mondo.

Non ascoltava neanche i vivi, perché avrebbe dovuto prestare orecchio ai morti?

 

 

Eppure le orecchie sono fatte per ascoltare.

Ed essere sordi troppo a lungo, può impedirci di ascoltare perfino noi stessi.

 

 

Sasuke aveva compiuto dodici anni.

Il bambino non c'era più; la sua tacca sulla porta aveva raggiunto, ormai, quella di Itachi.

Non sbagliava più un colpo con gli shuriken, né faticava a portare le buste della spesa.

Era il più bravo della classe.

Proprio come suo padre e sua madre avevano desiderato.

Tra poco si sarebbe diplomato.

Tra poco sarebbe diventato un genin.

Tra poco avrebbe ucciso Itachi.

Tra poco.

Forse.

 

Oh, what'll you do now, my blue-eyed son?
Where the executioner's face is always well hidden,

 

Non era felice della scelta del terzo Hokage ma, come al solito, non aveva diritto di veto sulle scelte del “grande capo”.

Poteva solo sperare che quel gruppo non gli desse molti problemi.

In fondo, erano solo tre ragazzini fastidiosi.

Sospirò, scorrendo i nomi dei tre membri della sua squadra.

Passò rapidamente sopra a quello della ragazza – era una brava studentessa all’accademia. Tranquilla e diligente. – dirigendosi su quelli che, col tempo, avrebbe definito: “casi problematici”.

Naruto Uzumaki, il jinchuuriki del Kyuubi e Sasuke.

Sasuke Uchiha.

Ancora un Uchiha.

Di nuovo.

Merda.

 

 

Sasuke era fiero di sé per aver superato l’esame.

Non che la sua promozione fosse in dubbio, naturalmente.

Tuttavia, le mani avevano tremato per un attimo nel posizionarsi per eseguire la tecnica e le ginocchia lo reggevano a stento in piedi, mentre si avvicinava ad Iruka-sensei per ritirare il coprifronte.

Quella sera, a casa, ripassò più volte le dita sul simbolo della foglia inciso sul freddo metallo.

Sorrise, pensando a quanto aveva atteso quel giorno.

Se il clan Uchiha fosse stato ancora in vita, i suoi genitori sarebbero andati a prenderlo all’accademia; si sarebbero congratulati con lui e sua madre gli avrebbe preparato il suo piatto preferito (non che fosse difficile, bastava affettargli i pomodori. Ma erano ottimi quando li tagliava la mamma, proprio perché era lei a farlo.); tutto il clan avrebbe festeggiato il suo diploma e Itachi… Itachi sarebbe stato fiero di suo fratello minore.

Il pensiero di Itachi fece un po’ male proprio in quello strano muscolo che aveva dentro al petto; quello fastidioso che continuava a battere ancora. E ancora. E…

Fissò il coprifronte ancora una volta. Ricordò che anche Itachi ne aveva uno uguale. Corrugò le sopracciglia e lo gettò alla base del letto.

In fondo, era solo uno stupido, inutile pezzo di stoffa e di metallo.

 

Oh, what'll you do now, my blue-eyed son?
Where hunger is ugly, where souls are forgotten,

 

 

Il gruppo sette era nato, ormai.

Kakashi si era dovuto adattare a quei ragazzi fastidiosi e irritanti, fino ad affezionarcisi.

Aveva conquistato, col tempo, la fiducia di Sakura e il rispetto di Naruto.

Soltanto Sasuke lo trattava sempre con la stessa algida indifferenza.

Quel bambino continuava a non piacergli.

Non sorrideva mai.

Non parlava mai con i suoi compagni, se non per offendere Naruto.

No, decisamente non gli piaceva.

Non era Obito.

E Kakashi continuava a dimenticarsi che, nel clan Uchiha, Obito aveva costituito un’improbabile e magnifica eccezione.

Tuttavia, quel dodicenne dal volto imbronciato e le labbra da gatto continuava ad imporre la sua presenza e a sostituire il viso tondo e sorridente del suo migliore amico.

E quando il passato ritorna, è difficile cacciarlo.

Anche se sotto altre spoglie.

Il ventaglio sulla schiena, in fondo, era lo stesso.

 

 

Kakashi continuava a fare piccoli passi verso Sasuke, ma ogni qualvolta gli si avvicinava, il ragazzo si allontanava di altrettanti.

Sembrava timoroso di avvicinarsi a lui, a quel ninja che aveva – bene o male – sempre incrociato in quei lunghi e difficili anni.

Nella mente, conservava il vago ricordo di una testa argentata, collegata a favole raccontate da una voce amica e parole appena balbettate.

Ma Sasuke non si ricordava di “Tobi-chan”, né del suo: «Kachi baka!» diligentemente strillato con l’euforia dei bambini quel giorno lontano di undici anni prima.

Adesso che era un ninja ed il tempo delle favole era finito per sempre, il suo obiettivo era sempre più vicino.

Itachi era un’ombra in lontananza che si faceva via, via più nitida.

E le sue spalle, ancora troppo grandi e irraggiungibili, non sembravano più così grandi.

 

 

Kakashi tentò in tutti i modi di trattenere Sasuke, in modo da non perdere il suo ultimo legame col passato.

Ma Sasuke non era allegro.

Sasuke non era esuberante.

Sasuke non sorrideva.

Sasuke non era un bambino, perchè la sua infanzia era stata annegata nel sangue.

Sasuke non era Obito.

Però, Kakashi continuava a sperarci.

Stupidamente, testardamente, incessantemente sperava.

Ma neanche lui poteva fare molto per un bambino troppo adulto che insegue, ancora, le spalle del fratello.

E, i bambini, si sa, sono molto creduloni.

Specie quelli che hanno perso i sogni.

Kakashi non capiva che i ventagli non sono tutti uguali, specie quelli di antica famiglia e fatti a mano.

Inoltre, sono anche molto facili da perdere.

Terribilmente facili.

 

 

Oh, what'll you do now, my blue-eyed son?

Where black is the color, where none is the number,

 

 

Kakashi aveva ripreso a svolgere le proprie missioni.

Kakashi aveva ripreso a fermarsi di fronte alla tomba di Obito. Ogni mattina.

Kakashi, di fronte a quella lapide, piangeva ogni giorno il suo amico perduto.

Dopo di che, si recava di fronte al quartiere Uchiha, aspettandosi di sentire i lievi colpi di shuriken contro l’albero, o lo sbadiglio di un bambino che abitava da solo.

Guardava la strada, cercando con lo sguardo un ragazzino non ancora uomo che arrancava, trascinando le buste della spesa.

Si apprestava a tornare a casa e aspettava sempre di andare a sbattere contro un undicenne carico di incenso e ravioli al vapore che correva sotto la pioggia.

Ogni mattina, andava al luogo del ritrovo del suo primo gruppo genin e aspettava il rimprovero seccato del dodicenne indisponente a cui aveva insegnato il chidori.

Ma nulla di tutto questo accadeva e l’unico pensiero di Kakashi, allora, andava al piccolo uomo cui non era riuscito ad insegnare veramente nulla, ma da cui aveva imparato molte cose.

In primis, che i ventagli non sono tutti uguali, né uno è migliore di un altro: sono semplicemente frutto dell’artigiano che li ha intagliati e dipinti.

A seconda della bravura dell’artigiano, possono essere più pregiati o meno, ma ciò non sminuisce il loro valore.

È l’uso che se ne fa, a logorarli.

Se un ventaglio viene usato e apprezzato, se “sente” l’amore di chi lo maneggia, allora non si romperà mai.

Se viene lasciato a se stesso, i disegni sbiadiscono, fino a diventare tracce cineree di quello che erano; la carta di riso si strappa e il legno del manico marcisce.

Kakashi aveva avuto due ventagli e li aveva persi entrambi.

Uno era stato già seppellito, l’altro aveva cominciato a marcire.

L’unica cosa che poteva fare, era sperare di ritrovarlo e imparare a ripararlo.

Anche solo per sentire quel: «Sensei.» che non gli aveva mai concesso.

 

And I'll tell it and think it and speak it and breathe it,
And reflect it from the mountain so all souls can see it,
Then I'll stand on the ocean until I start sinkin',
But I'll know my song well before I start singin',

 

«Kakashi-sen...»

«Sì, Sasuke?»

«Niente.»

 

Il giorno in cui Sasuke aveva abbandonato il villaggio...

 

…pioveva.

 

 

And it's a hard, it's a hard, it's a hard, it's a hard,
It's a hard rain's a-gonna fall.

 

 

E anche questa è fatta.

Grazie a tutte voi per averla seguita.

A presto.

 

   
 
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