2)La storia dei Willy McBride.
La mattina dopo fu un disastro, si
svegliarono in ritardo
e solo il fatto che la stazione era praticamente davanti al loro
ostello gli
impedì di perdere il treno per Verdun.
Cosa aveva di speciale quella piccola città della Lorena?
Il nome gli sembrava familiare, ma aveva paura di
chiedere spiegazioni alla cugina, gli sembrava che fosse di malnumore e
che
quel minimo di complicità che avevano sviluppato se ne fosse
andato.
“Liz?”
“Sì?”
“Sei incazzata? Ti ho fatto qualcosa?”
“No, Will. Sto solo pensando a come approcciarmi, che
parole scegliere per farti capire il messaggio che tuo padre vuole
darti
mandandoti qui.”
“Cos’ha di speciale questo posto?”
“Fu una delle principali battaglie della prima guerra
mondiale. Iniziò nel 1916 e durò undici mesi
causando la morte di in milione di
soldati circa.”
Will riflette un attimo, sapeva di essere stato chiamato
con quel nome per onorare qualcuno della famiglia, un bisnonno che
aveva
partecipato alla grande guerra.
Ci pensò e ripensò, alla fine decise di
rinunciarci.
“Non ho idea del perché dovrei andare
lì.
“Io sì.”
“Beh, svegliami quando siamo arrivati, ho sonno e quindi
penso di dormire un po’.”
Lei annuì seria, il suo cervello stava ronzando –
poteva
sentirlo persino da lì – ma il biondo non aveva
idea di cosa girasse nella
testa della rossa.
Si sentiva la testa pesante e i pensieri intorpiditi dal
sonno, così decise di lasciarsi andare a un riposino
ristoratore, magari dopo
sarebbe stato in grado di collegare tutte le cose.
Al momento il suo viaggio con Liz gli sembrava un puzzle
non risolto e aveva l’impressione che gli mancassero degli
elementi per
capirlo.
L’avrebbe scoperto tra poche ore, inutile fasciarsi la
testa prima di essersela rotta.
Gli sembrava di aver chiuso gli occhi solo cinque minuti
prima quando una mano gentile lo scosse: era Liz.
Da quando avevano visitato insieme Parigi, lei sembrava
mano acida e prevenuta nei suoi confronti.
“Siamo arrivati, Will.”
Lui annuì e la aiutò con le valigie, riuscirono a
scendere dal treno appena in tempo, sospirando di sollievo uscirono
dalla
stazione, che era totalmente diversa rispetto a quella parigina.
C’era meno gente e non c’erano taxi, Will si
soffermò un
attimo a leggere le indicazioni per un museo
sulla battaglia di Verdun.
“Andremo qui?”
Chiese alla cugina, ma lei scosse la testa.
“Adesso lasciamo le nostre cose in un bed & breakfast
e vedrai dove andremo.”
Lui annuì e la seguì lungo le strada poco
affollate del
paese, la stagione turistica non era ancora iniziata. La rossa si
fermò in una
casetta con i fuori sulle finestre del piano terra.
“Eccoci qui.”
Lei suonò e rimasero in attesa di qualcuno che venisse ad
aprire loro.
Poco dopo arrivò una donna sulla quarantina, bionda e con
un’aria materna.
“Buongiorno, voi siete?”
“McBride.”
Rispose con un sorriso sua cugina.
“Perfetto, vi aspettavo! Adesso vi faccio vedere la
camera e poi vi lascio liberi.
Ragazzo, sei fortunato ad avere una ragazza così
carina.”
“È mia cugina.”
Ridacchiò Will facendo arrossire la signora.
La loro camera era al secondo piano ed era perfettamente
pulita, con tanto di tendine alla porta finestra e fiori sul balcone,
per il
resto c’erano due letti e una stanzetta per il bagno.
“È veramente deliziosa!”
Cinguettò Liz.
La signora accettò il complimento e poi sparì,
Will si
gettò sul suo letto.
“Ti cedo il bagno per fare la doccia per prima, basta che
non ci metti trent’anni.”
“Grazie, Will!”
Gli sorrise lei.
Sua cugina sparì in bagno e lui ne approfittò per
farsi
un sonnellino, le ragazze stavano sempre
un’eternità in bagno. Dopo un po’ Liz
lo sveglio e lui si fece una doccia veloce e si cambiò i
vestiti, uscito dal
bagno la trovò sul balcone a fumare e decise di farle
compagnia.
“Dove andremo dopo?”
“Fuori dalla cittadina, c’è un posto che
devi vedere e
una storia che devi sentire.
Forse non sei proprio la testa di cazzo impermeabile a
ogni insegnamento che credevo.”
“Mi stai dicendo che mi farai una lezione?”
“Qualcosa del genere, non farmi dire una parola di
più.
Sto ancora pensando a come impostare il tutto, è importante
che tu capisca il
messaggio ed è per questo che tuo padre ha scelto
me.”
“Uhm, capisco.”
Finirono la sigaretta e rientrarono nella stanza, Liz
cominciò a ficcare alcune cose in uno zaino più
piccolo e lui capì che doveva
fare lo stesso.
Riempiti gli zaini, salutarono la padrona di casa e
uscirono, era una giornata calda e soleggiata in cui passeggiare era
piacevole.
Will seguì la cugina, uscirono dall’abitato per
percorrere un sentiero: l’erba attorno a loro era verde e a
tratti interrotta
da qualche macchia rossa: papaveri.
Camminarono per un po’, lui non ci stava capendo molto,
dove diavolo stavano andando?
Alla fine capì, in lontananza vide un cimitero con
numerose croci bianche che si stagliavano nel sole. Liz
deviò verso quella
direzione e lui la seguì, probabilmente si sarebbero fermati
e lui non poté
fare a meno di essere contento, iniziava a essere stanco e il sole lo
stava
facendo implacabilmente sudare.
Alla fine entrarono nel cimitero, Will si guardò in giro
a disagio, su alcune di quelle croci c’erano foto di ragazzi
morti un secolo fa
che avevano circa la sua età e su quelle prive di foto le
date non cambiavano.
Come aveva detto Liz?
Erano morti circa un milione di soldati su quel fronte,
che ora non era altro che aperta campagna, a volte coltivata, a volte
no.
Sua cugina si sedette sotto un albero e lui la imitò,
stanco. Bevve un po’ di acqua e poi la guardò,
l‘ espressione della rossa era
assorta.
“Fa un bell’effetto, vero?”
Disse infine, misurando le parole.
“Abbastanza, un milione di ragazzi morti per …che
cosa
per la precisione?”
“Qualche metro di terra da rubare alla nazione
nemica.”
Rispose.
“Un milione sono tanti.”
“Furono un’intera generazione, impreparata a tutto
questo.”
“Cosa vuoi dire?”
“Questa fu la prima guerra di trincea della storia, ore
intere passate sotto il fuoco nemico
a
tentare di avanzare in quelle che erano lunghi buchi, fangosi e
puzzolenti.
Prima si combatteva a campo aperto, con la cavalleria,
poi si passò a usare le mitragliatrici, gli obici, i mortai,
le bombe a mano,
gli aerei.
Non bisognava essere troppo vicini per essere colpiti,
bastava essere sulla linea di tiro.”
“Capisco.”
Lei sospirò.
“Forse un po’, ma ora ti racconterò una
storia e forse
capirai meglio.”
“Ok.”
Rispose semplicemente lui, che non capiva l’intenzioni di
Liz.
“Ok.
Fai uno sforzo di immaginazione e segui le mie parole, so
che sei in grado di farlo.
“Sei sicura?”
“A Parigi mi sono accorta che hai un po’ di
immaginazione
anche tu e questi facilita le cose.”
“Ah, Parigi era un test…”
Lei bevve un sorso dalla sua bottiglietta.
“Mh, qualcosa del genere.”
“Adesso iniziamo.”
“Ok.”
Rispose lui.
“Immagina di vivere in un piccolo paese
dell’Inghilterra
rurale, uno di quelli in cui il tempo scorre sempre uguale a
sé stesso.
C’è un piazza davanti alla chiesa, una fontana in
mezzo e
su uno dei lati c’è un pub che fa anche da
locanda, sull’altro lato c’è un
negozio di alimentari.
Il resto è sparso sulle viette che portano alla piazza e
non manca nulla per la gente di allora.
La guerra li tocca solo marginalmente, ma la gente si è
fatta l’idea che sia un mostro mangia ragazzi, sempre
più giovani partono e
nessuno sa se ritorneranno.
La battaglia in Francia è come un tabù, lo sanno
tutti
che c’è, ma nessuno osa nominarla per non
attirarla di più.
Riesci a vedere?”
Will chiuse gli occhi e aprì la mente a quella visione,
vedeva tutto quello che Liz gli descriveva.
“Sì.”
“Ok, allora continuiamo.
Tu hai diciannove anni, fai il contadino, ma non ti piace
particolarmente lavorare la terra: il tuo sogno sono gli orologi.
Fin da quando eri piccolo ti fermavi incantato a guardare
la bottega dell’orologiaio, fantasticando su come sarebbe
bello riuscire a far
funzionare quegli ingranaggi così perfettamente messi
insieme.
Poi ti ricordi che i soldi per studiare non li hai, hai
solo le mani e la terra del tuo vecchio e lasci perdere, forse farai
studiare
tuo figlio se riuscirai a mettere da parte qualche sterlina.
In ogni caso adesso non sono tanto gli orologi a passarti
per la mente o meglio entrano come meteore funeste a indicare che il
tuo tempo
in paese è agli sgoccioli.
Lo senti sul collo il fiato della guerra e ti vengono i
brividi, ti sei appena sposato e non vuoi lasciare tua moglie. Si
chiama Annie
ed è la ragazza più bella del paese per te: ha
dei meravigliosi capelli biondi
che splendono al sole, due occhi azzurri ridenti da irlandese qual
è e un corpo
meraviglioso.
Non vuoi lasciarla, non vuoi vederla piangere e non vuoi
vedere le espressioni tristi sul volto dei tuoi, lo sanno loro e lo sai
tu che
ricevere una lettera di arruolamento è come ricevere una
condanna a morte.
Tu non vuoi morire, ti va bene fare il contadino basta
che tu rimanga nella cara Inghilterra insieme alla tua famiglia.
Stai tornando dai campi, ti fermi al pub e ordini una
birra, con la sensazione che qualcosa di brutto accadrà,
mentre falciavi il
prato hai sentito uno strano click come quello delle lancette di un
orologio
gigantesco quando segna un minuto trascorso.
La cosa ti ha scosso, ma quando finalmente riesci a bere
una birra ghiacciata tutto sparisce, sei solo un contadino del 1916
stanco e
con una fervida immaginazione.
Paghi la birra e te ne vai a casa, sulla porta c’è
Annie
e i suoi occhi sono rossi e gonfi, il tuo cuore inizia a battere un
po’ più
veloce del solito.
Forse è morto tuo nonno, ha una malattia di quelle che
non perdonano e forse Dio ha avuto pietà della sua
sofferenza e l’ha finalmente
chiamato a sé.
“Annie, che succede?”
Le chiedi, affrettandoti verso di lei.
Lei non risponde, ma ti porge una lettera con il timbro
del ministero della difesa e tu inizi a sudare freddo. Forse morirai
prima di
tuo nonno.
“Annie, cos’è?”
“Aprila, Willy. Io non ne ho il coraggio.”
La apri e sai già cosa conterrà prima di avere
finito di
leggerla.
“Mi hanno chiamato alle armi, Annie, entro quattro giorni
devo essere a Londra.”
“Quindi partirai domani?”
Chiede lei con una voce tremula che non le hai mai
sentito, tu annuisce meccanicamente. Prima di questa lettera avresti
voluto
visitare la capitale con Annie, adesso vorresti che Londra sprofondi
nel cuore
marcio della terra.
Entrate tutte e due in casa, la cena è in tavola, ma nessuno
la
mangia volentieri; tutti e due avete altri pensieri per la testa e ti
accorgi
che lacrime silenziose solcano il volto di tua moglie.
Siete sposati da solo un anno, un anno è troppo poco per
un matrimonio come il vostro.
Finita la cena, ti lavi e poi ti butti a letto, la
stanchezza non la senti nemmeno, così come non
sentì il tepore della notte
d’aprile e i profumi che porta il vento: per te è
tutto congelato.
Le luci sono tutte fredde, i movimenti meccanici, la
vostra vita scorre come il torrente appena fuori dal paese quando
è ghiacciato.
Poco dopo senti i passi di Annie salire le scale, indossa
solo una veste di seta e pizzo che lascia poco
all’immaginazione.
“Ehi, non sapevo avessi questa roba.”
Tenti di scherzare, lei arrossisce,
“Volevo riservarla per il nostro primo anniversario, ma
ho pensato che oggi fosse il giorno giusto.”
Ti stringe la mano e tenta di sorridere, ma tu la conosci
bene, sai che sta trattenendo le lacrime.
Quella notte fate l’amore come non l’avete mai
fatto,
come se fosse l’ultima volta che vi vedeste.
E la cosa peggiore, ti dici il giorno dopo, è che
sarà
così.
Londra non ti accoglie bene.
Quando arrivi c’è una pioggia fredda e una sottile
nebbiolina fredda che sale dalle strade, del calore e dei profumi del
tuo
villaggio non c’è neanche l’ombra.
Vai all’indirizzo scritto sulla lettera e lì ti
visitano,
sei abile alle armi.
Lo sapevi già.
Ti consegnano le tua divisa, già lercia e ti rasano, poi
ti spediscono su un treno con un gruppo di altri ragazzi. Annie ti
manca già,
apri il medaglione con la sua foto e pensi che non le rende giustizia,
non c’è
il sole che gioca nei suoi capelli e non c’è quel
luccichio allegro nei suoi occhi
blu, ma questo è tutto quello che hai. Vorresti piangere, ma
solo le donne
piangono e tu sei un uomo, gli uomini affrontano il loro destino a
testa alta e
occhi asciutti.
Non puoi fare a meno di ricordare cosa ti ha detto il
medico che ti ha visitato.
“Vorrei trovare malformazioni, ma siete tutti sani,
ragazzi.
E tornerete malati, come orologi bloccati sempre alla
stessa ora, voi sarete sempre là nel fango
francese.”
Arrivate a Brighton e poi venite caricati su una nave diretta a
Dieppe, dal momento in cui ci metti piede senti di odiare il mare, non
fai
altro che vomitare per tutto il viaggio, ed è solo
l’inizio.
Da Dieppe inizia la marcia verso Verdun, alcuni dei tuoi
commilitoni sono tranquilli, altri hanno paura di venire bombardati. In
ogni
caso il sole è tornato a splendere e fa caldo con tutto
l’equipaggiamento e lo
zaino addosso.
Ogni giornata trascorre noiosa e faticosa, la marcia
sembra non finire mai e la notte crolli esausto nel sacco a pelo
Pensi che questo sia già l’inferno, ti sbagli:
questa è
solo la scala per l’inferno.
L’inferno ha un nome: Verdun.
Dopo qualche altro giorno di marcia arrivi a Verdun, è
una semplice cittadina francese, non ha certo l’aspetto di un
girone infernale,
ma il clima è strano. I pochi abitanti rimasti mormorano al
vostro passaggio,non
sai il francese, ma il tono è di pietà.
Usciti dalla cittadina vedete finalmente quello che sarà
il vostro inferno personale: le trincee.
Vi vengono consegnate le armi e siete assegnati ai vari
reparti, tu spari, lanci bombe e vieni assordato dalle granate.
Non ti è mai capitato nulla del genere, una luce che
arriva esplode e dietro di sé lascia solo morte e
distruzione.
Piano piano entra nei tuoi incubi insieme a un ticchettio
insopportabile, tuo nonno l’avrebbe chiamato
l’orologio della morte. Dice che
si sente solo quando la morte si sta avvicinando a te per portarti via,
implacabile.
Tu rifiuti quest’ipotesi e scrivi ad Annie dopo un mese,
cerchi di rassicurarla, ma quello che ha bisogno di essere rassicurato
sei tu.
Inizi a odiare la pioggia, il fango, il freddo e il
marciume, poi inizi a odiare le granate che uccidono e mutilano senza
pietà i
tuoi compagni e infine inizi a odiare i tedeschi, anche se
sai che probabilmente sono ragazzi esattamente come te che vorrebbero
essere a casa loro e non in guerra, che le lanciano e speri di
farne saltare in aria un po’ con il tuo equipaggiamento.
La risposta di Annie arriva dopo quasi due settimane,
dice che sta bene, che tuo nonno è ancora vivo
e la vita di paese scorre tranquilla, ti racconta persino
un paio di
aneddoti, infine ti scrive che è incinta.
Sorridi, forse non vedrai mai tuo figlio, ma sai che
c’è.
Poi all’improvviso qualcosa si guasta dentro la tua
mente, lo senti persino il “crack” che segna la
fine di tutto e che fa
ticchettare all’impazzata l’orologio della morte.
Tu non sei in guerra, questo è solo un dannato sogno, tu
sei ancora al tuo villaggio e ti sei addormentato all’ombra
di qualche albero,
troppo stanco per continuare a lavorare la terra.
Se sei in un sogno puoi fare di tutto, quindi ti lanci
oltre le trincee con il tuo mitra in mano e le bombe a mano. Inizi a
sparare
all’impazzata abbattendo più mangia patate che
puoi, vedi il terrore nei loro
occhi e ridi, ridi come un matto o come uno che non a più
nulla da perdere.
Finisci le munizioni e lanci le bombe a mano, ma a un
certo punto finiscono anche quelle e tu sei solo che fluttua davanti
alla
difesa nemica: un bersaglio facilissimo da colpire.
Te ne rendi conto troppo tardi e capisci che non è un
incubo quando la prima pallottola ti trapassa la gamba facendoti un
male
d’inferno.
Il resto è confuso, ti senti trapassato da mille
pallottole e all’improvviso il tuo mondo diventa buio, lavato
via dalla pioggia
e dal sangue che scorre copioso dalle numerose ferite.
Sei solo un altro numero nel conteggio dei morti, ora.
Il tuo ultimo pensiero va ad Annie e al bambino, forse
lui potrà imparare a riparare orologi, per il tuo ormai non
c’è più niente da
fare.
L’orologio Willy McBride si è fermato.
All’improvviso la voce
di Anne tacque e Willi si accorse
di avere brividi per tutto il corpo, nonostante la giornata fosse calda e
soleggiata.
Lui avrebbe voluto dirle qualcosa, ma lei si alzò di
scatto e lo invitò a seguirla, attraversarono il cimitero
per arrivare a una
certa tomba: quella di William – Willy – McBride.
“Willy McBride era il nostro bisnonno e questa è
la sua
storia. Ce ne sono centinaia come la sua narrate da queste croci
bianche, ma
nessuno le ascolta più ora mai perché pensano
tutti che gente morta cento anni
fa circa non abbia nulla da dire a noi.
Non è vero, loro hanno tanto da raccontare.
Ci parlano di una generazione perduta e sacrificata tutta
sull’altare delle ambizioni. Non importa la loro
nazionalità, era gente della
nostra età che a un certo punto si è ritrovata
con un fucile in mano e due
possibilità: usarlo e vivere o non usarlo e morire.
Molti non credevano nemmeno alle ideologie o alle bugie
raccontate loro dal governo, erano qui perché dovevano e non
si sono tirati
indietro.
E il loro sacrificio è stato vano perché ovunque
si
combattono ancora guerre e nessuno racconta più la loro
storia, le hanno
raggruppate tutte in una festività a cui nessuno crede
davvero.
Quello che tuo padre voleva farti capire è che Willy non
ha avuto scelta, ha buttato via la sua vita perché non aveva
altre possibilità,
tu invece stai sprecando la tua solo perché sei pigro.
Willy avrebbe voluto andare a scuola, tu la odi.
Non ti chiedo di amarla, ma di pensare solo un attimo
alla fortuna che hai.”
Rimasero un attimo in silenzio tutti e due, la brezza li
accarezzava gentilmente e faceva danzare i papaveri rossi nei campi
vicini.
“Sai, Liz… Credo che mi ubriacherò solo
una volta al mese
e ridurrò il mio numero di canne.
Mi piacerebbe dare una svolta alla mia vita, non sarò mai
un secchione, ma non sarò mai un fancazzista come prima.
Grazie di avermi raccontato la storia di Willy McBride.
Dovresti fare la scrittrice, sai?”
Lei arrossì e balbetto qualcosa.
Lui sorrise, adesso aveva capito perfettamente le
intenzioni di suo padre e non poté fare a meno di
ringraziarlo mentalmente
perché gli aveva impartito una lezione importante senza
fargli una predica e
gli aveva permesso di rivalutare sua cugina.
In fondo Liz non era la secchiona emo che credeva, forse
avrebbero potuto essere amici ora.
“Ehi, Liz! Quando torniamo a casa ti va di sederti al mio
tavolo a mensa?”
Lei sorrise.
“Sì, mi va. Grazie Will.”
Lui sorrise, era tutto a posto adesso.
Ora potevano tornare a Londra, portandosi la mano sul
cappellino verde che indossava salutò i verdi campi
francesi, i tulipani e il
suo bisnonno.
Era sicuro che in paradiso stesse riparando orologi.
Angolo di Layla
Ringrazio Stukas are coming per la recensione.