Un
grazie per essere arrivate fin qui
e
per aver intrapreso insieme a me
questa
avventura. Siete speciali!
Buona
lettura.
Disclaimer: I personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo senza scopo di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è puramente casuale e frutto della mia fantasia.
Speed dating
4) The end
Da quella
sera, dal nostro primo appuntamento, sono passati tredici mesi.
Edward ed io ci siamo frequentati per cinque mesi, poi le cose sono
cambiate: lui era sempre più impegnato col suo lavoro e io
col mio e
le occasioni per stare insieme erano diventate sempre meno. La
lontananza pesava ad entrambi e spesso finivamo col litigare. Nessuno
dei due era pronto per una convivenza, io non volevo chiudere il mio
studio a Forks e lui non voleva lasciare il suo posto a Seattle, e a
lungo andare abbiamo deciso di separarci.
È stata
una decisione presa in comune accordo, ma mentirei se dicessi che non
ho sofferto e che non soffro tutt'ora. È passato tanto
tempo, ma fa
ancora male. Edward mi manca da morire. Il nostro amore è
stato
intenso e meraviglioso, ma purtroppo le storie d'amore non sempre
hanno un lieto fine. Forse la nostra è iniziata in un
momento
sbagliato.
Qualche
settimana fa Alice mi ha detto che lei e Jasper hanno visto Edward in
compagnia di una bella donna. Quando sono andati a salutarlo lui non
ha detto niente, se non “Ragazzi, lei è
Amanda”. Ammetto di
esserci rimasta piuttosto male, ma a mente lucida – e col
cuore che
piangeva ancora di più – ho riflettuto sul fatto
che non stiamo
più insieme e che è giusto che si rifaccia una
vita. Anche a me è
capitato che mi chiedessero di uscire, ma il fatto che non abbia mai
accettato non significa niente.
Anche io ho
delle novità: il mese scorso ho finalmente lasciato Forks
per
trasferirmi a New York, dove ho aperto un altro studio di fotografia
e sono orgogliosa di dire che gli affari mi vanno piuttosto bene.
Sono già stata contattata da diverse agenzie di moda per dei
servizi
fotografici, così come mi hanno contattata delle riviste di
moda.
Credo che in tutto questo ci sia lo zampino di Alice nonostante lei
continui a dire che non ha fatto niente, se non pubblicare le foto
che ho fatto per lei sul suo sito internet e parlare bene di me a due
o tre persone.
Lei e
Jasper convivono da un paio di mesi e presto convoleranno a nozze. Il
23 marzo, per l'esattezza. Mi ha portata da Kleinfeld assieme a sua
madre e la sua futura cognata. Sarò la sua damigella d'onore
e so
che Edward sarà il testimone di Jasper. Un po' mi spaventa
sapere
che dovrò rivederlo entro breve, ma credo di dovermi fare
coraggio
per la mia migliore amica.
La sveglia
suona alle sei e cinquanta. Oggi devo scattare alcune foto ad una
cerimonia d'apertura di una clinica pediatrica per la rivista Journal
of the American Medical Association. Da quanto ho sentito
dire ci
saranno anche alcune importanti riviste d'oltremare per questo
evento. In più dovrò scattare un paio di foto al
proprietario della
clinica accompagnata dal giornalista che affianco. La segretaria
dell'AMA – una simpatica cinquantenne
dall'udito non più
infallibile come un tempo – mi ha detto che questo giovane
medico
si chiama Edwin Carter. Ho provato a googlarlo, ma l'unico Edwin
Carter che ho trovato è stato un naturalista morto nel 1900.
Mi faccio
una doccia veloce e mi preparo una tazza di caffè, pane
tostato con
burro e marmellata e mi vesto. Ho un po' di lavoro da sbrigare allo
studio prima di andare alla clinica, devo finire di preparare
il book
fotografico per un'aspirante modella Maria Moreno, una ragazza di
origine messicane molto carina. Sono sicura che farà strada.
Stampo le
ultime foto e completo il book. Sto per scrivere una email a Maria
quando il telefono squilla.
«Studio
fotografico, buongiorno»
«Bella,
sono Alice»
«Ehi,
ciao!» sono contenta di sentire la mia amica, in questi
giorni non
ci siamo parlate molto perché è impegnata con la
creazione degli
ultimi capi per la sua nuova linea di moda, «Tutto
bene?»
«Sì,
se non per il fatto che mi manca una modella,» sbuffa,
«e non so
dove diamine trovarne un'altra. Nettie si è beccata la
mononucleosi!
E questo è periodo di sfilate, non riuscirò mai a
trovare una
sostituta»
Abbasso
lo sguardo sul book e mi viene un lampo di genio.
«Ce
l'ho io una modella per te! Si chiama Maria Moreno, è una
ragazza
molto bella. Non è una modella vera e propria, anzi, diciamo
che non
ha mai propriamente fatto qualcosa. Ma io le ho fatto un book
fotografico»
«Bella!
Come posso prendere una alle prime armi?»
«Ha
del potenziale,» la rassicuro, «almeno contattala
per un colloquio
e poi decidi. Ti mando immediatamente una mail con i suoi scatti
migliori e il suo contatto»
«D'accordo.
Quando vai a quella inaugurazione?»
Guardo
l'orologio, sono le nove e mezza.
«Alle
dieci e mezza il giornalista mi passa a prendere da qui. Ma tu hai
idea di chi sia questo Edwin Carter? La segretaria dell'AMA
mi
ha detto che è famoso, ma su Google non esiste»
Per
un po' non apre bocca, è come se avesse riattaccato.
«Edwin
Carter? No, mai sentito nominare. Ora devo andare, mandami le foto
della ragazza… ciao!» dice d'un fiato e riattacca.
Alice
Brandon, chi la capisce è bravo.
Continuo
a lavorare ancora un po' finché un uomo affascinante non
entra nel
mio studio.
«Salve,
come posso esserle utile?» lo saluto cordialmente.
«Sono
James, il giornalista dell'American
Medical Association.
Tu sei
Isabella Swan?»
«In
persona,» rispondo con un sorriso e guardo l'orologio,
«è in
anticipo»
«Se
arriviamo prima forse riesco ad avere la mia intervista prima degli
altri,» mi spiega brevemente, «lei è
pronta?»
«Certo,
giusto il tempo di prendere la borsa con la macchina fotografica. E
chiamami Bella»
Ci
avviciniamo alla sua auto e toglie l'allarme. Non si disturba ad
aprirmi la portiera e penso che Edward al suo posto l'avrebbe fatto.
Edward… chissà come sta. Da dopo la nostra
rottura non ho avuto
più sue notizie, se non quella della sua nuova e presunta
relazione
con questa Amanda. Durante il viaggio non parliamo molto, ha sempre
fatto delle grandi telefonate a destra e manca. Diciamo che non
eccelle in fatto di educazione.
«Allora…
questo Edwin Carter è molto famoso?» gli domando
per fare
conversazione.
«Chi?»
«Edwin
Carter, il proprietario della clinica» dico con fare ovvio.
James
mi guarda come se fossi una specie di alieno strambo prima di
scendere dalla sua jeep. Decisamente un gran maleducato.
«Non
esiste nessun Edwin Carter,» mi informa posizionandosi in una
sedia
vicino al palco, «il dottore si chiama Edward
Cullen»
A
sentire quel nome sbianco.
«N-non
è possibile,» balbetto, «deve esserci un
errore. La signora Amanda
mi ha detto che il dottore si chiama Edwin Carter»
«Evidentemente
la signorina Coope deve aver capito male. Sai che
novità,» ribatte
seccato, «che ne dici di preparare le tue cose ora?»
In
questo esatto momento la mia voglia di scappare supera quella di
mettermi a lavorare, ma non posso farlo, non mi posso permettere una
cattiva pubblicità. E poi nessuno capirebbe. Mi è
capitato di
sognare qualche volta di incontrare di nuovo Edward, ma un conto
è
pensarlo nella propria mente, un altro è che accada sul
serio.
Sospiro,
metto al collo la mia macchina fotografica e aspetto. Pian piano la
gente prende posto. Ogni due minuti guardo l'orologio e quando si
avvicina il momento dell'inizio inizio a sudare. Non sono pronta,
decisamente no.
Il
brusio che si forma mi fa capire che sono arrivati. Volto lo sguardo
e vedo Edward salire sul palco con il sindaco De Biasio, Carlisle e
il primario Jenks, del Metropolitan
Hospital Center.
Jenks,
Carlisle e Edward si accomodano sulla sedia e quest'ultimo quando
guarda la folla mi riconosce. È sorpreso quanto me di
vedermi, poi
fa l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata: mi sorride.
Ricambio
il suo sorriso da farfalle nello stomaco con uno mio scialbo e poi
comincio a lavorare.
«Miei
cari concittadini, sono lieto di vedervi qui quest'oggi,» ci
saluta
il sindaco, «per anni abbiamo sognato una clinica che fosse
specializzata nella pediatria e finalmente questo giorno è
arrivato.
Il dottor Cullen e il dottor Jenks hanno deciso di collaborare per
aiutare i bambini che hanno bisogno delle cure dei migliori dottori.
È con mio grande piacere che ora cedo la parola ad dottor
Edward
Cullen»
Abbasso
la mia macchina fotografica per guardare l'elegante camminata di
Edward, ma scatto alcune foto quando lui e il sindaco si stringono la
mano. Giunto davanti al leggio, Edward inforca un paio di occhiali da
lettura e sorride.
Quegli
occhiali non glieli avevo mai visti prima e gli stanno benissimo.
È
ancora più bello di quando ci siamo lasciati.
«Buongiorno
a tutti. Per prima cosa ringrazio il sindaco De Biasio e il dottor
Jenks per essere qui. Era da mesi che si pensava a questo progetto e
finalmente ora si è compiuto. Ci sono tantissimi bambini in
tutto il
mondo che ogni giorno contraggono malattie sconosciute alla medicina
e spesso incurabili. Quello che Jason ed io vogliamo non è
solo
curare i nostri piccoli amici da un semplice raffreddore o da una
scarlattina, è anche riuscire a trovare una cura per i
più
sfortunati, per far vivere loro una vita normale»
Il
discorso di Edward dura per altri cinque minuti ed è davvero
toccante. Ho fatto fatica diverse volte a scattare le foto per colpa
delle lacrime agli occhi. Quando ha terminato di parlare ho
applaudito più forte che ho potuto, mi ha davvero commossa.
L'ultima
foto che scatto qui fuori è il taglio del nastro rosso
attaccato
alla porta d'ingresso della clinica, dopodiché entriamo.
James è
abbastanza seccato per non essere riuscito ad avere prima la sua
intervista, io sono preoccupata al pensiero di dovermi trovare in una
stanza con lui.
Ci
accomodiamo in una sala d'attesa mentre aspettiamo il nostro turno
con altre sette persone. Poco dopo Carlisle compare nella mia
visuale.
«Bella!»
mi saluta avvicinandosi.
«Carlisle,
ciao» lo saluto a mia volta sorridendogli.
Mi
abbraccia e questo gesto fa voltare diverse persone. Impiccioni.
«Per
quale rivista lavori?» mi domanda con interesse.
«Per
oggi per la AMA. Continuo ad essere una fotografa freelance»
«E
come ti vanno gli affari?»
«Sorprendentemente
bene. Esme come sta?»
«Sta
bene, ma come sempre è indaffarata nel suo lavoro. Sai,
l'altra sera
stavamo giusto parlando di te. Sarà contenta di sapere che
sei bella
come ti ricordavamo,» mi adula e arrossisco, «Rose
è incinta»
«Le
mie congratulazioni! Siete contenti di diventare nonni?»
«Molto,
non vediamo l'ora,» dice e poi guarda l'orologio,
«ora devo andare.
Mio figlio non credo abbia più bisogno di me e io ho un
aereo da
prendere. Mi ha fatto piacere vederti e se mai dovessi capitare a
Seattle vienici a trovare, Esme sarebbe molto felice di
vederti»
«Lo
farò senz'altro. A presto, Carlisle»
«A
presto, cara»
Si
allontana e torno a sedermi.
«Conosci
Carlisle Cullen?» mi domanda James con interesse.
«Sì»
rispondo secca.
«E
come mai?» chiede ancora, ma evito di rispondergli. Mi alzo e
vado a
prendere un caffè nel bar dall'altra parte della strada. Ho
tutto il
tempo del mondo, saremo gli ultimi a intervistare Edward. Torno
indietro dopo mezz'ora e venti minuti dopo è il nostro turno
di
entrare. Spero di finire in fretta, ho una gran fame, devo andare a
lavorare e soprattutto ho il terrore di passare tanto tempo dentro
quella stanza.
«Allora,
Isabella, adesso entro io e quando ti chiamo vieni a fare le foto. Va
bene?» mi dice James e lo guardo sorpresa.
«Non
mi era stato detto che avrei dovuto aspettare qui fuori»
replico con
stizza quando in realtà vorrei solo ringraziarlo per il suo
volermi
tenere lontana da lui.
Mi
dice qualcosa che non capisco, poi entra e mi lascia sola. Ne
approfitto per ascoltare eventuali messaggi nella segreteria
telefonica del mio studio e per guardare le foto che ho scattato. Un
po' di tempo dopo vengo chiamata dentro per svolgere la seconda parte
del mio lavoro. Appena metto piede dentro la stanza, Edward si
avvicina sorridendomi. Visto da vicino è ancora
più bello.
«Ciao,
Bella,» mi saluta con la sua voce suadente, «ti
trovo bene»
«Ti
ringrazio, Edward,» rispondo, «anche tu»
Non
riusciamo ad aggiungere altro perché James subito comincia a
dettare
ordini: spiega come vuole che siano le foto, il tipo di luce che
vuole che sia usata e tutte quelle cose che competono con il mio
lavoro, come se io non ne sapessi niente. Alzo gli occhi al cielo e
becco Edward che si trattiene dal ridere.
In
una mezz'ora finisco, ma è stata davvero dura. James ha
voluto
controllare che ogni singolo scatto fosse venuto alla perfezione. Ho
visto che ha un anello al dito, mi chiedo chi sia quella santa che lo
sopporta.
«Dottor
Cullen, è stato un piacere incontrarla» lo saluta
il mio neo ex
collega.
«Anche
per me» ribatte il mio ex fidanzato con gentilezza.
«Isabella,
andiamo?»
«Sì,
un momento,» rispondo a James e mi avvicino a Edward,
«ti faccio le
congratulazioni per il discorso di oggi, è stato molto
toccante. E
anche un in bocca al lupo»
«Ti
ringrazio. Sai, ho pensato sul serio ogni singola parola che ho
detto»
«Sì,
non lo metto in dubbio,» replico, «ti
conosco»
Ci
sorridiamo e prendo il mio zainetto con dentro l'occorrente della mia
macchina fotografica. Lo saluto con un cenno della mano e gli do le
spalle. James apre la porta ed esce prima di me. Alzo gli occhi al
cielo per la sua poca conoscenza del bon ton.
«Bella,
aspetta!» mi chiama Edward uscendo anche lui dalla stanza,
«Ti
accompagno io»
«Come?
Cosa?» domando sorpresa.
«Ti
accompagno io dovunque tu debba andare»
«Ecco,
io…»
«Ti
prego,» mi implora e mi mordo il labbro inferiore. Mi volto
verso
James e sto per parlare, ma lui mi precede, «accompagno io
Isabella
a casa»
James
annuisce senza problemi e con un cenno del capo ci saluta e se ne va.
Traditore.
«Sicuramente
sarai sommerso di lavoro, non c'era bisogno di disturbarsi»
gli
dico.
Scrolla
le spalle e si infila il giubbotto.
«A
dire il vero non ho niente da fare, se non cercare la mia nuova
casa,» replica sorridendo, «allora, cosa prevede la
tua agenda
oggi?»
«Lavoro,
lavoro e ancora lavoro» lo informo alzando le spalle e lui
ride.
Subito
dopo essere usciti dalla clinica mi prende la borsa della macchina
fotografica e si mette la tracolla sulle sue spalle.
«Accidenti,
ma pesa un macigno! Non ti è mai venuto male alla
schiena?»
«Sì,
ma ormai ci ho fatto l'abitudine,» rispondo con naturalezza,
«mi
piace talmente tanto il mio lavoro che lo faccio senza problemi,
incluso portare pesanti attrezzature»
Ci
mettiamo in macchina – Edward mi apre la portiera come ha
sempre
fatto – e ci immergiamo nel traffico di punta newyorkese.
«Niente
pranzo?» mi chiede.
«Pensavo
di fermarmi al cinese di fianco al mio studio e di mangiare qualcosa
mentre lavoro»
Si
umetta le labbra, poi le arriccia.
«Sono
troppo invadente se ti chiedo di farti compagnia?» propone e
sgrano
gli occhi sorpresa.
«Dici
sul serio?»
«Sì,
se per te va bene»
Annuisco
entusiasta. Per me va più che bene.
Ci
fermiamo al ristorante dei coniugi Chang, ordiniamo i nostri piatti e
poi lo invito nel mio studio. Inutile dire che non mi ha lasciato
tenere nemmeno la sporta con il nostro pranzo. Improvvisamente mi
sembra di essere tornata indietro nel tempo.
Si
guarda intorno mentre io sgombero la mia scrivania e apparecchio. Il
mio intento è di mangiare lì, ma poco dopo ci
ritroviamo a seduti
sul pavimento e in giro per la stanza per mostrargli alcune foto che
ho scattato. Non ho perso l'abitudine di attaccare le fotografie
sulle pareti. Dietro la mia scrivania c'è una parete dove ci
sono le
foto con i miei amici e tra tutte nota la nostra, dove siamo
abbracciati.
Lo
guardo imbarazzata senza sapere realmente cosa dire.
«Questa…»
«L'abbiamo
scattata quando siamo andati a Las Vegas con Emmett e
Rosalie» dice
al mio posto.
«È
la mia preferita» ammetto con un sussurro e lui annuisce.
«Non
ho mai pensato che potessi avere una nostra foto appesa»
Abbasso
lo sguardo e mi gratto il naso.
«È
stata la prima foto che ho attaccato,» confesso,
«ogni foto che c'è
qui mi ricorda un'emozione diversa»
«E
questa che emozione ti provoca?» mi chiede avvicinandosi.
«Emozioni
positive e negative. Positive perché è un ricordo
felice, ma anche
negative perché…»
«Perché
dopo non sei più riuscita a sentirti completa?» mi
interrompe e me
lo trovo troppo vicino.
Una
parte di me mi urla che dovrei allontanarlo, ma io non voglio.
Annuisco e lo guardo mentre mi sfila dalle mani il contenitore dei
miei spaghetti di soia alle verdure.
«Mi
manchi, Bella. Mi manchi tantissimo,» mi confessa afferrando
entrambe le mie mani, «in tutto questo tempo senza averti
accanto
non ho vissuto. Mi è sempre mancato qualcosa… mi
sei sempre
mancata tu. Ti amo, Bells,» sgrano gli occhi, «non
ce lo siamo
detti spesso. Abbiamo avuto non pochi problemi per la distanza, ma
ora tu sei qui a New York e ci sono anche io. Se anche tu tieni a me
come io tengo a te potremmo ricominciare»
Questo
è decisamente il tipo di conversazione che non mi sarei mai
aspettata di intavolare.
Tiro
su col naso e lo abbraccio. Mi è mancata tanto la sensazione
di
sicurezza che ha sempre saputo darmi.
«Ti
amo anche io. Ho sempre continuato ad amarti» gli dico tra le
lacrime.
I
suoi occhi brillano e si abbassa per baciarmi, lo stringo a me e
rispondo al bacio con passione. Indietreggiamo finché non mi
trovo
con le spalle al muro.
«Devi
lavorare» sussurra mentre scende a baciarmi il collo.
«Lavorerò
dopo. O domani. Non fermarti» lo prego.
Le
mie mani raggiungono la sua camicia e la tiro fuori dai pantaloni, la
sbottono e gliela sfilo. La mia maglietta la raggiunge poco dopo. La
passione ci travolge e ci ritroviamo a fare l'amore sulla mia
scrivania.
Ora
che siamo nella stessa città sono sicura che tutto
andrà per il
verso giusto.
***
Ventidue
mesi dopo
«Isabella,»
Edward entra dentro al mio studio come una furia, «che
diavolo ci
fai tu qui?»
«Ciao,
amore,» lo saluto sorridendogli, «sono venuta a
controllare una
cosa»
«Non
dovresti farlo. Non dovresti muoverti. Ti è stato ordinato
di
rimanere a letto»
«Consigliato,
non ordinato. C'è una gran bella differenza»
Se
fosse possibile farebbe uscire le saette dagli occhi.
«Te
lo ordino io!»
«Tu?
E chi diavolo ti credi di essere?» replico mettendo le mani
sui
fianchi e inarco le sopracciglia. Ora comincio ad arrabbiarmi anche
io.
«Sono
tuo marito, il tuo signore e padrone»
«Questa
è bella!» esclamo, «Non credevo di aver
firmato una qualche
clausola di sottomissione quando ci siamo sposati»
«No?
Beh, ora lo sai»
«E
allora io chiedo il divorzio»
«Non
te lo permetto»
«Non
puoi comandarmi!»
«Posso
e lo farò. Ti stai comportando come una bambina»
«E
cosa pensi di fare? Punirmi?» lo sfido.
«Decisamente
sì. Dovrei sculacciarti» replica mostrandomi il
palmo della sua
mano.
Stringo
le gambe tra di loro. Accidenti, ora sono eccitata da morire.
La
porta alle mie spalle si apre e Vanessa, la mia pupilla, entra nella
stanza.
«Bella,
Caius Volturi vuole sapere se sei sempre disponibile per quel
servizio fotografico sui bikini»
«No,
non lo è» risponde Edward al mio posto.
«Invece
sì, lo sono» dico indispettita.
«Allora
verrò anche io»
«No!»
urlo, «Tu non verrai. Non ti permetterò di andare
in un luogo dove
decine di modelle molto più magre e sexy di me possono
tentare di
sedurti. Non esiste»
Accenna
un sorriso e mi si avvicina.
«Nessuna
modella dalla taglia trentasei potrebbe essere più sexy di
te. Io ti
amo e per me sei sempre bellissima»
«Modelle
dalla taglia trentasei? Mi stai dando della grassa?» replico
sgranando gli occhi.
Intreccia
le nostre mani e mi massaggia i palmi con i pollici. Questo gesto mi
ha sempre rilassata.
«Non
dire sciocchezze, tu sei bellissima. Sei la donna più bella
del
mondo»
«Anche
se sembro una mongolfiera?»
«Porti
in grembo la mia bambina, cosa potrebbe esserci di più
sexy?» mi
chiede e senza attendere una risposta si china per baciarmi e lo fa
con tanta, tantissima lingua, «Il mese scorso ci siamo presi
un
bello spavento, ho solo paura che possa succedervi qualcosa»
«Ma
ora stiamo bene ed io ho bisogno di lavorare» piagnucolo.
«Mi
posso permettere di occuparmi di voi per il momento»
«E
quando tornerò a lavorare? Cosa accadrà se nel
frattempo dovesse
venire fuori qualche altro studio pronto a soffiarmi i miei
contratti?»
«Avresti
sempre e comunque Alice per i servizi fotografici e me per la
clinica. Anche se preferisco averti al mio fianco per quelle serate
come moglie e non come fotografa. E poi Ness è
più che pronta a
sostituirti per un po'. L'hai istruita alla grande e sono sicuro che
sarà una perfetta sostituta. Almeno per quest'ultimo mese
non
stressarti, ti scongiuro. Lascia a lei il comando e tu pensa a
sfornare il mio primogenito»
Mi
metto a ridere porto le braccia dietro al collo di mio marito.
«Nessuno
rovina un discorso meglio di te» lo prendo in giro.
«Il
mio intento era farti ridere e ci sono riuscito,» replica
sorridendo
nella maniera che a me piace tanto, «e ora sei pronta a
tornare a
casa, signora Cullen?»
«Con
te andrei anche in capo al mondo, signor Cullen»
FINE… ?
«Però
dopo aver partorito voglio
tornare subito a lavorare!» preciso.
Edward alza gli occhi al cielo e mi fa
accomodare in macchina.
«Sei così testarda!» dice esasperato.
«Non è vero, semplicemente porto avanti
i miei ideali»
«Dopo che avrai dato alla luce la nostra
bambina, Bella, dovrai aspettare qualche mese prima di tornare a
lavorare. La piccola avrà bisogno di te per
nutrirsi»
«Stai
dicendo che sarò io quella che dovrà occuparsi di
Jane mentre tu
farai la bella vita?»
«Non farò la bella vita, amore,
lavorerò per mantenere un tetto sopra le nostre
teste»
Incrocio le braccia sotto il mio enorme
seno da gravida e lo guardo male.
«Stai per caso insinuando che io non
sarei in grado di mantenervi?»
«Non ho mai detto niente di tutto
questo,» ribatte sospirando, «perché non
vuoi che mi prenda cura
di voi?»
«Perché Jane ed io siamo in grado di
badare a noi stesse»
Scuote la testa sempre più esasperato.
Forse dovrei dirgli che ha ragione e che tornerò a lavorare
solo
quando nostra figlia sarà abbastanza grande, ma mi sto
divertendo un
mondo a punzecchiarlo.
«Sei peggio di una bambina»
«Una bambina indisciplinata,» annuisco
guardandolo con malizia, «molto indisciplinata»
«Sai cosa
spetta ad una bimba disobbediente come te?» dimmi
che è una sculacciata, ti scongiuro,
«questo» dice alzando la mano e per la seconda
volta mi mostra il
palmo.
Santo cielo, sì!
Appoggio una mano sulla sua coscia e lui
si irrigidisce. In quest'ultimo periodo sono diventata una specie di
ninfomane, ma la cosa non sembra dispiacergli molto. Anzi, proprio
per niente.
Parcheggia nel primo posto libero davanti
a casa nostra, mi aiuta a scendere dalla macchina e poi mi ci fa
appoggiare.
«Sei la persona più zuccona che io
abbia mai conosciuto,» dice baciandomi la guancia,
«assolutamente
testarda,» adesso mi bacia il collo, «e ti amo
così tanto» mi
strizza una natica e mi lascio sfuggire un gemito.
Lucy, la
vecchia rompiscatole che abita di fronte a noi, passeggia col suo
cane e ci guarda disgustata. La sento borbottare qualcosa contro di
noi, qualcosa tipo “Questi
giovani screanzati non sanno più cosa sia il decoro!”.
Edward chiude l'auto e mi prende in
braccio.
«Ma cosa fai?!» urlo scoppiando a
ridere.
«Ora il tuo maritino sexy ti illustrerà
i vantaggi di rimanere a casa da ora fino a quando la nostra piccola
Jane non incomincerà ad andare all'asilo. Sono sicuro di
convincerti»
Oh sì, ne sono più che certa.
THE END
Angolo
autrice
Ciao, ragazze!
Chiedo scusa per aver risposto tardi alle
vostre recensioni e per aver postato in ritardo di un giorno, ma
questa settimana è stata a dir poco infernale.
Dunque, questo è l'ultimo capitolo.
Come ho scritto all'inizio, voglio
ringraziarmi di cuore per aver letto Speed dating e
per essere
arrivate fino alla fine. Non so se questo è il finale che
speravate,
o se immaginavate qualcos'altro (in tal caso, mi farebbe davvero
piacere saperlo), ma io sono soddisfatta. Certo, ci sono alcune
domande che non avranno mai risposta, come per esempio come
è
stato il primo incontro con Rosalie e Emmett?, oppure chi
cavolo è Amanda? All'inizio volevo inserirla, ma
poi ho
realizzato che non era così importante come personaggio.
Poteva
essere semplicemente una vecchia amica, una compagna di scuola o di
college, la mamma di un suo paziente, una donna incontrata per caso
al parco, oppure ad uno speed dating… chi può
dirlo con certezza?
Questo lo lascio immaginare a voi. ;)
Spero di tornare presto con un'altra
storia. Di idee ne ho tante, ma sono davvero impegnata con
l'università.
Nel frattempo (e ora mi faccio un po' di
pubblicità) ho gli ultimi EPOV di I
wish that I had Jamie's girl
da pubblicare, storia che fa parte della serie Hold
me, kiss me
and never let me go.
Un bacio a tutte!
Giulls