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Autore: Mokusha    04/02/2014    4 recensioni
[Raccolta di OS, DallasBuyersClub!Verse]
Il freddo era una sensazione persistente, da quel giorno.
Non se ne andava mai.
OS 1 - Disfigured. Destroyed. Damned. Dead.
OS 2- The soul underneath the skin.
OS 3 - Little ray of sunshine
OS 4 - Take ne to church
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Okay, salve a tutti.
Quando ho pubblicato il primo capitolo di questa raccolta, più di un anno fa, non avrei mai immaginato che mi capitasse di scrivere qualcos'altro su Jared/Rayon.
Ma dopo aver visto il film, sia in lingua originale che doppiato, non ho potuto farne a meno, ed è nata anche questa one shot, che ho deiso di aggiungere qui.
Ringrazio, con tutto il mio cuore, chi ha recensito la prima, mi ha fatto davvero piacere leggervi, e spero di ritrovarvi anche qui.
Un abbraccio!

 
The Soul Underneath The Skin



* * *



 
"Ray.”
Non riesco a respirare. Non ci riesco.
I bottoni della camicia si chiudono sulla mia gola. Sembra quasi vogliano soffocarmi. Stringere i miei respiri fino ad ucciderli.
Fino ad uccidere me.
La giacca pare pesare una tonnellata. Vuole sbriciolarmi. Farmi piegare al cospetto di una menzogna. O forse è solo la realtà? 
“Ray.”
Questi vestiti mi uccideranno.
Questo corpo mi ucciderà.
Sono in trappola.
“Ray.”
Soffoco. La mancanza di ossigeno mi intontisce. I pensieri sono così annebbiati.
La sua vergogna mi schiaccia. Si insidia nella mia anima, nel mio cuore.
Stringe in una morsa feroce la bocca del mio stomaco.
Pesa, sulle mie spalle, aggiungendosi agli altri macigni, facendole curvare ancora di più.

“Rayon.”

La sua voce è un sussurro delicato, mentre pronuncia a fior di labbra il mio nome.
Il nome della mia anima.
Raymond è l’involucro.
L’involucro sbagliato in cui mi sono costretto ad entrare di nuovo. Per l’ultima volta.
Rayon è la mia anima.
“Rayon.” ripete, di nuovo.
Lei è sempre così delicata con me.
Così attenta.
Come se il minimo urto potesse spezzarmi.
Volto la testa verso di lei.
Ho le mani appoggiate al tavolo, mentre cerco di riprendere fiato.
Lei mi si avvicina.
Mi tocca la schiena con una mano.
Piano.
“Stai bene?”
Con l’altra mi accarezza.
Le punte delle sue dita sfiorano la pelle del mio viso. Sembra quasi abbiano timore di strapparla.
Mi guarda negli occhi.
Indaga.
Indaga sempre.
Assorbe tutte le mie emozioni.
La vedo cogliere ogni singola sfaccettatura del mio sguardo, vacillare sotto il peso dei miei sentimenti, uniti ai suoi.
Ma non cede.
Non cade.
Mi lascia tutto lo spazio nel suo cuore, nella sua anima, mi lascia entrare completamente quasi sacrificando sé stessa per lasciare posto a me.
Mi bacia una tempia sudata.
Sudore, segno del veleno che mi sporca il sangue. Sudore della morte che è così vicina che ormai posso quasi sentire il suo alito freddo sul mio collo, che è quasi riuscita ad afferrarmi e dalla quale vorrei scappare ma non posso.
Sono riuscito a scappare dal mio corpo, ad ingannarlo, ma non posso più fuggire adesso, anche se vorrei così disperatamente farlo.
Ma almeno la morte esaudirà le richieste d’aiuto che sono state pronunciate per me, e porterà sollievo laddove ora regna la vergogna.
E forse riuscirà a rattoppare i buchi delle mie ali spezzate e mi permetterà finalmente di volare.
Come una farfalla.
Bianca. Pura.
O dai milioni di colori.
O come un angelo.
“Rayon. Vieni.”
Come ogni volta in cui mi infilo a forza la pelle di Raymond, e mi costringo a mentire a tutti, soprattutto alla mia anima, mentre lo specchio mi ride in faccia mostrandomi una realtà senza pietà, perdo il controllo di me stesso.
E’ come se l’anima cercasse di fuggire via da quella pelle così estranea che eppure è quello in cui sono nato, e mi osservasse da fuori.
E io vorrei seguirla, seguire l’anima.
Riesco a vederla disperarsi, tormentarsi. Riesco a sentirla.
Eppure rimango intrappolato nella pelle. Nell’involucro.
“Vieni” ripete.
Non è difficile per lei guidarmi verso il letto.
Mi sostiene, durante quei pochi passi.
Ha paura che crolli, vede le mie spalle curvate sotto quel peso immane.
Si siede vicino a me. Mi prende il viso tra le mani.
Cerca i miei occhi.
“Stai bene?”
Annuisco, automaticamente.
Le mento.
Lei accoglie la bugia, senza indignarsi.
La comprende.
“Sono sbagliato.” sussurro. “Tutto sbagliato.”
Le mie labbra secche si riempiono di crepe, pronunciando quelle parole.
Lei scuote violentemente la testa.
“No.” afferma, decisa. “Questi vestiti sono sbagliati. Toglili.”
Rimango immobile.
La giacca continua a pesare, la camicia continua a soffocarmi.
Non oso muovermi.
Lei si sposta, dietro di me, in ginocchio.
Fa scorrere le dita sulla linea delle mie spalle. Le infila sotto il colletto della giacca, e me la fa scivolare di dosso. La schiena duole come se fosse stata liberata da un blocco di cemento.
Mi sfugge un sospiro.
Chiudo gli occhi. Trattengo la smorfia di dolore, fisico ed emotivo, in cui il mio viso vorrebbe disperatamente contorcersi.
Mi passa un braccio attorno al petto, stringendomi contro il suo.
Vuole farmi percepire la sua presenza.
Il suo calore.
Continua a tenermi premuto a sé, mentre con la mano libera scioglie i bottoni dalle asole della mia camicia.
Mi sta spogliando.
Non come una donna spoglierebbe un uomo.
Mi sta spogliando come se spogliasse un’anima.
Riprendo a respirare.
Ora è faccia a faccia con il mio scheletro.
Ma chissà cosa ci vede.
Vorrei vedere attraverso i suoi occhi.
Anche se lei mi ringrazia sempre per averle mostrato la vita attraverso i miei,
“Va tutto bene.” bisbiglia “Tutto bene.”
Prende la mia vestaglia, me la infila.
E’ così morbida e calda rispetto a quella completo così poco confortevole.
Prende un foulard.
Mi copre i capelli, e me lo annoda sulla testa.
“Vedi?” dice, guardando i nostri riflessi nello specchio. “Non c’è niente di sbagliato.”
Si stringe ancora di più a me,  posa la guancia contro la mia.  Mi abbraccia, da dietro, incrociando i polsi sul mio petto.
Glieli stringo tra le mani.
Non mi ha mai trattato come se fossi sbagliato.
Non mi ha mai trattato come un uomo.
Non mi ha mai trattato come una donna.
Mi ha sempre trattato come se fossi un’anima.
La più fragile, impalpabile, pura parte dell’essere.
La sintesi dell’essenza.
“Vorrei davvero che mi dicessi cosa ti provoca tutto questo dolore. Posso immaginarlo. Ma vorrei davvero capire di più. Vorrei…”
Vorrei che ti amassi come ti amo io.
Ma questo non lo dice.
Queste parole le trattiene, eppure sono perfettamente comprensibili.
Posso percepirle.
Perché lei mi ama.
Non ho mai capito che parte di me ami. Chi o cosa.
Se Raymond o Rayon.
Se l’involucro o la menzogna.
Lei vorrebbe che mi amassi come mi ama lei, e io vorrei amarla come mi ama lei.
“Hai paura?”
Scuoto la testa, e non è una bugia, stavolta.
“No. Sono solo dispiaciuto.”
Annuisce, mesta.
Lotta contro i suoi occhi, no vuole che diventino lucidi.
“Mi piace vivere, se sono me stesso.”
“Lo so.” sussurra.
“Tu hai paura?”
Annuisce di nuovo. Chiude gli occhi stavolta. Non vuole piegarsi alle lacrime.
“Di perdere te.”
Perché lei mi ama.
Ama tutte le mie persone.
Involucri, menzogne, verità, scelte.
Non riuscirebbe a vedere niente di sbagliato, nemmeno se lo volesse.
Ama l’anima fatta di tante anime.
L’anima sotto la pelle.

 
   
 
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