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Autore: EllieMarsRose    11/02/2014    1 recensioni
[The Quireboys]
[The Quireboys][The Quireboys]Blu; il colore profondo di quegli occhi che osservano il mondo. Che vedono la vita dispiegarsi in un modo odioso, a tratti inaccettabile.
Spike si separa dal suo grande amore e sembra non volersi più appassionare a nulla.
Ma i suoi amici gli insegneranno a rimanere a galla, nonostante la vita voglia a tutti i costi voltargli le spalle.
...
Spike guardò l'amico ravvivarsi i capelli rossi: «Leah mi diceva sempre che l'essenziale è invisibile agli occhi»
«Aveva torto» Tyla si rigirò fra le mani la bottiglia di Chardonnay «io l'essenziale l'ho sempre trovato qui dentro»
(cit. capitolo #5 "Pianto")
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Guy e Nigel si scambiarono uno sguardo complice, guardando il candidato numero uno uscire dalla cantina della casa del bassista. Sospirarono rassegnati e scossero il capo; d'altra parte, quando si trattava di scegliere un nuovo membro per il gruppo, il primo che si presentava non era mai quello giusto, qualsiasi ruolo dovesse ricoprire. «No, eh» disse Nigel passandosi una mano fra i capelli.
«Mi sa che è meglio aspettare domani e vedere il prossimo» Guy guardò Spike di sottecchi e mimò l'azione di cacciarsi due dita in gola.
Il cantante ridacchiò e si sfilò la bandana viola, sciolse il nodo e la aprì, guardando i disegnini bianchi che si dispiegavano in modo regolare sul tessuto; non appena distoglieva la mente da qualcosa che lo teneva più che impegnato, come le audizioni che avevano appena terminato, il suo pensiero finiva naturalmente sul ricordo di Leah. Guy guardò la sua espressione mutare in pochi secondi, rabbuiarsi ed indurirsi; la bocca si contrasse e gli occhi blu si velarono di una pellicola scintillante. Spike alzò lo sguardo e si rimise frettolosamente la bandana: «Vado a casa ragazzi».
I due non dissero nulla; sapevano benissimo cosa stava andando a fare il cantante. Lo salutarono con un fugace cenno della mano ed iniziarono a riordinare la sala.
Spike salì le scale e si diresse a passo lento verso la stazione della metropolitana di White City, con l'umidità che lo prendeva sotto braccio e gli gonfiava i capelli, arruffandoglieli e rendendoli appiccicosi. Teneva gli occhi blu fissi sull'asfalto che scorreva sotto i suoi stivali; ogni tanto vedeva che il mondo iniziava a sdoppiarsi, così era costretto a fermarsi un attimo, alzare la testa e fare un respiro profondo. Serviva a riparare gli argini; li avrebbe rotti più tardi nel suo appartamento. La metropolitana affollata non era il luogo ideale dove far fluire i propri sentimenti. Cambiò treno a Tottenham Court Road per uscire definitivamente dal tunnel a Leicester Square. Salì nell'appartamento, si accese una sigaretta appena arrivato in salotto e scaraventò la giacca sul divano. Con il naso a pochi metri dalla finestra, guardava il vetro che si bagnava progressivamente e le goccioline che, su quello sfondo grigio, un misto di cemento e nuvole pesanti, si rincorrevano su quella superficie trasparente per diventare sempre più grandi e scivolare verso il davanzale. Le iridi blu seguivano quelle linee bagnate, mentre la mano meccanicamente portava la sigaretta alla bocca, le labbra aspiravano senza un perchè e quel denso fumo grigio gli scendeva per la gola, fino a finirgli nelle vene, nei reni, nel cuore e nel cervello. Quel sapore di bruciato che gli solleticava il palato, nei momenti di solitudine gli ricordava quello schifo di libro che bruciava sotto la pioggia, mentre la sua mano rimetteva in tasca l'accendino. Quasi a voler imitare lo spettacolo fuori dalla finestra, una goccia salata gli percorse la guancia, silenziosa; poi un'altra. E un'altra ancora. Sentiva ancora il vuoto in sé; manchi... possibile che mi manchi dopo tutto quello che mi hai fatto? Tentava con tutto se stesso di essere razionale, di lasciarla da parte per ovvi motivi; eppure una piccola parte di lui, ancora, l'avrebbe rivista. Anche solo per dirti ciao. Tirò sul con il naso e voltò di poco il capo; la chitarra lo stava guardando, pregandolo di essere presa in mano. Spike la immaginò con sembianze umane: una bellissima donna con indosso un vestito di satin blu scuro, che lo prendeva per le spalle e si chinava su di lui, baciandogli il collo. Rabbrividì; troppo tempo senza sensazioni del genere. Afferrò lo strumento per il manico e si chiuse nella sua camera, sdraiandosi sul letto, con la chitarra adagiata lungo il fianco. Accarezzò con i polpastrelli le corde, poi le suonò dolcemente, sfiorandole, immaginando fossero capelli morbidi e profumati. Chiuse gli occhi e, girandosi sul fianco, l'avvicinò lentamente al proprio corpo, poggiando la fronte al manico. Si ricordò delle parole di Tyla: per tutta la vita, la donna che tieni fra le mani in questo momento sarà l'unica che ti capirà sempre fino in fondo. Con il cuore stretto in un laccio invisibile, trattenne il fiato e baciò il manico, immaginando di assaporare labbra morbide e calde; si figurò di nuovo quella bellissima donna con il vestito di satin, che lo guardava negli occhi, lo accarezzava e si appoggiava a lui, delicata e decisa allo stesso tempo. Sembrava dirgli di parlarle, di lasciarsi andare. Il ragazzo si rimise supino, sempre con la testa immersa nel suo universo celato dietro le palpebre, e dopo un respiro profondo cominciò a raccontarle il suo male e le sue mancanze, con la mente densa di ricordi e le mani che scorrevano su e giù per la pelle, quasi a volersi infondere calore e conforto. Ormai era consapevole che Leah non gli apparteneva più, che era stato un dolce ricordo ma che ora, per il suo bene, doveva lentamente accantonare. Aprì gli occhi, sentendo il cuore pulsargli sfrenato nelle tempie; quel dialogo immaginario l’aveva aiutato a riordinare le idee, facendogli percepire ancor più prepotentemente l’esigenza di buttar fuori di sé tutto il dolore che lo devastava. Con le ciglia umide e le dita frementi, si sedette sul letto ed impugnò la chitarra:

No need to shout girl I can hear you
No need to scream you're not in pain

Desiderava averla ancora lì, di fronte a lui, per cantarle quell’addio con tutto l’amore che aveva provato per lei. Se una lacrima gli fosse scappata via dagli occhi non sarebbe stato orribile; anzi, sarebbe risultato solo più vero e sincero.

My my little girl, you're sure a tough one
You don't have to prove it once again

Anche se fosse stata la cosa più inutile. Anche se a te non frega più niente di me. Faccio finta di nulla, non mi importa. Vorrei solo ricordarti che io ti ho amato con tutto me stesso. Vorrei solo che tu possa parlare di me con il sorriso sulle labbra.
 
And all the lies have been forgotten
All the bad things that we said
Let's leave it now with no hard feelings
The best five years we ever had

Quattro mesi vissuti come cinque anni. Intensi ed importanti come non mai. Eppure, everything comes to an end. Anche l’esperienza più meravigliosa aveva un epilogo, uno straziante canto del cigno che stracciava l’animo di chi la viveva.

It's the last time
It's the last time
It's the last time
It's the last thing that I'm denying
So baby stop your crying
Over me

Spike guardò la chitarra con un piccolo sorriso, sentendosi leggermente risollevato; suonò ancora un accordo per proseguire con la canzone, ma un battito di mani gli fece alzare la testa. Guy era entrato senza fare rumore e lo guardava annuendo: «Devo dire che Leah, tutto sommato, ti ha fatto bene».
«In che senso?» il cantante si alzò e fece per dirigersi verso la cucina.
«Nonostante il male che ti ha fatto, ti ha reso un cantante produttivo. Mi piace questa cosa, bello. Che ne dici se ti do una mano a finire la canzone? Ho un paio di idee interessanti».
Spike stava per dargli una pacca sulla spalla per ringraziarlo quando il telefono cominciò a squillare; con la mano bloccò il coinquilino e, strisciando tranquillo i piedi, arrivò all’apparecchio. La sua crescente serenità venne stroncata in un secondo: «Ciao Spike». Le pupille gli si dilatarono a dismisura, nascondendo lo splendido blu degli occhi; si augurò con tutto se stesso di aver sentito male. Rimase muto per qualche secondo, destando la preoccupazione dell’interlocutore che stava all’altro capo del filo: «Mi senti? Sono Leah».
Guy vide l’amico sbiancare e crollare sul divano: «Chi è, tua madre?».
Il cantante iniziò a tremare, mentre fissava il vuoto davanti a sé; non riusciva a capire il perché di quella telefonata.
«So che ti starai chiedendo perché ti ho chiamato» la ragazza dall’altro capo del filo fece una breve pausa «ma… volevo dirti che fra un paio di settimane torno a Londra a trovare i miei».
Quindi? Avrebbe voluto urlarlo nel suo orecchio, sfondandole il timpano e facendole percepire almeno una minima percentuale del dolore che lei gli aveva provocato spezzandogli il cuore, ma non riuscì ad emettere nessun suono.
«Pensavo che… avremmo potuto incontrarci».
Spike ebbe un capogiro. Guy lo vide appoggiarsi sconvolto una mano sulla tempia, come se fosse stato colpito da un mal di testa improvviso; continuava a non capire cosa stava succedendo.
«Volevo parlarti» Leah sospirò «spiegarti perché le cose fra noi sono cambiate così all’improvviso».
Una valanga di pensieri e domande che avrebbe voluto porle investì con violenza il cervello del cantante; se avesse avuto un quaderno, non sarebbe bastato ad annotarle tutte.
«Mi stai ascoltando Spike?» non udendo alcuna risposta, Leah pensò di parlare con l’aria.
Il cantante rispose glaciale: «Quindi sei qui la prima settimana di maggio?»
«Esatto».
Il ragazzo fece un respiro profondo per riorganizzare le idee, poi sentenziò: «Allora ci vediamo il 3 al Dark Crimson Velvet. C’è un concerto dei Dogs D’Amour, ci troviamo direttamente lì». Buttò giù il ricevitore con foga ed affondò le mani nei capelli, con il diaframma immobilizzato.
Guy, sospettoso, fece due passi verso di lui: «Non era tua madre, vero?».
Spike stette immobile per qualche istante, poi, sempre con la faccia nascosta dagli avambracci, parlò lapidario: «Era Leah».
Il coinquilino stette per un po' in silenzio, poi esplose: «E TU CON CHE CORAGGIO LE DAI UN APPUNTAMENTO?».
«Vuole solo parlare, Guy. Non ti scaldare per niente».
«Veramente» il chitarrista scosse la testa schifato «ha proprio una bella faccia di culo a venirti a chiedere un colloquio dopo tutto questo tempo per cercare di spiegarti perché ti ha scaricato. Cos’è, vuole lavarsi la coscienza?».
Guy poteva anche avere ragione, anzi, da com’era incazzato ce l’aveva di sicuro, eppure Spike era convinto che, davvero, Leah volesse fare chiarezza fra loro due: «Senti, ormai l’ho persa. Lei ha preferito uno stronzo francese biondo come quel cazzo di principino e io, più di tanto, non posso fare. Però…» gli fece una domanda apparentemente insensata «hai trovato il batterista?».
Il coinquilino strabuzzò gli occhi.
Spike continuò: «Ho bisogno di incidere un paio di pezzi e voglio qualcuno che mi batta i quattro quarti».
Incredulo, Guy rimase a bocca aperta: «Fammi capire… sei passato dal “voglio piantarvi in asso” al “ti prego, ho un mare di idee”?». Si fece scuro in viso e lo guardò di sottecchi: «Non è che hai qualche intenzione strana? Tutta questa fretta improvvisa…».
Spike lo interruppe: «Voglio salutare Leah senza rimorsi. “I Don’t Love You Anymore” ed il nuovo pezzo che stavo iniziando devono finire su bobina entro massimo due settimane. Sono canzoni per lei e voglio che le ascolti. Senza secondi fini. Sono sue e basta». Guy stava per riempirsi la bocca con un sonoro “vaffanculo”, ma Spike lo bloccò di nuovo: «Senza contare che sono comunque nostri pezzi e potrebbero anche finire nelle mani di qualcuno che li porta a qualche discografico e ci fa un contratto».
Il chitarrista rimase immobile per un paio di secondi, poi sospirò: «Okay, non fa una piega. Troviamo sto cazzo di pestapelli e registriamo; ti do anche una mano a finire il pezzo nuovo. Però giuro che, se dopo il concerto dei Dogs, Leah non si eclissa, la faccio sparire io».
Spike scosse il capo e mise una mano sulla spalla dell'amico: «Proprio non ti piace».
«No» rispose lapidario Guy «Non mi è mai piaciuta».

* * *

Spike sedeva con il gomito sinistro poggiato al bancone ed un bicchiere di Newcastle Brown che ondeggiava inquieto nella mano destra. Gli occhi gli vagavano nervosi per il pub; ad intervalli alterni guardavano le pareti offuscate dal tabacco che aleggiava nell’aria e poi fissavano altri sguardi. Quello di sua sorella Julie, che correva dietro il bancone e spillava in continuazione birre ed ogni tanto gli donava un sorriso fugace mentre si asciugava le mani nel grembiule nero. Quello di Guy, in piedi poco distante da lui, un po’ secco ed un po’ pungente come al suo solito, ben celato dietro un cilindro nero un po’ scassato. Quello di Tyla, in piedi sul palco, intento a tenere il pubblico per il bavero, che ogni tanto gli lanciava un'occhiata complice. Ma, ancora, non aveva incrociato lo sguardo che più di tutti aveva voglia di vedere; quegli occhietti marroni che qualche mese prima gli avevano fatto perdere completamente il senno. Diede l'ultimo lungo sorso dal bicchiere e lo appoggiò rumorosamente dietro di sé, mentre con la mano si tastava per l'ennesima volta la tasca interna della giacca; aveva una paura folle che il nastro che avevano inciso pochi giorni prima insieme a Rudy, il nuovo batterista, potesse inspiegabilmente rotolargli sul pavimento ed andare in frantumi. Preferiva custodirlo lì, nascosto, vicino al proprio cuore. Sì, come se la cassetta potesse assorbire i tuoi sentimenti al pari di una spugna. Erano le sue ultime parole d'amore per Leah e, qualsiasi cosa si sarebbero detti nei minuti a seguire, voleva che le giungessero intatte sia alle mani che alle orecchie. Guardò di nuovo Tyla sul palco, aggrappato con la mano destra al microfono, con la Gretsch che gli pesava sulla spalla sinistra, intento in un'interpretazione molto ubriaca di "Unconscious Boy"; aveva gli occhi spalancati, le pupille dilatate e la classica espressione da indemoniato che gli deformava il viso già non stupendo. Sembrava a metà fra un malato di mente ed uno che aveva disperato bisogno dell'esorcista; nella sua pazzia sembrava quasi sano. Poi, d'un tratto, lo vide cambiare completamente espressione; notò che sembrava quasi si stesse pietrificando, come se stesse sprofondando in un baratro oscuro. I suoi occhi verdi allucinati avevano visto qualcosa di reale che lo disarmava. Spike seguì la loro traiettoria, mentre l'amico suonava l'accordo finale della canzone e cominciava lo scroscio di applausi, in cerca della causa di questo cambio così repentino. Nonostante fosse passato un sacco di tempo dall'ultima volta che l'aveva vista, la riconobbe quasi istantaneamente: Katherine, con i capelli biondi che le cadevano ordinati sulle spalle, avvolta in un cappottino nero stretto e bella come non mai, era appena entrata nel pub, catapultando nuovamente l'amico indietro nel tempo, squarciandogli nuovamente quel cuore apparentemente di piombo, ma in fondo così delicato, e medicato in qualche modo con bourbon e Marlboro per anni e anni. Vide Kat fare due passi verso il palco ed alzare timidamente la mano destra, facendo ondeggiare le dita nell'aria in direzione dell'amico. Spike osservò Tyla respirare pesantemente mentre le faceva un occhiolino fugace e si impegnava il più possibile a sorriderle. Poi chinò il capo, nascondendosi dietro la frangia spettinata, e cominciò a suonare "The State I'm In". Avrebbe voluto alzarsi, per vedere la faccia di lei, per capire se Kat realizzava che Tyla stava male; che aveva l'anima a brandelli per colpa sua. Ma non voleva fare la figura dell'invadente, non voleva intromettersi in quel dolore a cui Tyla, nonostante tutto, era fortemente legato. Spike tornò a guardare il cantante dei Dogs D'Amour che aveva ripreso una posizione più composta; ora stava eretto, aggrappato all'enorme chitarra, con i capelli sudati appiccicati al viso ed i suoi occhi verdi fissi sulla donna che non riusciva a detestare. Suonava nella penobra del palco, con una luce rosso sangue puntata addosso e gli accendini del pubblico che parevano quasi un contorno funereo. Cantava quelle parole: "If you could see the state I get in, I'm thinking 'bout you again. Every time I see you, it always seems to be the wrong place" con la voce intrisa di dispiacere. Spike rabbrividì e si rese conto che la ferita di Tyla era ancora aperta; l'amico non si sentiva come lui, rassegnato, cosciente del fatto che la ragazza che gli aveva ridotto il cuore ad un pezzo di carne macellata non l'avrebbe mai più desiderato in alcun modo. Forse perchè con Kat non aveva mai litigato, o forse perchè, tacitamente, qualcosa si trasmettevano ancora: un'irrinunciabile chimica magica. Dentro di sé aveva ancora il coraggio di custodire una piccola fiammella di speranza. "I'm here 'cause the whisky's free, that don't really bother me, yeah! I just don't wanna say a long goodbye". Per un istante lo invidiò, ma subito si ricredette; Leah, per come l'aveva trattato, non si sarebbe nemmeno meritata le canzoni che lui le aveva scritto. Però non gli interessava; voleva comunque dirle addio come se fosse un'amica. Proprio in quel momento una folata di aria fredda ed umida gli schiaffeggiò la guancia, facendolo voltare verso la porta d'ingresso. Spike sentì il proprio stomaco contrarsi ed annodarsi mentre vedeva Leah entrare al Dark Crimson Velvet con i capelli mogano acconciati come l'ultima volta che l'aveva vista a Lione; si passava energicamente le mani sulle spalle del cappotto bagnato dalla pioggia londinese come se dovesse levarsela a tutti i costi di dosso. Per un secondo la ragazza guardò la parete, poi diresse i suoi occhi castani verso il bancone. Quando Leah lo vide, Spike percepì un netto tuffo al cuore. Guy guardò il coinquilino, con gli occhi sapientemente nascosti sotto il proprio cilindro: era più teso di un obelisco, non era quasi più capace di respirare; fece qualche passo indietro per prendere le distanze dalla situazione e da quella zoccola che sgomitava fra la folla del pub per dirgigersi verso l'amico con indosso uno dei sorrisi più falsi della storia dell'umanità. Spike sentiva la propria gola farsi sempre più stretta ed il cuore premergli contro la custodia della cassetta, mentre Leah gli si metteva davanti e si apriva il cappotto. Improvvisamente tutte le parole che voleva dirle sparirono dalla sua testa. Con le pupille dilatate all'inverosimile la vide disfarsi lo chignon, accompagnata dallo scroscio di applausi che salutava calorosamente i Dogs D'Amour, pregandoli di tornare presto sul palco a suonare.
«Salut, Spike» voleva suonare spiritosa, simpatica e piacevole; gli aveva perfino fatto l'occhiolino.
Ma il ragazzo reagì quasi disgustato: «Leah, sei a casa. Non mi parlare in francese».
Lei ridacchiò facendo spallucce: «Dai, stavo solo scherzando. Come stai?».
«Devo essere sincero?». Fu una risposta lapidaria, pronunciata con un tono parecchio infastidito, che stupì lo stesso Spike; sembra quasi che si stia prendendo gioco di me.
Leah rimase per un attimo basita, poi cercò di cambiare argomento: «Mi stai aspettando da molto?».
«Calcola che è appena finito il concerto, ed io ero qui dall'inizio». Altra granata lanciata contro di lei; Spike si stupì di nuovo. Non riusciva a capire come stesse manifestando con così tanta facilità tutto quell'astio.
Leah reclinò la testa di lato, facendo un altro sorrisino: «Perdonami» gli parlava con voce stridula, quasi infantile «ma ho dovuto aspettare una persona». Spike la vide allungare dietro di sé una mano per trascinarsi di fianco un altro ragazzo; anche questo era biondo, con la faccia rosea e gli occhietti innocenti come quelli del Piccolo Principe. Ma non era quello con cui Leah l'aveva tradito. «Spike, ci tenevo a presentarti Thierry, il mio nuovo fidanzato».

   
 
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