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Autore: Leopoldo    28/02/2014    1 recensioni
Raccolta di one-shot a tema vario (Au, crossover, what if, future fic, etc) e a vario rating, tutte incentrate su Quinn e Puck.
Capitolo 1: Mi concede questo ballo? (what if, tema Prom with Beth, fine terza stagione, verde).
Capitolo 2: Los Angeles è il posto giusto (futurfic, angst, verde).
Capitolo 3: Super Mario? Sei serio?! (missing moments, tema Mario Hospital, post 3x14, verde)
Capitolo 4: Protego (crossover, Harry Potter AU, Gryffindor!Puck, Beauxbatons!Quinn, verde)
Capitolo 5: Foto ricordo (futur fic, missing moments, what if, verde)
Puck fa visita a Beth poco prima del giorno di Natale. Mentre aiuta sua figlia con le pulizie della soffitta, una foto fa capolino da una pila di cianfrusaglie e creerà scompiglio. Per quale motivo? Cosa raffigura? E l'intervento di Quinn in videochiamata, cosa determinerà?
Una foto non è un fermo immagine di una vita lontana, ma l'incipit da cui riesumare ricordi ormai dimenticati.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Un po' tutti | Coppie: Puck/Quinn
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Personaggi: Quinn Fabray, Noah Puckerman, Beth Corcoran, Noah Puckerman, altri (solo menzionati).

Note: futur fic ambientata una quindicina d’anni dopo il diploma, missing moments sparpagliati durante un ipotetico terzo anno che è diverso da quello televisivo perché ho inserito un bel what if. Di che tipo? Beh, ok che è Glee, ma dare fuoco alle cose in un edificio statale tende ad essere un crimine. E qualcuno deve pagare, no? Funziona così? Rating: verde.

Genere: generale (augurandomi che significhi un po’ di tante cose), (appena appena) introspettivo, mi auguro un pochino comico, con una spolverata di ricordi e di malinconia.

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di qualcuno che li odia Ryan Murphy e della Fox (credo); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per dare un po' di spazio ad una coppia mai approfondita.  

 

 

Foto ricordo

 

Ci sono dei momenti, come questo ad esempio, in cui il profilo o il comportamento di Beth è così simile a quello di Quinn che è costretto a prendersi un attimo di riflessione per riordinare i propri pensieri.

È da quando la sua bambina è venuta al mondo che chiunque conosca Quinn blatera di quanto effettivamente siano due gocce d’acqua e persino lui, almeno inizialmente, ha fatto parte di questo gruppo di persone.

Per lui, però, è solo con il passare degli anni che questa somiglianza ha cominciato a diventare sempre più evidente, andando ben oltre la semplice associazione biondo-biondo occhi nocciola-occhi nocciola.

Ha la stessa forma del viso, le stesse guance, lo stesso modo di stringere le labbra quando è arrabbiata, lo stesso uso caratteristico delle sopracciglia per esprimere qualsiasi emozione e …

“Papà! Ti sei incantato di nuovo? Questo scatolone non si porterà di certo giù per le scale da solo”

… la stessa propensione al comando, certamente.

Puck sbuffa in direzione della figlia, scoccandole uno sguardo eloquente prima di piegarsi verso il basso per raccogliere il suddetto scatolone.

Beth annuisce soddisfatta, facendogli un cenno con la testa in direzione delle scale e tornando immediatamente in mezzo alle ultime cose rimaste nella soffitta.

Sbuffa di nuovo, dandole le spalle in maniera esageratamente sdegnata, per poi dirigersi verso la scaletta che lo porterà al secondo piano di casa Corcoran.

La sua intenzione era quella di approfittare di uno dei giorni di permesso per volare a New York, passare a Hoboken per salutare Beth -e Shelby- e lasciarle il suo regalo di Natale. Essere usato come mulo da soma ovviamente non faceva certo del piano originale.

Eppure, strano a dirsi, non è riuscito a dire di no a sua figlia quando le ha chiesto una mano per ripulire la soffitta e prepararla ad ospitare le sue compagne di scuola.

Sospira, sorridendo tra sé e sé mentre appoggia lo scatolone vicino agli altri. Prende il pennarello dalla tasca dei jeans ma, la momento di scriverci sopra la destinazione, si rende conto di non saperla.

“Beth! Non mi hai detto dove va questo! Discarica?”

Attende pazientemente una risposta che, però, non arriva.

“Beth!” urla di nuovo, stavolta più forte, senza comunque ottenere alcun risultato. “Beth” la chiama per la terza volta, leggermente preoccupato, risalendo rapidamente la scaletta ritraibile. “Si può sapere perché non rispondi?”

È seduta a gambe incrociate nel punto esatto in cui l’ha lasciata ed ha la testa leggermente piegata di lato, come se si trovi in piena contemplazione.

Solo una volta a pochi passi da lei capisce il perché di quella posizione. Tiene tra le mani una foto e … no. No, assolutamente no, impossibile.

“D-dove l’hai presa?” balbetta, spaventato, tentando di prepararsi alle migliaia di domande che le arriveranno da Beth non appena avrà superato lo stato di shock.

“Ma chissene frega!” esplode infatti la ragazza, ormai sedicenne, dopo qualche ulteriore secondo, sventolando la foto sotto il naso del padre. “L’hai vista? Perché mamma ha i capelli rosa? Perché ha un piercing al naso? E perché io invece non posso farmelo?”

Ci sono lui e Quinn in quella vecchia foto risalente al loro ultimo anno. Indossano entrambi il tipico cappello rosso e bianco di Natale e si stanno guardando in cagnesco. O, meglio, Quinn lo sta guardando come se lo volesse trapassare con una lancia, mentre lui è solo molto molto molto preoccupato.

“Dammela prima che qualcuno si faccia male” mormora allungando la mano per afferrare la foto che, ovviamente, Beth toglie dalla sua portata scattando in piedi ed allontanandosi di qualche passo.

“Qualcuno tipo te?” risponde lei, sorridendo sorniona –e sì, quello è decisamente il suo sorriso, aveva ragione Shelby.

“Certo che sì, ragazzina” sbotta, rabbrividendo al solo pensiero di quali potrebbero essere le conseguenze –riguardo al suo desiderio di avere altri figli, un giorno- del ritrovamento di quello scatto. “Avanti. Sono tuo padre. Obbedisci”

“Pfff” gli ride in faccia Beth senza nemmeno provare a nasconderlo. È che vedendola così poco rispetto a Quinn, è finito con il diventare quello buono dei due, quello che non dice mai no e che di conseguenza ha l’autorità di un cucchiaino da tè.  

“Se mi dici perché mamma sembra una punk forse potrei anche-”

“Si vestiva così, ok?” sbuffa Puck dopo aver riflettuto qualche secondo ad occhi chiusi, interrompendola ed allargando le braccia in segno di resa incondizionata. “All’inizio del suo anno da senior mamma si conciava in quel modo. E ora, se non ti dispiace …” farfuglia, allungando la mano per ricevere il suo premio “… rispetta la tua parte del patto”

Cosa che ovviamente Beth non ha alcuna intenzione di fare. Invece infila la foto nella tasca della tuta ed incrocia le braccia al petto, mugugnando tra sé e sé.

“Non me l’ha mai detto”

Quinn non ha avuto alcuna remora a raccontare a sua figlia, una volta concordato con Shelby che fosse arrivato il momento giusto, il suo passato. Beth sa tutto riguardo il rapporto della sua madre biologica con i genitori, l’ossessione per la popolarità, il suo concepimento, l’incidente d’auto, la storia con il professore di Yale e molte altre cose.

Questo, per qualche strano motivo, non è mai saltato fuori. E onestamente persino Puck fatica a capirne i perché e i per come.

“Forse non pensava fosse importante per … dove stai andando?” mormora aggrottando la fronte, confuso, mentre la figlia scende rapidamente la scaletta e sparisce alla sua vista in un lampo. “Beth!” sbraita realizzando i suoi scopi. “Non ci provare!”

Quando arriva nella sua camera, la prima cosa che nota è il volto di Quinn nello schermo del computer. Dannata ragazzina.

… Puck?

“Eheh” ridacchia nervosamente, sorpreso dalla sua voce. Come accidenti ha fatto in meno di venti secondi a chiamare sua madre?

Si avvicina al computer lentamente, accarezzandosi la nuca con l’aria colpevole di chi sa già di essere ad un passo da una sgridata. “Ciao, Quinn. Ti trovo bene”

Quindi sei a New York. Bene. Fa sempre piacere sapere queste cose direttamente da te” commenta pungente la donna, inarcando il suo famoso sopracciglio.

“Sì, beh, è stata un’improvvisata” farfuglia, non sapendo bene come giustificarsi, distratto anche dai movimenti di Beth che sta trafficando con il computer. “Sono in permesso fino al 28 e ne ho approfittato per passare-”

“I convenevoli li facciamo dopo, ok?” lo interrompe la figlia, risoluta, rivolgendosi poi a Quinn. “Mamma, c’è una cosa che devi vedere. Te l’ho appena mandata per mail”

Dannata ragazzina e dannata tecnologia.

L’espressione concentrata e incuriosita del volto di Quinn si tramuta prima in una di pura sorpresa poi, con rapidità, in una di quelle che nemmeno lui che la conosce da anni riesce a decifrare.

Puck” sibila in tono piatto. Non sembra arrabbiata.

“Non ho la minima idea di come questa sia potuta sopravvivere”

Sente il bisogno di giustificarsi comunque, anche se la sua paura è irrazionale più che reale, dovuta infatti alla promessa che la stessa Quinn gli fece nel momento in cui fu scattata la foto. Qualcosa come quindici anni fa.

Quinn apre la bocca ma non dice nulla. Forse, esattamente come per lui, tutti i ricordi legati a quello scatto sono talmente vividi nella memoria che le sembra impossibile di non averne mai parlato con Beth.

“Chi dei due inizia a raccontare? Dai, su, sapete entrambi che non smetterò di rompere finché non ne saprò ogni dettaglio per filo e per segno”

Quinn lo guarda per qualche secondo prima di umettarsi le labbra e rivolgersi direttamente a Beth.

Ok” concede, passandosi una mano sul collo fino ad arrivare con la punta delle dita alla catenina d’oro che porta con sé da sempre. “Prima però vorrei farti una premessa. Non c’è un vero motivo per cui io e tuo padre non ti abbiamo raccontato di quella parte della nostra vita. È importante, anche se potrebbe non sembrarlo

Puck annuisce, perché è esattamente la stessa cosa che ha pensato lui –dopo essere riuscito a mettere da parte la minaccia di evirazione subita quel giorno di tanti anni fa.

“Vergogna?” tenta Beth, per cui cercare di capire la sua madre biologica è davvero importante. Non è un segreto che sia lei il suo modello e il suo punto di riferimento.

Ci sono delle cose di cui non vado particolarmente fiera ma, e sai bene come la pensi io a riguardo, nel complesso non mi vergogno di nulla” spiega Quinn, ripetendo un concetto che ha spiegato alla figlia diverse volte. “Se adesso sono felice è merito di ognuno dei passi che mi hanno condotta fin qui

Detto questo, però, si ferma e si volta verso Puck. Anche Beth la imita e, ben presto, è chiaro come procederà la cosa.

“Ok” farfuglia, afferrando un puff e sistemandosi di fianco alla figlia. “La storia inizia con tua mamma che dà fuoco ad un pianoforte”

Beth ride. Di gusto. O, almeno, lo fa finché non incrocia il volto serio della madre. “State scherzando, vero?”

 

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Dopo il brutto incontro avvenuto nel bagno, riuscire a trovare Quinn era diventata un’impresa per lui. Lo stava palesemente evitando e, in tutta onestà, poteva capirla benissimo. E avrebbe rispettato il suo desiderio di pace se non fosse per una notizia che Santana –era durato un sacco il suo esilio per infedeltà, sì sì- gli aveva comunicato in anteprima alla riunione del Glee.

Dopo quasi due ore di ricerca –ore in cui avrebbe dovuto avere lezione, così, tanto per dire-, finalmente riuscì a trovarla. Nell’auditorium, seduta contro la ringhiera di in una parte della platea che non pensava nemmeno esistesse.

“Certo che quando decidi di nasconderti e non farti trovare sei imbattibile. Sotto le gradinate come le altre Skank no, vero?”

“Cosa vuoi?” sputò Quinn, per nulla intenzionata a far finta di non essere arrabbiata con lui, dedicandogli uno sguardo che era tutto un programma.

“Santana mi ha detto che è scoppiato un gran casino per la storia del pianoforte” spiegò Puck, avvicinandosi cautamente e spostando lo sguardo dalla ragazza al panorama. Il palco sembrava così piccolo da lassù. “E che tu ti sei presa la colpa”

Quinn scrollò le spalle, indifferente, continuando a giocherellare con una specie di forchetta di plastica da mensa.“Arriva al punto”

“Perché? Perché tutto questo? Non sei stata tu a cospargere quell’affare di benzina. E mi hai detto che non sapevi nemmeno che quella fosse davvero benzina”

Gli dedicò un lungo sguardo prima di rispondere. Il tono, volutamente neutro, doveva sicuramente essere una dimostrazione di assoluta sicurezza. A Puck, invece, ricordava tanto una persona allucinata, non in possesso delle proprie facoltà. 

“La Sylvester è in campagna elettorale, mi ha chiesto di aiutarla a lasciare fuori lei e le Cheerios e io ho accettato. In fondo, ho solo buttato la cicca per sbaglio senza sapere cosa avrei provocato” concluse, gli angoli della bocca piegati in un sorrisetto tronfio. “Cosa c’è di così strano?” 

"Mi prendi per il culo?!” sbottò Puck, scioccato dal comportamento di una persona che pensava di conoscere. Sembrava davvero fuori dal mondo, esattamente come le avevano detto sia Rachel che Santana. “ Sei completamente e definitivamente impazzita?”

“È stato un incidente, un tragico sbaglio” alzò ancora le spalle Quinn, agitando la mano come a scacciare una mosca fastidiosa. “Ammesso che il signor Motta mi denunci davvero, al massimo mi obbligheranno a ripagare quel rottame viola”

“E se invece non andasse così, uh? Ci hai pensato a questo nel tuo brillante piano di auto-sabotaggio?” si inginocchiò al suo livello, costringendola a guardarlo in faccia prendendole il viso tra le mani. Possibile che non riuscisse davvero a capire la gravità della situazione?

“Credi che Shelby ti farà vedere Beth una volta che verrà a sapere che dai fuoco alle cose?”

Lo sguardo di Quinn era sempre stato intenso eppure prima di quell’occasione non gli era mai stato difficile sostenerlo. Si sentiva colpevole, responsabile di tutto quello che le era successo. Forse lo era davvero.

I loro sguardi rimasero fissi l’uno in quello dell’altra finché Quinn, con un sorriso amaro, si divincolò dalla presa della mani di Puck e riprese a guardare il palco dell’auditorium sotto di loro.

“Sei così ingenuo. Ora vuole che torni com’ero prima, poi quando mi sarò ritinta i capelli di biondo e avrò ricominciato a far finta di essere una ragazzina perfettina cambierà idea e vorrà qualcosa di ancora diverso. Shelby …” lo guardò dritto negli occhi, di nuovo, mentre calcava su quel nome con tutto il fastidio che provava “… non me la farà mai vedere. Ha troppa paura che me la riprenda

“Non è vero” rispose d’istinto Puck, scuotendo il capo. “Non la conosci. Lei vuole solo il meglio per Beth. E sa che sarà importante per lei averci vicino” aggiunse, provando ad insistere sull’unica cosa che sembrava scuotere la madre di sua figlia. “Non buttarti via così, Quinn”

La reazione che ottenne lo colse talmente di sorpresa che gli fece perdere il precario equilibrio e cadere all’indietro, cozzando il sedere a terra con un tonfo.

Quinn era in piedi, quella specie di forchetta puntata verso di lui, e, se prima l’aveva solo infastidita, le ultime parole pronunciate l’avevano decisamente fatta arrabbiare.

“Smettila. Smettila di fare l’ipocrita. Smettila di ripetere a pappagallo quello che ti ha detto lei” ringhiò, a voce bassa ma comunque perfettamente udibile, ponendosi esattamente sopra di lui. “Smettila di fare finta che te ne freghi qualcosa. Non ti importa di me, ricordi?” 

“Io … non volevo. S-stavamo parlando di altro” balbettò Puck, non riuscendo a trovare nient’altro da dire di fronte alla propria colpa. 

“No, no, avevi perfettamente ragione. A te non importa, a mia madre non importa e forse non è mai importato … a nessuno importa. Soprattutto, a me non importa di quello che succederà. Non mi è rimasto più nulla da perdere

 

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Riportare a galla quel momento non è stato difficile, per Puck. Tuttavia non ha mai capito il perché, come per tutte le altre occasioni in cui ha ferito Quinn, riesca a ricordare perfettamente ogni parola pronunciata ed ogni gesto compiuto.

Osserva Beth con la coda dell’occhio e non si sorprende di trovarla con le labbra strette, intenta a fissare lo schermo ed il volto di sua madre che sta cercando di abbozzare un sorriso. Non è la prima volta che le raccontano dei loro momenti bui ma, ovviamente, metabolizzare certe cose dette dai propri genitori non è mai un processo immediato.

“Mamma” mormora in tono sommesso, quasi dispiaciuto. Puck le appoggia una mano sulla schiena, accarezzandola piano.

Ci sono stati dei periodi dopo la tua nascita in cui mi sono sentita davvero sola. L’anno successivo al parto particolarmente. Quella fase è stata … il culmine, se così si può dire” spiega Quinn, senza smettere per un secondo di sorridere alla figlia. Una maschera che, per quanto perfetta e collaudata dall’uso prolungato nel tempo, agli occhi di Puck si sgretola in mille pezzi.

Perché nel breve momento di silenzio, Puck osserva il volto di Quinn. Ed il tempo ha acuito la raffinata bellezza dei suoi lineamenti, incorniciati in un elegante taglio corto, questo è vero, eppure, per qualche istante, gli sembra di intravedere di nuovo la vecchia Quinn, quella insicura che è stata ai tempi del liceo.

“E tu dove cavolo eri?!” sbotta Beth all’improvviso, schiaffeggiando il braccio del padre e cogliendolo, tanto per cambiare, completamente alla sprovvista.

“Ehi, piano con le accuse. È stato doloroso anche per me, eh” sbuffa, ringraziando con lo sguardo Quinn che sta annuendo. “Poi, anche se ci ho messo un po’, sono arrivato. Meglio tardi che mai, no?”

Tuo padre ha ragione” riprende Quinn subito dopo. “Sono stata molto ingiusta durante quel periodo. Tua nonna stava facendo il massimo, semplicemente non riusciva a capire. Rachel mi venne a cercare, Artie mi mandò degli sms, Shelby tentò di parlarmi, tuo padre praticamente mi inseguiva per la scuola. Avevo loro, avevo il Glee, avevo Mr. Shue e … anche se nel suo modo un po’ contorto e manipolatore … avevo Sue. Non ero completamente sola ma, nonostante avessi tanta gente intorno, mi sentivo trasparente

Beth si morde il labbro, incerta, guardando alternativamente i genitori. Sanno bene –e forse sarebbe evidente persino per uno sconosciuto- come la sua avidità nel sapere tutto ciò che li riguarda si stia scontrando con la sua innata sensibilità.

“Non sapevo che stessi così male” dice infatti sorridendo un po’ forzatamente alla madre. “Non mi importa più di sapere la storia di questa foto”

Tesoro mio, non c’è bisogno che ti preoccupi per me. È passato. E poi c’eri anche tu quando è stata scattata

“Ed entro in scena io al massimo del mio splendore” aggiunge Puck, cogliendo al balzo il significato dello sguardo –per la verità piuttosto eloquente- che gli ha rivolto Quinn.

Nonostante sembri ancora piuttosto incerta, le rassicurazioni dei genitori fanno effetto visto che, dopo qualche secondo di riflessivo silenzio, Beth fa una domanda che non lascia dubbi su cosa voglia fare.

“Quel tipo ti ha denunciata?”

Eccome se l’ha fatto” ride Quinn, genuinamente, probabilmente di sé stessa e di come per una volta l’ingenua tra i due sia stata lei. “Non ha voluto sentire nessuna spiegazione. Ed era abbastanza influente da-

“E ricco” la interrompe Puck, facendo il gesto dei contanti con il pollice e l’indice per rafforzare il concetto.

Molto ricco, sì. Non so se è per questo o altro, comunque mi ha portata di fronte al tribunale dei minori” sospira Quinn, ravvivandosi i capeli con un movimento nervoso. “Due mesi di riformatorio … fu una brutta sorpresa

“Sei stata in riformatorio?” sgrana gli occhi Beth, guardando il padre per la conferma.

“Ehi, cos’è questa faccia?” protesta Puck, fingendosi offeso nel tentativo di smorzare la tensione. “Quando ti raccontai del mio periodo in riformatorio non mi eri sembrata per nulla sorpresa ”

“Beh … tu sei tu. E mamma e mamma” alza le spalle Beth, come se stesse dicendo un’ovvietà. “Hai la faccia da criminale, papà, fattene una ragione”

“Sono un ufficiale dell’aviazione americana, io” borbotta Puck, offeso per davvero questa volta, picchiandosi il petto con il pollice per darsi un minimo di autorità. Nessuna delle sue donne comunque sembra prestargli troppa attenzione.  

Rimasi in quel posto un mese prima che il giudice concesse la condizionale” prosegue Quinn, ignorandolo bellamente. “Ore di servizi sociali in cambio del mese rimasto. Rifiutai diverse volte

“Non capisco. Papà mi disse che il riformatorio faceva paura” mormora Beth, facendo annuire convinto Puck.

Quello femminile era diverso, forse, non lo so. C’era solo una ragazza che riusciva a terrorizzarmi semplicemente camminandomi vicina ma, per fortuna, se ne stava praticamente sempre in disparte” spiega, abbozzando un sorriso a Puck. “Molte erano lì perché non avevano un posto dove andare e nessuno che potesse prendersi cura di loro. Alcune di loro erano ragazze madri abbandonate dalle famiglie costrette a rubare, ad esempio, o peggio. Pensa che scema … pensavo davvero di essere come loro

“Sbaglio o fu Judie a chiedere la condizionale su sua iniziativa personale visto che tu ti ostinavi a volerci rimare?”

Fu mia madre, è vero. Se non sbaglio, però … uhm, credo che sia stata Sue a procurarsi tutta la modulistica necessaria. O no? Non ricordo bene” mormora Quinn, sfiorandosi il labbro inferiore con le dita, lo sguardo momentaneamente perso nel vuoto.

"E dopo che ti sei rifiutata cosa è successo?” fa Beth, cercando di riportare la discussione su quello che le interessa davvero, non su qualche inutile dettaglio che nessuno riesce a ricordare. “Sei tornata in riformatorio?”

Per quasi una settimana la responsabile dei servizi sociali che seguiva il mio caso venne a scuola e, visto che riuscivo sempre a non farmi trovare, anche a casa” sospira ancora Quinn, massaggiandosi lentamente il collo. “Quando ricevetti l’ultimatum, ricordo di aver esultato

“Nonna, papà e gli altri cosa dicevano? Cercavano di aiutarti e tu gli ignoravi?”

Qualcosa del genere” mormora Quinn, sinceramente in imbarazzo. “Pensavo che non stessero cercando di farlo davvero. Credevo che tua nonna cercasse solo di ridare un minimo di rispettabilità alla nostra famiglia distrutta e che gli altri del Glee volessero solo riportarmi perché, senza di me, non avrebbero avuto il numero minimo richiesto per competere. Sue invece … beh, già a ridosso del diploma capii di essere in errore, ma in quel momento ero certa che i suoi consigli e le sue proposte di aiuto fossero solo una manovra per accaparrare voti e consensi

“Non avevi fiducia in nessuno, è normale che pensassi alle persone in questo modo” annuisce Beth una volta che Quinn ha finito di parlare, riuscendo a farla sorridere nonostante durante il racconto si sia incupita. E Puck non può che essere orgoglioso di lei. Cavolo, è più molto più matura di quanto fossero entrambi alla sua età.

“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”

Puck tossisce teatralmente, alzandosi dal puff per fare un profondo inchino.

“Cavaliere dalla scintillante armatura al vostro servizio, madame”

Un bruto, più che altro” lo corregge Quinn, il sopracciglio alzato. Beth non può fare altro che ridere per l’espressione sconcertata del padre. “Visto che con lui non volevo parlare, un giorno decise di rapirmi. Avevo paura che mi avrebbe preso a schiaffi finché non avessi accettato di fare il servizio civile

 

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“E lasciami, stupido gorilla” ringhiò Quinn senza smettere per un secondo di picchiargli la schiena con le mani aperte. “Guarda che mi metto ad urlare”

“Ah sì? E quale degli amici a cui non parli e a cui tiri solo insulti e palate di merda addosso arriverà in tuo soccorso?” grugnì Puck, rispondendole a tono. Era riuscito ad acchiapparla braccandola come un animale e per nessun motivo al mondo l’avrebbe lasciata andare prima di dirle ciò che lei si ostinava a non voler ascoltare.

“Fottiti” si arrese Quinn dopo essersi resa conto di quanto avesse ragione. Gli diede un altro paio di pugni, per sicurezza, e smise di fiatare.

Si lasciò portare in un’aula dell’ultimo piano, sicuramente uno dei posti in cui Puck era solito portare le sue ‘prede’, e non disse una parola finché non si ritrovò praticamente sbattuta su una sedia.

“Stai seduta qui e ascolta quello che le persone cercano di dirti” le intimò Puck.

Stava per mandarlo a quel paese, ricordandogli di non star parlando con una bambina o con una troglodita come lui, quando vide Shelby.

Istintivamente si alzò in piedi per andarsene ma le mani ferme de ‘l’ultimo dei Moicani dei poveri’ –come l’aveva ribattezzato più volte- la mantennero al suo posto. “Ferma, Quinn. Per favore”

Odiava quella donna più di chiunque altro. Quello sguardo di malcelata superbia, quell’aria di persona vissuta che aveva già visto e sapeva sempre tutto … digrignò i denti e strinse i pugni non appena iniziò a blaterare le sue ‘stronzate’.

"Quando sono tornata a Lima, l’ho fatto nella speranza che voi due avreste potuto aiutarmi nel crescere mia figlia” 

“Con Rachel hai fatto un lavoro fantastico, avresti potuto proseguire su quella strada” sorrise Quinn, affilata come una lama di un rasoio. Forse Puck la poteva costringere a rimanere lì ma nessuno avrebbe fatto lo stesso con Shelby.

“Quinn, cazzo”

“No, lasciala parlare” gli fece la professoressa, appoggiandosi su uno dei banchi ed incrociando le braccia al petto.

Quinn si umettò le labbra per la soddisfazione, inspirando a lungo per immagazzinare aria sufficiente.

“Ti sei approfittata di me e della mia disperazione, perché sapevi quanto fossi spaventata e vulnerabile in quel momento. Ma io so la verità” sibilò, rabbiosa, vomitando tutto la sua rabbia addosso ad una –se non la principale, almeno secondo il suo giudizio- responsabile della sua misera vita.

“La verità è che non sai come si cresce una bambina. Eri spaventata, per questo hai dato via Rachel, e lo sei ancora, per questo sei tornata da noi. Perché non sai cosa fare”

Puck doveva essere sconvolto a giudicare dalla pressione che le stava facendo sulle spalle. Shelby invece, e Dio quanto le dava fastidio, sembrava tranquillissima.

“I signori Berry sono persone fantastiche” disse dopo aver camminato per l’aula qualche istante. “Mi hanno aiutato molto durante la gravidanza e fino all’ultimo hanno precisato che, nel caso avessi voluto tenere Rachel o darla ad un’altra coppia, avrebbero capito. Lo sai perché ho scelto comunque loro?”

Quinn non sapeva cosa fare. O cosa dire. Non si aspettava un discorso del genere. Pensava che le avrebbe parlato di Beth, non di Rachel.

“Perché sapevo che avrebbero fatto per lei ogni cosa” riprese Shelby, aprendo le braccia e sorridendo. “Non era ancora nata, ma i signori Berry erano già disposti a sacrificare la propria felicità per la sua. Questo vuol dire essere genitori, Quinn: essere disposti a sacrificare ogni molecola di sé stessi per un bene superiore”

Aprì la bocca, la richiuse subito dopo. Voleva dirle che lo sapeva, che non aveva bisogno di sentirselo dire da lei, eppure non lo fece. Non ci riuscì.

“Ciononostante, due ore dopo essere tornata a casa dall’ospedale ed aver detto addio a Rachel, avrei mandato al diavolo i Berry pur di riaverla” ammise Shelby, guardandola dritta negli occhi. “Ho iniziato a provare odio verso chiunque avessi vicino a me, ho fatto un taglio assurdo ed un tatuaggio orribile” sorrise, indicandola con un cenno del capo. “Ti ricorda qualcosa?”

“N-non siamo uguali io e te” balbettò orgogliosamente, mordendosi con foga il labbro per aver tremato nel dirlo. Questo era troppo da accettare, nonostante per la prima volta da tempo si trovasse a che fare con qualcuno in grado –almeno potenzialmente- di capire cosa stesse provando.

“No” concordò Shelby. “Però siamo entrambe mamme ed entrambe lo siamo diventate nell’esatto momento in cui abbiamo deciso di rinunciare a parte di noi stesse pur di offrire a nostra figlia una vita migliore”

“Io non … non …” strinse di nuovo le labbra, rifiutandosi di darle soddisfazione.

“Quello che nessuno ti dice è che il prendere una decisione giusta e l’accettare di averlo fatto non coincidono sempre” riprese Shelby, avvicinandosi di qualche passo. “Avrei voluto esserci per le fasi importanti della crescita di Rachel. Non sono sicura che tu ne sia consapevole, ma so per certo che almeno inconsciamente è ciò che vorresti per te e Beth”

“Sì” esalò Quinn senza osare sollevare lo sguardo dalle proprie calze a rete.

“Non importa come ti vesti o di che colore hai i capelli o se ti vuoi riempire di piercing la faccia. Fai le ore di servizio civile e ti permetterò di entrare nella famiglia” concluse, fermandosi davanti a Quinn per diversi secondi. “A te la scelta” aggiunse prima di salutare Puck e lasciarli soli nell’aula.

Non riusciva a pensare nulla, solo ad un modo per non piangere. Aveva promesso a sé stessa che non avrebbe mai più permesso a nessuno di avvicinarla tanto da farle del male e, nel caso non ci fosse riuscita, che non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di vederla soffrire.

Evidentemente non aveva fatto i conti con Puck.

“Questo è il tuo cellulare, l’ho trovato nel tuo armadietto di riserva quando l’ho scassinato” le disse, appoggiandole l’apparecchio in grembo.

C’era sua figlia sullo schermo di quel cellulare. Una creaturina con un musetto adorabile, dei ciuffetti biondi in testa e un vestitino bianco a tema floreale.

Sentiva gli occhi pizzicare e non aveva la minima idea del perché non fosse ancora scoppiata a piangere. Riusciva solo a pensare a quanto fosse bella.  Era lì, era a Lima, era a portata di abbraccio. Vederla in foto rendeva così tutto fottutamente reale.

“Mi sento in colpa nei tuoi confronti per quello che è successo sia prima che dopo la nascita di Beth” le disse Puck, con tono quasi casuale. Era in piedi di fronte a lei e teneva le mani in tasca, la testa leggermente insaccata tra le spalle.

“Ho pensato parecchio a cosa avrei potuto fare per te e questa è l’unica soluzione abbastanza buona che mi è venuta in mente. Finché non finirai le tue ore di servizio civile, neanche io vedrò Beth. Se non farai quelle ore, io non la vedrò mai più. Sarà tipo come dividere il peso, giusto?”

Si portò una mano sulla bocca ma, nonostante la rapidità del gesto, un tremolante singhiozzo le uscì comunque dalla gola. Puck, che aveva imparato a conoscerla almeno un po’, decise di fare finta di niente.

Avrebbe voluto rispondergli, dirgli di sì, pregarlo di dividere questo peso con lei, ma continuava a sembrarle impossibile.

Senza mai spostare lo sguardo dalla foto, lo vide avvicinarsi e rimanere immobile qualche secondo, quasi volesse fare qualcosa ma stesse indugiando.

Avrebbe alzato gli occhi per verificarlo se, in maniera quasi infantile visto che ormai due grossi lacrimoni le stavano solcando le guance, non si fosse imputata nel non far vedere a Puck cosa stesse passando.

“Siamo d’accordo” le disse semplicemente. Rimase fermo ancora un istante, prima di passare oltre e dirigersi verso la porta.

Quinn passò i lineamenti di Beth con l’indice cautamente, sorridendo nonostante le lacrime.

“Avevi ragione” disse ad alta voce, sapendo perfettamente come Puck si trovasse ancora nell’aula, da qualche parte alle sue spalle. Non l’avrebbe lasciata sola. Non stavolta. “È bellissima”

“Dal vivo è ancora meglio, Quinn. Lo vedrai presto”

 

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Puck ha passato l’intera durata del racconto a fissare Beth, in attesa solo di questo momento. Assume una posa tronfia, pronto a ricevere lodi ed amore incondizionato, ed infatti …

“Non le hai chiesto scusa” lo sgrida Beth, girandosi verso di lui con entrambe le sopracciglia alzate. “Sei davvero incredibile, sai?”

“Come, scusa? Si capiva lo stesso che il senso era …” si ricompone, puntandole il dito con aria terribilmente seria “… tanto per chiarirci, Puckzilla non chiede scusa”

“In-cre-di-bi-le” scuote il capo Beth, lasciandosi andare ad uno sbuffo rassegnato mentre torna a rivolgersi alla mamma. “Comunque ho capito tutto, non c’è bisogno che continuiate a raccontarmi la storia. Questa foto è stata scattata alla cena di Natale a casa di mamma Shelby, che hai ringraziato con un regalo speciale per ciò che ha fatto per te” si ferma, osservando con cura lo scatto. C’è un nodo importante da scogliere: le loro facce funeree.

All’improvviso schiocca le dita, illuminata da un’idea geniale. “Sei arrabbiata con papà perché ha fatto qualcosa di molto stupido o imbarazzante o inopportuno o tutte e tre le cose … tipo palparti il sedere” si prende un secondo per ridere della spinta di suo padre che quasi la fa cadere dalla sedia. “Lui invece ce l’ha con te perché gli hai mollato un ceffone. Quanto ci sono andata vicina?”

Quinn scuote il capo divertita mentre Puck mugugna “Non avresti potuto essere più fuoristrada di così, Sherlock” prima di ridacchiare nemmeno troppo sommessamente.

“Ma … come? Cosa vuol dire?”

Capii molto più tardi l’importanza di quello che Shelby aveva fatto per me” spiega Quinn, sorridendole ancora. “Accettai il servizio civile, sì, ma solo perché volevo te. Ed intendo dire che volevo fisicamente riaverti con me. Solo per me

“Che mesi da incubo” ricorda Puck, passandosi una mano sul volto.

Passavo ogni ora di servizio civile nella casa di riposo di Lima o alla ‘casa dei poveri’ a progettare un modo per ottenere di nuovo il tuo affidamento” mormora Quinn, facendo una smorfia dispiaciuta quando Beth commenta con un “Wow” scioccato le sue parole.

Lo so, mi chiedo cosa mi passasse per la testa a quei tempi ogni volta che ci ripenso

“Per fortuna c’ero io a rimediare ai suoi casini. E non ridere, ragazzina. Lo so anche io che è strano, ma in quei mesi andava così”

Tuo padre ha ragione, tesoro” interviene Quinn visto che Beth non sembra davvero poterci credere, nonostante tutto quello che le è stato raccontato. “Se non fosse stato per lui, probabilmente i rapporti tra me e tua madre sarebbero andati in malora prima ancora di cominciare. Comunque, a questo punto, possiamo passare direttamente alla foto

“25 Dicembre 2012, baby. Località: casa dei poveri di Lima, Ohio”

La casa dei poveri …” spiega Quinn, notando l’espressione vagamente confusa della figlia “… era un edificio gestito da volontari che si occupava di aiutare persone bisognose, offrendo loro un pasto caldo e un letto

“Cosa ci facevate lì per Natale? Non capisco”

Volevo finire le mie ore il prima possibile per poterti rivedere” fa in tono dolce, riversando in una solo frase tutto l’amore che può provare per lei.

“In più …” le fa l’occhiolino Puck, avvolgendo un braccio intorno alle spalle della figlia con fare complice “… io avevo organizzato il più grande evento a sorpresa che Lima avesse mai visto”

 

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“La tua presenza qui non fa altro che aumentare il mio mal di testa” sbuffò Quinn, gettandogli da oltre la spalla un lungo sguardo indagatore. Con sua madre in crociera ed il Glee intento a girare uno stupido recital, sperava di godersi queste ore di fatica in santa pace. Ovviamente non aveva fatto i conti con il re di tutti gli scocciatori. “Non festeggi nemmeno Natale, tu. Che sei venuto a fare?”

Puck deglutì, sperando ardentemente di non tradirsi proprio sul più bello. Tenerla lontana dalla ‘casa dei poveri’ per il tempo necessario e convincerla a farsi accompagnare da lui era stata una fatica troppo grande per mandare settimane di pianificazione all’aria.

“Compagnia, ad esempio?” mugugnò, forse troppo sulla difensiva. Poi, con la coda dell’occhio, vide la macchina di Mike parcheggiata dall’altro lato della strada. Si morse la lingua, lanciandogli diverse maledizione, frapponendosi al meglio delle sue possibilità tra l’utilitaria e il campo visivo di Quinn.

Per sua fortuna, era troppo impegnata ad ignorarlo per prestare attenzione a tutto il resto e, appena scesa dal suo furgoncino, si era già diretta verso l’ingresso dell’edificio.

“Cavolo …” sorrise vittorioso seguendola, diverse gocce fredde intente a scivolargli lungo la schiena per lo spavento appena provato “… se fossi leggermente più acida potresti scogliere le cose alitandoci sopra”

In silenzio la imitò, togliendosi guanti e sciarpa per riporli con cura in un vecchio sgabuzzino pieno dei vestiti degli altri volontari. Prima di uscire, però, afferrò due cuffie rosse con il pompon bianco dallo scatolone che aveva portato precedentemente, durante le prove generali.

“Aspetta” ridacchiò, facendo fermare Quinn. “Dimentichi qualcosa”

Lo osservò per quasi un minuto, muta ed incredula, probabilmente per trovare le parole adatte ad esprimere il suo risentimento nei suoi confronti. 

“Non c’è alcun pericolo che io indossi una cosa del genere” disse alla fine, anche se Puck avrebbe potuto giurare di aver intravisto l’ombra di un sorriso. “Non in pubblico. Preferisco centomila volte la retina per capelli”

“Certo che per una che si veste con una tovaglia scozzese al posto della gonna sei piuttosto schizzinosa” l’apostrofò, agitando una cuffia a mezz’aria. “Che fine ha fatto il tuo spirito natalizio?”

“Sepolto da qualche parte” mormorò, massaggiandosi la tempia con il palmo della mano. Sembrava stanca e rassegnata. “Insieme a ciò che rimane della mia dignità” concesse alla fine, strappando la cuffia dalle mani di Puck per infilarsela.

“È solo una cuffia di Natale, Quinn” le fece notare indossando la sua con un tono decisamente scettico. “Non fare la Rachel

“Oh, ragazzi!”

Entrambi si voltarono e, con genuina sorpresa, videro Jacob Ben Israel avanzare verso di loro con una macchina fotografica piuttosto professionale.

“Ehi, non mi aspettavo di vedervi qui” disse meccanicamente, recitando malissimo il copione che, a giudicare dallo sguardo sconvolto di Puck, non era previsto nel piano. “Racimolo qualche dollaro facendo foto. Ai barboni” aggiunse stupidamente il blogger del McKinley, quasi certamente notando le loro espressioni sconcertate. “Uhm … foto ricordo?”

“Assolutamente no” scosse ripetutamente il capo Quinn, mentre Puck si era coperto il viso con entrambe le mani per la vergogna del fallimento che sarebbe arrivato inevitabilmente da lì ad un paio di secondi. “Sparisci, Jacob”

“Potrebbe essere …” tentò Puck, notando il volto pallido di Jacob. Lo sguardo di Quinn, voltatasi verso di lui, non aiutava per niente ad inventare una balla dal nulla “… la prova che hai effettivamente lavorato il giorno di Natale. Nel … uhm … caso in cui …” indugiò, agitando le mani in aria “… il giudice venga a contestare il numero di ore?” Sembrava plausibile.  “Può succedere, vero Jacob?”

“Cosa?” farfugliò, mentre Puck provava disperatamente di fargli capire di tenere il gioco e continuare su questa strada.

Jacob ancora non poteva saperlo ma tutto questo gli sarebbe costato un mese ininterrotto di viaggi nel bidone dei rifiuti.

“Oh, sì, sì sì. A mia zia è capitato” annuì, risultando quasi convincente. “Dai, su, mettetevi in posa. Dite ‘cheese’!”

I due ragazzi rimasero con il fiato sospeso finché Quinn non sospirò, ancora una volta per manifestare la sua rassegnazione, e si allontanò di qualche passo per mettersi in posa.

“Ti odio tantissimo, Puck”

Nonostante lo sguardo di puro odio di Quinn puntato dritto in faccia –cosa che lo faceva sentire al pari di un cane bastonato-, c’era qualcosa dentro di lui lo rassicurava sulla riuscita del piano. Potevano ancora farcela.

“Se qualcuno a parte noi tre la vede, vi castro con un coltello arrugginito”

… o magari no.

 

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Dio … Jacob, è vero!” ride sua mamma, prendendosi il volto tra le mani. “L’avevo completamente rimosso!

“Io no. Alla fine scoprii che era stata Judie a mandarlo, su consiglio di Santana”

Questo me lo ricordo” ride ancora, scuotendo appena il capo. “Ero furiosa con te

“Sì, beh …” si intromette Beth. Non è la prima volta durante questa conversazione che è costretta ad interrompere i due durante il loro flusso di ricordi. Un po’ le dispiace, perché le piace vedere i suoi genitori così, ma la curiosità è troppo forte “ … non è per niente natalizia. O celebrativa. Non ha senso”

Infatti. Ed è esattamente per questo che non volevo che quella foto finisse in circolo. Fino a quel momento, quel giorno presentava tutte le caratteristiche per diventare il peggior Natale di sempre

“È qui che arriva il bello” ammicca suo padre, lanciandosi in una concitata spiegazione. “La Sorpresa con la s maiuscola. Ero terrorizzato dall’idea che avesse già capito tutto ma poi …  sbam, si è pietrifica sul posto”

Dopo aver aperto la porta della mensa mi sono ritrovata davanti tutti. C’era tua nonna, c’era il Glee al completo, Schuester, la signorina Pillsbury, Sue e, ovviamente, Shelby con te in braccio” le sorride, mormorando le ultime parole dolcemente, la voce appena appena incrinata dall’emozione del ricordo. “Eri così bella con il tuo cappellino di Natale in testa e un vestitino bianco con la cometa gialla sul petto. Quando mi hai vista hai iniziato ad agitare i pugnetti e a gorgogliare

“Passammo tutta la sera con te. E ci scattarono questa”

Il suo papà infila la mano nella tasca posteriore dei jeans e ne estrae il portafoglio. Rovista qualche secondo in una delle tasche laterali prima di porgerle un foglietto di carta plastificata piegato in due parti.

È un’altra foto. Stesso giorno, stesso luogo. C’è sua mamma, ma stavolta sorride. C’è suo papà, ha lo stesso sguardo che le rivolge ogni tanto quando la viene a trovare e la fissa, credendo che non la noti. C’è lei in braccio ai due, esattamente in mezzo e, tra le manine, tiene il cappello rosso del suo papà.

Capisci adesso perché ti ho detto che non capisco come abbiamo potuto non raccontartelo?

La voce di Quinn la riscuote dai suoi pensieri.

Il nostro primo Natale insieme. La prima volta in cui ho potuto rivederti ed abbracciarti. Sono cose fondamentali

Beth annuisce, tornando a guardare la foto. Da quando ha raggiunto l’età per appropriarsi del concetto di amore e di coppia, una parte di lei ha sperato ardentemente di vedere i suoi genitori assieme. Sono così … intimi e legati tra loro da riuscire, come oggi, ad affrontare un discorso del genere pur non vedendosi da diversi mesi –o addirittura un anno. E i loro rapporto durante l’ultimo anno di liceo era così …

Si blocca, sollevando lo sguardo verso suo padre. “E poi?”

“Poi cosa? La storia è finita” mormora Puck, genuinamente perplesso. “Quello che successe dopo lo sai già, te lo abbiamo raccontato altre volte”

“Intendo quella sera” spiega, inizialmente seria, non riuscendo però a trattenere un sorriso. “Vi siete baciati?”

Ci mette un secondo, guardando prima sua madre –arrossita anche se solo leggermente- e suo padre –che ha fatto sul suo ghigno vittorioso-, a capire che ha centrato il bersaglio grosso.

“Siete così palesi” ridacchia, alzandosi in piedi per stiracchiarsi in maniera piuttosto teatrale. Sorride soddisfatta perché, pur avendo accettato il matrimonio di sua mamma con Greg e –anche se un po’ meno- le storie di suo papà, le fa sempre piacere vedere quanto tutto sommato si siano voluti –e si vogliono ancora- bene.

“Ora, se volete scusarmi, vado a raccontare la storia ad Ashley. Questa …” prende la foto piegata, quella che suo padre ha preso dal portafoglio “… è mia. Potete tornare ai vostri convenevoli, se volete”

Puck è il primo a parlare dopo che la loro figlia adorata è uscita saltellando dalla sua camera.

“Beth ti bombarderà di richieste di piercing nei prossimi … beh, direi anni”

Quinn sorride mentre dice “Lo so, lo immaginavo. Shelby mi ucciderà per questo

“Come sta Tommy?” chiede Puck, prima che un velo d’imbarazzi cada sulla conversazione, più per vedere il sorriso che è in grado di fare quando Q parla del suo maschietto di ben due anni che per vera curiosità. “Dov’è? Mi sembra strano che quel terremoto con le gambe non si sia ancora fatto vedere”

In centro con Greg per lo shopping natalizio. Tornerà a casa con un paio di giocattoli che non userà ma, a parte questo, sta bene. Non vede l’ora di andare in montagna con i nonni” spiega, sorridendo esattamente come ha previsto Puck. “Andiamo con i genitori di Greg nello Utah per capodanno. Stiamo lì un paio di settimane

“Si divertirà un sacco”

Quinn annuisce. Sembra incerta mentre gli chiede “E con Trina come va?

“Eh … insomma” mormora, passandosi la mano sulla nuca. Hanno litigato, come hanno fatto troppo spesso per i suoi gusti negli ultimi mesi, ed è evidente come ormai la loro storia sia agli sgoccioli. Almeno per le feste, però, preferisce tenersi alcune cose per sé. “È incazzata con me perché il permesso per le vacanze scade il 27”

Vedrai che riuscirete a fare pace. Sei o non sei un cavaliere dalla scintillante armatura?

“Devo solo ricordarmi dove l’ho messa l’ultima volta che l’ho usata” le fa l’occhiolino, strappandole una risata.

Non è mai un peso passare da New York per salutare Beth. Lo è informare anche Quinn, perché poi pretende che la vada a trovare.

Non è mai un peso raccontare a Beth di come i suoi genitori abbiamo affrontato sé stessi ed il loro rapporto per cercare di dare alla propria bambina un equilibrio familiare. Lo è fare i conti con il ricordo di tutte le volte in cui avrebbe potuto fare di più e ha lasciato andare Quinn.

Non sarebbe difficile andare da Trina e prometterle di dedicarle più tempo, rinunciando a qualche ora alla base o ad un’uscita con i ragazzi. L’unico problema è che , per quanto siano stati mesi importanti, non sente che ne valga la pena. Forse, molto semplicemente, Trina non è Quinn. Nessuna lo è mai stata.

“Prima di salutarti, volevo chiederti una cosa” le fa, mascherando un leggero nervosismo dietro un ghigno spavaldo. “Anche tu sent-”

Mamma! Mamma!

La vocetta acuta del piccolo Tom arriva talmente forte che Puck è costretto ad interrompersi e, esattamente come è venuto, quel piccolo lampo di stupida follia che gli ha attraversato il cervello svanisce.

Hai chiamato il terremoto?” ridacchia Quinn, scomparendo qualche istante dallo schermo del computer di Beth. “Arrivo tesoro! Solo un momento! Che volevi chiedermi?

Non lo ricorda davvero ma, anche se non così non fosse, mentirebbe comunque.

“Hai ancora la foto che tua figlia mi ha rubato? Potresti mandarmela per posta elettronica al solito indirizzo? Sai, ci tengo”

Certo. Grazie per questo pomeriggio … alternativo

Puck fa un cenno con le dita a mo’ di saluto militare, il suo solito ghigno stampato in faccia. Allunga l’indice verso lo schermo touch per chiudere l’icona della conversazione.

“Nel caso non dovessimo sentirci il 25 … Buon Natale, Quinn”

"Buon Natale, Noah

Rimane seduto un po’, rimuginando tra sé e sé. Forse, come si ripete sempre quando cerca di consolarsi, non sono fatti per stare insieme. Sono semplicemente legati per la vita, ma non sono stati fatti per essere uniti.

Dopo essersi alzato, infila le mani in tasca e si avvia verso la soffitta per terminare ciò che ha iniziato con Beth. Il senso di frustrazione scaturito dal ricordo di ciò che, come ha detto sua figlia, è successo dopo non tarda nemmeno troppo ad arrivare.

 

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Non l’aveva vista piangere così nemmeno quando avevano lasciato Beth a Shelby ed erano tornati a casa dall’ospedale.

Aveva cominciato all’improvviso, pochi secondi dopo essere entrata nel suo furgoncino, ed aveva continuato durante il tragitto fino a casa. Era riuscita a smettere, balbettando qualcosa circa l’andare a letto, ma aveva ricominciato subito dopo.

Portarla nei sedili posteriori ed abbracciarla come se non ci fosse un domani gli era sembrata l’unica cosa intelligente da fare. Così forte, eppure così fragile …

“Sai …” le sussurrò, giocherellando con una ciocca rosa mentre il suo respiro si faceva sempre più regolare “… non so perché l’ho fatto. Dirti che non mi importa di te. Non era vero, non lo pensavo”

“Lo so, l’hai dimostrato tante volte in questi mesi ed io … scusami” gli disse, alzando la testa dal suo petto per poterlo guardare negli occhi. “E grazie. Di tutto”

“Ne avevo bisogno anche io. Non pensare che … uhm … non abbia sofferto l’anno scorso per quello che … lo sai, no? Mi dispiace”

Un’intesa fisica fatta di sguardi e gesti, senza la necessità di parlare. Funzionava così per loro. L’aveva –anche se forse sarebbe più giusto dire avevano- dato per scontato a tal punto da finire in quel modo: distanti ed estranei, come se non fossero due persone legate da un destino comune.

Se solo fossero riusciti a comunicare meglio, a resistere insieme …

Le dita di Quinn salirono a sfiorargli la guancia, la linea del mento, poi il collo. Sentì il suo peso spostarsi sopra di lui. Non chiuse gli occhi mentre le labbra di Quinn si poggiarono sulle sue. La strinse forte, facendosi violenza per trattenersi dal trasformare quel contatto delicato in qualcosa di più intenso. Aveva troppa paura di romperla di nuovo.

“Buon Natale, Noah” gli disse, staccandosi appena di qualche millimetro.

“Buon Natale, Quinn” le disse, il solito ghigno dipinto sul viso. Avrebbe voluto chiederle il perché, sapere cosa sarebbe successo la mattina dopo. C’era tempo, si disse, mentre appoggiava di nuovo le labbra sulle sue.

 

 

 

 

N.B.: le parti al presente sono ambientate circa quindici anni dopo il diploma, le parti al passato in un’ipotetica terza stagione rifatta dal principio.  

 

 

 

Note dell’autore.

 

Buona Natale! … ah, mi dicono dalla regia che siamo quasi al 1 Marzo. Eh va beh.

 

Dunque: cosa dire? Niente di particolare. Ho passato gli ultimi mesi a rimettere insieme i pezzi di ciò che è rimasto dopo un paio di scelte piuttosto radicali. Ergo, zero tempo per scrivere e totale assenza di voglia di buttare su carta anche solo la lista della spesa. Ora sto trovando qualche ora qua e là, quindi spero in bene.

 

Entrando nel merito della one-shot, spero di non aver fatto dei danni con l’html perché sono davvero stanco morto.

L’ispirazione mi è stata fornita da un’immagine realizzata da una ragazza gentilissima che mi ha concesso di scrivere questa cosa.

La ringrazio e colgo l’occasione per invitarvi a leggere la ff Quick che sta traducendo su Efp: “Quinn nel Paese delle Meraviglie”. Merita un sacco, la traduzione rende molto bene, è scritto in un modo dettagliato che mi piace da morire e probabilmente è la storia Quick più bella che abbia mai letto. Se fossi capace metterei il link, invece è già tanto se il computer non esplode quando l’accendo.

 

Per la prossima shot non ho nulla da dire. Dalla regia mi suggeriscono di dire che al novanta percento sarà un crossover con Game of Thrones. Chissà.

Grazie a chiunque leggerà e a chiunque abbia letto le altre shot di questa raccolta.

Alla prossima!

Pace. 

  
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