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Autore: bulmasanzo    31/03/2014    5 recensioni
Questo è una sorta di seguito dell'episodio EXCALIFERB. Ci saranno alcune situazioni impossibili, giustificabili solo all'interno del contesto fantastico in cui si svolgono. Vi è del fluff, ma NON si tratta di una storia romantica! Sono presenti un paio di piccole scene di violenza, ma ho cercato di farle più soft che potevo.
Genere: Azione, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carl, Ferb Fletcher, Heinz Doofenshmirtz, Isabella Garcia-Shapiro, Phineas Flynn
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Si lavò la faccia e restò per qualche secondo con le mani umide premute sulle guance, a pensare, a prendere dei profondi respiri, a godere della meravigliosa sensazione di essere vivo.

Gli sembrava di averla sempre data per scontata, per tutto il tempo della sua vita.

Non si era mai veramente soffermato a riflettere sul miracolo di un corpo fatto nient'altro che di carne che non soltanto è in grado di muoversi, ma anche di ragionare e, soprattutto, di provare sentimenti.

E in quel momento, riconosceva in sé una grande varietà di emozioni diverse, che però erano state tutte scatenate dalla stessa situazione.
Provava sollievo per non essere morto.

Provava rispetto e affetto sincero per Isabel che lo aveva salvato e per gli amici che gli erano rimasti accanto, anche in quelle gravi difficoltà.
La profezia che era stata alla base degli eventi che lo avevano condotto a un passo dall'inevitabile non aveva avuto soltanto un significato, ma anche uno scopo, adesso ne prendeva coscienza.

Provava felicità perché quella bruttissima esperienza, dopotutto, gli era servita a recuperare la fiducia in se stesso, a fugare i dubbi, ad accettare finalmente la sua vita, a trovare il suo posto riacquistando l'esaltazione iniziale -anche se la spada Excaliferb non esisteva più- e a comprendere cosa fosse veramente importante.
Provava vergogna per essere stato ingannato e tradito da parte di qualcuno di cui aveva voluto fidarsi, soddisfazione e sorpresa per il fatto che qualcun altro di completamente inaspettato fosse riuscito a fermarlo nei suoi folli piani di conquista, ma anche pena per via delle disagiate condizioni mentali in cui adesso versava.
Provava amore per il fratello che aveva ritrovato, fortunatamente ancora vivo e in discreta salute, e per Perry che si era rivelato tanto leale verso di lui da mettersi personalmente in pericolo pur di salvarlo.

Provava gratitudine verso il Signore che gli aveva concesso di riavere Phineas indietro.
E sicuramente provava rabbia verso l'uomo che gli aveva causato sofferenza, ma non solo questo.

Averlo visto praticamente indifeso nelle loro mani, aver sentito la Dama della Pozza invocare pietà per lui, aver capito che andava messo in discussione il suo ruolo in tutta quella maledetta faccenda, aveva scatenato la sua compassione.
E inoltre, era indeciso su come comportarsi nei confronti della stessa Vanessa.

Lei era così buona, lo aveva sempre guidato, lo aveva sempre consigliato, gli aveva dato conforto quando non si era sentito all'altezza.

E lui cosa aveva fatto per lei? Si domandava se sarebbe mai riuscito a ricambiarle il favore. Come farle piacere, come dimostrarle quanto la amava?
Per qualche motivo gli era tornato alla mente Perry, la sua gioia quando lo aveva lasciato tornare al suo elemento era stata impossibile da non vedere. Era estremamente ispiratrice.
Sapeva cosa avrebbe fatto.
Si asciugò per bene il viso con la salvietta di seta su cui aveva fatto cucire le proprie iniziali.

La guardò e pensò divertito che fosse praticamente l'unico lusso che si era concesso, a parte lo scettro e la corona d'oro con le gemme che aveva perso nella foresta.
Aveva mandato un piccolo gruppo di servitori a recuperarla, ma non è che gli importasse poi molto, stava pensando di regalarla a colui che l'avesse ritrovata e di sostituirla con qualcosa di più semplice. Essendo il re, naturalmente era ricco, inevitabilmente, ma se c'era una cosa che odiava era l'ostentazione.

Sfortunatamente, lui era quasi obbligato a indossare qualcosa che permettesse agli altri di riconoscerlo.
Aveva un diadema d'argento molto bello nella sua semplicità che aveva sperato di donare alla donna che un giorno avrebbe sposato. Ma visto che ciò che aveva in mente di fare avrebbe reso improbabile tale prospettiva, per lo meno nell'immediato futuro, decise di destinarlo a un uso personale.
Uscì dalla camera da bagno e raggiunse quella del tesoro per andarlo a prendere. Lo estrasse dalla sua teca, era molto antico ma moderatamente prezioso, era appartenuto al re che lo aveva preceduto.

Se lo pose sul capo, ignorando la lucentezza dell'oro che c'era intorno a lui, che aveva cercato di smorzare fin dal primo giorno di reggenza.

Si guardò per pochi secondi allo specchio da parete per vedere come stava, ma in realtà non gli importava molto del suo aspetto, perché quello che gli avevano sempre detto era che ciò che aveva importanza era la sostanza.
Uscì senza preoccuparsi di niente e si trovò di fronte la sagoma alta ma ingobbita di Malifishmertz.

Anzi, di Heinz. Aveva esplicitamente richiesto di non essere più chiamato con quello pseudonimo, rinunciarvi era stato il primo passo per lasciarsi la vita di prima alle spalle.

Il secondo era stato abbandonare le vesti da mago, e infatti adesso non lo si sarebbe più visto indossare quel casco con le corna che in passato lo aveva fatto assomigliare a un diavolo più che a uno stregone malvagio.

Il cambiamento di quell'uomo era stato sorprendente, si era abbassato a chiedere perdono per le atrocità che aveva commesso, per il dolore che aveva causato, e anche per la stupidità che aveva mostrato. Sapeva di possedere la capacità di essere una persona migliore e aveva deciso di diventarla. Ovviamente, era stato tutto merito di Vanessa.
Aveva sempre sospettato che ci fosse un segreto oscuro che riguardava il suo piccolo oracolo, ma arrivare ad apprendere che lei fosse addirittura figlia di quell'uomo lo aveva lasciato a dir poco perplesso. Non sembravano affatto compatibili, ma ciò spiegava il carattere ambiguo e incoerente di lui, che Phineas aveva avuto modo di testimoniare. Adesso che sapeva chi era, che aveva appreso le sue origini, la sua storia, aveva deciso di aiutarla.
Heinz era accompagnato da Parable, insieme formavano la coppia più improbabile e improponibile che si potesse concepire. Ferbillotto li salutò con un cenno del capo, in realtà non era tenuto a farlo.

Non era per niente sorpreso di trovarli lì, anzi li stava aspettando.
–Vorrei sapere cos'è che avevi di così importante da dirmi.– sbottò Heinz, senza usare formule di cortesia. Non dava l'impressione di essere seccato o arrabbiato, ma solo un po' annoiato.
Ferbillotto non usò mezzi termini, come sua abitudine quando decideva di dire qualcosa: –Ho intenzione di rendere a Vanessa la sua libertà. So come fare, ma ho bisogno del tuo aiuto per farlo.–

A quelle parole, Heinz si fece visibilmente più attento e collaborativo, e si mise a fare un sacco di domande che giravano più o meno tutte intorno all'entusiasmo. Si mostrò pronto e disponibile a fare qualsiasi cosa, anche a stregare qualcuno con la Sapienza pur di convincerlo a sostituirsi a lei. Naturalmente non era ciò a cui si auspicava di arrivare, ma Ferbillotto sentì nel suo tono affannato quanto fosse ansioso di riscattarsi, quanto realmente ci tenesse.

Alzò la mano per interrompere quel dirompente flusso di parole.
–La Dama della Pozza mi rivelò di non essere l'unica ad aver ricevuto dai sacerdoti dell'idolo i suoi poteri. Tu, più di chiunque altro, dovresti sapere chi altri potrebbe essere adatto a sostituirla.–
Heinz aveva una faccia ancora confusa, ma poi colse l'allusione e fece tanto d'occhi.

–Stai parlando di...lei?– chiese sconcertato.
–È l'unica che potrebbe farlo.– confermò il re –E tu sei l'unico a poterla convincere.–
–Ma mi odia!– protestò l'ex mago.
Ferbillotto lo guardò fisso e tacque per un po' di tempo. Era sicuro di no.

Heinz si sentì a disagio per il suo silenzio, istintivamente lo imitò e rifletté.

Guardò Perry, che lo guardava di rimando e assottigliava gli occhi come se volesse comunicargli qualcosa. Notò un impercettibile segno di intesa. Tornò a rivolgersi al re.
–E va bene, ci proverò. Per Vanessa.– concesse –Facciamo come dici tu.–

Ferb sorrise per la prima volta.

Evidentemente, quello era un interesse che avevano in comune.

Così, quei tre personaggi si ritrovarono a partire insieme per poi tornare dopo qualche giorno.

Nel regno di Danvilot era tornata la tranquillità, e la cosa più divertente era che era tornata senza alcun bisogno di spargimenti di sangue.

Isabel stava lavorando. Era un lavoro che aveva inventato lei che la gratificava al massimo, per il quale tutti coloro che ne avevano bisogno potevano rivolgerlesi.

Aveva capito di volerlo fare quando la vita di Ferbillotto era dipesa dalla sua abilità e dal suo sangue freddo. Avrebbero potuto dire che esisteva una enorme differenza tra ciò che faceva prima e ciò che aveva deciso di fare ora, ma per lei no, perché dopotutto si trattava sempre di aiutare qualcuno. Il balzo era stato assurdamente naturale. Prima prestava il suo contributo alla natura, ora salvava vite umane. E lo faceva senza ricorrere a trucchi.

Prima di allora, non si era mai fermata a riflettere su quanti bisognosi potessero davvero esserci in quel reame. Non si poteva fermare il loro disagio, anche se Ferb aveva combattuto la miseria in tutti i modi.

Ciò che aveva sbagliato era stato cercare di fare tutto da solo, senza chiedere aiuto a chi non avrebbe disdegnato di dargli una mano.

Lei lo aveva salvato, lui doveva fidarsi di lei. Era una questione di logica.

La sua idea era molto semplice: perché non mettere la scienza al servizio della vita? Phineas e le sue pozioni alchemiche potevano servire anche a questo.

Già era rimasta a dir poco affascinata quando Ferb l'aveva guidata facendole preparare quel filtro.

Aveva voluto capire meglio cosa aveva fatto e lui era stato lieto di spiegarglielo.

Capiva che era stato un modo per riscattarsi. Dato che non avrebbe più potuto farlo di persona, glielo avrebbe insegnato, in modo da non lasciare che la sua eredità si perdesse.

E lei sperava di non deluderlo. Si era allora messa a studiare di buona lena.

Lei non lo sapeva, ma stava nascendo quella che un giorno sarebbe stata conosciuta come la medicina.

–Ecco qui, il tuo disturbo dovrebbe guarire se prenderai queste con regolarità.– assicurò alla giovane donna che era venuta da lei dopo averla visitata, porgendole delle modernissime pillole. Le aveva impastate lei personalmente, dosandone le componenti con precisione minuziosa, seguendo la ricetta che lo stesso Phineas le aveva indicato.

Si poteva dire che si fossero messi in società, lavoravano insieme, anche se lui, dopo quella brutta esperienza che aveva avuto, aveva deciso di prendersi una 'pausa' per dedicarsi a nuovi interessi.

La paziente si mostrava incerta. –Non faranno male al bambino?– chiese sfiorandosi il ventre già prominente.

–Sono naturali.– le disse –Credi che ti darei qualcosa se sapessi che potrebbe fargli male?–

–Mi fido di te.– rispose la donna rincuorandosi un po' –Ti ha addestrata mio fratello, in fondo. E per quanto mi disturbi ammetterlo, lui non si sbaglia mai...– aggiunse girando leggermente gli occhi.

Isabel capiva la preoccupazione di Candavere, era la sua prima gravidanza e in fondo lei era un medico principiante.

Ma s'era comunque dimostrata una brava allieva, Phineas diceva che presto sarebbe stata in grado di continuare da sola, anche se lei aveva dei dubbi su questo.

Aveva molto ancora da imparare e ci teneva ad acquisire più informazioni, più pratica, più teoria che potesse, tutta quella che riusciva a immagazzinare.

La gente però non lo sapeva e restava sempre meravigliata da quel poco che sapeva fare. Con le dovute eccezioni.

Comunque, Candavere se ne andò piuttosto soddisfatta, annessi ringraziamenti e rassicurazioni immancabili.

Isabel disse : –Avanti il prossimo.– in un tono molto automatico e senza emozione, tanto si era abituata a dirlo.

Sentì dei passi pesanti e li riconobbe subito, ma non si volse a guardare.

–Potresti controllare se sia tutto a posto?– chiese garbatamente una voce dolce, giovane e profonda, ma inasprita da qualcosa di negativo.

Isabel non era affatto sorpresa che fosse venuto da lei.

–Sempre al tuo servizio. Siedi pure, sire.– disse.

Ferbillotto prese posto e lei svolse attentamente le ultime fasciature. Notò che il gonfiore si era riassorbito e che la pelle smetteva di essere violacea intorno alla cicatrice che purtroppo sarebbe rimasta per sempre.

–Direi che ormai sei guarito alla perfezione.– osservò. Poi, senza perdere tempo: –Qual è il vero motivo della tua visita?–
Ferb sorrise di sfuggita. –Sostegno morale.– sussurrò.
–Dunque hai davvero intenzione di farlo?– Isabel non poteva stupirsene, lo capiva bene.

Lui annuì con convinzione, ma non ce n'era bisogno. Era appena tornato dalla sua piccola spedizione. Se non avesse avuto intenzione di agire, di certo non sarebbe nemmeno partito.

–Sei una vera testa dura.– si concesse di prenderlo un po' in giro –Non hai pensato che potresti cercare di pensare al tuo bene personale, di essere egoista, per una volta? –
Ferb alzò gli occhi, in cui c'era una insolita determinazione, ma anche una vaga sorpresa per la sua uscita inaspettata. –Se a te avessero detto di esserlo, li avresti ascoltati?–

Si stavano decisamente pungendo a vicenda su un argomento focale.
–Mai in questo mondo.– rispose Isabel convintissima.

Ammirava la sua tenacia e il suo altruismo, ma continuava a pensare che si stesse facendo del male. Poi sorrise, risparmiandogli i suoi dubbi.

La sua nobiltà d'animo era della miglior specie. Non c'era bisogno di esprimere a parole il suo intento di sostenerlo comunque, qualunque sarebbe stato l'esito di ciò che stava per fare.

–La gravidanza di tua sorella procede alla grande. Credo proprio che sarà una femmina.– buttò lì quasi in tono casuale.
Ferb accettò il cambio di argomento.

Passò il resto del tempo ad ascoltare le informazioni che gli forniva.

Isabel lo guardò rivestirsi, ormai aveva smesso di arrossire in sua presenza.

Che fosse venuto a consultarla, in qualche modo, le fece particolarmente piacere. Era una persona che poteva sembrare forte e imperturbabile, praticamente imbattibile emotivamente parlando, ma naturalmente aveva, come tutti, delle debolezze.

Sentiva che, in un certo senso, avessero degli spiriti affini.

Aveva la sensazione di essersi fatta un nuovo amico.
Ferb poi la lasciò e andò dove veramente gli interessava andare.

Parlare con Isabel forse non era servito veramente, ma si sentiva se non più calmo almeno un po' più tranquillo, anche se in realtà l'emozione e l'eccitazione per ciò che aveva deciso di fare non lo lasciavano in pace un attimo.

Probabilmente era vero che non ci fossero speranze, ma sentiva di aver riflettuto fin troppo e che quello fosse il momento di smettere di ragionare con la testa e di 'pensare con il cuore', come si diceva.

Non sarebbe stato in pace con se stesso finché non ci avesse almeno provato. Che andasse come doveva andare!

La Dama era seduta sul bordo del pozzo presso il quale veniva sempre a trovarla, con la testa bassa, un po' incavata tra le spalle, e i piedi penzoloni nel vuoto.

Gli occhi lucidi catturavano i riflessi argentei della luce della luna, filtrante dalla finestra, e davano l'impressione di brillare come quelli di un gatto.

Aveva un'aria molto malinconica. Eppure aveva fatto di tutto pur di compiacerla.

Le aveva concesso la grazia per il nemico, aveva annullato il suo confino solo perché gliel'aveva chiesto, e tanto sarebbe dovuto bastare.

Tuttavia, ciò non cambiava il fatto che sarebbe sempre rimasta legata al luogo in cui si trovava, costretta a non lasciarlo mai completamente.

Forse era per questo che appariva così triste.

Aveva cercato di renderle il soggiorno più piacevole, ma evidentemente aveva fallito. Cosa non avrebbe dato pur di vederla di nuovo felice!

–Mio re.– disse la ragazza, sollevandosi in una posizione più dignitosa, quando si accorse d'essere osservata.

Quell'appellativo in fondo non gli dispiaceva, ma perché doveva essere sempre pronunciato proprio da lei? Avrebbe tanto voluto che lo vedesse in un modo diverso, che lo considerasse come un amico, un confidente, o per lo meno che si potessero confrontare da pari a pari, che si mettessero sulla stessa linea.

Scese dal bordo e atterrò al suolo. Era più alta di lui, ma non troppo, e s'era abbassata fino al punto in cui poté guardarla negli occhi senza costringerlo a porre inutilmente in evidenza tale dislivello.

Lo faceva per rispetto, ovviamente, ma quanto avrebbe preferito che la situazione si invertisse!

L'aveva un po' venerata, eppure sapeva bene che non era meno umana di lui.

Quando aveva ottenuto la grazia per lei quasi non era riuscito a crederci.

Se la sentiva sfuggire dalle mani e fu preso dal desiderio di toccarla, e lui non era il tipo che toccava facilmente gli altri.

Le prese il mento con due dita e le sollevò delicatamente il viso, scrutando nei suoi occhi con attenzione. Forse non avrebbe dovuto farlo.

Era bellissima come sempre. La sua pelle era vellutata e i microscopici peletti che la ricoprivano erano morbidissimi al tatto, ma notò un leggero livido su una guancia che le deturpava il volto perfetto, il segno di uno schiaffo.

Provò rabbia verso chiunque ne fosse responsabile.

Quando l'aveva vista lì in mezzo, si era chiesto cosa ci facesse fuori dalla stanza che aveva fatto preparare per lei e per quale ragione si stesse accompagnando a quell'uomo. Quello che inizialmente aveva creduto l'unico responsabile di ciò che era capitato a suo fratello.

Aveva sperato che non si sarebbe mai allontanata da lui, ma la profezia che aveva ascoltato forse aveva un secondo significato latente.

Non voleva che si fosse sentita intrappolata da lui, tutto ciò che aveva fatto era stato pensato con l'unico fine di proteggerla dalle intemperie e dalla cattiveria del mondo esterno.

Magari aveva sbagliato, ma l'aveva fatto in buona fede.

Quando aveva scoperto che Phineas, quello che pensava sempre e solo al suo lavoro, quello che non sembrava mai essersi interessato alle ragazze, era riuscito a trovare l'amore, non avrebbe potuto negare di averlo invidiato, lui che adesso poteva stare con la sua compagna senza nessuna limitazione.

Se qualcosa li aveva divisi, non esisteva più.

E si chiedeva perché lui non potesse fare lo stesso.

Arrivava sempre il momento il cui bisognava accorgersi che non si poteva vivere solamente di sogni.

–Maestà. Volevi chiedermi qualcosa?–

In quel momento, il suo desiderio fu che lo chiamasse con il suo nome. Come aveva fatto la prima volta che gli era apparsa, quando aveva mandato lui e suo fratello alla ricerca della spada e quando poi, in quella caverna, lo aveva guidato fino a essa.

Lei sentì il suo pensiero e sembrò sorpresa, era difficile sorprendere una che sapeva tutto.

–Come ti chiami?– farfugliò.

Ne fu costernato. Come aveva potuto dimenticarsene?

Era stata lei a chiamarlo per prima.

–Perdonami, non sono serena.– si riprese la Pusa –Sono stata qui dentro così a lungo che ho dimenticato perfino il mio, di nome.–

Ferbillotto fu tentato di andarsene, era probabile che quella donna non lo avrebbe mai amato la metà di quanto la amava lui.

Ma proprio per tale motivo doveva andare fino in fondo. Per qualche istante ancora voleva illudersi, voleva giocare tutte le sue carte.

Tirò fuori di tasca l'ennesima fiala, era un filtro che aveva preparato personalmente, quasi per gioco, qualche tempo prima, quando aveva realizzato di essere un re infelice, innamorato di una donna che non avrebbe mai potuto avere. Aveva capito di essere un disperato.

Non aveva mai avuto il coraggio di usarlo, l'aveva sempre conservato senza mai tirarlo fuori, adesso voleva scoprire se funzionasse.

La Dama si scostò permettendogli di recarsi al pozzo.

Mormorò qualche parola di scusa per quella profanazione, poi vi rovesciò dentro la pozione.

Non appena essa toccò l'acqua, una pioggia di gemme eruttò dal fondo come un geyser.

Diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri, a decine, di varie dimensioni, dei più belli e dei più puri che si fossero mai visti, illuminarono la stanza di miriadi di piccole luci, di colori tutti diversi e le pareti sembrarono dissolversi mentre essi ricadevano al suolo come tanti coriandoli.

Sbirciò la reazione della Dama.

Notò che osservava il fenomeno con attenzione.

E, con sua gioia, vide che sorrideva, il suo viso esprimeva un'aria del tutto deliziata.

Poi la vide chiudere gli occhi, allargare le braccia e roteare su se stessa, raccogliere una manciata di pietre con le mani e lanciarle in aria ridendo.

Fu colpito e commosso da quel gioco infantile. Sembrava una bambina che accogliesse la neve.

Si era ripromesso di non perdersi nella sua contemplazione, e invece ecco che ci ricascava un'altra volta.

–Io invece non potrei mai dimenticarmene.– disse, senza staccarle gli occhi di dosso.

La Dama si fermò dal suo volteggiare. –Come hai detto?– fece, come interdetta.

–Il tuo nome.– riprese Ferbillotto –Me lo rivelasti una volta e non me ne dimenticherò mai più.–

–Io?– fece la donna, sembrava avesse dei dubbi.

Lui pose la mano destra sul proprio petto, sul cuore, a indicare che fosse sincero.

–Quando sono stato sul punto di morire, uno dei più grandi rimpianti che ho avuto è stato quello di essere destinato ad andarmene senza aver mai avuto il fegato di dichiararti quello che provo.– disse con voce ferma, seppur contenesse a stento la grande emozione che lo turbava –Ma tu non curarti di me. Non sentirti in obbligo, o in debito. Tutto ciò che desidero è la tua felicità e per questo ho deciso di farti un regalo.–

Vanessa non capì, ma dal fondo del pozzo, nel mezzo di quella luminosa pioggia di preziosi, emerse una figura nuova, aggraziata, dal portamento nobile e fiero.

Si levò per un momento a mezz'aria, poi discese dolcemente.

La studiò. Indossava una tunica azzurra del tutto simile a quella che portava lei, della stessa fattura ricercata, con lo stesso tipo di ricami brillanti ed evanescenti.

Ma fu quando toccò il suolo con i piedi nudi che finalmente la riconobbe.
–Madre!– esclamò, incredula, voltandosi a guardare prima lei, poi il re. Era confusa e si accorgeva di non avere più fiato –Cosa ci fai qui?–
La Dama del Lago sorrise alla figlia, ma tornò immediatamente seria. La sua figura ispirava sicurezza da ogni angolo.

–Figlia. È ormai molto tempo che siamo state separate. Ferbillotto è venuto a cercarmi per poter intercedere a nome tuo, per liberarti dal gravoso onere della veggenza che da troppi anni ti costringe a restare in questo luogo.– spiegò.
–Non capisco.– ammise la giovane Pusa –Io ho un ruolo, qui. Credevo che non fosse possibile sottrarsi alla consacrazione.–
–Non è del tutto vero.– riprese la donna. –Gli spiriti hanno parlato. Hanno osservato e deciso che tu hai già portato a termine il tuo compito e quindi non hai bisogno di continuare. Ti è concesso di interrompere il tuo servizio e di ritornare a vivere la tua vita. Qualcuno ti ama a tal punto da aver fatto in modo che tu te ne rendessi degna.–
Vanessa sentì improvvisamente il proprio cuore battere all'impazzata nell'acquisire coscienza di ciò che quell'incontro significava. –Ma il regno ha bisogno di un Oracolo.– protestò, molto debolmente a dire il vero –E io non posso essere sostituita da chiunque. È la regola.–
La donna si limitò a sorridere, perdendo quell'aura di severità che l'aveva attorniata. E lei comprese.
Tu prenderesti il mio posto?– fece lei confusa. Non aveva ancora capito bene cosa stesse accadendo, ma sentiva pian piano riaccendersi le ceneri della speranza.
–Diciamo che lo devo a tuo padre.– fu il sussurro di una moglie che ha fatto un grosso sbaglio e cerca, indirettamente, il perdono delle persone che ha ferito.
Vanessa si voltò a guardare Ferbillotto, che non mostrava più alcuna emozione sul viso.
Gli lanciò un'occhiata indagatrice. –Te lo ha chiesto lui, non è vero?– mormorò.
Ferb annuì impercettibilmente, ma non era soltanto una conferma, era molto evidente che ci fosse dell'altro. Uno struggimento inespresso.
Tornò a rivolgersi a sua madre.
–Dunque mi sarà concesso anche di partire insieme a lui?–
–Se lo vorrai.– confermò semplicemente la Dama. Poi le pose le mani leggere sulle spalle e abbandonò del tutto il suo tono altero –Figlia– riprese –Io ti chiedo scusa per averti costretta a questa vita. Non è mai stata fatta per te, ma me ne sto accorgendo troppo tardi. Per favore, perdona questa stupida donna. Occupare il tuo posto è il minimo che io possa fare per poterti aiutare a riguadagnare la tua vita, la tua libertà. Ho visto come ha agito tuo padre, ma non è da biasimare per aver commesso degli errori. Hai testimoniato il suo cambiamento, hai potuto constatare che è arrivato solo dopo averti ritrovata. Lui non aveva bisogno che di amore. Io, nella mia stupidità, gliel'ho negato. Adesso toccherà a te guidarlo lungo la giusta via.–
Non la fece continuare. Le si slanciò addosso e la strinse per qualche secondo.
–So che nel separarci non hai agito con cattive intenzioni. Ti perdono. Mi stai facendo... mi state facendo un regalo così grande.–
Dopo aver ricambiato l'abbraccio, la Dama del Lago impose i palmi sul capo della Dama della Pozza. E mormorò una preghiera con voce cantilenante.
Sebbene avesse studiato quella lingua, Vanessa si rese conto di non capire il senso delle parole che stava pronunciando.
Le sembrò che tutto il mondo intorno a lei si facesse più oscuro, più ostile, più caotico. Ma c'era una costante che le impediva di perdervisi dentro.

Tutto ciò che pensava adesso era che sarebbe stata libera. Sarebbe stata lasciata andare ovunque le sarebbe piaciuto andare, con chiunque le sarebbe piaciuto andare.
Era molto felice di questa prospettiva.

Al termine del rito, Vanessa constatò di non riuscire più a leggere nella mente di sua madre, era accaduto, i suoi poteri erano stati ritirati. La cosa la lasciò euforica, finalmente poteva dirsi esattamente come tutti gli altri.

Ma quella non era l'unica cosa che mancava.

–Dov'è andato il re?- chiese a voce alta.

–Per la sua strada, com'è giusto che sia.– affermò la Dama –Così come tu andrai per la tua.–
Ferbillotto stava per uscire dalla camera, aveva lasciato le due donne con molta calma e una gran tranquillità nel cuore. Si sentiva appagato, sapeva di aver fatto la scelta migliore.

A sorpresa, fu raggiunto da Vanessa che lo bloccò sull'uscio.
–Aspetta! Non andare, ti prego! Non varcare quella porta!– gli disse. Lo prese con sicurezza per un polso e lo fece rientrare, non trovò alcuna resistenza.

La Dama del Lago adesso era svanita, si ritrovarono di nuovo da soli.

Vanessa aveva delle lacrime di commozione agli angoli degli occhi che brillavano come dei piccoli diamanti. –Tu mi lasci sempre senza parole, e non è una cosa molto comune. Io non so come posso ringraziarti, nessuno aveva mai fatto qualcosa di simile per me. Tu sei il re, non avrai nessun vantaggio da questo. Allora perché lo hai fatto?–
Ferbillotto non le rispose a parole, perché il suo sguardo comunicava già tantissimo da solo.
–Lo hai fatto per me. Hai rinunciato ad avermi qui. Perché tu sai che me ne andrò. Mio padre ha detto che è disposto a restare qui, ma io lo so che lui non è in grado di restare.– la voce della fanciulla si fece lamentosa –Si sentirebbe in gabbia. È uno spirito libero, proprio come me. E io voglio seguirlo, voglio vivere la vita che fino a ora ci hanno sempre negato. Devi capirlo.–
Lo capiva perfettamente. Non l'avrebbe mai costretta a restare, se anche lo avesse voluto.

–Ti sarò sempre riconoscente. Non dimenticherò mai quello che tu sei stato per me, quello che mi hai dato, quello che hai fatto. Mi accompagnerà per sempre, ovunque sarò.–

Adesso lo sguardo del re era veramente triste.

Lei non sapeva cos'altro fare, le faceva male il petto, era il cuore che si lacerava.

Si accorse di ansimare leggermente.

Le era venuta un'ispirazione improvvisa e si chiedeva se fosse la cosa giusta da fare.
Smise di chiederselo, pensare troppo non avrebbe fatto altro che moltiplicare i dubbi quando invece aveva soltanto bisogno di agire.

–Io non dimenticherò mai più il tuo nome.– gli promise.

Si chinò su di lui, non più di quanto si fosse aspettata.

C'era da scommettere che entro qualche anno sarebbe stato lui a sovrastarla, lui a doversi chinare per raggiungerla.

Si accorse di sentire leggermente più caldo, stava forse arrossendo?

Gli rubò un bacio, leggero e fugace, sulle labbra.

Poi si allontanò prima che potesse realizzare quello che aveva appena fatto.
Ma probabilmente aveva sottovalutato le sue capacità cognitive.
Si sentì tirare per una manica, quindi si volse.

Lui l'aveva seguita per reclamare ciò che lei aveva semplicemente abbozzato.

Lo accolse, senza voler pensare a cosa ci sarebbe stato dopo, né a cosa sarebbe mancato.

Non si aspettava una tale foga, ne rimase meravigliata, c'era qualcosa che le pulsava forte dentro le vene e la faceva diventare irrequieta.

Era sconvolta e non capiva se ciò che stesse provando fosse amore o un semplice, fortissimo senso di gratitudine. Ma non poteva permettersi tale dubbio.

–Spero che, almeno, adesso che avrai di nuovo tuo padre nella tua vita tu sia contenta.– mormorò lui alla fine. Sembrava che quelle parole nascondessero una grande rassegnazione.

Capì che lui non avrebbe mai preteso niente da lei, l'avrebbe lasciata fare tutto quello che voleva.

Lo apprezzò ancora di più per questo.

Ma era inutile. Perché quello doveva essere il loro addio.

Lo seguì con lo sguardo mentre usciva, sconfitto, dalla stanza.

–Mi dispiace!– gli urlò dietro, prima che le chiudesse la porta in faccia, non brutalmente comunque.

Non appena fu dall'altra parte, Ferb si trovò a fissare di rimando due occhi freddi che lo scrutavano nel buio.

Si trovava in uno stato di particolare fragilità emotiva, perché altrimenti sarebbe passato oltre restituendogli uno sguardo di sfida.

La figura sembrò portarsi repentinamente in avanti, gli occhi divennero più grandi -o forse erano semplicemente più vicini.

Non poté fare a meno di rivedere in essa quella stessa entità che aveva già avuto modo di conoscere durante il suo deliquio, quando aveva rischiato la vita, quando aveva creduto che per lui fosse finita.

In qualche modo, la cosa che lui aveva identificato come l'angelo nero, la personificazione della morte, era sfuggita da quella dimensione onirica -che probabilmente era più reale di quanto potesse sembrare- ed era tornata per prenderlo.

Si chiese perché la rivedesse così presto. Dipendeva forse dal suo cuore spezzato?

Si trovò a indietreggiare, temendo di essere attaccato.

Toccò la parete alle sue spalle con la schiena, non c'erano vie di fuga, a meno di rientrare nella camera da cui era appena uscito. E lui non voleva certo rientrarci.

Un momento di irrazionalità però gli fece considerare accettabile anche l'idea di non opporre nessuna resistenza.

Adesso non aveva più rimpianti.

Vanessa era libera. Aveva compiuto il suo dovere.

Era già preparato al suo addio. Si era rimesso al suo volere e aveva dolorosamente accettato quello che aveva deciso.

Suo fratello era al sicuro. Se mai gli fosse capitato qualcosa, la corona sarebbe passata automaticamente nelle sue mani e lui e Isabel avrebbero regnato insieme al suo posto.

Non c'erano più affari in sospeso. Era tutto perfettamente sistemato.

Prima era scampato alla morte, ma presto o tardi ne sarebbe necessariamente dovuto essere vittima. Adesso che l'aveva affrontata una volta, però, poteva attenderla senza provarne nessuna paura, da uomo.

Scrutò la figura che aveva di fronte cercando di scoprire di chi si trattasse, cercando di capire se fosse ostile o meno.

Era a volto coperto, ovviamente, e di corporatura pareva piuttosto massiccio, ma non gli sembrava di averlo mai visto prima.

Roger non poteva essere, lo aveva fatto rinchiudere e quando lo avevano trascinato nella sua cella era in una sorta di stato catatonico.

Che si fosse ripreso e che fosse scappato, che lo avesse aspettato per vendicarsi? Era possibile.

Vide il suo braccio muoversi e si allarmò.

Ma quello si allungò sul muro accanto a lui senza sfiorarlo.

Il suono di una voce maschile appena udibile, soffocata, che era certo di non aver mai sentito in vita sua, gli comunicò di ascoltarlo.

Quella voce era particolare, dall'accento familiare ma contemporaneamente del tutto sconosciuto.

Ma chiamarla 'voce' era errato, perché nella realtà non c'era nessuno che parlava, le parole che sentiva sembravano risuonare all'interno della sua testa, come se si trattasse di un suo pensiero.

Gli disse che aveva appena superato una prova estremamente importante. Ma che esse non erano ancora concluse. Avrebbe dovuto farsi forza, perché nell'immediato futuro avrebbe avuto tanto ancora da dimostrare. Presto il suo popolo avrebbe avuto bisogno di lui e lui sarebbe dovuto essere pronto ad aiutarlo.

Prima che potesse anche solo pensare di rispondere, la figura si dileguò, lasciandolo solo.

Si trovò spaesato, l'adrenalina lo investì tutta in una volta.

Ebbe il dubbio se ciò fosse successo veramente o se fosse stata soltanto la sua immaginazione.

Durò pochi attimi. Respirò a fondo, poi si riprese e tornò nella sala del trono.

Phineas era semi-sdraiato su una pila di cuscini.

Aveva lo sguardo concentrato su un foglio blu. Ma non avrebbe dovuto studiare per i suoi esami da mago?

Si girò e gli sorrise. –La reggia ha bisogno di ristrutturazioni.– disse in tono vivace –Mi nomini architetto ufficiale?–

Ferb si strinse nelle spalle. Poteva fare tutto quello che gli paresse opportuno, gli dava carta bianca.

L'espressione di Phineas cambiò repentinamente, passando da allegria ad allarme. –Stai bene?– gli chiese –Hai una faccia!–

Ferb si sedette accanto a lui sui cuscini e gli raccontò quello che era successo nella stanza della Dama, omettendo il misterioso incontro avvenuto subito dopo.

Era una delle loro 'confessioni'. Avvenivano raramente, ma entrambi sentivano l'importanza di quei momenti fraterni. Li legavano in un modo incredibile.

–Sei stato generoso con lei.– disse Phineas alla fine, dopo aver ascoltato in silenzio –Credo davvero che tu sia il miglior re che questo regno potesse avere, sono certo che nessun altro, al tuo posto, si sarebbe privato di una felicità personale per favorire quella di un'altra persona. E credo anche che tu meriti qualcuno che ti possa dare quello di cui hai bisogno.– aggiunse.

Questo lo sorprese. Phineas non sembrava così saggio, ma l'apparenza poteva ingannare.

Avrebbe voluto che fosse così semplice come glielo presentava.

Sapeva che ci sarebbe voluto un po' per dimenticarsi di quella delusione.

Comunque, non era affatto pentito di averla lasciata libera, né di essersi dichiarato, anche se in fondo al cuore avrebbe preferito un esito diverso.

Si era tolto un grande peso, adesso sarebbe stato libero di cercare altre strade. Prima però doveva convincersene.

Si chiese chi gli suggerisse quelle belle perle di saggezza.

Forse era il perenne sorriso di suo fratello che gli ispirava una positività innata.

Forse era merito di quella ...cosa che lo aveva quasi assalito poco prima. Aveva avuto ragione.

Era impressionante con che velocità stesse tornando a ragionare lucidamente.

Continuare a struggersi non sarebbe servito assolutamente a nulla, la sua vita non era conclusa e sarebbe continuata ad ogni modo, anche se non aveva ottenuto quello che aveva sperato.

Stava a lui riempirla di novità, e avrebbe avuto tante altre occasioni per farlo.

Restituì il sorriso a Phineas e cercò in se stesso la forza di dominarsi.

Ci riuscì così alla perfezione che fu quasi sconcertante.

Phineas gli mostrò i suoi progetti e, prima ancora che potesse realizzare appieno cosa stesse succedendo, era stato nuovamente coinvolto nel suo piccolo e meraviglioso mondo fatto di imprese strabilianti, colossali e pazzesche. Un mondo da cui per anni era stato costretto a escludersi, ma che non gli sarebbe mai stato precluso veramente. Non da Phineas, non da se stesso.

Mentre i due fratelli ritrovavano la complicità perduta, una figura ammantata li osservava di nascosto sorridendo, per quanto il suo becco potesse permetterglielo.

–Non credi d'esser stato un po' avventato, Perry?– lo rimproverò Heinz.

L'ornitodrago si giustificò. Non parlava perché non possedeva un linguaggio verbale, comunicava mentalmente e Heinz lo capiva, proprio come se si esprimesse a voce.

–Lui mi ha fatto un favore enorme. E tu hai rischiato di spaventarlo a morte. Ottimo, l'effetto dell'incantesimo, vero? Sembravi proprio un omaccione brutto e violento.– sogghignò l'umano –Sinceramente, ti preferisco nelle tue sembianze naturali.–

Parable gli rivolse una domanda silente.

–Ma no, come avrebbe potuto riconoscerti?– gli rispose –Penso proprio che tu lo abbia preso nel momento migliore. Avrà creduto in un qualche fenomeno inspiegabile, presto smetterà di farsi domande...–

Parable aveva idea che tutto fosse stato inutile.

–Hai idea?– gli fece eco il non-più-mago –A me sembra che abbia funzionato. La profezia di Vanessa parlava chiaro. Qualcuno deve guidarlo.– sentenziò –Altrimenti, per lui sarà difficile prendere le giuste decisioni al momento opportuno. È così giovane, così inesperto della vita... e a quanto pare non vivrà così a lungo da acquisire esperienza. Non può sbagliare.–

Perry annuì. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rendere Ferbillotto l'eroe che era stato predetto che sarebbe diventato.

Con Heinz si scambiarono un pugno amichevole, non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita in quel modo, tra loro due.

La simpatia reciproca, anche se si erano trovati in contrasto, c'era stata da sempre.

Forse, nonostante tutto ciò che era successo, non soltanto tra loro due, avrebbero lasciato indietro la loro atavica rivalità per renderla qualcosa di simile a un'amicizia.

 

 

 

***

Carl aveva interrotto la lettura in un modo talmente naturale che Francis riuscì a capire senza dover chiedere che non avesse scritto altro.

–Dunque.– fece il ragazzo dopo diversi secondi di silenzio –Credo che questo sia tutto. Cosa ne pensa della mia storia? Secondo lei ho un futuro?–

Eccolo che si rimetteva per l'ennesima volta al suo giudizio. Possibile che non avesse ancora compreso la propria bravura, che non ci credesse abbastanza?

Non voleva deluderlo, ma nemmeno fargli capire quanto in realtà l'avesse appassionato.

Non voleva che si montasse la testa e decidesse di punto in bianco di cambiare mestiere, era importante tenerlo nelle righe, l'Organizzazione aveva bisogno di manodopera.

Misurò attentamente ogni parola.

–Come prima volta che ti cimenti in un'impresa del genere, direi che non c'è male.– disse –Capirai però che voler eguagliare una storia fantastica come Excaliferb era un traguardo molto ambizioso...–

Carl annuì, comprensivo, ma sembrò lo stesso molto deluso da questa risposta.

–Ho fatto ciò che potevo, signore.– fece, a disagio –Non pretendevo certo di scrivere il romanzo del secolo. L'ho fatto più che altro per divertimento.–

Monogram ebbe un rimorso e volle riprendersi.

–E trovo che sia stato già un buon lavoro così.– cercò di rincuorarlo –Figurati dunque come verrebbe fuori questa storia se dovessi fare sul serio… E poi, ci sarebbe un altro appunto.– continuò iniziando già a sentirsi un verme –Cioè, Carl, hai indubbiamente dimostrato che sei un bravo scrittore, ma non puoi cadermi su una cosa così evidente.–
–Credo di capire a cosa si riferisce.– fece il ragazzo, come sovrappensiero –È sicuro che non si tratti di una cosa voluta?–
–Beh, prima accertiamoci di parlare della stessa cosa.– replicò il Maggiore –Io stavo pensando agli anacronismi che hai sparso in giro per il testo...–
Carl diede in un pesante sospiro e rise di cuore. –Allora se ne era accorto!– esclamò –Mi sembrava che dovesse interrompere la lettura e correggermi ogni volta che ne incontravamo uno, e invece lei è rimasto in silenzio.–
–Perché non volevo rompere la magia della narrazione.–

Ma Carl non era d'accordo. In silenzio aveva già iniziato a raccogliere i fogli del manoscritto e a sistemarli accuratamente.

Francis non capì le sue intenzioni finché non lo vide alzarsi e avviarsi con passo lesto al distruggidocumenti.

In pochissimo tempo, il frutto di un intero mese di lavoro sarebbe stato ridotto a un migliaio di illeggibili striscioline di carta.

Lo fermò appena in tempo, prima che premesse il tasto di avvio, afferrandogli il polso.

–Perdonami, ma cosa diavolo stai facendo?– gli chiese.

–Elimino quest'obbrobbrio letterario dalla faccia della Terra!– disse Carl in un soffio.

–Non hai nessun diritto di definire il tuo lavoro un obbrobbrio! È un lavoro mediocre, sì, ma non fa completamente schifo.– lo rimproverò Monogram.

–Invece sì. Sono arrabbiato.– continuò Carl, disperandosi –Non era quello che volevo, non so dove abbia sbagliato. Credo che non avrei nemmeno dovuto iniziare a scrivere.–

–Sciocchezze!– esclamò Francis.

Senza mollargli il polso lo allontanò dalla diabolica attrezzatura d'ufficio e con l'altra mano ne tirò fuori il manoscritto. –Anche se non ti senti soddisfatto, non dovresti buttarlo via. Devi rimediare. Dimostrati che sei in grado di migliorarlo.–

–Ma non so come!– gridò Carl –Quando ho immaginato la storia mi era sembrata epica, una figata assurda... Ma evidentemente si trattava solo del delirio di un ragazzino senza talento che crede di poter scrivere qualunque cosa senza esserne davvero in grado!–

Monogram non riusciva a credere che si stesse buttando giù in quel modo, era quasi in lacrime.

Si rese conto che quello che doveva dirgli avrebbe potuto costargli molto.

Eppure, voleva assolutamente che ritrovasse il sorriso.

–Ascoltami.– esordì –A me questa storia è piaciuta moltissimo, davvero, non scherzo.–

Il ragazzo lo guardò scettico –Ha appena detto il contrario.– osservò.

–No. No, non è così.– lo contraddisse –La verità è che ho parlato per invidia. Mi sarebbe tanto piaciuto essere in grado di scrivere una cosa come questa. Ma non sono abbastanza bravo con le parole.–

Il diciottenne dissimulò uno scoppio isterico di risa. –Lei non sarebbe bravo con le parole?–

–No, Carl.– rispose tranquillamente –Credimi, ragazzo, mi hai stupito, ci sono stati dei passaggi che mi hanno quasi incantato. Hai del potenziale, non buttarlo alle ortiche.–

Sembrò che stavolta Carl riuscisse quasi a crederci.

–Dunque lei pensa... che potrei migliorarlo?–

Eccolo di nuovo! Perché era così difficile per lui aver fiducia nelle proprie capacità?

L'umiltà che stava dimostrando non era simulata. Non era a caccia di complimenti, se no non avrebbe davvero cercato di distruggerlo.

Forse l'errore era suo, forse, relegandolo fino a quel momento a tirocinante non pagato, non lo aveva trattato come si meritava, aveva sfruttato la sua collaborazione senza mai ripagarlo adeguatamente. Non lo aveva incoraggiato abbastanza da far in modo che credesse in se stesso.

–Fa' una cosa. Questo libro è stato battuto a macchina, giusto?–

–Al PC.– confermò Carl –L'ho fatto stampare solo per poterglielo leggere.–

–Deduco che tu abbia ancora tutto conservato nel tuo computer.– sperò.

Carl ci pensò su qualche secondo. –Forse l'ho cestinato.– ammise.

–Il computer?!– si confuse Francis.

–Ma no, il file!– esclamò esasperato Carl –Se siamo fortunati non ho ancora svuotato il cestino. Dimentico spesso di farlo...–

–Beh, normalmente non approverei, per una questione ecologica...– borbottò Francis –Ma questa volta forse è una benedizione. Tappati il naso e vedi di recuperarlo.–

Carl si mise a ridere nascondendo educatamente la bocca dietro una mano.

–Ah, giusto, tu sei nato privo di olfatto...–

–Non è per questo, signore. Lei sa cos'è il cestino di un computer?–

–Ma sicuro!– mentì Monogram –Sono secoli che non utilizzo uno di quei 'cosi', ma che diavolo, non sono mica stupido!–

Carl fece un sorriso sornione.

Andò in un'altra stanza e tornò con in mano un PC portatile. Era proprio piccolino.

Guardò attentamente mentre lo metteva sulla scrivania, si sedeva, lo accendeva, collegava il mouse e, con tutta la naturalezza del mondo, cliccava su un'iconcina a forma di qualcosa di dannatamente simile a un cestino per la carta straccia.

Si aprì una finestra. Dentro c'era un file denominato Excaliferb2

–Non l'ho cancellato, meno male.– sospirò il ragazzo.

Ci cliccò sopra e si aprì un menù a tendina. Selezionò: Ripristina. Il file sparì.

Monogram si allarmò. –Non lo avrai cancellato adesso!–

–No, stia tranquillo.– spiegò Carl –È semplicemente tornato nella cartella dei documenti.– in un secondo aprì anche questa.

Il file se ne stava lì tranquillo ad aspettare le modifiche.

–Adesso senti quello che devi fare.– disse il Maggiore –Prendi tutto quello che hai scritto fino a ora, te ne vai all'inizio delle pagine e ci scrivi: Libro uno. Dopodiché, te ne vai alla fine e scrivi: Libro due. E inizi a scrivere il seguito...–

–Ma io non ho un vero e proprio seguito, signore.– protestò Carl.

–Certo che ce l'hai! Spremiti le meningi! Hai scritto quanto, cinquanta, sessanta pagine? Ora ne scriverai altre centodiciassette...–

Il tirocinante sorrise. –Se lei crede che possa farlo...–

–Puoi.– tagliò corto lui –E mettici Monopunzel, questa volta.– era rimasto molto rattristato da quell'esclusione.

–Potrei introdurre anche l'eroe che prima mi aveva fatto escludere.– fece Carl, ispirato –Adesso avrebbe più senso, non trova? Molti 'seguiti di' introducono personaggi nuovi.–

–Sì, però prima inventa la sua storia. Spiega da dove arriva, non può essere una specie di creatura mistica che risolve tutto come se avesse dei superpoteri...–

–Beh, oppure potrei trovarci una giustificazione.– fece Carl, sfoggiando un ghigno che andava da un orecchio a un altro.

Come si vedeva che era stato di nuovo contagiato dalla febbre dello scrittore!

–La storia è tua.– gli sorrise a propria volta –Ma evita di scadere nel supereroistico.– lo ammonì.

–Non lo farei mai.– stavolta il ragazzo rise apertamente.

–Ti lascio scrivere in pace.– Monogram si avviò verso la porta.

–Signore.– si sentì richiamare. Si voltò.

–Non so come ringraziarla per il suo sostegno. Spero di non deluderla.–

Francis non disse nulla, aveva già la mano sul pomello.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma Carl era per lui come un secondo figlio e, come un padre, ne era profondamente orgoglioso.

Aveva dimostrato svariate volte di essere un assiduo lavoratore, si impegnava con passione e amore in tutto ciò che faceva, le sue insicurezze sarebbero state superate con il passare del tempo, sicuramente avrebbe fatto carriera.
E lui gli avrebbe dato la spinta giusta.

Prima o poi lo avrebbe promosso.

E -chissà- alla fine sarebbe potuto diventare lui il maggiore!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Titoli di coda:

E siamo ancora una volta arrivati alla fine del nostro percorso. Sì, avete letto bene. Questa storia sarà lasciata volutamente con un finale un po' aperto.

Comunque, nella mia immaginazione, Carl sta continuando a scrivere... Ma io non farò lo stesso.
Come avrete sicuramente già intuito, avevo pensato di ritirarmi una volta terminata la storia, per lo meno da questa sezione. Ma ho avuto modo di riflettere a lungo e di darmi un po' di buoni consigli da sola. E sono arrivata alla conclusione che le fanfic, in fondo, abbiano lo scopo ultimo di esprimersi. Se una cosa ti piace davvero, perché smettere? [...]
Il titolo di questo capitolo non è a caso, doveva valere anche per me. 'Farewell' significa 'Addio' (e infatti sulla scena di Ferbnessa ero molto indecisa, così ho optato per una 'mezza vittoria', se vogliamo. So che ormai la Montnessa è canonica, ma questa storia si svolge su un'altra 'dimensione', perciò...)
In soldoni, sostituisco la parola “Fine” con la parola “Pausa”, che adesso mi sembra molto più appropriata.
Mi auguro di lasciare il fandom di Phineas And Ferb - una serie di cui, nonostante la mia età, ho amato praticamente tutto (tranne gli speciali di Natale e di Halloween -.- chi si sentono, i Simpson?!), nelle mani di qualcuno che credo possa avere tutte le carte in regola per dimostrarsi di gran lunga più bravo di me.
Un abbraccio, un ringraziamento e un arrivederci a quei pochi(ssimi) che, malgrado tutto, hanno continuato a supportarmi. E in particolar modo a Koopafreak, a te un abbraccio e un ringraziamento più grandi... <3. Non hai idea di quanto tu mi abbia aiutata.

Questo programma è stato offerto dalla dottoressa Bulmasanzo, qualsiasi riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale. L'opera non è stata scritta a scopo di lucro e tutti i personaggi ivi presentati sono di proprietà della Disney.

  
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