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Autore: Rayon_    31/03/2014    3 recensioni
Capelli neri, occhi dello stesso colore con qualche tonalità di bianco in più, viso pallido come il resto del corpo minuto. Tante paure e tanti complessi. Tanta solitudine e un forte bisogno di un faro per salvarsi.
Capelli neri, occhi color nocciola e profondi da far paura. Tanta ingenuità e tanta voglia di conoscere. Tanta determinazione e un forte istinto nell'avvicinarsi alle persone.
Shannon White Wood, Zayn Jawaad Malik.
La vita non è una favola, se non è vissuta come la loro.
Dal capitolo 7.
«Qual è il problema, Shannon?» Senza aprire gli occhi mi vennero in mente decine di parole, di frasi, che avrei voluto urlare a quella domanda.
"Tutto. Fa tutto schifo. Ho paura. Sto male. Non sono nessuno. Ho perso la mia vita. Ho perso me stessa. Dolore. Non provo più niente se non quello. Solitudine. Voglia di scappare. Desiderio di arrendersi. Scomparire. Tutto non va nella mia vita."
Presi un forte respiro che somigliava più ad un singhiozzo ma non piansi, nè parlai per i primi secondi.
«Quand'è la verifica di fisica?» Riaprii gli occhi prima di chiederlo, li sentivo umidi e gonfi.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 1-Reset.
La canzone che avevo scelto la sera precedente partì nel telefono all'ora che avevo inserito per svegliarmi. Mi alzai da quel letto che mi pareva ancora estraneo dopo quattro giorni e andai in bagno per farmi una doccia. Erano le sei e cinquanta, la prima lezione era alle otto e dieci, ma mi ero voluta svegliare per tempo sia per fare con calma, sia perché dovevo arrivare a scuola a piedi.
Uscii controvoglia da quella stanza calda e rassicurante evitando accuratamente di guardare lo specchio, ed entrai in camera per indossare qualcosa. Presi un paio di Jeans troppo larghi per me anche se erano della taglia più piccola, ed un maglione scuro maggiore di tre taglie rispetto alla norma. Non mi truccai, non indossai niente di particolare, sia perché di particolare non avevo niente, e sia perché farmi notare era l'ultima cosa che volevo.
Mi lavai i denti, e per renderli presentabili spazzolai un po' i lunghi capelli neri come gli occhi di mia madre, che non somigliavano affatto ai miei di color grigio nauseante. Infilai le Converse nonostante la sottile pioggia che non cessava di scendere, presi lo zainetto in pelle nera con dentro giusto il portafoglio, un diario, il telefono e le sigarette, tirai su il cappuccio del maglione ed uscii di casa pronta per il primo giorno nella nuova scuola.
Camminai per una ventina di minuti, e fortunatamente dopo i primi cinque la pioggia aveva cessato di scendere. Mi ero soffermata a guardare quanto le strade di Bristol fossero diverse da quelle americane. Qui era raro vedere grandi ville con giardini rigogliosi, le case erano più alte che larghe e la maggior parte possedeva tetti appuntiti per far scivolare la neve quando ne cadeva troppa. L'atmsofera era più grigia e silenziosa, e quello era uno dei principali motivi per cui pensavo che mi sarei trovata meglio, mi rispecchiava.
Quando arrivai nel grande cortile dell'edificio i ragazzi presenti erano ancora pochi, così mi misi in un angolo per aspettare il suono della campanella e rimasi abbastanza sorpresa di vedere l'enorme quantità di ragazzi che nel giro di dieci minuti aveva riempito e reso chiassoso quel luogo. La campanella suonò ed io aspettai un paio di minuti per evitare di essere travolta dalla folla, poi entrai con gli ultimi rimasti fuori e seguii le indicazione per raggiungere la bidelleria.
«Buongiorno!» Sorrisi alla signora piuttosto in carne che mi parlava da dietro un bancone.
«Sono Shannon Wood, ho fatto l'iscrizione l'altro ieri, posso avere il mio oraro di oggi?». La vidi annuire e poi cercare qualcosa trra le varie scartoffie, finché non trovò un foglio con una tabella nero su bianco.
«Ecco, questo è il tuo orario sttimanale, ora sei nell'aula A7 di biologia, è nel secondo piano.» mi informò mostrandomi il foglio. Annuii e me ne andai ringraziandola. 
Non c'era quasi più nessuno nel corridoio e ne fui grata perché altrimenti trovare l'aula sarebbe stato ancora più difficile di quanto già non lo era.
Guardai il piccolo foglio attaccato alla fine della scala, a destra i numeri pari e a sinistra quelli dispari. Presi il corridoio di sinistra e passai tutte le aule dalla prima alla numero sette.
La porta era ancora aperta, gli alunni erano già dentro a fare chiasso mentre il professore -o professoressa- non c'era ancora. Ringraziai anche di questo perché avrei potuto evitare la classica presentazione alla classe. Entrai cercando di non farmi notare anche se mi ero accorta dei diversi sguardi straniti su di me. Non sapevo se erano cattivi, curiosi o altro, preferii guardare a terra e dirigermi all'unico posto libero in un angolo della classe. Mi sedetti in una delle due sedie della coppia di banchi e non sapendo cosa fare presi il telefono e lo misi in silenzioso.
«Quello era il mio posto.» Mi sorprese una voce. Era una voce da maschio, piuttosto bassa, e anche se non aveva avuto un tono cattivo o prepotente ne ebbi paura. Alzai lo sguardo timorosa e notai che in viso aveva un'espressione strana, che lasciava trasparire delle domande. Come biasimarlo, c'era una poveraccia sconosciuta seduta al suo banco. «Scusa.» Non era esattamente il tono che avrei voluto ottenere visto che ne uscì un verso strozzato, ma comunque feci per prendere le mie poche cose e spostarmi accanto prima di venire interrotta. «Non importa, tranquilla.» Non risposi mentre si sedeva, ma con la coda dell'occhio riuscii a vederlo sorridere e mi ricordai che lì potevo essere chi volevo, nessuno mi conosceva, nessuno ancora mi disprezzava.
«Comunque io sono Travis Jatrob.» bloccai definitivamente il telefono capendo che non aveva intenzione di lasciarmi nel mio mondo. Pensai che non dovevo esserene dispiaciuta, per la prima vlta nella mia vita qualcuno si faceva avanti per conoscermi e non ero costretta e chiudermi nel mio guscio.
«Shannon Wood.» Replicai con un sorriso piuttosto timido.
Le due ore di lezione passarono piuttosto velocemente tra bigliettini passati e battute squallide, e la seconda campanellà suonò interrompendo la spiegazione del professore di bilogia. Qualcuno si segnò le pagine da studiare, la maggior parte ritirò la sua roba per fare il cambio di classe, io compresa.
«Ti va di uscire oggi? Ti faccio visitare un po' la città.»
Sentii la proposta e capii che era rivolta a me visto che Travis mi stava guardando. Mi diedi uno schiaffo mentale per la mia stupidita, a chi poteva rivolgersi proponendo una visita della città? A qualcuno che viveva lì dalla nascita?
«Certo.» Infondo non avevo nulla da fare, conoscere la città e fare un giro con una nuova persona mi avrebbe fatto solo bene.
«Ci troviamo alle quattro davanti alla biblioteca in centro okay?» Chiese lui mettendo a posto la sedia. «Ehm..» Stavo giusto per dirgli che non avevo la minima idea ne di dove fosse il centro, ne di dove fosse la biblioteca, quando lui sembrò leggermi il pensiero.
«Ho capito, alle quattro qui davanti a scuola.» Annuii e gli sorrisi riconoscente, poi entrambi uscimmo ed io mi fermai per guardare sul foglio il corso che avrei avuto nell'ora seguente.
Due e cinque del pomeriggio, l'ultima campanella suonò ed uscii dall'aula di matematica. Gli alunni di quella lezione erano molto numerosi, tanto che mi ricordai solo un paio di nomi dall'appello. Avevo parlato con una ragazza a cui ero finita vicino, aveva un anno in più di me perché era stata bocciata ed era la seconda volta che faceva la quarta. Non era male come tipo, una ragazza normale, forse un po' addormentata ma non era male. 
La salutai e uscii seguendo la massa di ragazzi che come me usciva a quell'ora. 
Lì non era come in America, non c'erano armadietti e non c'era la pausa di due minuti alla fine di ogni lezione per darti il tempo di cambiare i libri. lì la campanella suonava, tu raccoglievi la tua roba e ti spostavi nell'altra aula. Non era molto conveniente come cosa poiché dovevi caricarti la borsa con tutti i libri e avevi poco tempo per spostarti, ma nonostante i piccoli particolari come quello la scuola mi piaceva. I professori non ti prendevano sul personale, per loro eri un semplice alunno e non cercavano di avere stupidi approcci. In generale nessuno ti calcolava più di tanto, ognuno andava per la sua strada, e la cosa iniziava a piacermi.
Pensai che forse per me era davvero arrivato il momento di avere un po' di fortuna.
Presi una delle mie Malboro rosse e l'accesi perché mi facesse compagnia durante il mio ritorno verso casa.
Camminai guardandomi intorno e cercando di memorizzare i palazzi e i negozi che c'erano in quella sezione di città. 
Quando passai davanti ad un fast food venni persuasa da un forte odore di cibo che mi fece venire la nausea, e che mi ricordò che non avevo comprato nulla da poter mangiare a casa. 
Per un attimo mi passo per la testa che potevo anche fare a meno di mangiare, di fame non ne avevo troppa, ma poi mi ricordai della promessa che avevo fatto a mia madre, così presi un respiro ed entrai in quel locale con un nome strano.
Presi una di quelle insalate già condite con mais e robe varie dentro, mi misi in coda e dopo aver pagato uscci per mangiarla. Sarei anche rimasta dentro se l'odore di cibo non fosse stato così forte da farmi passare la voglia di mangiare.
Mi sedetti su una panchina a gambe incrociate, tirai su malamente i capelli legandoli con l'elastico che avevo al polso e mangiai osservando i vari modi di fare delle persone che passavano di lì.
«E questo è Giulius, è un ristorante di quelli di classe, ti giuro che la tagliata che fanno qui è una delle migliori della città.» Risi per il suo modo di parlare, nonostante il solo pensireo di una grossa tagliata con troppe spezie e il rivolo di sangue per la poca cottura mi facesse venire il vomito.
«Ti manca solo la bavetta.» Lo presi in giro. Mi stupivo sempre più di me stessa, erano già diverse volte che perlavo senza neanche rendermene conto, e che ridevo senza farlo per finta. Ero pessimista e sapevo che non sarebbe stato sempre tutto perfetto, ma una vita così mi andava più che bene.
«Comunque il tour è finito.. Se ti va io non ho niente da fare, possiamo andare in un locale a prenderci qualcosa.» Pensai alla sua proposta, era davvero gentile come ragazzo, e avrei accettato volentieri se non mi fossi accorta dell'ora.
«Ehm mi farebbe piacere ma è tardi.. Sono stanca e devo andare a comprare due cose, magari un'altra volta.» Ci fermammo vicino al parcheggio della scuola, da dove eravamo partiti. Ero davvero stanca, e dovevo anche andare a fare la soesa per avere qualcosa a casa.
«D'accordo. Allora io vado, vuoi un passaggio?» Indicò la sua auto blu scura in uno dei posteggi. «No grazie.» Sorrisi, lui ricambiò. «Okay, allora ci vediamo domani Shannon!» Disse allontanandosi  verso la sua auto. Io annuii anche se era di spalle. «Ciao Travis!» Fece un cenno con la mano e salì in auto.
Lo guardai allontanarsi e poi mi avviai verso un piccolo supermercato che lui stesso mi aveva mostrato.
Era strana la sensazione che provavo, o almeno strana per me. Non mi ero mai sentita così. Forse perché non avevo mai provato a scappare da una vita per ricominciarne un'altra. In qualunque caso non era una brutta sensazione. Non ero proprio felice perché un po' di paura, ma non ero triste; mi sentivo nuova. Stavo incominciando ad abituarmi al fatto di essere semplicemente Shannon White Wood, niente di più niente di meno, niente soprannomi e nessuna risatina alle spalle.
In quel momento credetti che nessuno potesse capirmi, perché nessuno poteva immaginare il mio modo di pensare. Di certo quando vedi una ragazza nuova nella tua classe, o nella casa accanto, la prima cosa che pensi non è che sia una ragazza che per paura di affrontare il suo passato, per la sconfitta che ha subito, per il rifiuto della sua società ha deciso di scappare senza preoccuparsi delle conseguenze.
Forse non riuscirete a capire, ma ci provo lo stesso. Avete presente cosa significhi essere una persona che non vuoi essere perché gli altri ti costringono? Avere talmente paura di affrontare i problemi che finisci per sfogarti nei modi più sbagliati possibili. Essere umiliata davanti a tutte le persone con cui stai cercando di acquistare dignità. Essere delusa. Rimanere da sola. Piangere ogni sera mentre ti compatisci davanti ad uno specchio. Svegliarsi la mattina e pensare che non c'è un reale motivo per cui alzarsi. Pensare che non ne vale più la pena. Avete presente cosa vuol dire avere perso ogni speranza? Significa non avere nessun motivo per vivere. E quando stai così ti senti vuota, bianca, debole, uno 
straccio così schifoso che non può essere utilizzato nemmeno per pulire il cesso.
E quello straccio debole ero io. Ed era stato facile per gli altri strapparmi definitivamente e buttarmi nella spazzatura. 
L'unica in grado di ricucirmi un po' era stata mia madre che ha evitato un probabile suicidio, ma le cicatrici erano indelebili, e farmi vedere così distrutta aveva solo peggiorato le cose.
Per questo avevo deciso di andarmene, di prendere il primo volo per un posto lontano e cominciare una vita dove nessuno era a conoscenza dei miei numerosi buchi e strappi.
Sapevo perfettamente che sarebbe stata dura, che sarei stata sola a lungo e che non si sarebbe trasformato magicamente in una favola, ma ora avevo quel piccolo spiraglio di luce che mi spingeva ad alzarmi la mattina.






 
Ehi.
Come state? Io normale, se non per qualche strano disguido nella mia vita, di cui credo non vi interessi molto, lol.
Allora, il primo capitolo è più lungo del prologo, anche se abbastanza breve, in realtà avevo aggiunto un'altra parte ma ho preferito concludere così.
Che dire, spero che vi piaccia e che vi spinga ad andare avanti nella lettura.
Per qualsiasi cosa contattatemi qui su efp, oppure su twitter, facebook, tumblr, ask.


 
Baci, Rayon.
  
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