Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: _Lakshmi_    05/04/2014    1 recensioni
Se esistesse vita al di fuori delle mura? Se esistesse una civiltà evoluta?
Questa storia è incentrata sul personaggio di una giovane comandante, privata del proprio titolo, del proprio onore, delle proprie armi, capitata a Wall Rose per un maligno gioco del destino. Una ragazza che ha conosciuto il mare, da cui ha eredito la calma, ma anche l'impetuosità.
Una ragazza che ha conosciuto fin da subito il sangue, la morte e la freddezza della vita.
Dal capitolo quarto:
"[...] Ti immagini? Enormi animali, grandi quasi quanto dei Giganti, con lunghe zanne e grandi orecchie! Quando li abbiamo visti la prima volta eravamo rimasti un po’ spiazzati"
"Avete animali bizzarri..." commentò il Caporale con voce atona, non riuscendo ad immaginare l’animale appena citato.
"E voi attrezzature infernali" rise lei "Comunque gli Elefanti non sono nostri, ma di una tribù proveniente dall’estremo oriente, al di là delle altissime montagne. Sono uomini anche più bassi di te, sai?"

Al suo fianco ci saranno altri OC, alcuni dei quali comporranno una squadra molto particolare...
[...] Perché se esistevano persone così estroverse, talmente particolari da poter causare il suicidio di qualsiasi psichiatra, nulla poteva reputarsi infattibile.
Genere: Azione, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rivaille, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nono Capitolo

Nono Capitolo:

Βυθός θάλασσας

 

Una bambina dai corti capelli castani impugnò una pesante spada a due mani dalla lama corvina come la notte. Anche se non aveva la forza necessaria per poterla usare efficientemente in combattimento, lei non si arrese, preferendo subire pesanti colpi dal suo istruttore piuttosto che abbandonare l’arma e sceglierne una alla sua portata.
L’uomo si scostò una ciocca bionda dal viso e osservò quel gracile corpo con i propri occhi azzurro elettrico, prima di sferrarle un pesante calcio nello stomaco che la fece cadere dolorosamente a terra e rigettare sangue.
Ma anche se sofferente, la giovane non lasciò l’elsa della spada e si rialzò, usando la lama impiantata nel suolo come sostegno. Ansimava, tossiva cremisi e sentiva le ferite bruciarle internamente, però rimaneva salda sulla pianta dei piedi, non volendo per niente al mondo cedere.
Il caldo sole primaverile l’affaticava ancor di più, come se non fosse già abbastanza in difficoltà. Sentiva la gola secca, con uno sgradevole sapore metallico che le provocava unicamente un senso terribile di nausea.
Raccogliendo le ultime forze che le erano rimaste, corse verso l’avversario, tentando un affondo, ma questo evitò facilmente il lento colpo e contrattaccò con un pugno, il quale riuscì a staccarle quattro denti da latte.
<< Pólemos!>> esclamò allarmato un altro uomo, poco più basso dell’insegnante e con una muscolatura meno sviluppata, seppur la corazza dorata e il mantello gli donassero una maggiore importanza << Basta! Ha solo otto anni! Se continuerai così, la ucciderai!>>
L’interpellato, che portava soltanto una gonna in cuoio borchiata e dei calzari aperti, si voltò fulmineo verso l’interlocutore e lo fulminò, anche se poi gli diede un’occhiata più dolce, quasi divertita per quella presa di potere.
<< Agápe, non sapevo che riuscissi ad indossare i pantaloni davanti a me>> lo schernì acidamente, prima di concentrarsi nuovamente sulla bambina, la quale si era a fatica rizzata in piedi, seppur la stabilità non fosse delle migliori << Io sono il suo istruttore, così hanno ordinato i Polemarchi. Quindi non ti azzardare più a importi con me. Non ne hai il potere, né di giorno, né tantomeno di notte>>
Agápe fece un ringhio sordo, prima di avvicinarsi al campo di addestramento e calpestare la sabbia screziata di cremisi.
<< I Polemarchi hanno detto di allenarla, non di ucciderla. Quindi se non farai il tuo lavoro, sarò costretto a denunciarti davanti a loro>>
<< Ci tieni tanto alla mocciosa, ma molto meno alla tua vita>>
<< Ho promesso a suo padre che l’avrei protetta a ogni costo. E almeno questa promessa la voglio mantenere>>
I due Comandanti erano terribilmente vicini, prossimi allo scontro, ma un tremendo e fulmineo fendente bloccò ogni possibile combattimento.
La pesante spada corvina, con un lesto attacco, tranciò di netto il braccio sinistro di Pólemos e ustionò anche la parte di pelle circostante, causando un dolore indescrivibile all’uomo. L’elsa mortale era stata condotta dalla bambina, la quale faceva lunghi respiri.
Il ferito, in un impulso di ira, fece per afferrarla al collo per spezzarglielo, ma Agápe fu più veloce a prenderla e portarla lontano.
Seguì un lungo minuto di silenzio, dove i presenti rimasero a fissarsi l’un l’altro attendendo una possibile reazione. Che non avvenne.
<< Prendila pure tu in custodia>> rise infine Pólemos, togliendo la mano dal taglio << Io le insegnerò quando sarà capace a tenere decentemente una spada in mano>>

 

 
Accampamento, febbraio, 852.

 
Il cielo era cupo, la luna e le stelle erano velate da una spessa coltre di nubi che insieme all’aria ricca di tempesta annunciavano la pioggia. Tutt’intorno all’accampamento regnava il silenzio più totale, colmato unicamente dalle voci di soldati ubriachi.
Illuminate dalla tenue luce delle torce, all’estremità del campo si trovavano diverse guardie nerborute, più simili per stazza a creature mitologiche che a comuni esseri umani. Fermi, immobili osservavano il buio con sguardo attento, non lasciandosi sfuggire nemmeno un rumore.
Al centro invece era posta una tenda più lussuosa delle altre, più ricca di oggetti e più confortevole. Al suo interno, vicino a una tavola sepolta da mappe e carte, si trovava Lachesi, raggomitolata e singhiozzante, con visibili lividi non coperti dalla corta veste da schiava che indossava.
Stringeva i pugni con talmente tanta veemenza da mostrare addirittura i tendini sottopelle. Avrebbe voluto uccidere Pólemos con le proprie mani, ma non era abbastanza forte. Non lo sarebbe mai stata.
Alzò da terra il capo, asciugandosi il viso su cui era colato il trucco con cui le serve l’avevano abbellita. Lunghe linee colate nere, rosse e cobalto le rigavano le guance, mentre i corti capelli, che le arrivavano all’incirca metà del collo, erano scompigliati, seppur abbastanza puliti. Ma anche in quelle disastrose condizioni poteva ancora definirsi un oggetto assai appetibile.
Guardò le mani sporche di cosmetici dai colori accesi, poi fece un lungo e rassegnato respiro, interrotto ogni tanto dai gemiti. Perché gli dei le erano così avversi? Perché non poteva vivere una vita priva di dolore e di disgrazia?
Allora pensò ad Agápe. Alla sua proposta di diventare una donna di casa, di stare lontano dalla guerra e dal campo di battaglia. Avrebbe vissuto in un bell’alloggio, consorte di chissà quale uomo, passando il tempo a tessere e ad ubriacarsi assieme alle altre mogli per evitare il senso di vuoto che altrimenti l’avrebbe sopraffatta.
Quella però non era vita o almeno, non per Thàlassa. Ma nemmeno l’opzione che aveva scelto si poteva definire in tal modo.
Oppure no.
Ripensò all’ultimo periodo, a quando aveva conosciuto i membri della Legione Esplorativa, in particolar modo Elizabeth, Eren, Mikasa, Oscar... e Levi. I suoi compagni, il suo appoggio. Grazie a loro aveva dato un senso alla parola vivere. Aveva assaporato ogni attimo, ogni risata quando era in loro compagnia.
Si portò le ginocchia al petto, pensando in che condizioni potessero essere Eren e Oscar in quel momento, sentendosi così incredibilmente in colpa, come se avesse condotto lei Pólemos fino a lì, come se avesse architettato lei il piano per instillare il panico tra i soldati, prima di distruggerli definitivamente.
Era solo un mostro, uno di quei demoni dello spietato dio della Guerra capaci di portare solo morte e terrore.
L’avvento di un grosso corvo la fece sobbalzare. Seguì il volo con lo sguardo, finché l’animale non si posò sul ciglio di una tinozza vuota, guardandola diritto negli occhi azzurri con i propri piccoli e corvini.
Poco dopo entrò Gwydion, il quale richiamò a sé il volatile che, ubbidiente, gli si poggiò su una spalla. Il druido stringeva tra le mani una bevanda calda, dall’odore repellente.
<< Tieni, bevi>> disse, porgendogliela.
<< è veleno?>> ringhiò lei, accettando comunque il liquido verdastro.
<< No. È una miscela che permette di non avere brutte sorprese in futuro. Dopotutto sei una donna e non credo che Pólemos ti abbia scambiato carezze la notte scorsa>>
Lachesi guardò il bicchiere, mentre il suo volto s’incupiva sempre di più. Un tempo non avrebbe mai fatto un simile gesto, perché dopotutto la possibile creatura che avrebbe potuto trovarsi nel suo grembo aveva diritto di vivere; non doveva essere infatti per forza uguale al padre. Eppure qualcosa, una voce, un sussurro interiore le consigliava di pensare, di riflettere.
Non riusciva a comprendere il proprio vacillamento di opinione e quale potesse essere la causa. O forse ne era cosciente, ma non voleva ammetterlo.
<< Lachesi, lo so che per te è difficile, ma vuoi rimanere veramente incinta di un uomo che detesti?>>
<< Da che parte stai? Perché mi stai aiutando?>>
<< Io non ho una parte in cui stare ormai da molto tempo. Comunque il mio aiuto non è per secondi fini, se era questa la tua preoccupazione>>
Seguì un minuto di silenzio dove i due si osservarono a lungo.
<< Ad ogni modo... grazie>> mormorò infine lei, bevendo poi d’un sorso il liquido terribilmente amaro, facendo una smorfia per il disgusto.
L’uomo lanciò un quadrato di cioccolato che la ragazza non tardò a prendere al volo. Rimase a contemplare l’alimento come  se fosse un essere estraneo, proveniente da chissà quale terra. Da troppo tempo non vedeva una simile prelibatezza, tanto che quasi si era dimenticata persino la forma e il sapore.
Non si domandò nemmeno se fosse avvelenato, anzi divorò il dolce con un incredibile contentezza, soprattutto perché in tal modo riuscì a togliere il terribile sapore della bevanda. Si gustò ogni molecola di quel cibo, mentre un sorriso le si allargò ampio sul viso.
<< Vieni, ti porto a vedere i tuoi compagni>>
<< Davvero? Ora mi dirai che sei riuscito a convincere Pólemos...>> disse la fanciulla in tono scettico.
<< No, ora il Comandante sta bevendo in compagnia, quindi so di per certo che non tornerà per un po’>>
<< Fammi indovinare, una formosa schiava?>>
<< No, un incatenato Comandante>> il druido emise un lungo respiro, facendole segno di seguirlo, poi continuò con voce un po’ più moderata, quasi un sussurro << Agápe sta per essere giustiziato>>
Le gambe di Lachesi vacillarono, facendola barcollare un poco, mentre il suo stomaco si chiuse in una gelida morsa. Cercò disperatamente della menzogna negli occhi aurei dell’uomo, ma trovò unicamente una amara, amarissima verità.
Agápe sarebbe morto a causa sua. La sua falange era morta a causa sua. Suo figlio era morto a causa sua, perché la reputavano alla stregua di un mostro. Quante persone dovevano ancora morire ingiustamente?
Doveva esserci lei sul patibolo, avrebbe dovuto trovarsi lei smembrata al posto dei soldati, ma la sua ora sembrava non venire mai e al suo posto venivano prese persone care.
No.
Agápe era stato come un secondo padre per Lachesi. L’aveva accudita, cresciuta e aiutata in molte situazioni spigolose. Non voleva perderlo per niente al mondo, anche al costo di finire lei sul patibolo.
Gwydion la fermò, muovendo lentamente il capo in segno negativo, come se le avesse letto il pensiero e sapesse le sue intenzioni.
<< Pensa ai tuoi compagni, se tu morissi...>>
<< Non mi puoi dire di scegliere la mia vita al posto della mia famiglia!>> esclamò Thàlassa << Mi sono rotta le palle di vedere gente a me cara morire! Agápe è l’unico che mi è rimasto, non voglio che faccia la stessa fine!>>
<< E Levi? E Elizabeth, Eren, Oscar...>>
<< Per loro sono un cadavere ormai>> mormorò la ragazza, chinando il capo << ed è meglio così>>
Il druido fece un lungo respiro, poi gettò a terra una daga dalla lama nera come la pece, allontanandosi.
<< Fai ciò che devi, stratega. Hai una sola possibilità>> disse prima di scomparire tra le altre tende assieme al corvo.

 
Wall Rose, febbraio, 852

 
Elizabeth si guardò allo specchio, facendo un lungo sospiro. Tutto era incredibilmente vuoto, silenzioso, inutile. Persino quell’immagine riflessa era vuota.
Erano passati un paio di giorni dalla terribile spedizione ed ora si preparava per andare a discutere con i membri più importanti, i quali non accettavano un altro fallimento. Invano la Legione Esplorativa aveva spiegato a loro la situazione, l’arrivo di questo temibile esercito nemico, poiché nessuno credeva a quelle parole, giudicandole insensate.
Infatti Lachesi era un personaggio nato lì a Wall Rose e tutta la storia che le girava attorno era una messa in scena dei piani più alti. O almeno erano queste le notizie che si leggevano sui giornali.
Dov’era la dea? Dov’era la schiava?
Dimenticata con la sua morte.
Si allacciò il cinturino in cuoio delle proprie vertiginose scarpe con il tacco, poi uscì dalla propria stanza a testa alta rivolta il soffitto bianco, immacolato.
Non aveva né la capacità, né la voglia di affrontare un dibattito con il quale si sarebbe indubbiamente sciolta la Legione Esplorativa. Perché ormai era chiaro: senza più l’appoggio né del popolo, né dei nobili, la vita di quell’organo dell’esercito era destinata a cessare.
Ma non le importava più di nulla. Infatti aveva riflettuto a lungo sull’idea di abbandonare quel posto per ritornare a oriente e adempire in tal modo al suo compito che aveva rimandato da troppo tempo. Quel progetto, seppur l’avesse scartato per molti anni, sembrava essere l’unica azione sensata da fare.
Senza la propria squadra, senza Oscar, niente la tratteneva in un luogo così corrotto. E non voleva rimanerci un solo istante di più.
Tuttavia, qualcosa la riportò al presente: difatti si scontrò con una figura più bassa di lei, dal famoso e pessimo carattere, accentuato nell’ultimo periodo.
<< Oh, buongiorno nano>> la donna forzò un sorriso sprezzante che tuttavia si spense quasi subito.
<< Guarda dove cammini, donna>> rispose lui, con meno grinta del solito.
Camminarono l’uno affianco all’altra per un tempo indeterminato, forse minuti, forse quarti d’ora. Non si parlarono, né si tirarono frecciatine. Il silenzio regnava sovrano, poiché entrambi erano immersi nel propri pensieri.
Fu però la stessa Elizabeth a rompere il ghiaccio, non per volontà sua, ma perché in fondo non sopportava vedere il Caporale Maggiore in quelle condizioni.
<< Sai, nano>> iniziò << sono una persona orribile>>
<< Ma non mi dire>> scherzò lui, amaramente.
<< Ho deciso di tenere Oscar solo per un mio capriccio e adesso che è andato tutto a puttane, ho preso la decisione di andarmene>>
<< Mi hai scambiato per un cazzo di confessionale?>>
<< Bah, forse. Volevo andarmene senza pesi sul cuore, ecco tutto. Sai, ho amato molto la madre di Oscar, un amore carnale al limite del distruttivo. E quando lei è morta ho preso con me suo figlio perché... boh, non so nemmeno il motivo. Se avessi saputo che perderlo mi avrebbe causato un dolore simile, l’avrei lasciato morire tra le fiamme>>
<< Non ne saresti capace>> disse schietto Levi dandole un gelido sguardo, poi continuò << Altrimenti non avresti nemmeno aiutato mia madre a partorire>>
<< Oh, già, mi ricordo ancora la tua faccia incazzosissima di quando sei venuto alla luce. Ma quella comunque è storia vecchia, sono cambiata>>
<< Nessuno cambia>>
E dopo quella fredda frase, uscirono dal quartier generale, raggiungendo la carrozza che li avrebbe portati al luogo della riunione. Ad aspettarli si trovava Erwin, vestito di tutto punto, con un’espressione serissima. Lasciò addirittura interdetta la dottoressa, la quale non riusciva a capire come facesse il Comandante ad essere così forte, al contrario suo che invece stava per crollare.
Il trio salì sul veicolo, dove si trovavano Mikasa e Armin, entrambi cupi e distanti con la mente, dopo giorni di protesta. Fecero fatica a salutare i propri superiori, anzi, forse non li salutarono nemmeno da quanto erano sconvolti.
Perdere nuovamente Eren per la ragazza era significato molto, un dolorosissimo colpo allo stomaco e alla psiche; era diventata più taciturna del solito e la medesima situazione valeva anche per l’amico.
Nessuno della squadra era rimasto impassibile dopo quel disastro. Nemmeno Sasha o Connie, neppure Jean, il quale si era rigirato spesso tra le dita uno stemma appartenente forse a un suo amico deceduto.
Il quintetto non parlò per tutto il viaggio, rimanendo alcuni a fissare un punto indistinto fuori dal finestrino, altri le proprie scarpe o l’interno della carrozza.
Il rumore delle ruote e degli zoccoli del cavalli riempiva l’aria, come una continua e ripetitiva musica con il solo scopo di scandire il tempo che scorreva inesorabile. La dottoressa, stanca, fece per poggiare il capo contro lo stipite della portiera e addormentarsi, visto che quasi non aveva chiuso occhio. Ma un improvviso sobbalzo la fece ridestare e imprecare violentemente.
Qualcosa aveva fatto imbizzarrire i quadrupedi, i quali scalpitavano fuori dalla carrozza.
Elizabeth scese subito e vide Hanji con un’espressione entusiasta in viso. Le due donne rimasero ad osservarsi per lungo tempo, finché la seconda non si avvicinò e, non riuscendo a trattenere la gioia, esultò.
<< Cos’è successo?>> domandò la dottoressa, dopo che l’amica la lasciò << E dove sei stata?>>
<< Dobbiamo andare assolutamente a Wall Rose>>
<< Cosa?>>
<< Sono ancora vivi!>>
<< Cosa?!>>
<< Sono arrivati in groppa all’orso gigante!>>
Elizabeth venne spinta più in là da Levi, il quale balzò giù dal veicolo, seguito da Erwin e soprattutto Mikasa, la quale, sentendo che Eren potesse essere ancora vivo, le si era accesa in volto una nuova speranza, una nuova vita.
<< Spiegati meglio>> sbottò il Caporal Maggiore.
<< Eren e Oscar sono arrivati da poco in groppa all’Orso Gigante! E sono vivi! L’ho sentito poco fa da un paio di guardie...>>
<< E Lachesi?>>
La caposquadra a quel punto tacque, diventando più seria. Un silenzio che valse più di mille parole.
Levi s’incupì visibilmente, seppur avesse mantenuto la sua espressione atona. Qualcosa nel suo sguardo si era spento.
Erwin allora intervenne, concentrando l’attenzione su di sé.
<< Dobbiamo andare a vedere se le nostre reclute stanno bene>>
<< Ma comandante...>> mormorò Elizabeth, seppur né il suo cervello, né il suo cuore volessero stare un momento in più in quella gabbia recintata.
<< è un nostro dovere, Dottoressa>>
Gli altri soldati rimasero muti per qualche frazione di secondo, poiché tutti condividevano lo stesso pensiero e l’idea di non incontrare dei nobili ottusi non dispiacque a nessuno.
Anche se ciò che stavano per fare forse avrebbe causato il definitivo scioglimento della Legione Esplorativa.

 
Luogo sconosciuto, febbraio, 852

 
<< E chi ti dice che saremo dalla tua parte?>> disse una figura, oscurata dalla cupa ombra degli alberi.
<< E chi ti dice che Pòlemos risparmierà un Colossale e un Corazzato?>> ribatté Agápe, abbozzando un sorriso sornione.

 

Fine nono capitolo!

 

Nome Capitolo: Fondo del mare.

 

 Angolo dell’autrice:

 
Rieccomi dopo tanto tempo! No, non sono morta, ho solo avuto un periodo non molto semplice, quindi non ho potuto pubblicare nulla (per carenza di tempo principalmente). Mi dispiace se avete dovuto aspettare tanto, anche se posso dire quasi con certezza che anche per il prossimo capitolo ci vorrà un po’ di pazienza. Cercherò di fare il possibile per finirlo in un tempo decente, anche se sono io la prima a dubitare delle mie capacità (anche perché se questo l’avevo già completato a suo tempo, bastava solo ricontrollarlo, l’altro... beh... non saprei).
Appena ci saranno le vacanze e avrò un maggiore respiro tenterò di rimediare, almeno spero! Grazie ancora per la vostra pazienza!

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: _Lakshmi_