Epilogo ; Va tutto bene
Kidou si
destò, ma rimase con gli occhi chiusi. Non
voleva svegliarsi di nuovo in un sogno; essere nuovamente intrappolato
in un
incubo.
Per questo stette fermo, a occhi chiusi, desto e improvvisamente
terrorizzato
dall’esser sveglio.
Aveva paura di che cosa avrebbe trovato, o meglio di come lui avrebbe
reagito a
qualsiasi cosa avesse percepito intorno a sé: non voleva
sbagliare ancora.
Cercò di cacciare fuori da sé le angosce e
provare a capire dove si trovava, se
percepiva qualcun altro vicino al suo corpo.
La prima cosa che sentì, fu l’erba.
Percepì il verde, il verde fresco e luminoso
dell’erba estiva.
Poi, il tepore.
Non era né caldo né sensazione di freddo: stava
bene, un sottile strato di
calore gli avvolgeva le membra immobili.
Poi, i suoni.
All’improvviso, come se il mondo gli fosse arrivato addosso
in quel momento,
ora avvertiva il frinire di cicale e grilli, l’oscillare
delle chiome degli
alberi, cinguettii in cielo.
Tutto era
colorato, caldo e rumoroso intorno a lui. Yuuto
sentì il bisogno di sorridere, e sulle sue labbra
sbocciò lentamente un sorriso
delicato, come un papavero umido di rugiada luccicante di lacrime
nell’erba
alta.
Il
cuore batteva ad un ritmo nuovo, si sentiva tranquillo e bisognoso di
alzarsi, e godere dello spettacolo della vita che brulicava intorno a
lui.
Allora
aprì gli occhi sul suo presente, raggiunto dopo tante
tribolazioni, ma
se li ustionò: troppa era la luce intorno a lui.
Poi
la bruciò a sua volta con la luminosità del fuoco
che scoppiettava nel suo
sguardo; il viso tutto rosso, tanta la voglia di ridere.
Alzò
gli occhi al cielo; era di varie sfumature di celeste, con qualche
spennellata di nuvole qua e là, che sembrava panna a
imbiancare il blu di
quella giornata di fine estate.
Perché
era quello che Kidou percepiva; estate.
Era
tornata l’estate. Era tornato in estate!
Si
toccò il viso, si guardò le mani; questo era lui,
era ragazzo, e al suo
fianco giaceva tranquillo il pallone, come se non si fosse mosso da
lì fino a
quel momento.
Kidou
alla sua vista sorrise, e si chinò a prenderlo fra le
braccia.
Lo
tenne come si tiene un bambino, e per questo si diede quasi dello
stupido.
Poi sorrise.
All’improvviso
aveva voglia di correre e abbracciare tutti, persino Fudou,
persino un pallone.
Poi
gli sorse un dubbio, anzi due. Per la prima volta, si chiese se tutto
quello che aveva vissuto potesse essere stato solo un sogno.
Poi si allarmò: ma
se si era addormentato, quanto tempo era rimasto lì? Magari
avevano già
cominciato a cercarlo… Le parole di quella vecchia stampa
gli piovvero addosso,
e fu percorso da un brivido. Con il cuore pesante e una strana angoscia
ad
agitarlo, percorse a passo lesto quel breve spiazzo alberato
poi… Ecco il campo
erboso.
Si
fermò all’ombra di un albero al limitare del
boschetto, a guardare i suoi
amici.
C’era
Sakuma – riconobbe la chioma azzurra – che correva
inseguito da Fudou –
inconfondibile.
Intorno
gli altri – Kazemaru, Gouenji, Endou, Fubuki, le
ragazze… - che
tifavano per l’uno o per l’altro.
Quanto
gli erano mancati… Corse loro incontro, un sorriso sereno a
celare la
sua gioia.
-Minna!
Sono qui.- Disse, e vide i suoi compagni voltarsi a guardarlo e
sorridere.
-Eccoti!
Adesso possiamo continuare… Appena questi due la piantano.-
Avvertì
ilarità, una punta di sarcasmo, ma soprattutto
tranquillità nel sorriso e nelle
parole di Mamoru.
E
Kidou sorrise complice, poi con Gouenji ad aiutarlo separò i
due indiavolati.
Il
giovane regista avvertì un brivido di fianco a Shuuya, e per
un attimo fu
tentato di raccontare la sua avventura.
Poi la sua attenzione fu catturata da
Akio, che con aria da sbruffone si passava una mano fra il ciuffo
castano:
-D’accordo, ora che hai recuperato il pallone che questo id-
-Fudou!?
Non ricominciare… Altrimenti…!-
-Wow
Jirou sto tremando di paura! Comunque, ora che abbiamo di nuovo il
pallone… Giochiamo?-
Kidou
lo guardò, intensamente, poi volse lo sguardo alla sua
squadra.
Aveva
il cuore pieno di parole ed espressioni, ma non ne articolò
una; non era
necessario.
Loro
non avrebbero capito, inoltre non era ancora tempo. Il loro futuro era
tutto da scrivere, inutile angosciarsi prima.
-Certo!-
esclamò solo – Giochiamo a calcio!-
Un
coro di esclamazioni gioiose accompagnò il suo calcio
d’inizio: il gioco
ricominciava.
Era
tornato, era lì, ora, in quel momento, con i suoi amici.
Questa
era la cosa più importante, e il tempo avrebbe fatto il suo
dovere.
**
Sulla strada verso
casa aveva insistito per
accompagnare gli amici.
Ora era solo, e camminava.
Aveva il cuore leggero e tranquillo, la testa piena di pensieri sereni.
Era solo un ragazzo che tornava a casa dopo un pomeriggio passato con
gli
amici.
Le giornate erano ancora calde e lunghe, ma per quel giorno andava bene
così.
Ora aveva bisogno di riposare: nel momento di salutare i ragazzi aveva
stretto
tutti, e nessuno aveva chiesto il perché. Solo Fudou gli
aveva dato del
“coccolone” – parola che dubitava
esistesse, ma si era astenuto dal ribattere
in quel momento – e poi aveva ricambiato
l’abbraccio. Akio aveva tutt’ora uno
strano modo per dimostrare che gli voleva bene, ma in fondo andava bene
così:
gli era mancato anche lui, sotto sotto.
Nel salutare sua sorella l’aveva baciata sulla fronte,
dandole la buonanotte:
Haruna gli aveva chiesto di stare da lei per cena, ma lui aveva
declinato
l’offerta con un sorriso: -Ho voglia di tornare a casa,
facciamo un’altra
volta. Buonanotte Haru-chan, ti voglio bene.-
Lei l’aveva guardato allontanarsi, poi aveva chiuso la porta.
Sorrise Yuuto, ora
solo.
Haruna non l’avrebbe più preso in braccio, e
questa era una consolazione e nel
contempo un dispiacere.
Poi, passò davanti a una casa.
Ne aveva oltrepassate molte, eppure davanti a quella
rallentò, fino a fermarsi
completamente. Da dietro le lenti sbatteva lentamente gli occhi, come
incantato.
Osservò le persiane abbassate, annegò nel
silenzio che trasmetteva.
Sembrava disabitata, ma Yuuto sapeva che era solo apparenza. Ora lo sapeva.
Sorrise, mentre sentiva di nuovo l’adrenalina formicolare in
tutto il corpo.
Si avvicinò al portone, stava per bussare ma poi si
ritrasse. Aveva bisogno di
una cosa.
Corse indietro ed entrò nel primo negozio che gli
capitò sott’occhio: dopo
qualche minuto era di nuovo davanti al pesante portone.
Prese coraggio e con
una mano batté tre volte, senza fretta ma con decisione;
nell’altra aveva un
pallone da calcio morbido, grande come una pallina da biliardo.
Per qualche istante non sentì nulla.
Dopo un minuto di attesa stava per gettare la spugna e magari
convincersi di
aver sbagliato edificio, di essersi illuso di averlo riconosciuto.
Poi la porta si aprì, cigolando appena, e il cuore di Kidou
fece un balzo fino
in gola.
Non si trovò nessuno davanti, e quando abbassò lo
sguardo si sentì scoppiare di
euforia: un bambinetto di appena un anno con due occhioni neri
scintillanti e
qualche ciuffetto viola sulla testolina lo guardava sorridendo.
Kidou si chinò a prenderlo in braccio; non riusciva a non
ridere.
-Ciao Hikaru-kun!- Il piccolo non si ritrasse, non
un’increspatura del suo
sorriso tradì la paura… Quindi le cose erano due.
O suo zio era stato talmente veloce ed efficace ad impartigli
impersonalità,
oppure Hikaru non era per niente spaventato dall’apparizione
improvvisa di un
ragazzo sconosciuto alla sua porta, a meno che non l’avesse
scambiato per
Fidio.
E sinceramente Yuuto non sapeva quale fra le opzioni fosse la
più credibile.
Il bambino intanto si era già impossessato del suo regalo;
sorrideva, lanciando
sgrilletti di gioia, mentre si passava fra le mani il mini-pallone.
-Dov’è lo zio Hikaru?- si rivolse al piccolo,
dandogli un buffetto sulle guance
piene e rosee.
Hikaru battè le manine, e cominciò a correre per
casa con quelle gambette
traballanti.
Yuuto gli andava dietro, il mantello scivolava tranquillo alle sue
spalle: da
quando era tornato non aveva smesso un attimo di sorridere.
Hikaru lo guidò fin sopra le scale, e si fermò
davanti alla camera da letto.
Il ragazzo riflettè che, seppur piccolo, camminava
già tranquillo e svelto:
aveva buone gambe, si vedeva che era abituato a correre.
Dal modo in cui lo guardava, Kidou comprese che voleva che aprisse la
porta.
Sentì un improvviso un senso di smarrimento, quasi si
pentì di essere arrivato
fin lì: ma ora non poteva tornare indietro.
Aprì di un poco la porta, uno spiraglio di luce si
infiltrò in quella camera
buia che odorava di chiuso.
Tapparelle abbassate.
Un letto.
Una sedia a rotelle.
Lettere sul comodino.
Kidou chiuse la porta. Aveva il fiatone.
Si sedette per terra, gli occhi sul pavimento.
Si era infiltrato in casa di Kageyama per vedere cosa?
Cosa si aspettava di trovare?
L’euforia con cui era entrato si era dispersa di colpo; aveva
il batticuore, e
il fiato grosso.
Non aveva pensato, non aveva riflettuto quando aveva bussato a quel
portone.
Nella sua mente c’era Kageyama con i capelli bianchi e un
sorriso delicato,
quelle braccia forti che l’avevano sempre preso in braccio e
quella voce ancora
più profonda e calda in cui aveva riposato e ripreso
conoscenza.
Niente di tutto questo esisteva. Non
ancora.
Kageyama era in quel letto in condizioni gravi, e c’erano le
lettere
dall’Italia e i passi svelti di Hikaru in casa, ora.
Lui no. Lui ora non doveva esserci. Era
giusto così.
Kidou sapeva che Kageyama appena sarebbe stato meglio sarebbe
tornato.
Da lui e dal calcio… Doveva solo aspettare.
Si riscosse dai suoi
pensieri, ritrovandosi Hikaru
accovacciato al suo fianco.
Faceva rimbalzare il pallone che gli aveva regalato; le labbra umide di
bollicine di saliva.
Yuuto sorrise, e nei suoi occhi si riflettè il giovane che
aveva spinto per
baciare Rushe, chiusi nella stanza di sopra, Hikaru Kageyama che
giocava a
calcio nella Raimon Eleven e chiamava Endou
“allenatore”.
Sorrise, intenerito, e prese in braccio il piccolo: -Hikaru-chan, devo
tornare
a casa.-
Si accorse di aver detto una cosa
piuttosto stupida, ma non gli era uscito niente di meglio.
-Un giorno- continuò mentre scendevano le scale
– Ci rivedremo piccolo. Tu
verrai a giocare alla Raimon e io sarò lì, te lo
prometto. Giocheremo insieme a
calcio.-
Hikaru battè di nuovo le mani, poi gli si strinse al petto.
Lo abbracciò come abbracciano i bambini, senza dire nulla,
senza un vero motivo
– oh, in verità un
motivo c’è, è solo che
sono ancora troppo piccoli per spiegarlo. O forse siamo noi troppo
grandi per
capirlo davvero. – e Kidou gli baciò la
fronte. Aveva gli occhi lucidi.
-Abbi cura di tuo zio, mi raccomando. Ora ha tanto bisogno di te.-
Poi il ragazzo lo riposò per terra e aprì la
porta d’ingresso.
Il piccolo lo guardò confuso, gli abbracciò le
gambe.
-Kiduu…!-
sussurrò.
Il ragazzo si fermò.
-T-Tu sai il m-mio… Tu sai chi sono?-
Hikaru alzò lo sguardo; era particolarmente luminoso,
sembrava quasi piangere,
ma annuì.
Yuuto allora si chinò, sorridendo intenerito: -Ora non posso
restare qui.- un
singhiozzo trattenuto a stento – Mi dispiace… Ma
ti prometto che ci rivedremo.-
il bimbo sorrise.
Kidou lo abbracciò ancora, qualcosa gli impediva di
separarsi da quel frugoletto:
-Ti voglio bene piccolo. Arigatou…-
Hikaru tenne la porta
aperta mentre Yuuto si
allontanava.
-Ciao ciau Kiouu!-
Il ragazzo si volse, e lo salutò con la mano; il
bambino disse qualcosa che Yuuto non udì, poi
chiuse la porta.
Mentre camminava spedito verso casa, Kidou pensò che forse
aveva parlato a
Hikaru con troppa serietà. Eppure… Eppure quel
bambino dava l’impressione di
aver capito perfettamente.
“Forse lui ricorda” si ritrovò a
pensare, e poi sorrise. “Forse anche Kageyama
ricorda, e nel sonno in cui l’ho colto riposare forse ha
creduto di sognare di
avermi sentito aprire la porta. Forse mi sentito davvero, ma una volta
sveglio
si convincerà che era tutto un sogno.”
Kidou svoltò e questa volta era davanti a casa sua.
Con la coda dell’occhio vide una macchina fermarsi davanti al
portone di casa
Kageyama, ma ormai era dentro il suo cancello.
… E alla fine, il sogno quale
sarebbe
stato?
**
-Papà!
Sono a casa!-
-Ciao Yuuto. Com’è andata la giornata?-
Il ragazzo osservò il padre adottivo apparire
all’ingresso per salutarlo e
corse ad abbracciarlo.
-Tutto bene papà, grazie.-
L’uomo subito non disse nulla, limitandosi a ricambiare
l’abbraccio.
-Sono contento. Ora va a cambiarti, oggi arriva la mamma lo sai.-
-A proposito di questo, ho pensato che forse alla mamma farà
più piacere
mangiare in casa, invece che fuori. Sai, ha mangiato in hotel e
ristoranti
molto in questo periodo, mentre era in trasferta per lavoro. Penso che
la cosa
che le farebbe più piacere sia mangiare a casa con noi, in
tranquillità. Cosa
ne pensi?-
Il ragazzo guardava il padre che sorrise di rimando: - Penso che sia
un’idea
fantastica.-
-D’accordo allora, vado a prepararmi, non posso accogliere la
mamma conciato
così!- E corse di sopra, in camera sua.
“Tu sei sempre conciato
così…!” sorrise l’uomo ma
evitò di dirlo ad alta voce:
il ragazzo era già di sopra.
Yuuto si
chiuse la porta della sua camera alle spalle,
tirando un sospiro di sollievo.
Si
prese un secondo per guardare la sua stanza, le sue cose, poi chiuse le
tende e iniziò a svestirsi per la doccia.
“Ciao
Yuuto. Com’è andata la giornata?”
“Tutto bene papà, grazie.”
-Tutto
bene…- ripeté, mentre faceva scaldare
l’acqua per il bagno.
Tutto
bene…
Pensa
papà, se io non fossi tornato a
casa oggi.
Avresti aspettato, cominciando ad agitarti, poi sarebbe arrivata la
mamma e
l’avresti accolta con un sorriso tirato, che non nasconde
l’ansia.
Lei avrebbe
subito chiesto di me; allora non avresti retto più e avresti
detto che ero
uscito per giocare con i ragazzi ma non ero rientrato
all’orario stabilito, né
avevo avvisato un possibile ritardo.
Allora avreste chiamato la polizia e sarebbero iniziate delle ricerche
che non
avrebbero portato a niente.
Io mi sarei dissolto nel nulla e non mi avresti più rivisto,
mai più…
Però va tutto
bene papà,
perché non è
successo nulla e io sono qui, sono tornato a casa, adesso mi lavo e mi
preparo
per la serata.
La
mamma ci racconterà del suo viaggio, e io parlerò
della partita e della
possibilità di iscrivermi al club di calcio anche alle
scuole superiori.
Mangeremo tutti insieme, finirà anche l’estate ma
io sono qui papà.
“Tutto
bene, sono a casa. Grazie.”
**
In
un altro
luogo, in un altro tempo…
-Hai visto? Ha pure
detto “grazie”!! Siamo stati bravi
vero? Siamo stati super! Anzi, IPER-BRAVISSIMISSIMI!
-Tutto quello che vuoi, ma ora smettila di strillare.-
La ragazza si tolse
il cappello che teneva nascosti i
capelli castani, che dolcemente ricaddero sulle spalle. Poi si
levò anche la
camicia nera che portava, e due ali lucenti illuminarono la stanza
avvolta
nella penombra.
Il giovane uomo al suo fianco sbuffò, infastidito.
-Sai Gouenji-kun, sei davvero stressato di recente!
Cos’è, adesso sei in
imbarazzo perché mi sto togliendo questa divisa assurda?!
Guarda che è
soffocante! Se proprio devi obbligare i tuoi uomini a vestirsi con
un’uniforme,
dovresti trovare qualcosa di più fresco e leggero,
perché con questo addosso io
non resisto più!
-Nessuno ti ha mai chiesto di indossarlo, quello.- rispose seccato
l’uomo,
lasciandosi cadere seduto sul trono alle sue spalle.
-Avresti proprio bisogno di una vacanza…- continuava intanto
la fatina,
imperterrita. – Magari potrei… Con la mia
magia…!- E gli sventolò
scherzosamente la mano piena di polvere luminosa davanti al viso.
-NON MI TOCCARE CON QUELLA ROBA!- Si ritrasse subito il Grande
Imperatore,
leggermente impallidito. –Ne ho già avuto in fin
troppa.-
-Eeeehhh… Ti ricordi? Che bei tempi, quelli. Quando eravate
ancora piccoli ed
indifesi…- blaterava la fatina, stropicciandosi le ali
brillanti. -Non ce l’avrei
mai fatta senza il tuo aiuto Gouenji-kun. Grazie mille!-
-Ah, e per cosa?! Per aver fatto passare a Kidou
un’esperienza traumatica?! Mi
sembrava che fosse già abbastanza maturo di suo, senza
doverlo obbligare anche
in quel mondo distorto…-
-Era un mondo distorto ma tenero tenero…-
-Tenero nella tua concezione distorta di tenero! Mi hai obbligato a
ridurlo in
fin di vita! Questo tu lo chiami “tenero”?- si alzò
in piedi l’uomo vestito di rosso.
-Beh, però poi l’abbiamo liberato!- Sorrise la
fatina, tutta gongolante.
-E ci mancava solo che lo lasciassi lì!-
-Dai Gouenji-kun, non scaldarti. – la fatina gli si
avvicinò con un sorriso,
poggiandogli una mano sulla spalla. Gouenji la scosse subito,
allontanandosi. -
E’ finito tutto per il meglio, è questa la cosa
positiva!-continuò ancora la
giovane, sorridendo.
-Finchè tu sei qui non è finito un bel niente.
Pussa via, fatina ficcanaso!-
-Oh, così mi offendi… -
-Questo è un problema solo tuo, vecchia mia… A
proposito, e l’altra che fine ha
fatto? Non eravate due?-
-Sssh! – l’essere fatato si portò una
dito sulle labbra, mimando il silenzio - Non
ho detto niente alla mia compare, era uno sfizio che volevo togliermi
da sola.-
-Sadica e pure esibizionista. Ma guarda te che razza di fata sei!-
-Devo scappare tesoruccio, vedi di fare il bravo! Grazie per avermi
appoggiata
in questa parapiglia, è stato uno spasso ma ora devo tornare!
-Va’ va’, che finisce che fai qualche altro
disastro… E attenta ad aprire il
portale giusto!-
-Suvvia Gouenji… - sospirò la fatina mentre con
uno schiocco di dita si trovava
di fronte uno specchio luminoso – Pensi che non sappia ancora
come si apre un
portale? Ormai sono esperta, io!-
L’uomo
guardò la giovane con le ali luminose sparire
all’interno del portale magico, che si spense in un attimo
alle sue spalle. Poi
alzò un sopracciglio, lasciandosi cadere di nuovo a sedere.
-Speriamo
bene…! Non vorrei che si ritrovasse nel Giurassico. E
conoscendola ne
è in grado… Oh beh, comunque non è un
problema mio.
A quanto pare si
è tutto
risolto per il meglio.
E per questa volta
è andata così.-
*Angolino finale*
Tadààà!
Ahahah, chi se l’aspettava la fatina Sissy nel finale?
Mi sono dovuta inventare qualcosa di carino per spiegare una volta per
tutte
chi era quel tizio vestito di un colore “intenso”
che ha ridotto Kidou in
quello stato pietoso che abbiamo visto per tutta la long ^^
Dietro c’era Ishido Shuuji, il Grande Imperatore…
Ma impazzito non è, era stato
contattato da moi (?), ovvero la fatina che avete visto dulcis in
fundo, e
grazie a questa strana alleanza e alla magia di Sissy è nato
il mondo distorto
dove Kidou ha vissuto per qualche tempo ^^
Come finale mi sembrava potesse funzionare, poi ditemi voi.
Come epilogo comunque ho mosso Yuuto che riprende il suo presente in
mano e
decide di continuare.
Ho affrontato all’incirca tutti i personaggi con cui ha
avuto a che fare: prima i compagni, poi la sorellina, suo
padre… Mi sembrava
sbagliato non citarlo nemmeno, quell’uomo.
Insomma, Yuuto per tutta la long non
l’ha manco nominato e quando me ne sono accorta me ne sono
dispiaciuta. E’ pur
sempre suo padre uwu Quindi ho voluto fare la scena finale con lui
<3
Ah, poi ovviamente non poteva mancare la visita in casa Kageyama.
Come la prima
volta, è stato Hikaru ad aprire e poi… Poi
abbiamo visto tutti, Kidou si è reso
conto che è ancora troppo presto, quando Kageyama si
rimetterà come lui ricorda
potranno di nuovo vedersi. Adesso sta male e ha bisogno di altre
attenzioni. <3
Per chi potesse sorgere un dubbio… Allora, ho messo Kageyama
in casa anche in
queste condizioni gravi perché, fingendosi morto, non penso
abbia potuto stare
in ospedale a lungo; doveva nascondersi da qualche parte.
L’ho portato nella sua vecchia casa in Giappone dove
è assistito dalla sorella –
citata già all’inizio della long dallo stesso
Reiji – che è madre di Hikaru.
Ovviamente il piccolo non è in casa da solo -
perché seppur ci sia anche Reiji,
sinceramente non so tra il bambino di un anno e il convalescente quale
abbia
più bisogno di attenzioni uwu
Come Yuuto ha ben notato appena lui si è allontanato
è arrivata una macchina,
dove presumibilmente c’erano i genitori di Hikaru. ^^
Kidou è stato semplicemente molto fortunato a beccare un
momento dove Hikaru
era solo con lo zio; i genitori si saranno allontanati per breve tempo
magari
per comprare qualcosa uwu – le mie spiegazioni molto
accurate, oh yeah! (?) *^*
Bene,
della
fatina ho già parlato quindi penso di poter salutare.
Ringrazio moltissimo le persone che hanno preferito/seguito e ricordato
questa
shot <3
Le persone che hanno letto in silenzio e i miei recensori di fiducia
(?) <3
E’ stata un’avventura emozionante e sono contenta
di averla vissuta insieme a
tutti voi!
Con quest’ultimo bacio vi saluto! A risentirci bellezze~
Sissy <3