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Autore: Rayon_    06/07/2014    10 recensioni
Era una ragazza alta poco più di un metro e sessantacinque, con un corpo esile, che creava contrasto con la sua forte personalità.
I capelli castano scuro, lunghi, morbidi, e costantemente disordinati. La carnagione chiara di una bambola di porcellana, con uno spruzzo di lentiggini sul viso.
E gli occhi, quegli occhi, la cosa più bella.
Non erano i banali occhi blu che tutti desiderano. Erano scuri intorno, per poi diventare verdi come un prato asciugato dall'estate. E poi diventavano di un color miele che contrastava con la pupilla scura.
Nora Graimen.
Ciao a tutti, sono Harry Styles, e sono qui per raccontarvi una storia d'amore, la storia d'amore più bella, una storia di appartenenza infinita.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Belonging. 




Capitolo 1-  Hi everyone, I'm Harry Styles.
 
6 Aprile 2018.
C'era una volta una ragazza, si chiamava Nora.
No ok, banale come inizio.
Facciamo così;
Ciao a tutti, sono Harry Styles.
Ho 24 anni, e di professione faccio il cantante.
Banale anche questo, direte voi, tutti sanno chi sono.
Certo, alcuni perché mi odiano, altri perché mi amano, ma non importa.
Oggi sono qui, seduto su una delle fresche spiaggie Irlandesi per raccontarvi una storia.
Una storia di appartenenza infinita.
 
 
 
Flashback.
 
Nora's pov.
Come tutti i giorni, alle sette e trenta non ritardò a svegliarci il fastidioso rumore della campanella, che ogni mattina sembrava volerci ricordare che anche quel giorno sarebbe stato monotono e uguale a tutti gli altri giorni di orfanotrofio.
Mi alzai svogliatamente dal calore del letto, e salutai come tutte le mattine James con un bacio sulla guancia. 
James era un bambino di sei anni che mi avevano rifilato in camera quando ne aveva solo due, e con cui era nato un legame molto forte, come se fosse mio fratello.
E davanti a noi si prospettava un'altra inutile giornata di orfanotrofio.
Dopo essermi resa decente, ed aver indossato la stupidissima uniforme scolaresca strinsi la piccola mano di James nella mia, ed insieme raggiungemmo la sala principale.
C'era qualcosa di strano in quello che le suore bisbigliavano quella mattina, e la conferma ne era la presenza della preside Wonckaster in sala.
Di mattina non c'era mai, probabilmente preferiva dormire fino alle dieci, ma quella mattina era lì.
E di solito si presentava solo per dare annunci importanti.
«Silenzio ragazzi!»  La sua voce interruppe tutti i miei pensieri, e anche il fastidioso vociare che c'era nella sala colma di ragazzi.
«Questa mattina per alcuni di voi si svolgerà come tutte le altre, ma c'è una novità; una famiglia ha deciso di prendere in adozione uno di voi, o meglio, una.»
Silenzio.
Non volava una mosca.
Le notizie della Wonckaster riuscivano sempre a mettere a disagio tutti lì dentro.
Chi sarebbe stata la fortunata questa volta?
O, nel mio caso, la sfortunata.
Erano quasi tre mesi che nessuno se ne andava, dopo la mia migliore amica Sunny che ora era in Spagna.
Era strano che se ne andasse una ragazza così grande, di solito le famiglie preferivano adottare bambini piccoli, non adolescenti di 18 anni con un'infanzia difficile alle spalle.
E proprio per quel motivo dubitavo che la prossima sarei stata io. Per fortuna.
Abbandonare lì James non rientrava minimamente nei miei programmi.
Era cresciuto con me. Non aveva i genitori, ma mi sentivo di essere come sua madre, o sua sorella.
E non volevo portare un altro vuoto nella sua infanzia.
Potevo benissimo capire come ci si sentisse a perdere persone importanti da piccoli, era esattamente ciò che mi era successo.
E non avrei mai permesso di farlo soffrire così.
«Signorina Graimen!»
Mi accorsi di essere chiamata solo quando tutti si voltarono verso di me.
Tutti gli occhi mi guardavano curiosi.
E i miei pensieri svanirono improvvisamente.
«Sì?»
Chiesi immobile.
Non poteva essere vero. Non poteva essere così.
«Nel mio ufficio, dopo la colazione.»
Forse avrei dovuto rispondere, ma non ci riuscii, mi sentivo completamente bloccata.
Come era possibile che dopo dieci anni qualcuno avesse deciso di prendermi in custodia?
Volevano proprio distruggermi la vita?
Volevo solo scomparire, o svegliarmi con un lungo sospiro di sollievo dopo quell'incubo troppo realistico.
Ma nulla di tutto questo successe, restai lì, senza pensare a niente.
Già da piccola ero stata completamente traumatizzata dalla perdita dei miei genitori, ero stata da sola un paio di anni, poi era arrivato James che mi aveva cambiata con la sua dolcezza.
E finalmente ora che stavo bene mi portavano via?
Riuscii a riprendere conoscenza solo quando sentii la porta della sala sbattere, e le varie voci iniziarono a sussurrare sollevando un forte brusio intorno a me.
Sentivo pronunciare il mio nome ogni tanto, e le occhiatine trapassarmi la pancia.
«Nora?»
Quella voce mi risvegliò dai pensieri.
«Nora, ci sei?»
Mi voltai con un debole sorriso in volto.
«James, certo.»
Lo vidi corrugare la fronte.
«Non è vero.»
Un ragazzino di sette anni? Lui? Se non lo avessi mai visto gliene avrei dati almeno il doppio.
Riusciva sempre a capirmi, non potevo mentirgli.
«Nora mi rispondi? Perché la preside ti vuole parlare?
»
Dirglielo? Lo avrebbe distrutto.
«James non so.. Io..»
E poi ringraziai mentalemente le suore che zittirono tutti per fare la preghiera della mattina.
Già, suore, un orfanotrofio di suore.
«Nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo.»
La voce di una delle suore risuonò in tutta la stanza, e rispondemmo tutti Amen in coro.
Dopo di che il silenzio si fece sentire.
Ognuno nei suoi pensieri.
Chi davvero pregava, e chi faceva finta giocando con la tazza o con le posate.
E poi c'ero io, che fissavo James con gli occhi lucidi.
Era lì, di fianco a me, con la testa nascostra tra le mani unite e gli occhi chiusi.
E poi pregai Dio, l'unico supporto che avevo oltre quel ragazzino. Pregavo perché questo fosse tutto un incubo.
Pregavo sperando di svegliarmi in un letto di ospedale, ancora alta meno di mezzo metro, reduce da uno stato di coma in cui avevo sognato tutto quel disastro. Pregavo per poter ricominciare tutto da capo.
Poi lentamente le voci ripresero a parlare, e tutto tornò come prima.
«Non vieni a prendere la colazione?»
Ancora una volta James mi distolse dai pensieri.
«Non ho fame, va pure.»
Risposi sorridendo.
E lo guardai allontanarsi verso il grande banco.
Non potevo permettere che soffrisse come era successo a me.
 
«Va' in camera a lavarti i denti e prendere i libri, ci vediamo a pranzo, okay?»
«Va bene, ma non mi hai convinto. Ne parliamo dopo.»
Quando si voltò cancellai quel sorriso finto dalle labbra e fissai immobile la porta con su scritto ufficio presidenza.
Alzai debolmente il braccio, e bussai contro il legno duro.
«Graimen, la stavo aspettando!» mi salutò con enfasi la preside.
«Buongiorno.»
Riuscii solamente a pronunciare una debole parola, prima di sedermi sulla poltroncina indicata davanti alla cattedra.
«Come credo che abbia intuito, una famiglia ha deciso di prederla in custodia.»
Quella frase mi fece realizzare in pieno ciò che stava succedendo e che io non volevo realizzare.
Dopo quella frase le parole continuarono. Io annuivo, sorridveo, mentre sentivo nomi di sconosciuti, e vedevo fotografie passarmi sotto gli occhi.
Ma la verità era che niente mi importava, perché non sarei mai finita tra quelle persone. Io sarei rimasta lì, con mio fratello.
«Quindi oggi dovrebbe partire il furgoncino con tutte le sue cose, e domani dovrebbero passarla a prendere dopo pranzo.-
Il silenzio alla fine della frase mi riportò alla realtà.
«D'accordo.»
Annuii senza aver capito niente di quello che aveva detto.
«Perfetto, le lezioni per lei si interrompono qui, si faccia dare gli sctoloni da suor Maria, e metta a posto le sue cose.»
«Grazie.»
Mi alzai e uscii salutando.
Non poteva essere successo, tutto così, tutto in poche ore.
La mia vita non poteva essere andata a farsi fottere ancora una volta.
Mi trascinai fino ai magazzini per trovare suor Maria, e poi fino alla camera insieme a quegli scatoloni deprimenti di color marrone sbiadito.
Buttai tutto in camera, e mi chiusi la porta alle spalle scivolando giù.
Restai lì, rannicchiata, alcuni minuti con gli occhi lucidi.
Era strano quanto fino a quella setssa mattina odiassi quel posto. 
Sapevo che non sarei riuscita a ribellarmi, e che avrei lasciato correre tutto, ancora una volta.
Ma in quel momento quella a star male non sarei stata solo io.

«Partiamo dagli oggetti sullo scaffalle.»
Sussurrai a me stessa, cercando di rendere il tutto un po' meno deprimente.
Cosa avrei dovuto fare, piangere? L'avevo fatto troppe volte, non sarebe più servito.
Mi stupivo sempre di più di non aver mai tentato il suicidio.
Iniziai ad incastrare gli oggetti uno dopo l'altro nella prima scatola.
Il pupazzo a forme di pinguino che mi aveva regalato James a Natale, con ancora legato il bigliettino con la dedica.
La tentazione di rileggere quelle parole dolcissime era forte, ma sapevo che farlo mi avrebbe portato solo a un lungo pianto isterico, così in fretta misi l'oggetto come ultimo nella scatola, e la chiusi.




 
Venerdì mattina, una borsa in pelle pendente dalla spalla destra, un paio di jeans blu, una maglietta, una felpa, un paio di vecchie converse che non indossavo da anni, e tanta tristezza nella hall dell'edificio. E poi, un sonno incredibile vista la notte passata a pensare.
Aspettando che una perfetta sconosciuta venisse a rovinarmi la vita.
Ancora.
James? Avevamo lasciato perdere il doscorso, non l'avevo salutato, e non avevo intenzione di farlo.
Avrebbe portato solo più tristezza di quanta già ce n'era nell'aria.
«Nora, non è felice di andarsene?»
Sorrisi amaramente prima di girarmi verso la voce che proveniva dalla preside.
«Certo, solo che avevo legato molto con certe persone qui.»
Vidi che si avvicinava con un sorriso addolcito.
«Vedrai, una ragazza come te si adatterà subito, troverai molte altre persone con cui legare. E poi puoi sempre sentire le persone a cui tieni nell'orario delle telefonate alle otto di sera.»
Feci per rispondere ma l'attenzione della Wonkaster si spostò sulla macchina che si era fermata davanti all'entrata.
Allungò il collo, e poi battè le mani felice.
«Dev'essere arrivata Maura, aspetta qui!»
Si allontanò emozionata per andare ad aprire la porta, e io rimasi ferma lì, senza cambiare espressione.
«Ora vi lascio sole un attimo, così potete parlare.»
Vidi che la Wonkaster si allontanava, e mi ritrovai in un'imbarazzante scena silenziosa, davanti ad una donna apparentemente dolce, non molto alta, con i capelli biondi ed un sorriso in volto.
«Tu.. tu devi essere Nora.»
E per la prima volta sentii la sua voce, esattamente come me la immaginavo.
«Già.»
Risposi con un lieve sorriso imbarazzato.
«Io sono Maura, piacere di conoscerti.»
Allungai la mano e strinsi la sua che si era protesa verso di me.
«Come ti avranno detto Bobby non è potuto venire per il lavoro, ma questa sera lo vedrai a cena.»
Corrugai la fronte, chi era?
«Chi è Bobby?»
Chiesi rendendomi conto subito dopo che era una domanda stupida. Era suo marito, ovviamente. Lei infatti s'irrigidì subito.
«Come n-non ti hanno parlato della famiglia?»
«Oh, oh si certo mi scusi, cioè, scusa, non mi ricordavo.»
Mi faceva strano dare del Tu ad una donna che non conoscevo.
«Non preoccuparti.»
Rispose lei sorridendo ancora una volta, e dandomi una dolce carezza sulla guancia.
A quel movimento rimasi spiazzata, sembrava così strano.
E forse fu proprio la mia espressione quasi terrorizzata a far staccare la sua mano dal mio volto.
Di bene in meglio.
Il mio futuro padre neanche si faceva vedere per il lavoro, e avevo iniziato il rapporto con la mia futura madre con una grande figura di merda.
«Vuoi caricare le tue ultime cose in macchina?»
Alzai lo sguardo dalle scarpe e la guardai negli occhi.
Realizzai che era proprio arrivato il momento.
E nonostante tutte le lotte contro le emozioni, gli occhi diventarono lucidi.
«Ehi, tutto bene?»
Scossi la testa e mi passai le mani sugli occhi, rendendomi conto che stavo mettendo in atto una stupida scenata.
«Tutto bene grazie, solo che.. Sta succedendo tutto così in fretta, ecco..»
Feci spazio ad un piccolo sorriso imbarazzato mentre parlavo.
E anche Maura sorrise.
Poi notai che il suo sguardo si spostò da me ad un qualcosa alle mie spalle.
Così mi voltai per vedere cosa stesse fissando, e con la coda dell'occhio vidi i suoi capelli castani spettinati, e qualcosa dentro me crollò distruggendomi completamente.
«No.» Sentii James pronunciare quella parola in lontananza mentre il cuore mi si riempiva di lacrime.
E poi vidi che piangendo si mise a correre verdo di me.
In quel momento mi dimenticai della terza presenza che ci guardava, e lo abbracciai forte.
«No, no, non puoi andare Nora!»
Le sue parole erano spezzate dai singhiozzi e soffocate dalla mia maglia.
«James noi.. Noi non ci divideremo, okay? Te lo prometto!»
«Tu, tu non puoi prometterlo, te ne stai andando!»
I suoi occhi pieni di lacrime si fissarono sui miei che stavano scoppiando a loro volta.
«James io ti prometto che non ci divideremo, davvero! Anche se me ne vado, okay? Ci sentiremo sempre e comunque! E tu promettimi che non sarai triste, e che ti troverai tanti amici. Me lo prometti?»
Passò qualche secondo di silenzio mentre si asciugava le lacrime, poi mi guardò di nuovo.
«Promesso.»
Sorrisi, era un bambino stupendo.
«Bravo. Ora va' che le lezioni iniziano. Questa sera ti chiamo, d'accordo?
»
Mi sforzai di sembrare tranquilla, e gli sorrisi chinandomi.
«D'accordo.»
Rispose lui abbassando la testa.
«Ehi,»  gli sollevai il viso per guardarlo sorridendo «primo, fammi un sorriso. E secondo ricordati che ci sono sempre io, okay?»
Lui sorrise debolmente prima di rispondere.
«Okay.»
Sorrisi anch'io, per non piangere.
«Vai, hai arte adesso. Devi portare il tuo disegno.
»
Sorridemmo entrambi prima che si allontanasse da me.
«A sta sera Nora.»
Lo salutai in lontananza con la mano, poi mi girai lasciando scivolare via tutta la fintà felicità.
«Un amico?»
Mi chiese Maura dopo che mi ero girata.
Mi fece piacere il fatto che non aveva indagato su di lui aveva semplicemente accennato ad un'amicizia.
«Già.»
Sorrisi.
E poi tornò la Wonkaster con la stessa energia di sempre.
«Bene, credo che vi siate conosciute. Nora, pronta per partire?
»
Sospirai e guardai alla porta.
«Pronta.»
Mentii tornando a guardare la preside che sorrise con il suo carisma.
«Quindi.. In bocca al lupo cara!»
Mi strinse la mano dandomi un bacio sulla guancia, per poi salutare anche la signora accanto a me.
«Possiamo andare?»
Mi chiese voltandosi.
«Subito.»
Risposi partendo con lei.
Salutammo un'ultima volta la presidce ed uscimmo.
Salimmo in macchina e in viaggio calò un silenzio interrotto solo dalla radio accesa.
 
 

 
Aprii lentamente gli occhi combattendo contro la luce proveniente dal finestrino, e focalizzai di essere in viaggio, per una strada che non conoscevo. Mi stropicciai gli occhi e guardai l'ora dalla radio, erano passati quarantacinque minuti.
Sempre meglio insomma.
«Uh, dormito bene?» chiese la donna notando che mi ero svegliata.
«Sì.» risposi ridendo.
«Ti sei svegliata giusto in tempo, siamo arrivate.»
Appena finita la frase, l'auto svoltò in un vicolo davanti ad una villa piuttosto grande, e poi si fermò.
Pensai che se quella fosse stata la mia casa una cosa positiva in tutto quel casino c'era. Era una casa stupendamente enorme.
I muri erano perfettamente bianchi, si vedevano diverse finestre piuttosto grandi, coperte da tende di colori diversi a seconda delle stanze. La porta era in legno scuro, come i bordi intorno ai vetri e come il piccolo balconcino che sporgeva da una porta finestra al secondo piano.
Quando vidi che Maura scendeva, scensi anche io con la mia borsa, e insieme raggiungemmo la porta.
«Caspita, le chiavi!» esclamò Maura guardando nella borsa.
«Beh, dovrebbe esserci mio figlio in casa, suona lì!»
Guardai alla mia destra e pigiai sul bottoncino grigio sotto ad un'etichetta con su scritto Horan.
E dopo pochi secondi ecco che la porta si aprì.
 
Fine Flashback.
 
 
Bene, per oggi direi che può bastare. E' iniziato tutto così.
Penso che voi abbiate capito che il figlio di Maura, la donna, è Niall, giusto? Certo, è una storia sugli One Direction, è ovvio che siete Directioner, ed è ovvio che sapete che Maura è la madre di Niall.
Quindi vi starete chiedendo che cosa centro io in questa storia, giusto? Che ne dite? Magari sono semplicemente un narratore? O forse vi sto raccontando questa storia perché potrei improvvisamente spuntare io sotto forma di principe azzurro?
Resta il fatto che ora devo scappare, ci vediamo domani!
p.s. Non so se l'ho detto, ma tornerò qui ogni giorno per continuare questa storia, per 50 giorni. Buona fortuna!
 
         

-Harry.           
 






Buongiorno!
Come state? Io bene, è tornato tutto a posto, e proprio per questo ho deciso di tornare ad aggiornare questa storia, yeuh!
Aggiornare?
Sì, perché anche se questo è il primo capitolo, in realtà la storia era già al decimo quando l'ho interrotta per vari motivi. E visto che in molti avevano smesso di seguirla, ho colto l'occasione per ricominciarla da capo e cambiare ciò che non mi piaceva. Come il nome della protagonista, che da Cloe è diventata Nora. Come il titolo, che ora è un po' più originale. E altre piccolezze riguardanti la scrittura dei capitoli.
Comunque, sono contenta che alcune persone abbiano deciso di seguirla anche da capo, spero di non annoiarvi.
Dovevo scrivere una cosa importante ma non me la ricordo.
Dunque me ne vado.

 
Baci, Rayon.
  
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