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Autore: ValeryJackson    08/07/2014    13 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Qualcuno, una volta, ha detto che l’estate è come una favola, che ognuno di noi conserva e custodisce come un magico segreto; e che tutti i nostri cuori, nella profondità dell’inverno, si riscaldano con il ricordo di questo calore invincibile, che accompagna i nostri pensieri anche quando non vogliamo.
Skyler lo sapeva bene.
Finalmente, dopo uno degli inverni più lunghi che erano mai esistiti, quel fresco vento che amava scompigliarle i capelli era tornato a danzare fra le verdi foglie degli alberi, ricordandole che era arrivato il momento.
Stentava ancora a crederci, ma era così.
Più volte ci aveva riflettuto, al punto di porsi la domanda “È tutto vero, o è stato solo frutto della mia immaginazione?”
La risposta era sempre: sì, è tutto vero. E sì, tutto questo é ancora parecchio strano.
Aveva scoperto di essere una mezzosangue esattamente un anno fa, quando quel ragazzo dagli occhi verdi si era catapultato in casa sua tagliando a metà il ventre di un’Arpia e poi facendola svenire con un colpo in testa.
Non che ce l’avesse ancora con lui per quello, no. Infondo, poi, era stata colpa di un satiro. Ma il ricordarlo le mandava ancora delle fitte alla nuca.
Comunque sia, quel ragazzo si chiamava Percy Jackson. E le aveva letteralmente salvato la vita.
Non soltanto per via dell’Arpia.
I primi tempi al Campo Mezzosangue erano stati bestiali. Esercitazioni impossibili. Figli di Ares che si dilettavano “bulli” armati di lance e male parole. Tante, forse troppe cose nuove. Più volte si era riscoperta a piangere per scaricare la tensione che soffocava il suo cuore in una morsa d’acciaio.
Ma poi erano arrivati loro. I suoi migliori amici.
John, il figlio di Apollo più gentile che fosse mai esistito. Il consigliere ideale, ma che non esita a trapassarti con una freccia in caso di necessità.
Emma, l’unica persona con la quale Skyler abbia riso veramente di gusto. Era la figlia di Ermes più solare e pragmatica del Campo, e per lei, ormai, era come una sorella.
Ed infine Michael.
La storia con lui è un po’ complicata. Erano partiti come amici, confidandosi anche i segreti più intimi e salvandosi la pelle a vicenda, almeno fino a quando lui non si era innamorato di lei. Skyler ci aveva messo un po’ per tradurre l’intensità dei propri sentimenti; ma alla fine, esattamente il 5 Luglio dell’estate prima, si erano baciati.
Solo quando era stata costretta a tornare a casa per l’inverno Skyler si era resa conto di quanto in realtà avesse bisogno di lui. Per questo non vedeva l’ora di riabbracciarlo, di guardarlo in quei suoi occhi caleidoscopici e di passeggiare con lui al chiaro di luna.
Ma non era così facile. Suo zio, dopo sei mesi in Afghanistan, era tornato sano e salvo dalla nipote, pronto a passare tutto il tempo che lo separava dalla prossima missione con lei. Per questo, Skyler era stata costretta a parlargli del Campo. Certo, aveva omesso il fatto che si trattasse di un posto semidivino, facendolo passare come un Campo Estivo per ragazzi iperattivi come lei, dove la signora Petunia aveva deciso di portarla dopo che Skyler le aveva distrutto casa.
Lo zio sembrò abbozzare un sorriso a quell’affermazione, e, dopo averle fatto una ramanzina, le aveva chiesto di raccontargli di questo campo. E così, Skyler gli aveva spiegato le varie attività, trasformando le sfide con le spade in allenamenti di lotta libera e le missioni suicide in gite escursionistiche per stare ‘a contatto con a natura’. Ed, infine, gli aveva rivelato dei suoi amici.
In quel momento lo zio sembrava aver capito, e Skyler si era ritrovata a pregarlo dai piedi del divano giurando di essere disposta a tutto pur di tornarci per l’intera estate.
Non immaginava di doversi aspettare questo.
E così eccoli lì, sul loro pick-up di seconda mano, mentre si dirigevano verso il posto che Skyler odiava più della prigione della nave del Capitano.
Casa della nonna.
Lo zio era stato molto chiaro a riguardo.
«Non vedi la nonna da più di otto anni, e a lei manchi molto.»
Questo Skyler stentava a crederlo. Certo, la nonna doveva volerle bene. Ma, nonostante all’epoca avesse solo sette anni, ricordava perfettamente l’acceso dibattito che c’era stato fra lei e lo zio riguardo il suo affidamento.
Lei definiva il figlio non idoneo a badare ad una bambina così piccola, nonostante il volere espresso dal testamento della madre. Ovviamente, alla fine aveva vinto lui, ma dopo quell’episodio fra loro si era interrotto qualunque tipo di contatto. Mai una telefonata. Mai un messaggio. Mai una visita. Mai un regalo di Natale.
Mai un “Ehi, come stai?”. Mai un “La nonna ti vuole bene”.
Mai una paghetta. Mai un complimento. Mai un sorriso. Mai niente di niente.
Quindi, come mai ora quest’improvvisa voglia di rivederla?
Skyler lo sapeva bene.
Per dimostrare ancora un volta, dopo più di otto anni, quanto la scelta dei giudici fosse sbagliata, e quanto la ragazza avrebbe avuto un destino diverso e migliore se fosse rimasta con lei.
Era un ennesimo esame.
Probabilmente lo sapeva anche lo zio.
Eppure sembrava felice, quasi sereno, mentre guidava la sua vecchia auto verso un paesino nei pressi di San Diego. Avrebbe ingannato chiunque, anche la nonna. Ma non Skyler.
Anche di sottecchi riusciva a vedere le sue nocche sbiancare alla stretta del volante.
Skyler amava suo zio, davvero. Ma alle volte proprio non lo capiva.
Perché accettare quell’invito proprio ora, che sembrava andare tutto bene? Perché rovinarsi l’inizio dell’estate?
Era come tuffarsi di pancia nella fossa dei leoni. Pericoloso e senza senso.
Sapeva che alla nonna sarebbe bastato anche un piccolo sbaglio per trascinarlo di nuovo in tribunale. Quindi, perché rischiare?
Okay amare le sfide, ma era davvero disposto a perdere sua nipote così, per un nonnulla?
Skyler sospirò, voltando il capo e assottigliando lo sguardo per scorgere l’orizzonte.
Se la proposta fosse stata fatta a lei, non avrebbe mai accettato.
Ma lo zio era stato chiaro anche su questo.
«O vieni con me dalla nonna, oppure niente Campo.»
Sbam! Colpita e affondata.
Quell’uomo sapeva esattamente come ottenere ciò che voleva.
Skyler giocherellò con il suo orecchino a forma di teschio, delimitandone il contorno con il polpastrello. Era dall’inizio del viaggio che non ripeteva altro che quello, ricevendo solo affermazioni negative in risposta, eppure ci riprovò lo stesso.
«Non capisco perché tu abbia accettato di partecipare ad una pagliacciata del genere» cominciò, quasi infastidita.
Lo zio scrollò la testa, sospirando sconsolato. Buttò indietro il capo, quasi fosse stanco di rispondere a quelle provocazioni. «Skyler, non discutiamo.»
«No, discutiamo, invece!» sbottò allora la ragazza, guardandolo furiosa. «Sai benissimo qual è il suo intento, no? Vuole farmi trasferire a San Diego. Vuole farmi passare il resto dei miei giorni mentre lei manipola ogni istante della mia vita!»
Lo zio le lanciò un’occhiata ammonitrice. «Skyler, è di tua nonna che stai parlando.»
«Beh, s’è per questo è anche tua madre. Ma ciò non ti ha impedito di non parlarci per più di otto anni!»
Ben corrucciò le sopracciglia, come ferito da quell’affermazione. Skyler capì di aver esagerato.
Digrignò i denti, riassestandosi sul posto e abbassando lo sguardo sulle proprie gambe accavallate. «Scusa, non volevo» borbottò.
L’uomo scosse la testa, facendole capire che aveva ragione, e che non doveva scusarsi.
Ci fu qualche secondo di imbarazzante silenzio, nel quale nessuno dei due sapeva esattamente cosa dire. Finché lui non abbozzò un sorriso sghembo. «Ehi» sussurrò, picchiettandole due dita sul fianco della gamba. «Sono solo cinque giorni. La nonna è maniacale, certo, ma in cinque giorni non ha mai ucciso nessuno.» Questo strappò a Skyler un sorriso.
«Fidati di me, okay?» continuò. «Non permetterò che ti portino via da me.»
Skyler fece spallucce, rifiutandosi ancora di alzare lo sguardo. «Se lo dici tu» mormorò, con poca convinzione.
Lo zio fece un gran respiro, soppesando le parole che voleva dirle. «Ricordi cosa ti dicevo quand’eri piccola?»
Skyler inarcò un sopracciglia, sarcastica. «Mi dicevi tante cose.»
Ben rise, divertito. «Si, questo è vero» acconsentì. «Ma cosa ti dicevo quando avevi paura che il mostro nell’armadio ti portasse via?»
Skyler capì subito. Abbozzò un lieve sorriso, ricordando con dolcezza quel momento in cui lo zio si infilava nel suo letto per proteggerla dai sogni cattivi. «Mi dicevi di non preoccuparmi, e che mi avresti protetta» ricordò. «Io e te contro il mondo.»
Lo zio annuì, guardandola fiero. «Io e te contro il mondo, mi hija.»
Skyler alzò lo sguardo, incrociando i suoi occhi. Molto probabilmente, lo zio era l’unica persona in grado di darle qualche consiglio di vita anche quando si trattava di cose stupide come un mostro immaginario nell’armadio.
Skyler sapeva che era vero. Per anni l’unico che riusciva a darle conforto, donandole la sicurezza di essere protetta, era stato lo zio.
E lo sarebbe stato per molto tempo.
«Tu reggimi il gioco» le intimò dopo un po’ l’uomo, tornando a guardare la strada. «E se te lo chiedono, io non ti ho mai fatto stare sveglia tutta la notte per guardare i film di Hannibal Lecter.»
Skyler rise, ricordando l’insonnia che l’aveva accompagnata per mesi. «Okay» acconsentì.
Spostò lo sguardo sul ciglio della strada.
Forse lo zio aveva ragione. Forse cinque giorni dalla nonna non erano poi questo gran problema.
L’estate scorsa aveva affrontato un Minotauro, dei Leoni indemoniati, una Chimera, Pitone, un grifone, un Generale maligno, un Capitano psicotico, una malattia centenaria ed Anteo.
Quanto poteva essere pericolosa un’anziana donna di settant’anni?
 
Ω Ω Ω
 
Il tipico clima californiano le invase subito afoso i polmoni, rendendole difficile fare dei gran respiri.
Skyler corrucciò le sopracciglia, mentre osservava gli alti palazzi di San Diego scomparire per lasciare posto a sempre più vegetazione e a sempre meno villette a schiera.
Non ricordava esattamente dove la nonna abitasse. L’ultima volta che era andata a trovarla, aveva circa cinque anni, e chissà quanto nel corso di questo tempo le cose erano cambiate.
Chissà se era cambiata anche lei.
Arrivati alla fine della strada, lo zio girò a destra. Si guardava intorno sovrappensiero, come se fissando il ciglio del marciapiede potesse scorgere delle immagini proiettate del suo passato.
Quel posto riportava a galla troppi ricordi.
Lì c’era stata la sua infanzia, lì lui e la sorella avevano scelto e lavorato il loro destino.
Questo a Skyler dava i nervi. Perché restare così tanto tempo in un posto che non dona altro che una nostalgica malinconia?
Non vedeva l’ora di andar via. Non vedeva l’ora di abbandonare quel posto possibilmente per i prossimi otto anni.
Era così impegnata ad inventare il modo migliore per scappare da accorgersi appena che lo zio aveva rallentato.
La macchina frenò con un ronzio metallico.
Skyler alzò lo sguardo su di lui, e notò che stava fissando qualcosa alla loro destra, mentre uno strano sorriso si faceva largo sul suo volto.
Guardò Skyler negli occhi. «Andiamo?» La ragazza annuì.
Lui scese rapidamente dal pick-up, per dirigersi sul retro e prendere i borsoni. Skyler nel suo aveva messo poco e niente. Non aveva alcuna intenzione di trattenersi lì più del dovuto.
Scese dalla macchina con aria annoiata e sollevò lo sguardo. Rimase senza fiato.
Un’enorme casa si stagliava solitaria davanti a lei.
Era completamente bianca, così grande che Skyler giurò potesse viverci un’intera comunità senza problemi.
Il patio era abbellito grazie alla presenza di un curatissimo giardino, pieno di erba smeraldo e fitte piante di fiori. Dei piccoli muri di pietra fungevano da scale, conducendoli ad una grande veranda che nascondeva la porta principale.
Non ricordava che i nonni fossero ricchi, ma dovevano passarsela piuttosto bene.
Skyler doveva essersi lasciata sfuggire un “Wow”, perché lo zio, accanto a lei, sorrise.
«Bella, vero?» Domanda retorica. Le passò il borsone, coricandosi il suo in spalla. Poi le indicò la casa con un cenno del capo. «Andiamo.»
Mentre attraversava quello stupendo giardino, Skyler non poté non meravigliarsi per la cura dei particolari che notava in ogni singola cosa. Anche mentre salivano le scale, continuava a guardarsi intorno a bocca aperta.
Si rese conto di essere arrivata davanti la porta solo quando lo zio si fermò. Skyler incrociò un attimo il suo sguardo. Sembrava molto più nervoso di lei.
«Pronta?» domandò, anche se sembrava lo stesse chiedendo più a se stesso.
Skyler annuì, stranamente calma. Ben premette tre volte il campanello.
Dall’interno arrivarono dei rumori strani. Qualcosa che cadeva a terra e si rompeva. Delle imprecazioni in spagnolo. Dei tacchetti che battevano veloci su un pavimento probabilmente di legno.
Poi, la porta si aprì.
Il primo impulso che ebbe Skyler fu quello di scappare.
Ma ormai era troppo tardi.
Un’anziana signora li osservava dall’uscio della porta, con un sorriso smagliante stampato in faccia.
Era piccola, poco più bassa di Skyler. E minuta, soprattutto. Ma riusciva lo stesso ad incutere una certa soggezione. I folti capelli scuri erano raccolti in una crocchia, dalla quale però sfuggiva qualche ciocca, che le ricadeva dolcemente sul viso. I grandi occhi scuri sembravano famelici, illuminati da uno scintillio di giubilo, e la pelle color ambra sembrava risplendere sotto i penetranti raggi del sole.
Indossava una tailleur giallo canarino, con delle scarpe color carne ed una vistosa collana di perle.
Dopo alcuni secondi di imbarazzante silenzio, si portò le mani curate a coprire la bocca.
«Il mio bambino» sussurrò, con le lacrime agli occhi. Fece un passo avanti e buttò le braccia al collo del figlio.
Lo zio Ben sorrise. «Hola, mamà.»
Lei si staccò da lui, posandogli le mani sulle spalle e scrutandogli il volto con commozione. «Mi sei mancato così tanto» mormorò.
Le labbra dell’uomo si arricciarono per un secondo, ma riuscì comunque a mantenere saldo il suo sorriso. «Anche tu.»
Dopo essersi asciugata con il palmo delle lacrime immaginarie, la donna si voltò a guardarla.
Skyler sentì le ginocchia tremare. Era come guardare sé stessa allo specchio. Una versione un po’ più vecchia, certo, ma la somiglianza era disarmante.
La donna fece un passo verso di lei, guardandola con dolcezza. «Eccola» sorrise. Le accarezzò una guancia, per poi spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «La mia piccola Skipi» sussurrò, ricordando il soprannome con il quale la chiamava quand’era piccola. Poi l’abbracciò di slancio. «Otto anni sono troppi» affermò, stringendola forte a sé. Skyler non poté giurarci, ma dal tono della sua voce sembrava fosse sul punto di piangere. «Troppi, troppi, troppi.»
Per un attimo, Skyler si fece cullare da quell’abbraccio. Era piacevole sentire il calore del suo corpo accanto, e il profumo di petunia dei suoi capelli, e l’odore di olio alla mandorla della sua pelle.
Ma la magia si interruppe non appena la donna si staccò da lei e le scrutò il volto con un cipiglio di rimprovero. «Da quando hai i tinto i capelli di rosso, tesoro?»
«Non c’è nulla di male a voler cambiare un po’» la giustificò prontamente lo zio, quasi si aspettasse una domanda del genere.
«E non sono rossi» ci tenne a precisare Skyler. La nonna inarcò un sopracciglio, e lei abbassò lo sguardo. «Solo alcune ciocche» borbottò.
La donna fece roteare gli occhi, sospirando teatralmente. «Io non gliel’avrei mai permesso, Ben. Le tinture per capelli sono pericolose! Sai che c’è il rischio di un cancro?»
«Mamma…» si lamentò lui, portandosi una mano a coprire gli occhi esausti.
«È vero! Per non parlare di tutte le allergie e le irritazioni che portano.»
«Skyler non ha mai avuto alcun tipo di problema con quei capelli, okay?»
«Dico solo che avresti potuto impedirglielo.» Lo guardò con una smorfia, quasi volesse rimproverare un bambino di cinque anni. «Ha solo quindici anni.»
«Sedici» la corresse Skyler.
«Lei è perfettamente in grado di decidere che cosa è giusto e sbagliato» affermò lo zio.
La nonna buttò una mano in aria, con un’espressione disgustata sul volto. «Cosa vuoi che ne sappia, lei, di come va il mondo!»
Sicuramente ne so più di te, pensò Skyler, ma si trattenne dal dirlo.
Ed eccola lì. Ecco la nonna che ricordava. Ecco quella pronta a trovare ogni minimo difetto, quella pronta a rinfacciarti ogni minimo errore.
Eccola lì la nonna che non aveva alcuna voglia di rivedere.
«Sarete stanchi» dedusse la donna dopo un po’, lanciando un’occhiata ai borsoni. Il sorriso accogliente di prima tornò ad occupare gran parte del suo volto. «Venite, vi mostro le vostre camere.»
Skyler e Ben si scambiarono un’occhiata, prima di seguirla all’interno.
Se da fuori la casa sembrava maestosa, dentro era addirittura meglio. Tutto rigorosamente in pietra e mogano, le pareti dorate si stagliavano verso un alto soffitto al quale era appeso il lampadario di cristallo più grande che Skyler avesse mai visto.
Giusto di fronte a loro un’enorme scalinata occupava tutto lo spazio a disposizione, conducendoli ad un secondo piano pieno di bagni e stanze. Alla sua destra, Skyler poteva distinguere i mobili tipici di un salone, mentre a sinistra c’era riconoscibile il varco che portava alla cucina e alla sala da pranzo.
La ragazza si guardò intorno, aprendo la bocca meravigliata. La nonna sembrò compiaciuta da quel suo atteggiamento, perché gonfiò il petto.
«Venite, da questa parte» disse, facendo strada.
Skyler e lo zio Ben la seguirono su per la lunga scalinata, e solo quando erano arrivati a metà Skyler si voltò per osservare tutto da una prospettiva diversa.
Si rese conto che la nonna l’aveva raggiunta solo quando sentì la spalla sfregare contro la sua.
«Bella, vero?»
Skyler annuì, senza distogliere lo sguardo.
La donna sospirò, giungendo le mani in grembo e corrucciando leggermente le sopracciglia. «Sarebbe un bel posto, dove vivere.»
Skyler afferrò la frecciatina. Strinse di più la presa sul borsone, rifiutandosi però di guardarla. «Non ne dubito» commentò secca, per poi voltarsi e riprendere a salire le scale.
Quel posto era spettacolare. Era come trovarsi in una casa delle bambole dove tutti gli oggetti di plastica avevano cambiato consistenza e dimensione.
Stentava a credere che lo zio avesse vissuto lì. Stentava a pensare che avesse voluto lasciarla per sempre.
Ma poi le giungeva la voce squillante della nonna che dettava ordini e smetteva di meravigliarsi.
La donna gli stava facendo fare un giro della casa, prima di condurli nelle loro stanze, ma Skyler ascoltava ben poco della sua spiegazione, persa com’era nei suoi pensieri.
«E lì c’è l’aula musica, dove teniamo il piano» disse orgogliosa la nonna, mentre la nipote annuiva distrattamente. «Ricordi, Ben? Tu e Maria passavate interi pomeriggi in quella sala.»
Il solo sentire il nome della madre fece venire a Skyler la pelle d’oca. A volte dimenticava che quella era stata anche casa sua. Che era lì che la sua mamma aveva passato l’infanzia. Questo rendeva tutto molto più affascinante e triste allo stesso tempo.
Lo zio Ben abbozzò un sorriso amaro, annuendo con lo sguardo perso nel vuoto. «Lei di solito suonava il piano, ed io la chitarra» ricordò. «Ma poi la maggior parte delle volte ci annoiavamo ed iniziavamo a premere note senza senso.»
Skyler lo guardò, aggrottando leggermente la fronte. «Non me l’hai mai detto.»
«Perché avrei dovuto? Era solo lo stupido passatempo di due bambini.»
La ragazza aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. La nonna posò una mano sul braccio del figlio, sospirando nostalgica. «Avevate talento» ammise, con un sorriso. Ci fu qualche secondo di imbarazzante silenzio, poi lei batté le mani. «Su, vi porto in biblioteca. L’ho ristrutturata, sai?» E senza attendere risposta si avviò lungo lo stretto corridoio, seguita a ruota dal figlio.
Skyler restò un attimo lì a fissare la porta chiusa dell’aula musica. C’era qualcosa di eccitante, nel sapere che quello era il posto preferito di sua madre. Nel sapere che anche lei aveva percorso migliaia di volte quel corridoio, e che aveva aperto quella porta.
Si accorse di essersi diretta verso la stanza solo quando vi si ritrovò davanti.
Doveva vedere quel pianoforte. Doveva sapere cosa la mamma provava quando lo suonava.
Non sapeva di questa sua passione. Lo zio Ben non gliel’aveva mai raccontato. Non sapeva neanche che sapesse suonare uno strumento.
Forse perché per lui quel ricordo era ancora troppo doloroso. Quella era una cosa che condivideva con la sorella. Ora che lei non c’era più, non aveva più lo stesso sapore.
Posò una mano tremante sulla maniglia, pronta ad aprirla.
Ma poi, un lieve suono trapassò il legno della porta. Un suono dolce, appena accennato, attutito da quel pesante mogano.
Skyler corrucciò le sopracciglia, tendendo l’orecchio.
Sembrava musica. Possibile che qualcuno stesse suonando?
Con un po’ d’esitazione, aprì la porta, sbirciando all’interno. La stanza era buia, se non per quella luce fioca che emanava il camino acceso.
Entrò, guardandosi intorno. Il piano era vuoto.
La musica che invadeva la stanza non era composta semplicemente dalle note di un piano, ma era un insieme di più strumenti.
Se avesse avuto una conoscenza musicale più classica, avrebbe riconosciuto l’Inverno di Vivaldi.
Nell’aria c’era odore di sigaro. E solo seguendo la scia di quel fumo si accorse della persona seduta su una poltrona accanto al fuoco.
Era un uomo anziano, sull’ottantina. Aveva gli occhi chiusi, ed un sorriso beato stampato in faccia. Con una mano reggeva un sigaro ormai a metà, mentre le dita libere disegnavano strani disegni in aria.
Aveva qualcosa di familiare.
Skyler dovette assottigliare lo sguardo, per scorgerlo attraverso quella flebile luce, ma quando lo riconobbe ebbe un sussulto. Fece un passo avanti, esitante.
«Nonno?» chiamò.
L’uomo si voltò. Non appena incrociò i suoi occhi scuri come la pece, capì di non essersi sbagliata.
«Skyler?» La sua voce era roca, ma anche molto profonda. Dal tono sembrava incredulo.
La ragazza sorrise, avvicinandosi al fuoco per far sì che lui la vedesse. «Ciao, nonno» sussurrò.
Sul volto rugoso dell’uomo si dipinse un sorriso incerto, quasi stupito. Fece due passi barcollanti verso di lei, e quando fu abbastanza vicino le posò una mano tremante sulla guancia. Skyler gli accarezzò il dorso, ruvido come cartavetra, e premette la gota contro il suo palmo.
Un singhiozzo sfuggì dalle labbra del vecchio. Aveva gli occhi lucidi per l’emozione, la vista appannata per le imminenti lacrime.
«Mi nieta» sussurrò, commosso. Sorrise, posandole le mani sulle spalle e attirandola a sé in un abbraccio. «Mi nieta. Mi sobrinita.»
Pianse.
Skyler non sapeva esattamente come comportarsi. Non vedeva il nonno da così tanto tempo che aveva quasi dimenticato i lineamenti del suo volto.
Eppure nel suo abbraccio c’era qualcosa di confortante. Qualcosa che le faceva capire che quell’uomo le voleva davvero bene.
Il suo maglione profumava di sigaro e bucato. Era rasserenante, e le confuse emozioni che la travolsero in quel momento furono così forti che la vista si appannò anche a lei.
L’uomo si staccò da lei, prendendole il volto fra le mani e squadrandolo. «Sei cresciuta così tanto» disse, con voce strozzata. «Mi sembra di rivedere tua madre.»
Skyler sorrise, grata per quel paragone.
Non ricordava il nonno come un tipo emotivo.
Era sempre stato silenzioso, taciturno, pronto a frenare l’esuberanza della moglie quando ce n’era bisogno. Dolce. Schivo. Riservato. Forse a volte anche molto introspettivo.
Per questo vederlo piangere faceva uno strano effetto.
In quel momento, il cardine della porta cigolò, e la nonna si precipitò nella stanza.
«Skyler!» esclamò sorpresa, con una punta di rimprovero. Poi, notando il marito, capì. «Ah, siete qui.»
«Mira, Rosa!» esultò l’uomo, emozionato. «Es nuestra nieta! Es nuestra sobrinita!»
«Questo dimostra che non mi ascolti mai quando ti parlo, José» si lamentò lei. «Ti avevo detto che sarebbero arrivati oggi.»
Lui la ignorò, e solo in quel momento sembrò accorgersi del figlio sull’uscio della porta.
«Benjamin!» gioì, buttando le braccia in aria e ridendo felice.
Lo zio fece un passo avanti. «Hola, papà.» Si abbracciarono, mentre il vecchio continuava a ridere come un bambino.
La nonna si avvicinò a Skyler. «Scusa il nonno Pepe» disse, posandole una mano sulla schiena. «A volte fa così. Credo che sia colpa di tutto quello che fuma. Restare chiuso qui dentro gli fa male.»
«Non ha nulla di cui scusarsi» ribatté prontamente Skyler, scrollando leggermente il capo. Poi la guardò negli occhi. «Anche per me è bello rivedervi dopo tutto questo tempo.»
La nonna sorrise, dandole una leggera pacca sulla spalla. «Vedrai, ben presto più nulla ci separerà.»
Skyler non seppe come interpretare quella frase. Ma non ce ne fu bisogno, perché la nonna cambiò subito argomento, attirando l’attenzione di tutti battendo le mani. «Adesso, però, vi porto in camera.»
Li condusse tutti fuori dal corridoio, mentre spiegava le sistemazioni. Ben avrebbe occupato la camera che era rimasta sua da quando se n’era andato. Skyler, invece, la vecchia stanza della madre.
«Ti piacerà, vedrai» aveva trillato la nonna, emozionata. Poco prima che potesse mostrargliela, però, si fermò di colpo.
«Dammi il giacchetto, cara. Vado ad appenderlo» disse, tendendo una mano.
«No!» scattò subito Skyler, pentendosene subito dopo. Non restava mai a maniche corte in presenza dello zio. Non dopo l’estate scorsa. Non dopo che suo padre l’aveva riconosciuta.
«Non essere sciocca» la riprese la donna, insistente.
Se lo zio avesse visto il tatuaggio, non avrebbe saputo come spiegarglielo. Ma soprattutto, non avrebbe saputo come spiegarlo alla nonna.
«Preferisco tenerlo, grazie» rispose, sforzandosi di essere il più cordiale possibile.
Rosa le agitò un dito davanti al volto. «Non sono ammessi cappotti in camera, e tuo zio Ben lo sa» disse, al ché lui fece roteare gli occhi.
Skyler si tirò giù le maniche, nascondendovici le mani. «Ma io ho un po’ freddo.»
«Suvvia! Ci sono più di trenta gradi fuori!» ribatté la nonna. Allungò di nuovo una mano verso di lei, ma Skyler non si mosse. «Skyler» cantilenò allora, spazientita. Poi sbottò. «Dammi il giacchetto!»
Lo disse con un tono così irritato che la ragazza sobbalzò. Lanciò un’occhiata allo zio Ben, che le fece cenno di ubbidire.
Qualcosa, del suo istinto, le disse che le cose stavano per mettersi molto male.
Se lo sfilò lentamente, quasi fosse una mina attiva e lei avesse paura di farla esplodere. Nascose velocemente il braccio dietro la schiena e passò il giacchetto alla nonna.
Ma ormai era troppo tardi.
Sul volto della donna cominciò a dipingersi un’espressione indignata, mentre le afferrava il polso e lo strattonava per vedere il braccio.
«Questo è un tatuaggio?» esclamò, inorridita.
«Un tatuaggio?» chiese lo zio, confuso.
«Un tatuaggio!» esultò Skyler, fingendo entusiasmo. Ma il suo sorriso si spense subito.
«La mia bambina ha… un tatuaggio!» urlò a quel punto la nonna.
«Un tatuaggio» ripeté Ben, ancora sconvolto.
«Ben! Cos’è questa storia?»
«Oh, beh…» Lo zio guardò Skyler. Dal suo volto capì che era arrabbiato, anzi, furioso! «Skyler se lo è fatto quest’estate» spiegò.
«E tu lo sapevi?»
La ragazza si mordicchiò un labbro, abbassando lo sguardo e preparandosi al peggio.
Perciò rimase colpita dalla sua risposta.
«Certo. Lei mi ha chiesto il permesso ed io ho approvato. Non l’avrebbe mai fatto senza il mio consenso.»
«Mio dio, Ben!» esclamò la donna, furiosa. «Un tatuaggio, dico io. Un tatuaggio! Sai i rischi che comporta?»
«Si tratta di uno all’henné. Non è pericoloso.»
«E la prossima quale sarà? Eh? Quale! Vedrò mia nipote piena di piercing e con qualche droga in mano?»
«Mamma, non esagerare.»
«Oh, sì che esagero, invece!» sbraitò lei. «Lo dicevo io che non eri in grado di occuparti di una ragazzina!»
Lo zio serrò la mascella, mentre Skyler accusava il colpo. Si aspettò una sfuriata in piena regola, piena di insulti e accuse.
Invece, lo zio fece un bel respiro e mantenne la calma. «Questo non sei tu a deciderlo.»
La donna aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Pestò un piede a terra, frustrata, e si diresse a grandi passi lungo il corridoio.
Non appena se ne andò, lo zio sembrò rilassarsi. Si stropicciò gli occhi con una mano, sfinito, per poi passarsela davanti la bocca.
Guardò Skyler, allargando le braccia senza parole. «Davvero?» domandò, quasi incredulo. Skyler però avvertiva la tensione tipica di un rimprovero. «Davvero, Skyler? Un tatuaggio? Fra tante cose proprio un tatuaggio?»
«Mi dispiace, non volevo» si scusò lei, abbassando lo sguardo imbarazzata. Se lo accarezzò, sovrappensiero.
«E che cosa significa, poi? Un’incudine ed un martello! Sul serio, Skyler, è così che speri di restare con me?»
«Ti ho detto che mi dispiace.» Skyler era sull’orlo delle lacrime. Non era colpa sua, non era una cosa che aveva deciso lei.
Lo zio sembrò accorgersi della sua voce tremante, perché fece un sospiro e chiuse gli occhi. Ci fu un minuto di silenzio carico di tensione. Poi, lui la guardò, scrollando leggermente il capo. «Mi dici almeno perché un’incudine?»
Perché mio padre è Efesto, avrebbe voluto rispondere lei. Ma in quel momento era troppo impegnata a sorridere.
Suo zio era dalla sua parte, e lo sarebbe stato sempre.
Qualsiasi stupidaggine avesse fatto, qualsiasi errore.
Lui e lei contro il mondo.
«Te lo spiego dopo» bisbigliò, strappandogli un sorriso sghembo.
«Okay» acconsentì, con un sospiro. Poi le indicò con un cenno della mano il luogo nel quale era sparita la nonna. «Non credo che tornerà» disse. «Vieni, ti accompagno io.»
 
Ω Ω Ω
 
Skyler doveva ammetterlo: aveva paura.
Ma non di quella paura che ti paralizza e che ti impedisce di pensare.
No, la sua era una di quelle paure che ti accende di curiosità, una di quelle che ti spinge a fare domande ma che allo stesso tempo ti fa temere le risposte.
Strinse ancora di più la cinghia del borsone, maledicendo le sue mani sudate.
Avete presente la sensazione che si prova quando coroni il tuo sogno di scalare una montagna ma poi scopri di soffrire di vertigini?
Ecco, entrare nella stanza della madre fu lo stesso.
Era semplice, proprio come la immaginava. I mobili erano interamente in mogano, compreso il letto a baldacchino. C’era una scrivania, un comò, ed una finestra che dava sul retro della casa. A terra c’era un tappeto rosso fuoco, e al muro alcuni poster. Skyler riconobbe gruppi come gli U2 e gli A-Ah, molto probabilmente gli idoli della teenager che era sua madre negli anni ’80.
Sul comò, invece, c’erano alcuni oggetti. Skyler vi si avvicinò, circospetta.
Un portagioie chiuso attirò immediatamente la sua attenzione. Era di legno scuro, ricamato con delle incisioni verdi, rosse e gialle molto sinuose ed elaborate. Moriva dalla voglia di sapere cosa c’era dentro.
Ma la voce di suo zio le impedì di scoprirlo. «È bella, non è vero?»
Skyler annuì distrattamente, mentre il suo sguardo si spostava su una foto della sua famiglia quando i figli ancora andavano al liceo.
«Tua madre amava la semplicità» disse lo zio, sovrappensiero.
Skyler lo guardò. Sembrava triste, mentre si guardava intorno con uno scintillio di malinconia negli occhi. Tutto quello non doveva essere facile neanche per lui. A volte Skyler dimenticava che mentre lei aveva perso una madre, lui aveva perso una sorella. 
Lo zio sembrò accorgersi del suo sguardo fisso, perché le sorrise. «Lì c’è il bagno, se ti va.» E le indicò con un cenno una porta che prima non aveva notato. «Tua zia e tua madre pretendevano i loro bagni personali. Fatti una doccia e rilassati un po’. Verrò a chiamarti quando sarà ora di cena.»
Skyler annuì, con un sospiro. Osservò Ben mentre si grattava la nuca sfinito e si avviava verso la porta, e fu a quel punto che sentì i sensi di colpa corroderle la bocca dello stomaco.
«Ben!» lo chiamò, al ché lui si voltò a guardarla. Inarcò un sopracciglio, curioso.
Skyler si mordicchiò il labbro, ed esitò. Avrebbe voluto dirgli tante cose. Avrebbe voluto dirgli che gli voleva bene, e che avrebbe fatto del suo meglio affinché la nonna capisse che separarla da lui sarebbe stato un errore. Avrebbe voluto promettergli che ce l’avrebbero fatta, e rassicurarlo che era il tutore migliore del mondo.
Ma non riusciva a trovare le parole. Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Sospirò. «Mi dispiace» sussurrò, abbassando lo sguardo.
Lo zio capì al volo, e abbozzò un sorriso dolce. «Non devi scusarti.»
«Si, invece. Non voglio che per colpa di quello stupido tatuaggio la nonna pensi che non vivo bene con te. Voglio tornare a casa, Ben.»
Il volto dello zio si fece cupo. Si morse l’interno della guancia, prima di prendere un bel respiro ed annuire. «E ci tornerai» affermò, deciso. «Ci torneremo insieme. Non permetterò che ti portino via da me, mi hija. Lotterò, se sarà necessario.» La guardò negli occhi e le fece l’occhiolino. «Sono stato addestrato per questo, giusto?»
Skyler accennò un sorriso, accarezzandosi distrattamente le braccia. «Giusto.»
«Bene.» Lo zio annuì. «Passo più tardi, allora. E non scusarti. Non ce n’è bisogno.»
«Sappi solo che non l’ho voluto io» si giustificò Skyler, con un fil di voce. Ed era vero. Non aveva scelto lei di essere una mezzosangue. Non aveva scelto lei che quel simbolo si imprimesse sul suo avambraccio e che non la lasciasse andare. Non l’aveva scelto lei.
Lo zio inclinò la testa di lato, non sapendo bene come interpretare quella frase. Poi le rivolse un sorriso un po’ confuso ed uscì dalla stanza.
Skyler rimase sola.
Le piaceva il silenzio, ma quello lì era devastante.
Si guardò intorno, spaesata. Ogni cosa, lì dentro, le parlava di lei. Ogni cosa. E stavolta non c’era modo di ignorare i ricordi come aveva sempre fatto.
Forse, era quello il vero motivo per cui non voleva andare dalla nonna. Per non ritrovarsi in quella casa. Per non dover dormire giorni in un posto che continuava a mostrarle la sua vita, la sua infanzia, il suo sorriso.
Nonostante fossero passati otto anni, il ricordo faceva ancora troppo male. E forse avrebbe continuato a farlo per sempre.
Skyler si accorse della lacrima solitaria che le stava solcando la guancia solo quando sentì un sapore salato all’angolo della bocca. Se l’asciugò con il dorso della mano, tirando su col naso.
Aveva bisogno di conforto. Aveva bisogno di qualcuno con cui potersi sfogare, qualcuno che l’ascoltasse senza fare domande e che poi le sussurrasse che andava tutto bene, facendola sentire al sicuro, facendola sentire protetta.
Aveva bisogno di sentire la sua voce.
Aveva bisogno di lui.
Raccolse il suo borsone da terra e lo gettò sul letto. Lo aprì, e cominciò a frugare nelle varie tasche. Quando la trovò, la estrasse con un moto di soddisfazione. La dracma d’oro sembrò risplendere nella sua mano.
Se n’era portata qualcuna, nel caso avesse avuto bisogno d’aiuto o semplicemente di un po’ di compagnia. Non si poteva mai sapere.
Corse in bagno, aprì l’acqua della vasca e aspettò che si riempisse. Poi guardò la sua mano.
Non lo faceva mai. Non fuori dal Campo, almeno. Il fuoco le metteva ancora un po’ di soggezione. Non era ancora riuscita ad entrare perfettamente in sintonia con quel suo sinistro potere.
Ma quella era un’emergenza.
Lentamente, fra le sue dita iniziarono a danzare delle piccole lingue di fuoco, che poi si spostarono sul suo palmo, incendiandolo. Faceva ancora uno strano effetto.
Prese un gran respiro ed immerse la mano in acqua. Una leggera nebbiolina si separò da quella limpida massa liquida, sollevandosi poi verso il soffitto.
Skyler vi lanciò dentro la moneta.
«Campo Mezzosangue» disse, senza alcuna esitazione. «Michael Smith.»
La dracma scomparve con uno scintillio dorato. Skyler fece un passo indietro e aspettò.
Per un attimo, non successe niente. Poi, attraverso quella lieve nebbia, comparve un’immagine.
All’inizio era sfocata, ma dopo divenne più distinta. Era una camera. Skyler riconobbe le lenzuola blu della Cabina Tre, sgargianti in contrasto con il legno scuro del pavimento e dei mobili.
Era vuota, eccetto per un ragazzo. Le dava le spalle, ma Skyler avrebbe riconosciuto la sua figura fra mille. Involontariamente, un sorriso le si formò sulle labbra.
«Ehi» sussurrò, con un filo di voce. Ma abbastanza alto perché lui potesse sentirla.
Il ragazzo si voltò.
Indossava dei semplici jeans, ed una maglietta arancione del Campo, ma bastavano per far risaltare il suo fisico allenato. I capelli corvini gli incorniciavano disordinati il bellissimo viso, mentre i suoi grandi occhi, che in quel momento erano di un’elegante verde acqua, si incastravano nei suoi.
Michael sorrise non appena la vide. «Ehi!» la salutò, felice di vederla. «Come stai?»
Skyler si strinse nelle spalle. «Bene» mentì. Non aveva voglia di condividere con lui la sua malinconia. Voleva solo sentire la sua voce.
«È da un po’ che non ci sentiamo» disse lui, e lei annuì. Quell’inverno, gli aveva mandato dei messaggi Iride più volte, per poi chiacchierare con lui per ore. Ma, ormai, era da circa un mese che non lo chiamava, stravolta com’era dalla notizia della visita dalla nonna. «Quando torni?»
«Presto» promise, più per convincere sé stessa che il ragazzo.
Michael inclinò leggermente la testa di lato, guardandola con un sorriso triste. «Mi manchi tanto.»
«Anche tu mi manchi tanto.»
«Non vedo l’ora di riabbracciarti!» ammise allora lui, felice. «Nove mesi sono troppi.»
«Davvero troppi» annuì Skyler. Fece un gran respiro, nella speranza di sciogliere il nodo che le si era formato allo stomaco. Corrucciò le sopracciglia. «Dove sono John ed Emma?»
La porta si aprì, e Michael si voltò. «Oh, guarda, sono proprio...»
Un’enorme chioma bionda si posizionò davanti al messaggio Iride, occupando tutta la visuale. Le labbra di Emma si incresparono in un sorriso malandrino, mentre i suoi grandi occhi grigi come un cielo in tempesta la squadravano gioiosi.
«Ciao!» esclamò, con entusiasmo. «Che fai, chiami lui e ignori noi? Non mi sembra corretto, cara.»
Skyler non riuscì a trattenere un sorriso. «Ciao, Emma.»
«Come stai? Ti trovo dimagrita» si complimentò. Ma poi assottigliò gli occhi a due fessure. «Ah, no. Sei sempre uguale.»
«Emma, levati da davanti al messaggio Iride!» la rimproverò la voce di John, mentre Skyler rideva sommessamente. Il biondo la prese per i fianchi e la scansò di peso, occupando il suo posto davanti alla nebbiolina.
«Ehilà!» salutò, sfoggiando un gran sorriso. Poi guardò la stanza nella quale si trovava la ragazza. «Bel bagno.»
Skyler soffocò una risata, divertita. «Grazie, ma non è mio.»
John venne afferrato per una spalla e strattonato all’indietro. Al posto del suo viso apparve quello di Michael, che aveva le sopracciglia corrucciate in un cipiglio interrogativo. «Perché, dove sei?»
«Ehi, tu ci hai già parlato. Lascia spazio agli amici!» esclamò Emma, afferrandolo per la maglietta e tirandolo indietro.
Finalmente, ora Skyler poteva vederli tutti e tre, mentre bisticciavano su chi avesse la precedenza di parlare con lei e perché.
Era proprio questo quello di cui aveva bisogno. Di un po’ di risate, di un po’ di spensieratezza.
Aveva bisogno dei suoi amici.
Si sgranchì rumorosamente la voce, in modo da attirare la loro attenzione. I tre ragazzi si voltarono a guardarla. «Se non vi dispiace, non vorrei sprecare una dracma per vedervi bisticciare.»
«Si, scusa» rispose John, dando voce anche ai pensieri degli altri due.
Skyler sospirò, incrociando le braccia al petto e spostando il peso da un piede all’altro. «Allora, novità?»
«Dunque, vediamo» mormorò Emma, accarezzandosi il mento e facendo finta di pensarci.
«Michael ha infilato una freccia nel braccio di un figlio di Ecate, oggi a lezione» la precedette John, sorridendo come se fosse una cosa normale. Il che lo era, considerando le pessime doti da arciere del figlio di Poseidone.
«John ha fatto cadere Emily Bons da cavallo durante una passeggiata» aggiunse Emma, con un sorrisetto malandrino.
«Ed Emma ha incendiato metà dei campi di fragole del signor D» concluse Michael, guadagnandosi un’occhiataccia dalla bionda.
«Ehi, è stato un incidente!» si giustificò poi quest’ultima.
Il moro sbuffò. «Chiamalo incidente.» Si sporse verso Skyler, bisbigliando abbastanza forte, però, perché Emma potesse sentirlo. «Stava cercando di far funzionare uno degli arnesi che aveva rubato ai tuoi fratelli, ma non aveva capito si trattasse di una fiamma ossidrica.»
La figlia di Ermes gli lasciò un gomito nel fianco, mentre lui sghignazzava divertito.
«Smettila» lo ammonì lei, puntandogli un dito contro.
Michael si strinse nelle spalle. «Ma è la verità. E poi dovresti ringraziarmi. Se non fossi venuto io a spegnare tutto quel fuoco non saresti mai riuscita a scappare prima che il signor D capisse chi era stato.»
John lanciò un’occhiata a Skyler, alla quale mancavano solo i popcorn per godersi al meglio la scena.
«E tu, invece?» le chiese, distogliendola dai suoi pensieri. Le sorrise. «Che ci racconti?»
Skyler si strinse nelle spalle, esitante. Prese fiato per parlare, ma inizialmente non riuscì a proferire parola. Scrollò leggermente la testa. «Niente di che» sminuì, con poca convinzione. «Sono solo venuta a trovare mia nonna.»
Non aveva voglia di parlarne. Il solo pensare al luogo nel quale si trovava faceva sparire il buonumore come un castello di sabbia in mezzo ad una tempesta.
«Beh, è una bella cosa, no?» disse John con un’alzata di spalle, cercando il consenso degli amici.
Skyler sorrise, ironica. «Sì. A parte il fatto che non la vedo da otto anni e che vuole portarmi via da mio zio.»
Nella stanza calò un silenzio irreale. Skyler temette di aver appena detto la cosa sbagliata, e aprì la bocca per scusarsi, anche se non sapeva esattamente per cosa. Ma Michael la precedette, aggrottando la fronte.
«E dove vive tua nonna?»
«A San Diego» rispose la figlia di Efesto, con poco entusiasmo.
Il ragazzo arricciò il naso, fissandola con uno sguardo indecifrabile.
Skyler non capì esattamente cosa volesse, così la buttò sul logico. «Non mi ha ancora attaccato nessun mostro, se è questo che stai pensando.»
«Sta attenta» la ammonì lui, e dal tono della voce sembrava un po’ preoccupato.
Skyler sospirò, facendo roteare gli occhi. «Sta tranquillo» lo rassicurò, con tono dolce. «So badare a me stessa.» Lui non sembrò convinto, ed un sorriso malizioso le si dipinse sulle labbra. «Che c’è?» gli chiese. «Hai paura che io non possa tornare al Campo?»
Michael incrociò le braccia al petto, inarcando le sopracciglia con aria di sfida. «Perchè, che cosa faresti, se tornassi al Campo?»
Emma, accanto a lui, sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Potreste smetterla di flirtare, per favore?» supplicò. «Siete disgustosi.»
«Tornerò presto, comunque» aggiunse Skyler, stavolta rivolgendosi anche agli altri due.
Il messaggio Iride sfrigolò. Il tempo era scaduto. Era il momento di salutarsi.
«Ti aspettiamo» assicurò John, facendole un occhiolino complice.
«Tanti auguri con la nonnina» scherzò Emma, che conosceva così bene l’amica da far sembrare che avesse già compreso la situazione.
Michael fece un passo avanti, chinandosi e occupando di nuovo lo spazio del messaggio Iride con il suo dolce viso. Skyler si perse in quegli occhi verde acqua, che le sorridevano innamorati, e sentì il suo cuore sfarfallare.
«Mi manchi tanto» sussurrò il ragazzo, facendole sentire le gambe di gelatina.
«Andiamo, Don Giovanni!» esclamò Emma, afferrandolo per la collottola e trascinandolo indietro. «Abbiamo gli allenamenti fra pochi minuti.»
«Fa attenzione» si raccomandò un’ultima volta il figlio di Poseidone.
Poi, l’immagine cominciò a sfocarsi. E la connessione Iride di spense.
Skyler rimase un attimo lì, ad osservare il punto in cui poco prima c’erano i volti dei suoi amici.
In cui un poco prima aveva visto casa.
Si accasciò su una sedia di legno accanto alla vasca, buttando fuori il fiato che non si era accorta di trattenere.
Presto sarebbe tornata da loro. Presto avrebbe abbandonato quel posto nel quale non voleva stare.
Presto avrebbe preso lezioni di tiro con l’arco da John, e avrebbe riso di cuore con Emma.
Presto avrebbe costruito qualcosa con i suoi fratelli, e avrebbe fatto un pic-nic al chiaro di luna con Michael.
Presto.
Molto presto.
Ne era sicura.
Ma ora, doveva prepararsi. Prima che lo zio bussasse alla sua porta ordinandole di scendere per una cena che non avrebbe voluto fare mai.
 
Ω Ω Ω
 
La sala da pranzo della nonna sembrava essere uscita direttamente dal diciannovesimo secolo.
Pareti scure, ricami in oro, mobili in mogano e sedie con spalliere in stoffa, l’unica cosa che mancava in quella stanza era il lampadario di cristallo che Skyler aveva visto all’ingresso.
Allora sì che avrebbe cominciato a credere nei viaggi nel tempo.
Dalla cucina proveniva un odore di pollo arrosto e verdure fritte. Non che fossero i suoi piatti preferiti, ma infondo la nonna non poteva saperlo; e poi, affamata com’era, avrebbe divorato qualsiasi cosa, purché fosse commestibile.
Non si era accorta, infatti, di quanto il suo stomaco fosse vuoto finché lo zio non aveva bussato alla sua porta e non aveva avvertito quella fragranza per le scale.
Mentre aspettavano l’anziana donna arrivare con la cena, Skyler dava un’occhiata intorno. Padre e figlio erano seduti in un angolo a parlare. Il vecchio aveva un luccichio fiero e commosso negli occhi, e la ragazza immaginò che molto probabilmente lo zio gli stesse raccontando tutti gli avvenimenti che si era perso negli ultimi otto anni.
Skyler si avvicinò ad una libreria di legno accanto al muro, piena di pochi libri e tante cornici.
La ragazza incrociò le braccia al petto e fece scorrere lo sguardo sui volti impressi in quelle foto.
Una raffigurava i suoi nonni alla tenera età di vent’anni, molto probabilmente il giorno del loro matrimonio, considerando il vestito di lei.
Un’altra i tre fratelli Garcia. Lo zio, la madre e la loro sorella maggiore, Carmen. Quest’ultima sembrava avere sì e no otto anni, e apparivano tutti e tre felici mentre i loro faccioni sorridevano alla fotocamera.
Altre foto simili si alternavano negli scaffali. Il primo Natale dello zio Ben. Carmen che mostrava fiera il suo primo dentino caduto. I nonni in spiaggia alle Bahamas. Sua madre Maria il girono del diploma.
Era impressionante quanto, nonostante tutto ciò che aveva passato, la nonna amasse ricordare. Quelle foto erano come un’arma a doppio taglio. Da un lato sorridevi nel guardarle, perdendoti nei ricordi di una vita felice e spensierata passata in famiglia. Dall’altro, farlo era doloroso, perché finiva sempre per ricordarti che quei tempi di gioia molto probabilmente non sarebbero tornati mai.
Skyler continuò ad osservarle sovrappensiero, facendosi scappare una risata o un sorriso triste ogni tanto. Stava quasi per voltarsi e raggiungere il nonno e lo zio per partecipare alla loro conversazione, quando qualcosa attirò la sua attenzione. In un semplicissimo portafoto di palissandro che non sarà stato grande neanche 15x20 c’era una foto poco nitida, il primo piano di una persona.
Era sua madre. Lo sapeva perché, nonostante i suoi lineamenti fossero sfocati dalla luce che penetrava alle sue spalle, li avrebbe riconosciuti tra mille. Aveva osservato il suo volto così tante volte. Lo zio non teneva foto in casa, fatta eccezione per un piccolo album che nascondeva sotto il materasso del suo letto. Per cui ogni tanto, quando aveva bisogno di non dimenticare o quando temeva di non ricordare il volto della madre, Skyler si intrufolava in camera sua, e di nascosto sfogliava quelle pagine piene di ricordi.
Alcune volte era rilassante.
Quella foto, però, non l’aveva mai vista.
La madre aveva un aspetto semplice, senza trucco e con i capelli raccolti in una disordinata coda di cavallo. Ma non aveva bisogno d’altro, perché era felice. Il suo volto era illuminato da un bellissimo sorriso, ed osservava estasiata qualcosa che stringeva fra le braccia. I suoi occhi scuri luccicavano d’amore.
Solo spostando di poco lo sguardo, Skyler si rese conto che ciò che stava abbracciando era il fagotto di un bambino.
Non ci mise molto a riconoscersi.
Quella sua versione del passato non aveva neanche due mesi, e dormiva beata, cullata dal dolce profumo della mamma.
Il modo in cui lei la guardava… Skyler sentì una fitta al cuore.
Quanto avrebbe voluto ricordare con nitidezza i suoi occhi. Quanto avrebbe voluto ricordare con facilità i suoi abbracci. Quanto avrebbe voluto ricordare senza sforzo il suo sorriso.
Quanto avrebbe voluto che lei fosse lì in quel momento.
«Forza, pigroni. La cena è pronta!» trillò felice la nonna, facendo il suo ingresso in sala con un grande vassoio fra le mani.
Skyler si asciugò con il dorso della mano una lacrima solitaria che senza volerlo le aveva solcato il volto, e, dopo aver tirato su col naso, raggiunse gli altri a tavola.
Suo nonno era seduto a capotavola, con la nonna accanto. Ben aveva preso posto vicino alla madre.
Gli dei solo sanno il perché, ma Skyler si sedette di fronte allo zio senza neanche pensarci, guadagnandosi una smorfia di disapprovazione dalla nonna e uno sguardo triste dal nonno. Quando si era resa conto dell’importanza del suo gesto, però, la donna stava già riempiendo i piatti.
«Questa è una delle mie specialità» diceva a Skyler, con un sorriso orgoglioso.
«Nessuno cucina il pollo meglio di lei» confermò lo zio, ingoiando il primo boccone. La donna gli accarezzò il braccio, riconoscente.
Skyler sapeva che non avrebbe dovuto avercela con lei, per questo, eppure quel gesto le diede fastidio. Non riusciva a vedere della verità, nei suoi atti d’amore. Era triste da dire, eppure Skyler considerava ogni suo atteggiamento gentile come una messa in scena, nella consapevolezza che, prima o poi, lei avrebbe vinto la sua battaglia.
Ma non la vincerai, pensò fra sé e sé, buttando giù una forchettata di patate al forno.
«Allora, Skyler» le disse la nonna, dopo qualche minuto di silenzio. «Come ti sembra la casa?»
Skyler avrebbe voluto esporle mille aggettivi per lodare la magnificenza di quel posto, ma aveva deciso di non volerle dare alcuna soddisfazione, né alcun pretesto per portarla via dallo zio, così tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un: «Spaziosa», accompagnato da un’alzata di spalle.
La nonna annuì, quasi fosse d’accordo. «Sì, in effetti è un po’ grande. E quando si è solo in due lo è ancora di più.» Rise, ma nessuno l’accompagnò. Solo lo zio, che si sforzava di reggerle il gioco ignorando la tensione che aleggiava visibilmente nella stanza.
«Immagino allora che abbia sempre quest’aria vuota» commentò la ragazza, acida.
«Skyler» la zittì lo zio, lanciandole uno sguardo ammonitore.
Per tutta risposta, lei fece spallucce.
La nonna fece un sorriso tirato, tentando di apparire meno irritata da quel commento di quanto non fosse in realtà. «Non preoccuparti, cara. Se ora ti sembra vuota, quando arriveranno anche loro non lo sarà più.»
Skyler e Ben si scambiarono un’occhiata confusa, non capendo.
«Chi deve arrivare, mamma?» domandò con circospezione lui, mentre la nipote si inumidiva le labbra bevendo un sorso d’acqua.
«Come, non ve l’ho detto?» rispose la donna, corrucciando le sopracciglia, e per un attimo sembrò davvero interdetta. Ma poi si riprese, esibendo un gran sorriso. «Carmen verrà qui per i prossimi cinque giorni. E con lei, anche Madison e Jacob.»
E, mentre lo zio sgranava gli occhi in un misto di sorpresa e preoccupazione, Skyler sputò fuori tutta l’acqua che aveva ingerito.
 
Angolo Scrittrice.
Ed eccoci qua! Iniziamo la diretta fra tre... due... uno...
...
Holaa!
Sì, sono ancora io. E sì, sono ancora qui a rompervi le balle. Contenti, eh? *silenzio imbarazzante*
Ehm ehm...
Dopo circa un mese e qualche giorno di assenza nel corso del quale sono successe tante, troppe cose, finalmente ho riletto i miei appunti e ho pensato fosse arrivato il momento giusto di pubblicare.
Devo ammettere di aver esitato un bel po' (la pubblicazione del prologo era prevista la scorsa settimana), perché avevo il timore che arrivate le vancanze questo sequel de 'Il Morbo di Atlantide' (dei, ancora non posso credere di aver detto sequel!) non l'avvrebbe letto nessuno, e che quasi tutti avessero dimenticato questa pazza screlotica che aggiungeva un capitolo ogni martedì. Ma alla fine ho pensato che più aspettavo, peggio era.
E così eccomi qua, nel martedì di ValeryJackson, a pubblicare per voi quello che forse è il prologo più lungo che sia mai stato scritto. Yes, I know. Ma ormai conoscete il mio "piccolo problema con le sintesi", quindi penserò che non ve la siate presa, e che questo capitolo non vi abbia annoiato.
Ma prima di parlarne, vi va di riepilogare un po' insieme ciò che succedeva ne 'Il Morbo di Atlantide'? (così, giusto per ricordare).
Dunquo:

 
Skyler, una ragazza da i capelli striati di rosso e dai particolari occhi scuri, vive in un quartiere "degenerato" di Baltimora insieme allo zio, marines americano. Riservata, dura, imperturbabile ed irrascibile, Skyler é cresciuta nella convinzione di essere la causa della morte della madre, che ha perso la vita in un tragico incidente nell'officina dove lavorava. Questo incidente riguarda principalmente un incendio, ed è per questo che Skyler, da allora, ha da sempre una paura sproporzionata per il fuoco. In compenso, però, sa benissimo come difendersi, date tutte le tecniche e lezioni che lo zio militare le ha impartito.
Quando lui deve partire per l'ennesima missione che durerà più di sei mesi, Skyler rimane da sola in casa, soffocata dall'abbandono.
Una sera, mentre guardava spenierata la tv, una vecchietta bussa alla sua porta, pregandola di darle dell'acqua. Solo dopo si scopre essere un'Arpia, che l'avrebbe uccisa, se non fosse stata salvata da uno strano ragazzo.
Dopo che lui l'ha addormantata (o per meglio dire, dopo che lei è svenuta), Skyler viene portata via da casa sua, e si risveglia in un posto che solo dopo il ragazzo (che si presenta con il nome di Percy Jackson) le rivela essere il Campo Mezzosangue.
Skyler viene portata nella Cabina Undici, e lì conosce Emma, esuberante figlia di Ermes, che la accoglie e finisce per diventare la sua migliore amica. In seguito, poi, si scontra con altri due ragazzi: John, bellissimo figlio di Apollo nel quale regnano fascino e mistero, e Michael, fratello minore di Percy, che stanco di vivere alla sua ombra fa di tutto pur di far capire che lui non è suo fratello.
Dopo poche sere, e dopo essersi fatta nemica Janice, una figlia di Ares, Skyler viene riconosciuta. Suo padre è Efesto, dio dei fabbri e del fuoco.
Lei non ci pu credere. Sembra essere tutto uno stupido scherzo del destino. Ma quando incontra i suoi fratelli, in particolare Leo, capisce che forse quella novità non è così male. C'è solo un problema, però. Lei ha paura del fuoco. E il fuoco è il suo elemento.
Questo però non sembra darle grosse difficoltà, non fino a che, per colpa di Janice, tutti vengono a sapere della sua anomalia. E' a quel punto che trova conforto in Emma, John e Michael, che per consolarla le rivelano le loro rispettive paure: Emma ha paura delle altezza, John dei cavalli (lunga storia!) e Michael dell'acqua.
Dopo quella sera, i quattro instaurano un rapporto quasi fraterno. Ma mentre Michael scopre di essere innamorato di Skyler, lei si fidanza con John, rendendo la vita non poco complicata all'amico.
Comunque, alcune sere dopo, durante il falò avviene una cosa strana: molti semidei (fra cui Percy) cominciano a sentirsi male, e vengono portati di corsa in ospedale. E' lì che Michale scopre che il fratello, proprio come tutti gli altri, è affetto da una centenaria malattia, Il Morbo di Atlantide, che ti porta lentamente alla morte, e alla quale non esiste cura, dato che gli ingredienti sono sparsi in tutta l'America in un intreccio mortale.
Michael, distrutto dal dolore, decide di partire di nascosto per tentare l'impossibile, e cioè salvare il fratello dalla sua congiura. Nell'immpresa lo accompagnano John, Emma e Skyler, che non sono disposti a lasciare il loro migliore amico da solo.
E così, armati di una profezia agghiacciante e poche armi, partono per quella che è forse l'impresa più incosciente della storia.
E mentre recuperaano pian piano ognuno dei sette ingredienti, non solo rischiano più di una volta la vita, ma si scontrano con un gruppo di uomini (guidanti da un tipo con una sinistra cicatrice sul volto che si fa chiamare Generale) che vogliono rapire Skyler a tutti i costi.
Così, mentre si trovano sull'Isola di Niihau, loro ultima meta, si ritrovano nel bel mezzo di una battaglia che non avevano neanche immaginato, ma che si rivela tutt'altro che disastrosa. Ognuno di loro, infatti, supera in modi diversi la propria paura, annientandola. Persino Skyler, che per far avverare l'ultimo verso della profezia e salvare i suoi amici, rischia la vita per uccidere Anteo, vincendo la sua lunga battaglia contro il fuoco.
Alla fine, tutto sembra risolversi per il meglio. La cura viene portata al Campo, i ragazzi guariscono, e John (dopo aver confessato a SKyler di non essere innamorato di lei quanto Michael) fa sì che i due amici si mettano insieme.
Sembra tutto perfetto.
Ma il male è sempre dietro l'angolo. E Skyler non sa che il peggio deve ancora venire...


 
Ecco. Questo, in sintesi, è più o meno ciò che racchiudono i 34 capitolo della storia precedente. Spero di non aver dimenticato niente, e se l'ho fatto, aggiungerò altri dettagli mano a mano che me li ricordo ^^
Okay! Detto questo, credo che siamo arrivati alla parte più importante di questo prologo strampalato: Vi è piaciuto? Continuo con il secondo capitolo di The Girl On Fire, o è meglio se mi ritiro? Fatemi sapere, vi prego, per me è importante.
Valery's Angels, mi siete mancati! ** Spero che questa nuova storia vi piaccia, e che questo inizio non vi abbia annoiato o non abbia deluso le vostre aspettative.
Parlandone:  ho deciso di cominciare in un posto totalmente diverso dal Campo Mezzosangue. La casa della nonna di Skyler. Quanti di voi se l'aspettavano? Prima di capire come la nostra figlia di Efesto interagisce ora con la sua parte divina, soffermiamoci prima sulla sua parte mortale. Dimenticatevi la dolce vecchietta che vi da la paghetta dicendovi "Con questi ti ci compri il gelato". La nonna di Skyler è esattamente il contrario, è ordinata e perfezionista, e lei la odia.
Ma qual'è davvero il problema? La nonna, o tutto ciò che la circonda? Skyler non riesce a far convivere la sua parte divina con quella normale. Ma perchè? E come risolvere questo problema?
E come se non bastasse, ora sta per arrivare questa zia Carmen. Chi è, e perché Skyler ha avuto quella reazione?
Ne vedrete delle belle, ve lo assicuro. Ho tante sorprese in questa mente tarata.
Spero di potervele svelare, ma se non ho la certezza di non fare un errore pubblicando i capitoli successivi allora non lo farò. Quindi, vi prego, fatemi sapere. Mi basta una parolina, o un "che bello", o un "bleah, che è sto schifo?!". Qualsiasi cosa, davvero.
Ringrazio in anticipo tutti coloro che hanno avuto il coraggio di leggere fino a qui, e tutti coloro che hanno cliccato sul titolo di questa storia. Siete fantastici, davvero, e non so come ringraziarvi.
E ne approfitto anche per ringraziare tutte quelle persone che, durante questo mese, mi hanno chiesto di pubblicare la storia, impazienti di sapere che fine avesse fatto Skyler. Sono stati i messaggi più belli che io abbia mai ricevuto, davvero. Sono senza parole ed esterrefatta da tutto l'appoggio che mi dimostrate. Speciali, ecco come definiscono quelli come voi.
Okay, credi di aver detto tutto. Ah, no! Volevo sapere: che ve ne pare della nuova locandina? L'idea originale era quella di fare una grafica con foto e tutto il resto, ma non sono molto pratica con quel tipo di programmi. Per cui, dopo una serie di tentativi falliti, ho deciso di disegnarne una di mio pugno, aggiungendoci poi il titolo al pc. Il disegno a destra, quindi, è mio, e spero vivamente che non sia uscito una schifezza. (Mi dispiace,
FoxFace00, ma quello è il massimo che sono riuscita a fare xD) Fatemi sapere che ne pensate, perchè se vi piace, diventerà la 'copertina' fissa di questa storia che spero vivamente vi appassioni almeno la metà della prima. Io ci provo, poi sta a voi giudicare.
Grazie ancora, e tanti cuori blu a tutti coloro che decideranno di darmi una possibilità.
Vi prometto che mi impegnerò a fondo per far sì che questa storia non sia banale o noiosa. Ci tengo troppo per lasciare che questo accada.
Okay, ora me ne vado, prima che mi mandiate a quel paese :')
In teoria non dovrei dirlo, perchè è scontato, ma è più forte di me!
Al prossimo martedì! *^* (si spera)
Di nuovo, e sempre vostra,

ValeryJackson
 
  
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