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Autore: Love_in_London_night    10/07/2014    3 recensioni
Devin, scozzese e Parker, americano.
Pensate che il problema sia nella lontananza? SBAGLIATO!
La vera difficoltà è la popolarità, già.
Perché Parker è un attore famoso, ma solo negli Stati Uniti, cosa su cui il suo agente sta lavorando. Devin, invece, è una ragazza qualunque che è fuggita dalla Scozia per chiudere con il passato, e della notorietà di lui non sa nulla.
Cosa succederà tra loro? Perché si ritroveranno ad avere a che fare l’uno con l’altra?
Un modo diverso di vedere il mondo di Hollywood e di come vive chi lo popola. Un patto che porterà più caos che altro nelle vite dei due interessati.
"«Sentimi, buon samaritano, spero tu abbia ragione, perché se scopro che questa città fa più schifo di quanto tu mi abbia detto, ti assicuro che non mi importa per quanto dovrò cercarti, ti troverò e ti prenderò a calci nel culo, anche se sei più alto di me di venti centimetri».
Era una ragazza scozzese dopotutto, il suo bon ton era tutto birra, modi rudi e uomini con il gonnellino, non si poteva pretendere che parlasse come una principessa dispersa in una foresta di fate e unicorni.
Lei non viveva a Narnia."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 2


Ricatto d'amore


 
Aveva sì preventivato di rivedere Devin, ma non così presto. Di sicuro non la mattina dopo. Eppure sentiva la necessità di parlarle, specialmente dopo che la sua faccia gonfia di pianto – non proprio presentabile – era finita spiattellata in ogni angolo del mondo.
Parker se ne era accorto dopo la telefonata entusiasta della mattina da parte di John che, tra l’altro, l’aveva svegliato, facendolo alzare dal letto più incazzato di Jacob Black dopo il rifiuto di Bella in Eclipse.
«Parker, io non so cosa ti abbia preso stanotte… Ma grazie, hai fatto avvenire il tanto atteso miracolo!» esordì l’agente al cellulare.
L’attore aprì gli occhi e si accorse che, purtroppo, quelle parole provenivano da un uomo per giunta assente dalla sua stanza, mai che avesse la fortuna di sentirle pronunciare da una donna soddisfatta dopo una notte di sesso con lui.
Cosa che – detta in via confidenziale – non accadeva da un bel po’.
«Eh?» una dialettica invidiabile, doveva ammetterlo anche a se stesso.
«Ma sì. Tu, una ragazza misteriosa in giro di notte, una bottiglia di vodka gettata via. I paparazzi hanno amato questa cosa». Si interruppe, stava guardando le immagini nel dettaglio. «Certo, lei non è proprio questa figa stratosferica, ma già sono impazziti tutti per scoprire la sua identità. È la tipica ragazza della porta accanto, una donna qualunque che fa ben sperare le fan e che attira l’attenzione dei giornalisti per vedere se possono condannare i suoi comportamenti, se sono sempliciotti o no. La gente adora queste cose!»
Ripensò a come Devin aveva interagito con lui la notte appena trascorsa, di sicuro se ai media non fossero piaciuti i suoi modi li avrebbe presi a calci in culo senza tanti complimenti. Lui di sicuro avrebbe approvato.
«John, potresti esprimerti in termini umani e fare capire anche a me cosa è successo?» aveva la vaga sensazione di stare ancora sognando. Che fosse come nei film, in cui il protagonista si svegliava alla fine e scopriva che era tutto nella sua testa? Lo sperava, in effetti. Si augurava di stare ancora dormendo, di essere in piena fase rem, a dire il vero.
«Ieri sera sei stato paparazzato. Per sbaglio, come tuo solito, ma con una bottiglia d’alcool in mano e una ragazza misteriosa che hanno suscitato molto interesse nei tuoi confronti. È come se d’improvviso fossi diventato interessante!»
Perché, prima era stato insignificante? Bell’agente che si ritrovava!
Oh cazzo, gli aveva appena detto che, comportandosi come suo solito, era riuscito ad attirare l’attenzione dei media, cosa che John si era sempre auspicato.
Cosa c’era di sbagliato in lui?
Gli piaceva il suo angolo di indifferenza e anonimato.
«Sono già fuori da casa tua?» John doveva avere i dollari al posto delle pupille in quel momento, Parker se lo sentiva.
Si alzò di malavoglia dal letto e sbirciò oltre le tende e ben oltre il suo giardino. Non contento della visuale, decise di controllare le telecamere che filmavano la strada, facenti parte del sistema di sicurezza.
«Sembrerebbe di sì, un paio di paparazzi sono fuori dal cancello». Ammise contrariato. Se avesse potuto avrebbe comprato il marciapiede per renderlo proprietà privata e allontanarli ancora di più da sé.
«Ci siamo, è fatta! Che splendido inizio di giornata!» dire che era entusiasta era un eufemismo.
Sì, talmente splendida come partenza che Parker si sentiva affabile come il Grinch, giusto per rendere al meglio l’idea.
«Come si chiama?»
«Chi?» era così assorto nei propri pensieri da aver perso il filo logico della questione.
«Come chi? La tua pseudo ragazza, la rossa!»
Panico. Paura. Delirio.
Anche il suo agente sembrava curioso come un fan. Ed era già diventata la sua ragazza. Male, malissimo.
«Si chiama Devin». Alzò le spalle, quasi volesse togliersi il peso di dosso. «E non è la mia ragazza, ma sconosciuta che ieri sera ha tentato di ubriacarsi in modo molesto. Io gliel’ho solo impedito».
Normale amministrazione, in pratica.
«Quindi sei pure un eroe!» annotò qualcosa sulla propria agenda. «Altri dettagli per la stampa? Il cognome? Cosa fa? Progetti futuri? Che intenzioni avete?»
Faceva davvero paura, sembrava una fangirl impazzita.
«Ma non lo so il cognome, l’ho conosciuta ieri sera!» ribadì quasi stizzito, ma lo stava ascoltando? «E comunque niente dettagli alla stampa. È fuori discussione, non voglio che si intromettano, non voglio che la tirino in mezzo alle mie faccende. Non voglio nulla, niente di niente»
«Oh beh, va bene. Tutto questo mistero alimenterà l’interesse».
Lo sentì sorridere soddisfatto. Maledetto, era più malvagio di Malefica. La versione cartone, s’intendeva, perché nel film il lato sadico non era stato pervenuto, che delusione.
«Ciao John, ora devo proprio scappare»
«Mi raccomando, renditi presentabile, non si sa mai cosa potrà succedere» ridacchiò e, contento, riattaccò la chiamata.
Ecco perché si era presentato all’Alfred Coffee quella mattina, ancora una volta sveglio prima di mezzogiorno, sentiva il bisogno di darle delle spiegazioni, e magari dirle che la sua faccia era comparsa in ogni sito/blog/giornale/social network esistente sulla faccia della terra. Cosa voleva che fosse?
Comunque era una buona scusa, cioè… un buon motivo per vederla di nuovo.
Sorrise tra sé mentre la osservava oltre la vetrina. I capelli raccolti in uno chignon molto alto e spettinato, la faccia concentrata mentre preparava da bere, il sorriso che riservava a molti clienti e l’espressione arcigna che regalava a quelli più esasperanti. Era davvero buffa, e lo metteva di buonumore.
Aprì la porta nella speranza di ricevere un sorriso, ma quando Devin lo vide assottigliò lo sguardo e i lineamenti si indurirono mentre asciugava delle tazze appena estratte dalla lavastoviglie, sembrava volesse ucciderlo. Lei sapeva.
Glielo si leggeva in faccia, nelle nuvole di fumo grigio che le uscivano dal naso e dalle orecchie. Era furibonda come il T Rex  di Jurassic Park o Sweeney Todd, il barbiere che aveva compiuto la propria vendetta uccidendo chi l’aveva spedito ingiustamente in esilio. Dalla faccia di Devin si poteva capire con un certa facilità che stava pensando a vari modi in cui ucciderlo – ne era abbastanza sicuro – e poteva vedere una vignetta sopra la sua testa in cui apparivano i diversi metodi, come se fosse stata una scena di Ally McBeal.
«Ciao» sussurrò avvicinandosi  al bancone con fare impacciato, almeno per lui. Non era mai stato così sicuro di sé da essere tronfio, ma andava in giro con una certa serenità, caratteristica che in quel momento aveva smarrito, un po’ come il padre di Nemo aveva perso il figlio. O Dory il senno.
«Oh sì, bravo, fatti vedere di nuovo nei dintorni, così finirò in altre foto orrende». Sibilò tra i denti mentre cercava di salutare cordialmente i clienti a cui stava consegnando la colazione. «Se l’avessi saputo almeno stamattina mi sarei stuccata la faccia, e magari mi sarei data una pettinata».
E, nel dirlo, si indicò quella specie di ananas che aveva in testa. A lui piaceva, comunque.
La gente li fissava come se li avesse riconosciuti, e si allontanava dal bancone in modo veloce e con bisbigli sempre più insistenti che irritavano Devin. Quella giornata era iniziata male e stava continuando nel peggiore dei modi.
«Ti presenti pure dove lavoro? Certo che sei proprio cretino!» lo apostrofò senza mezzi termini mentre sbatteva con rabbia sul bancone dei bicchieri di carta.
«Posso fermarmi un attimo?» chiese al capo palesemente agitata. «Ho una questione urgente da risolvere».
Vedendo la sua faccia ancor più pallida del solito, Alfred decise di concederle la pausa che stava chiedendo, non voleva che facesse piazzate davanti agli altri clienti, soprattutto con un personaggio famoso. Inoltre l’orario di punta era passato da un pezzo, la metà della mattinata era un orario abbastanza sonnacchioso che potevano gestire con tranquillità.
«Se perdo il lavoro mi avrai sulla coscienza» disse mentre lo trascinava in un tavolo piccolo e intimo il più possibile nascosto da occhi e orecchie indiscreti. «E me ne troverai un altro, sappilo».
Non scherzava, era chiaro. Gli comparvero davanti agli occhi ancora quelle vignette alla Ally McBeal che poteva vedere uscire dalla testa della ragazza seduta davanti a lui, e iniziò a pensare dove avrebbe potuto collocarla per evitare di sentire quel senso di oppressione che lei gli aveva trasmesso con il pensiero.
Forse sarebbe andato da Alfred in ginocchio chiedendo di non licenziarla. Non che sembrasse intenzionato a farlo, ma qualche supplica male non avrebbe fatto di certo.
«Allora, cosa vuoi?» chiese scontrosa. Già, come se la sua vita non facesse già abbastanza schifo, ora ci si metteva pure lui, la nuova stella di Hollywood. Ma non avrebbe potuto decidere di ubriacarsi e vomitare la sera prima?
«Ero venuto per dirti delle foto e…»
«Beh, le ho viste. Cioè, me le hanno fatte vedere» disse Devin incrociando le braccia al petto per poi appoggiarle al tavolino.
«E per scusarmi dell’imprevisto». Concluse Parker dopo essere stato interrotto. «Come hai fatto a vederle? Scusa, ma non avendomi riconosciuto ieri sera pensavo non frequentassi i siti di gossip»
«No, appunto» rispose piccata. Lei aveva di meglio da fare nella sua vita, tra cui struggersi per la sua fresca storia naufragata. Come faceva poi a lamentarsi dei chili presi se no? Doveva pur dar la colpa a qualcuno, e Oliver era il capro espiatorio perfetto. «Ma sai com’è, sono entrate un sacco di ragazze che mi hanno riconosciuta, mi hanno urlato in faccia qualcosa e poi, davanti alla mia confusione, mi hanno mostrato le foto che circolavano in internet».
Sospirò per poi riprendere: «Sono a quota due “Sei meglio dal vivo”, a quattro “Io sono più carina, non è giusto”, a sette più neutri “Beata te”, a tre “Sembravi più magra nelle foto”, a due “Mi dai il numero di Parker?” e ad altri due “Ho capito perché tenevi il cappuccio”. La crudeltà delle ragazze è inimmaginabile, mi sembrava di stare in un episodio di Gossip Girl».
Era sconsolata, e a Parker venne voglia di abbracciarla, perché quando lui non era abituato alle foto fatte a tradimento si sentiva braccato il giorno dopo, quando comparivano sui vari siti, come fosse leso nel profondo della sua riservatezza, costantemente controllato e sotto giudizio, quindi capiva  bene i suoi sentimenti, e dunque anche l’astio nei suoi confronti.
«E comunque in tutto questo non ho ancora sentito le tanto famigerate scuse di cui parlavi» aggiunse fintamente offesa. Forse.
«Hai ragione, scusami, mi dispiace tantissimo, non avrei voluto trascinarti in una follia simile». Si affrettò a dire cogliendo il suo assist al volo. «Ti giuro che non ne sapevo nulla, non pensavo fossero nei paraggi, non li ho chiamati io e non erano lì per me, poco ma sicuro»
Devin spalancò gli occhi. «Ci mancherebbe altro! Se avessi avuto il sospetto che li avessi chiamati tu giuro che a quest’ora saresti già evirato».
Parker sobbalzò. Cacchio, non ci aveva pensato! E se fosse stata pazza? Una cosa tipo alla  “Misery non deve morire”. Poteva essere davvero pericolosa, in fondo lui non l’avrebbe saputo. Nonostante le confidenze della sera prima era comunque una sconosciuta.
«Perché non mi hai detto chi eri?» lo chiese delusa, come se fosse stata presa in giro, non aveva usato il suo tono aggressivo mentre aveva approfittato del protratto silenzio dell’attore.
«Scusami anche per questo. Anzi, soprattutto per questo, non sono stato onesto». Mio Dio, non ricordava fosse così difficile essere onesti dopo aver omesso o mentito; ecco perché era un tipo sincero, di solito: perché recuperare a un danno era peggio che non crearlo proprio in partenza. «Ma sei stata l’unica persona dopo anni che mi ha trattato con imparzialità, come se fossi normale. Il fatto che tu non sapessi chi ero mi ha reso più tranquillo»
«Peccato che ho scoperto di essere con un attore di Hollywood nel modo peggiore possibile». Lo interruppe con dispiacere.
«Scusa, ma la tua spontaneità mi è piaciuta molto. È stato bello essere trattato come una persona qualsiasi». Vide il suo sopracciglio alzarsi in modo scettico, così Parker si affrettò a correggere il tiro. «Non fraintendermi, non mi credo chissà chi – sia chiaro – però gli altri quando mi riconoscono mi trattano in maniera diversa, e vedere che con te non è successo mi ha portato a omettere un dettaglio importante di me. Mi dispiace essermi approfittato di te».
Bugia. Non gli dispiaceva affatto, anche se non era successo come lui si era figurato poi per tutta la notte. Perché, doveva ammetterlo, non gli sarebbe dispiaciuto baciarla, per poi passare ad altro. Insomma, l’avrebbe scoperta più che volentieri, anche in senso biblico. Soprattutto quello.
«Diciamo che posso capire il tuo punto di vista» ammise sincera con una certa difficoltà, non era facile lasciarsi andare con lui. Il suo essere schietto e diretto la metteva sempre un po’ in imbarazzo, ecco perché spesso stava sulla difensiva o rispondeva in modo troppo acido. «Ma non ti giustifica. Sappi però che ti perdono, ci sono bugie ben peggiori al mondo che uno non vorrebbe mai sentire, questa era a fin di bene».
Le spalle di Parker, già larghe, si distesero mostrando l’ampio petto fasciato dalla maglietta bianca con una stampa colorata, cosa che attirò lo sguardo di Devin, interessato a quello che madre natura le aveva messo davanti agli occhi.
Si era fatto tutta quella strada per chiederle scusa e, nel caso non fosse stata ancora al corrente delle foto, per avvisarla. Non era tenero?
Scosse la testa nel tentativo di scacciare ogni pensiero carino e coccoloso, non poteva lasciarsi abbindolare da quel bel faccino, lui era un attore di Hollywood e lei… Beh, lei una qualunque. Lei era quella che, al massimo, poteva servigli il caffè, o la ragazza con la quale gli venivano scattate foto e le chiedevano se nello sfondo fosse capitata per caso.
«Bene, ora che sei venuto a cospargerti il capo di cenere, a profonderti in scuse e a dimostrare che non sei una persona orribile… Posso tornare a lavorare? Non vorrei perdere un’altra parte del mio stipendio. O peggio, il mio lavoro».
Eccolo. Il momento tanto temuto da Parker, quello dei saluti. Si sarebbero salutati e addio, ognuno per la sua strada. Si sarebbero rincontrati per sbaglio, dopo anni, come in Serendipity? Per il volere del destino? O nemmeno quello sarebbe stato possibile?
Cavolo, si era appena accorto di non voler mettere fine a quel discorso, né tantomeno a quella conoscenza. Devin l’aveva colpito, ma glielo leggeva in faccia che non voleva aver nulla a che fare con lui, quindi doveva giocare d’astuzia. O di estrema stupidità.
«In realtà dovrei dirti ancora una cosa». Davvero? Doveva pensare in fretta a cosa. «Dovrei chiederti un favore».
Merda, l’aveva detto davvero. Era sicuro di voler intraprendere quella strada?
«Un favore? Da me?!» Devin si indicò mentre si muoveva a disagio sulla sedia, le efelidi che risaltavano sul rossore che era divampato sul viso. «Guarda che tra i due sei tu quello che ha i soldi, io pago a malapena il mio affitto».
Ok, non era del tutto vero, ma cacchio, tra i due la star con uno stipendio a troppi zeri non era certo lei.
Parker rise divertito, forse sarebbe stato più facile del previsto affrontare l’argomento, bastava ostentare indifferenza e sangue freddo. Quantomeno fingerli.
«No, niente del genere, grazie a Dio sono autosufficiente. I miei hanno smesso di darmi la mancia quando avevo diciassette anni». Nel dirlo si era avvicinato con il fare di una persona che voleva rivolgerle una confidenza.
«Meno male!» Devin invece si buttò contro lo schienale, una mano sul petto sentendo il sollievo irradiarsi in ogni vena.
«No, in realtà…» all or nothing. All in. «Volevo chiederti se ti andava di vederci più spesso, dato che per i media sei una sorta di mia… ragazza». Lo aggiunse con lo sguardo che vagava sui dettagli di lei che non facevano parte del viso, nonostante avesse voluto fissare a malapena il tavolo.
Lei decise che a irradiarsi nel petto non era il sollievo, ma un attacco di cuore.
«Come scusa?» aveva gli occhi marroni chiari spalancati. «Penso di non aver capito bene».
L’avevano scambiata per la sua sottospecie di ragazza, e lui al posto di sbarazzarsene voleva farsi vedere di nuovo con lei? Voleva proprio capire come funzionava il magico mondo di Hollywood, perché al momento le faceva pensare che se fossero stati tutti come lui avrebbe affibbiato loro un solo aggettivo: sciroccati.
«Vedrò di essere sincero». Cosa peggiore non poteva dirla, ora l’avrebbe presa come la sua causa primaria, e non le avrebbe mentito più. Lo sapeva, perché quando dava la propria parola non lo faceva a caso, ci si metteva di impegno anima e corpo.
«Non mi aspetto altro, a dire il vero» era curiosa e scioccata. «Sorprendimi».
Adorava essere sorpresa. Quella parola – sorprendimi – era la più pronunciata da Devin, tanto che i suoi genitori e il fratello minore la prendevano sempre in giro per la sua propensione alle novità.
Parker sospirò e decise di raccontare tutta la verità. Avrebbe sussurrato tutto per non divulgare i meccanismi più finti di quella macchina produci soldi che era Hollywood, e prima di concludere il discorso si sarebbe allontanato da lei e da quel tavolo, in modo da non prendersi lo schiaffo che Devin gli avrebbe sicuramente dato dopo una simile proposta.
«Il mio agente, John, vuole che io sia più ricercato fuori dal set. Dice che sono bravo, ma non so attrarre l’attenzione dei media. E senza i paparazzi attorno – a quanto pare – sei un buon attore ma non sei perfetto. Sono loro a far girare l’interesse intorno a una persona, e quindi loro a decretarne il successo, dato che se un attore piace al pubblico è molto più facile che i registi e i produttori lo chiamino per lavorare».
Devin si fermò a pensare un po’. «In effetti ha un senso. Ma io, in tutto questo, cosa c’entro?»
«Ci sto arrivando». Respirò per poi continuare: «Fino a ieri per John ero una causa persa, non attiravo l’attenzione dei media. Sai com’è, tendo a evitare gli eventi mondani se non strettamente necessari – come i vari premi che consegnano spesso – e frequento gli amici di sempre. Le cose più inebrianti che faccio sono giocare alla Playstation e fare surf con gli amici»
«Veramente trasgressivo». Lo prese in giro Devin.
«Stessa cosa che pensa lui. Gestisce anche attori che sono nell’occhio del ciclone a causa di problemi di alcool o droga. Non sono facili da amministrare, ma hanno successo perché il pubblico vuole saperne di più. Ecco, io non rientro nemmeno in queste categorie, e lui fa un po’ fatica a piazzarmi, a far salire la mia popolarità, diciamo». Era orrendo da sentire e ripetere ad alta voce, ma il suo lavoro si basava proprio su quello, oltre che sulla bravura.
«Mh mh» l’invito di lei a continuare.
«Tutto questo… L’indifferenza nei miei confronti, è cambiato all’improvviso. Ora sono molto interessati a me. Vogliono saperne di più». Sì, il discorso non era stato poi così brutto, doveva solo arrivare al punto d'arrivo.
«E perché?»
«Per via di ieri sera. Grazie a te».
«A me?» forse iniziava a capire dove volesse andare a parare, ma non aveva il coraggio di trarre le conclusioni cui era effettivamente arrivata.
«Sì, tu sei una ragazza qualsiasi, di cui non conoscono l’identità. Hanno pensato che tu fossi il mio appuntamento e, chissà, magari hanno ipotizzato che non sia stato il nostro primo incontro. Fatto sta che mi hai regalato la visibilità che il mio agente tanto agognava. Per dire, lui è entusiasta delle foto».
Aggiunse come incoraggiamento, ma si rese conto di non essere risultato convincente.
«Quindi io, il fatto che tu fossi con me, e il mio essere straniera e sconosciuta è tornato tutto a tuo vantaggio?!» riassunse Devin scioccata.
«In pratica, sì». Parker, davanti alla sua pacatezza, si rilassò un po’.
«Beh, è perfetto allora». Concluse lei con un sorriso sulle labbra.
«Perfetto… Cosa?»
«Se noi non ci vediamo più, e ti vedono con un’altra ragazza, attirerai di più l’attenzione» disse concitata. «“Con chi sta? E chi è la nuova fiamma?” È perfetto, e io me ne chiamo fuori».
Alzò le spalle soddisfatta.
«È qui che ti sbagli, ti pedinerebbero. Vorrebbero da te dichiarazioni ufficiali su un’ipotetica rottura o, in caso, una rassicurazione sul nostro rapporto. Inoltre non ho intenzione di vedere nessuna in questo momento». Era vero, non aveva conosciuto nessuna ragazza interessante – al di fuori di Devin – che avesse catturato la sua attenzione. Le colleghe erano tutte stereotipate o accoppiate, ed era da un bel pezzo che non metteva il naso nel mondo dei single, era più concentrato sul proprio lavoro.
«È tutta questione di immagine: se mi vedessero con un’altra donna mi farei la fama dello sciupa femmine e, sinceramente, se devono parlare di me preferisco che lo facciano in termini lusinghieri o, quantomeno, che mi rispecchino il più possibile».
Non era un brutto discorso, no? Si sentiva un po’ Silente davanti agli studenti di Hogwarts, quelle scene che risultavano epiche senza esserlo davvero. Essenziali nella loro semplicità. Cioè, diciamocelo, chi non sarebbe peso dalle sue labbra?
«Certo, ed è per questo che li inganni».
Ecco, chi se non Devin?
Ci voleva lei per smontare quel piccolo barlume di speranza che gli faceva augurare tra sé di non sembrare un idiota totale. Lei e meno di dieci parole, ma non si diede per vinto.
Si avvicinò di più a lei, piegato sul tavolo per non dover urlare: «Io non ho mai parlato di ingannarli, ti ho chiesto di farti vedere con me in modo… assiduo, senza nessuna implicazione. Diciamo che se dopo i media avanzano ipotesi, beh, io sono talmente riservato – ed è risaputo – da non smentire o confermare, quindi non è colpa mia ma loro, perché traggono conclusioni sbagliate».
Questa volta non poteva appuntargli nulla, non poteva smontargli il discorso.
«Non se ne parla. Dovrei farti da cavia?»
In pratica le stava chiedendo di aiutarlo a fingere un qualcosa che poteva essere frainteso con molta facilità e di rinunciare alla propria riservatezza, perché avrebbe dovuto vivere sotto i riflettori con lui, quando avrebbe passato del tempo con Parker, quindi molte delle sue ore libere.
Interessante, davvero. Ma si era accorto che lei non era un cavia? Le avrebbe chiesto anche di girare sulla ruota prima o poi?
«Più da complice, direi».
Non poteva smontare il discorso, ma poteva di certo rifiutare la proposta. Cosa che aveva effettivamente fatto, quindi a lui era toccato attivare il fascino da attore di Hollywood – quello che usava agli eventi ufficiali, nelle ospitate in tv e nelle interviste – e sperare di stordirla con il minimo indispensabile; e se fosse stato necessario non l’avrebbe centellinato ma usato in dosi massive.
Per cosa poi? Per passare un po’ di tempo con lei ma evitare di chiederle chiaramente di uscire perché Devin avrebbe risposto di no?!
Ne valeva la pena? Non lo sapeva, ecco perché voleva conoscerla, perché magari stava prendendo un granchio allucinante. E sì, lui era un senza palle di prima categoria, ne era consapevole, ma la sua popolarità in questi casi diventava più un problema che altro, quindi aveva deciso di accontentare John e sfruttare la cosa a proprio vantaggio, soprattutto la compagnia che il caso gli aveva concesso.
«No, io voglio rimanere fuori da questa cosa»
«Purtroppo – e, credimi, non vorrei dirtelo – è un po’ tardi». Ne era dispiaciuto in parte, perché se avesse potuto non l’avrebbe coinvolta, ma le foto nel web dimostravano l’esatto contrario, ormai.
«E di chi è la colpa?» era tornata acida e ovvia come aveva saputo essere la sera prima, anche se quel difetto non sembrava irritare Parker come le altre persone che invece aveva conosciuto in una vita intera.
Lui alzò gli occhi al cielo nel tentativo di risultare simpatico e discolparsi al contempo. «Sì, lo so, ok. È inutile che me lo rinfacci, anzi, sto cercando di sistemare la situazione».
Devin si piegò sul tavolo esattamente come Parker, era curiosa di conoscere il modo in cui lui cercava di tutelarla. Era questo che intendeva con quel ‘sorprendimi’ minuti prima.
«E come? Con un patto di pura finzione tra le parti? E in cui io sarei quella che non ci guadagna nulla, in questo caso». Alzò le spalle con fare ovvio, lei la vedeva proprio così.
«Sei stata additata come mia probabile ragazza, giusto? Quindi vorranno saperne di più su di te. Se esci potrebbero seguirti per farti domande, per sapere dove vai e con chi ti vedi». Parker le stava illustrando solo la verità, quindi aveva snocciolato la notizia con una certa sicurezza, d’altronde lui sapeva come funzionavano le cose nell’ambiente, purtroppo. «Se invece fossi con me io potrei garantirti protezione. Mi piaci Devin, sei simpatica e buffa, e non pretendi nulla da me, alla fine ti sto offrendo un amico in una città sconosciuta. Puoi passare le sere a casa mia, puoi fare un bagno in piscina o usare la sala cinema per vedere un film. Una passeggiata a Santa Monica o una domenica a Disneyland. Puoi conoscere i miei amici, sono persone tranquillissime e normali, ti piacerebbero. Non sono forse alternative migliori della solitudine fatta di lacrime e vodka in cui ti chiudi ogni sera? Saremmo protetti dalla privacy la maggior parte delle volte». Concluse sincero.
Cavoli, era quasi tenero, aveva pensato a ogni eventualità.
Soprattutto… aveva davvero una sala cinema a casa? Mio Dio, lei aveva faticato per avere uno schermo da ventisette pollici! Però alla fine doveva ridimensionare le cose a quello che erano: Parker le stava dicendo che avrebbero potuto essere amici, ma le stava offrendo una prigione dorata. Di lusso, ma comunque una gabbia. Perché se fossero usciti, insieme, sarebbero stati braccati da flash e da domande alle quali nemmeno loro avrebbero saputo rispondere.
«Ma io non sono venuta a Los Angeles per approfittarmi di una persona come te». Fu l’unica risposta che le uscì dalla bocca corrucciata. Il problema era uno: Parker sembrava in difficoltà, e la situazione che le stava proponendo pareva agli occhi di lui l’unica soluzione possibile perché tutto quello non si trasformasse in un disastro. Come poteva dirgli di no con il suo solito tono scorbutico quando lui le aveva mostrato gli occhi verdi, chiari e liquidi, e il sorriso innocente?
Sentiva le proprie convinzioni vacillare davanti a quella supplica di aiuto e al suo bel faccino.
«E non lo stai facendo, sono io che ti sto proponendo quest’accordo, ma se tu volessi potrebbe essere l’inizio di una vera amicizia. Non mi sembra di starti così antipatico, altrimenti mi avresti già aggiunto alla lista delle persone da prendere a calci negli stinchi. Sbaglio?»
Parker aveva acquistato un po’ di sicurezza, dato che  al suo discorso non aveva ricevuto l’ennesimo no, ma piuttosto una giustificazione a quanto fosse sbagliato tutto quello se lei avesse accettato, perché Devin non era così.
«Ci sto seriamente pensando». Ammise lei incrociando le braccia al petto.
«Alla mia proposta?» scherzò tentando di alleggerire la tensione.
«No, all’inserirti in quella lista». Sorrise, poi abbassò la testa come per riflettere su qualcosa. «E se io dovessi incontrare un ragazzo che mi piace? O se tu invece conoscessi una ragazza con cui vuoi uscire davvero?»
Lui gesticolò con gli occhiali da sole stretti nella mano destra. «Farò un comunicato stampa in cui dichiaro che tra noi non c’è stato niente, o che quello che c’era è finito, e ognuno andrà per la sua strada»
«E mi lascerebbero in pace?»
Devin alzò un sopracciglio, scettica. Era davvero così facile?
«Sì, certo. Alla fine l’interesse – e non c’è presunzione, davvero – è nei miei confronti. Quindi si focalizzerebbero sulla nuova persona con cui mi vedrei, in caso».
Aveva un senso quel discorso, e bastò a tranquillizzarla un po’.
«Non lo so, mi sembra una cosa orrenda». Devin si morsicò un labbro, sempre più indecisa. Non le sarebbe costato nulla aiutarlo, inoltre Parker si era rivelato un ragazzo così carino, e andava ben oltre l’aspetto fisico.
«Andiamo. È anche un modo per tranquillizzare la tua famiglia, non trovi? Se sanno che esci con uno che ha la dote» scherzò «si sentiranno più sereni; inoltre è un modo per mostrarti ai tuoi più spesso, vedranno tue foto in qualche sito o rivista, e potranno constatare che stai bene».
Oddio, l’aveva detto davvero? Era la cosa più astrusa che potesse sentire in quel momento, eppure si era dimostrato premuroso con quel pensiero, e la cosa la fece quasi sorridere. Peccato che volesse mantenere un’aria seria e dura, quindi decise di reprimere le risa per concedersi un più impassibile sopracciglio alzato.
«È un tentativo di convincermi? Sappi che è squallido»
«Lo so, lo ammetto. Ma se vuoi ti parlo di Oliver».
Ecco, quello poteva essere l’argomento giusto.
«Del tipo?»
Capite cosa intendeva Parker con il fascino da attore di Hollywood?
Sicurezza, sfrontatezza, pronto a tutto. Sì, modestamente sapeva essere pericoloso anche lui. A piccole dosi, si intendeva.
«Del tipo che non trovi sarebbe una vendetta perfetta farti vedere con un attore quasi famoso dopo la vostra rottura? Gli dimostreresti che sei riuscita ad andare oltre, e che hai avuto anche fortuna, no? Si mangerebbe le mani»
«In effetti…»
Cacchio! Lei non ci aveva pensato. Se avesse potuto si sarebbe mangiato anche i gomiti. Oliver conosceva Devin abbastanza per sapere che si sarebbe crogiolata nel proprio dolore e nella sua assenza, cosa che doveva lusingarlo anche a chilometri di distanza. Gli uomini godevano a sapere che c’erano donne scaricate ancora in attesa del loro ritorno.
Maledetto stronzo.
Parker tornò a parlare, stavolta non come il fascinoso attore di Hollywood pronto alla stoccata finale, quanto più come il semplice ragazzo che la sera prima aveva offerto una mano a una sconosciuta per aiutarla, perché lui era fatto così.
«Senti, lascia perdere tutti questi discorsi, è sì un patto, ma ti sto offrendo solo della sincera amicizia e un po’ di compagnia, anche se in teoria sei tu ad aiutare me. Cos’hai da perdere?»
Devin tentennò. Sapeva che erano arrivati alla fine delle trattative, la sua risposta sarebbe stata definitiva almeno quanto la conclusione della persuasione di Parker; era a conoscenza che se non avrebbe più provato a convincerla.
E da quel momento non si sarebbero rivisti più. Forse quando a lui sarebbe venuta voglia di un caffè di Alfred. E, sebbene le costò ammetterlo, le scocciava non vederlo più; era diventato una faccia amica.
«Va bene, ok. Ci sto. Ma solo se posso tirarmene fuori quando voglio, soprattutto se vedo di non poterla gestire».
Cos’aveva da perdere in fondo? Si diceva che tutto tornava nella vita, forse aiutare una persona in difficoltà avrebbe rimesso le cose nella giusta carreggiata anche per lei.
«Certo, ovvio. Grazie, mi stai facendo un favore enorme!» era sollevato, quasi si era messo a saltare sulla sedia dalla gioia. Parker era così entusiasta che attirò l’attenzione della clientela lì intorno.
«Sappi che mi hai convinta con la sala cinema e la gita a Disneyland. Però paghi tu, te lo dico fin da subito» ammise con uno sbuffo lei.
«Ti dico solo che ho il distributore di pop-corn caramellati». Sorrise furbo e compiaciuto.
Era illegale.
E ovviamente si riferiva ai pop-corn caramellati, non di certo a quelle splendide fossette che gli dipingevano il sorriso rendendolo meraviglioso.
Doveva rivalutare l’ipotesi della prigione, vedeva più quella casa come un albergo di lusso.
«Non aggiungere altro». Doveva pur fingere di essere contrariata, aveva una dignità da difendere e una facciata da mantenere.
Parker si alzò frenetico. «Ora me ne vado, prima che tu possa cambiare idea»
«Sarà meglio» mormorò lei a mezza bocca.
Lui le lasciò il biglietto da visita con il proprio numero, poi la salutò con un “A presto” pronunciato a bassa voce.
Devin lo sapeva, si era cacciata in un mare di guai, nemmeno si fosse tuffata nell’oceano popolato dagli squali di Blu profondo.

 



Eccomi qui con il secondo capitolo di questa storia!
Innanzitutto volevo ringraziarvi per l'accoglienza riservata a questo racconto scritto giusto per divertire, sono felice che vi sia piaciuto, spero di non avervi deluso con questo capitolo...
Lo so, Devin non avrebbe dovuto cedere, ma Parker è carino, lei è vulnerabile e ha pensato che, nonostante sia un attore molto manzo bello, possa nascere tra loro almeno una buona amicizia.
Non concordate anche voi che è brutto essere in una città sconosciuta e senza una persona amica? Figurarsi se ti offrono un po' di riparo all-inclusive. Giuro che Parker non lavora per la Valtur!
Al posto di Devin come avreste reagito? Vi aspettavate un simile risvolto?
Quindi dove porterà questo loro accordo? Ve lo lascio scoprire nel prossimo capitolo!
Il trailer è stato inserito sotto il banner! Vi consiglio di guardarlo perchè merita un sacco *___*
Sto per postare una OS nel fandom dei Thirty Seconds To Mars, quindi se a qualcuna piacciono può trovarmi pure lì.
Niente, non ho molto da aggiungere, se non che vi ringrazio davvero, spero vi sia piaciuto e se volete mi trovate nel mio gruppo fb: Love Doses.
A giovedì prossimo, sbaciucchiamenti piovosi, Cris.
   
 
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