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Autore: Out of this world    05/09/2008    5 recensioni
Raccolta di momenti, fra passato, presente e futuro, di Shinichi & Ran.
[06/20 - (WILD) Boy]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Title: One last happy moment
Author: Lore (minako;)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Arancione
Note: wow, quanti commenti XD più che altro mi fa piacere di averne ricevuti perchè in fondo non è un lavoro cortino e privo di impegno, perciò vedere che interessa mi da un motivo in più per continuarla con passione! Perciò grazie a:

rannina4ever

feferica

Ayumi Yoshida

youngactress

white_shadows

Mimiana

totta1412

E a chi ha aggiunto la raccolta fra i preferiti: accie’!!

1 - akane_val
2 - claudiaap
3 - evechan
4 - feferica
5 - Mimiana
6 - totta1412
7 - youngactress

Ma ora parliamo di questo terzo capitolo, che mi ha causato un po’ di problemi. Come vedete su c’è un bollino arancione, quindi per la prima volta mi sono dilettata a scrivere qualcosa di un po’… bo, come si dice in certi casi? Hot? XD No, a parte gli scherzi, non è niente di pornografico, però c’è qualche scena spinta. Per cui attenscione attenscione ** Niente alla Rocco Siffredi, ma tant’é che mi devo attenere al regolamento e avvertirvi *sisi* Spero gradirete, perché ho sudato sette camice per questo coso <3

 

 

twentylovemoments
s h i n i c h i • r a n

 

 

[03] one last happy moment

 

 

Lanciai un’occhiata sbieca al ragazzo seduto malamente sul divano di fronte a me.

In quella sala nella quale ognuno era impegnato in qualche distrazione leggera, lui era l’unico a rimanersene seduto con le braccia incrociate, con sguardo misto fra il nervoso e il furente.

La ragione per quell’espressione corrucciata e agitata era che il giorno dopo avrebbe affrontato…

Scossi la testa, tornando con l’attenzione al mio libro. Peccato che lo tenessi aperto da più di quindici minuti sulle stesse pagine. Sospirai, e sentii accanto a me mia madre e Kazuha irrigidite quanto me.

Vane erano state le richieste a quei testardi di Shinichi, Hattori-kun e papà di rimanere qui, in questo albergo per lasciare il lavoro all’FBI e alla polizia americana e giapponese. Ma tutti si erano opposti, e quanto mai noi tre eravamo in collera con i rispettivi… bè, penso “compagni”, anche se non era il termine più appropriato.

L’unica in quella sala a non essere nervosa, tuttavia, era la bella donna bionda seduta a Yusako Kudo, che sfogliava distratto un vecchio libro di gialli. Benché anche quest’ultimo avesse intenzione di partecipare alla missione per mettere fuori gioco l’Organizzazione, sua moglie Yukiko non pareva terrorizzata come me, Kazuha-chan e mamma. Ma probabilmente era tutta scena: più volte quella sera, infatti, avevo notato che lanciava occhiate ansiose sia a suo marito, sia a Shinichi, svogliato a guardare la televisione in quella sala deserta se non fosse stato per noi.

Sulla mia sedia scomoda ripensai agli avvenimenti che mi avevano portato a scoprire l’identità di Shinichi, esattamente una settimana prima.

Era stato inevitabile: vederlo trasformare di fronte a me aveva portato a galla tutto, e di conseguenza ci era stata detto a tutte la verità. Anche perché sarebbe stato scomodo, magari una volta tornati dallo scontro con quegli uomini, spiegare il perché tutti erano feriti e per colpa di un grosso colpo che sarebbe stato riportato di sicuro sui giornali. Perciò eccoci lì, tutte consapevoli della storia.

Abbassai lo sguardo, triste. Non mi importava molto delle menzogne che Shinichi mi aveva raccontato, quanto al fatto che il giorno dopo, perciò solo qualche ora da quel momento nella quale sedeva dinanzi a me, sarebbe stato in pericolo di vita.

Tirai su col naso, attirando l’attenzione di tutti, tranne del mio migliore amico, il quale, stringendo con rabbia il telecomando nella sua mano, si immobilizzò.

Ebbene sì, avevamo litigato furiosamente. Non avevamo mai bisticciato così, eppure era successo.

Mi ero attaccata con lui per cercare di distoglierlo dall’andare contro quegli uomini in nero, e la situazione era degenerata, così da farmi uscire di senno, e sputargli addosso cattiverie senza nemmeno pensarci.

Bugiardo; insensibile; cattivo amico; ti odio.

Ecco cosa gli avevo detto, ecco perché era in collera con me. Eppure quelle cose non le pensavo, non le pensavo! Ma in quel momento adrenalinico, dove lui testardamente aveva deciso di andare a farsi ammazzare, ero impazzita. E vederlo lì, così bello e di nuovo nella mia vita, senza che mi degnasse di uno sguardo mi sbriciolava il cuore. E il mio cuore di cose ne aveva dovuto sopportare.

Oh, il mio Shinichi.

Eccolo là, così meraviglioso, così… così… il mio Shinichi
Era troppo forte la voglia che avevo di averlo accanto a me, portarlo abbracciare, baciare, proteggere…

Proprio quando alzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono i miei, gemetti sottovoce. Strinsi le mani sul libro, e cercai di tenere gli occhi ben ancorati ai suoi, provando a non distogliere lo sguardo.

Pensai che se non l’avessi fatto io, probabilmente avrebbe cambiato direzione visiva lui, ma non accadde. Continuò a fissarmi intensamente, e solo dopo parecchio con un sospiro si alzò in piedi, interrompendo quel contatto.

«Vado a dormire. Ci vediamo domani mattina», mormorò e, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans scuri, si avviò verso l’ascensore. Tutti lo fissammo infilarsi all’interno e sparire silenziosamente all’interno di quella cabina.

Fu allora che mi resi conto che forse quelli erano gli ultimi sereni momenti per parargli, per fare pace. Così, mormorando che avevo sonno, presi le scale e corsi verso il terzo piano, dov’erano le nostre stanze. Inutile dire che, dietro di me, sentii gli sguardi di tutti mentre facevo la prima rampa.

Col fiatone, feci quei gradini di corsa, rischiando più volte di cadere. E quando infine arrivai al terzo piano, notai appena in tempo la porta della stanza più lontana chiudersi con una botta.

Prendendo coraggio, mi avvicinai e, una volta calmato il respiro, bussai.

Alcuni passi moderati all’interno mi fecero sobbalzare il petto e, infine, mi ritrovai Shinichi davanti.

«Che c’è?», domandò freddamente. Feci un passo avanti.

«Ti devo parlare».

«Non credo», fece per chiudere la porta, ma Ran lo intercettò e, con tutta la forza che aveva, la spalancò, guadagnandosi da lui un’occhiata fulminante.

«Invece sì. Mi dispiace okay? Mi dispiace di averti insultato, mi dispiace di averti detto quelle cose! Ci sto male a vederti così con me, soffro sapendo che domani andrai là e rischierai la vita!», gli sputai in faccia facendolo arretrare, trovandomi così dentro la camera.

«Ti prego, perdonami, Shinichi, ti supplico», iniziai a singhiozzare. «Potrebbero essere gli ultimi momenti da passare insieme, e non voglio che siano così!».

Fissai smarrita i suoi occhi, che non si staccavano dal pavimento: sembrava titubante.

«Shinichi?», lo chiamai, avvicinandomi a lui.

«Mi hanno fatto male le tue parole», dichiarò, finalmente fissandomi. Trattenni il respiro per un po’, per poi, con le lacrime che mi bagnavano il volto, dirigermi verso la porta aperta. Ma prima di poter uscire, un braccio sbucò all’improvviso alla mia sinistra, afferrando la maniglia della porta per poi chiuderla con una botta secca. Stupita e anche un po’ spaventata, mi voltai e in quel momento Shinichi mi intrappolò nei suoi occhi blu.

«Pensi davvero quelle cose? Quelle cose che mi hai detto?».

«No», mormorai con un filo di voce.

«E perché me le hai dette, eh?».

«Oh, Shinichi! Ero sconvolta, fuori di me! Come puoi credere che pensi davvero quelle cose?», chiesi sperando di convincerlo. Ma lui con un gemito disperato si allontanò da me, portandosi una mano alla testa.

«Non lo so, Ran, io sono solo confuso», sospirò chiudendo gli occhi. Lui era in pericolo di vita; la nostra vita insieme era in pericolo. E in quel momento sentii l’urgenza di abbracciarlo, baciarlo, tenerlo stretto a me almeno per quei momenti prima di scoprire se potevano costruirci qualcosa.

Perciò, come un automa, mi avvicinai a lui e, strattonato piano per la camicia, una volta che si voltò gli presi il volto fra le mani e posai le mie labbra sulle sue.

La prima cosa che pensai fu che erano veramente dolci: dolci e morbide.

La seconda cosa che pensai, invece, fu che lo volevo almeno per quella notte. Sapere che non mi sarebbe sfuggito, sapere che avrei potuto stargli accanto quanto volevo, almeno per quella notte. Non mi importava niente se lui non mi amava, se in quel momento trovava ripugnante baciarmi. Quel desiderio era troppo forte per essere soffocato, così che disperata gli circondai il collo con le braccia.

Mi stupii non poco poi, quando, stringendomi la vita rispose impetuosamente. Talmente impetuosamente che, nell’atto di starmi più vicino, indietreggiai e caddi rovinosamente sul letto, mentre lui mi seguiva. Prese e sospirare sul mio volto, accarezzandomi una mia guancia bollente, mentre lo tiravo ancora verso di me.
«Shinichi», mormorai sul suo volto, mentre riprendeva a baciarmi le labbra più teneramente, cercando di non schiacciarmi col peso del suo corpo.

Le sue labbra sulle mie erano qualcosa di… di…

E pensare che stavo baciando Shinichi, proprio lui, mi fece scoppiare il cuore nel petto così vicino al suo. Quindi… lui mi amava? O stava assecondandomi solo per farmi stare calma?

Ma quando incrociò il mio sguardo, mentre mi accarezzava i capelli, seppi che non era così: i suoi occhi blu, così profondi e belli, splendevano nei miei.

A quel punto lasciarlo andare il giorno dopo sarebbe risultato ancora più doloroso.

Ma in quel momento non mi importava niente, avevo in testa solo il fatto che lui mi stesse tenendo così vicina a lui mentre mi accarezzava e mi baciava.
«Ti amo».

Quasi non mi accorsi neppure quando gli sussurrai all’orecchio quelle parole, perché fui subito presa dalla sua fugace risposta.

«Anch’io».

Fu in quell’istante che, letteralmente, mi sentii mancare; mi aveva davvero replicato così?

Felice oltre ogni immaginazione, sentii avvolgermi da un calore profondo, mentre lacrime di felicità mi colavano sul volto. Lui parve accorgersene, perché in un attimo si allontanò da me, lasciandomi da sola e infreddolita all’improvviso senza il suo corpo accanto al mio su quel materasso.

Smarrita mi misi a sedere sul letto, guardandolo preoccupata. Che avevo fatto?

«C-che ho f-fatto?», riuscii a balbettai infelice. Lui gemette frustrato.

«Niente. Semplicemente niente Ran, ma… è sbagliato».

«Sbagliato cosa?», domandai non riuscendo a seguire il filo del discorso.

«Sbagliato che sei qui, sbagliato ciò che stavamo facendo».

Mi sentii mancare, mentre gesticolava quelle parole insensate. Che stava dicendo?

«Ran, tu mi dovresti odiare. E so che lo fai, so che da quando hai saputo di me e Conan mi odi. Perciò non trovo giusto che solo per farmi cambiare idea per domani tu faccia simili cose che non vuoi».

«Ancora con questa storia? Ti ho chiesto scusa, dannazione, ti ho chiesto scusa!», quasi gridai, stavolta piangendo di umiliazione per essere stata respinta per quella ragione.

«Sei uno stupido, Shinichi Kudo, e non capisci niente!», gridai alzandomi di botto in piedi, per poi andare verso la porta e aprirla con un tonfo sordo, mentre mi dirigevo a grandi falcate verso la porta della mia stanza. Ma qualcosa, una mano, mi afferrò un braccio e mi impedì di proseguire.

«Che c’è?! Io ti odio, no, Kudo?», chiesi voltandomi gelida, sotto il suo sguardo perso.

«Quelle parole me le hai dette, Ran, e io non posso dimenticarle!», mi sbraitò contro. Perfetto. La seconda litigata in così poco tempo. Ormai avrei potuto dire addio all’amicizia o a quel che c’era fra noi.

«Fa come diavolo vuoi!», singhiozzai liberandomi dalla sua stretta e afferrando le chiavi della mia camera nella tasca dei miei jeans. «Fa come vuoi», ripetei frastornata, tirando maleducatamente su col naso. Ma ero troppo tremolante e scioccata per beccare il buco della serratura, così che, dopo alcuni secondi a innervosirmi, non resistetti e mi accasciai per terra. Le mani ancora sulla maniglia e la testa buttata giù, con il dolore che mi soffocava.

«Ran…».

«Vattene», soffiai, continuando a piangere. Sentii le sue mani calde liberare le mie da sopra la maniglia, e poi il suo petto contro la mia schiena a cingermi contro di lui in una morsa titubante.

«Mi dispiace», ammise con la testa sui miei capelli. «Mi dispiace, so che non pensi quelle cose…».

«Allora perché continui a battere ferro?», chiesi amareggiata, il suo respiro irregolare sui capelli.

«Non lo so, forse perché voglio stare male… sapere cosa ti ho sempre fatto patire… vorrei solo passarci anch’io per pagare ciò che ti ho causato».

Mi morsi un labbro, per poi girare il volto verso di lui.

«Mi ami?», chiese con un filo di voce, perdendomi nuovamente in quei suoi occhi così azzurri.

«Sì», deglutì teso.

«Allora ti prego», lo implora, accarezzandogli i capelli. «Ti prego, non respingermi».

Notai la sua insicurezza quando tenne rigido il suo sguardo nel mio. Poi,dopo quello che mi parve un secolo, mi passò una mano sotto le gambe e una sulla schiena, tirandosi in piedi con me in braccio.

«Come potrei respingerti di nuovo dopo aver sofferto così tanto la prima volta che l’ho fatto?», mi chiese cauto, rientrando in camera. Lì, dopo avermi adagiato sul letto, spense le luci e lo sentii sdraiarsi accanto a me. Fra di noi calò silenzio.

«Shinichi?».

«Mmm?».

«Ti ricordi quando da bambini dividevi sempre la merenda con me?».

Non rispose, probabilmente perso a ricordare.

«Perché lo facevi?», domandai. «In fondo, io avevo la mia. Eppure ogni volta mi davi metà della tua».

Che domanda idiota. Eppure lui dovette trovarla interessante, perché ci rimuginò su per un po’.

«Non lo so», mormorò. «Eri sempre così pallida… avevo paura che la tua non ti bastasse».

Mi misi su un fianco, appoggiando la testa al suo petto.

«Shinichi?».

«Sì?».

«Pensi che un giorno riusciremo a stare davvero insieme?».

Mi strinsi al suo petto di più, chiudendo gli occhi dopo aver posato l’orecchio vicino al suo cuore, che a quella mia domanda cominciò a battere irregolarmente.

«Sì, lo penso».

Il suo cuore rallentò piano piano, fino a tornare regolare. Il suo profumo, così famigliare, mi avvolgeva in un abbraccio dolce. Stordita da quella sensazione, alzai la testa, guardando il suo volto nella semi oscurità della camera, nella quale l’unica luce proveniva dalle tende non chiuse bene sul fondo della stanza.

Anche lui prese a guardarmi, e ricominciò ad accarezzarmi la guancia. Così estasiata da quel tocco, mi alzai un poco sul gomito, accarezzandogli il petto. E, non so come, dopo alcuni secondi mi ritrovai a baciarlo di nuovo con cautela, forse ancora spaventata che potesse scomparire. Ma ben presto, quando mi abbracciò e si mise sopra di me, risposi sicura alle sue labbra che si impossessavano delle mie con tenerezza.

Le mie mani, avvolte dietro al suo collo, gli solleticavano la nuca, dove alcuni ciuffi di cappelli si impigliavano nelle mie dita. E, mentre le sue labbra vagavano verso il mio collo, chiusi gli occhi cercando di non pensare al domani, ne a dove saremmo arrivati quella notte. Non mi importava niente se era pericoloso, ne se ci sarebbero state conseguenze.

In quell’istante riuscii solo e slacciargli i bottoni della camicia, e buttarla da qualche parte sul pavimento, con la sue mani che si muovevano sul mio volto accaldato. Lo abbracciai più forte, sospirando nell’incavo del suo collo nel mentre in cui mi accarezzava i fianchi. Leggermente, passai una mano sulla sua schiena, sentendolo rabbrividire. Perciò tornò sulle mie labbra, posando il suo naso sul mio con dolcezza.

«Se ojisan dovesse entrare ora», iniziò con la voce un po’ affannata, «penso che mi farebbe in poltiglia».

Risi piano sulla sua guancia, per poi staccarmi mentre faceva scivolare via la mia maglia. Intimidita, mi strinsi al suo petto, cercando di non farmi troppo vedere da lui. Ma poi mi ricordai delle terme, e lì avvampai.

«Ti stai surriscaldando, mi devo preoccupare?».

Ridacchiai, strofinando la mia testa contro il suo petto, le mani sulle sue spalle larghe.

«No, penso sia normale. Almeno credo…».

«Se prendi fuoco in corridoio c’è un estintore», sentii un sorriso nella sua voce.

«Se parli ancora ho un calzino nei piedi da metterti in bocca», replicai. Lui soffocò una risata fragorosa, per poi scendere verso i miei piedi.

«Ah, davvero?», chiese giocoso, afferrandomi per i piedi. Mi lasciai sfuggire un riso, strozzato da una mano che mi portai sulle labbra. In un batter d’occhio mi levò i calzini, e leggermente mi fece il solletico ai piedi, facendomi sobbalzare divertita.

«Mollami!», lo intimai, mettendomi a sedere sul letto. Vidi il suo sorriso sbieco grazie alla luce sottile che aveva su metà volto.

«S-shinichi», risi mentre, poi, si mise a gattonare verso di me con sguardo furbo. La voglia di ridere era troppo forte, così che cercai in ogni modo di soffocarla. E lui mi aiutò, baciandomi entusiasta.

Le mie mani, come mosse da un’altra entità, si ancorarono ai suoi fianchi, accarezzandoli delicatamente.

«Ora mi sembra che a surriscaldarti sia tu», gli bisbigliai all’orecchio, quando sentii il suo volto bollente appoggiarsi al mio collo. Parve non gradire quella battuta, perché poggiò le mani alle mia schiena e bruscamente si girò, facendo finire me sopra di lui.

«Baka», mi lasciai sfuggire, dandogli un pugnetto leggerlo sul petto. Sogghignò.

«Se non stai zitta, ti infilo un calzino in bocca», cantilenò. Feci una smorfia.

«Chissà da quanto non te li lavi, io non te li levo».

«Impertinente!», soffiò e con una spinta tornò sopra di me. Scossi la testa.

«Guarda che chiamo papà», lo minacciai.

«Provaci», mi sfidò, accarezzandomi lentamente la pancia.

«Ci provo?», cercai di resistere alle sue mani che salivano e scendevano intorno al mio ombelico.

«Così ti giochi tutto, e ti becchi un mio calzino in bocca».

«Che schifo, no!».

Con un sorriso riprese a baciarmi con vigore e, decisamente insicuro e titubante, posò le mani sui miei jeans. Nascondendo il mio volto scarlatto nel suo petto, deglutii quando piano me li sfilò. In quel momento, penso che la voglia di ridere e scherzare si dissolse in un lampo, e il desiderio dei suoi baci e delle sue carezza divenne un peso insostenibile. Sospirando impaziente, mi baciò ancora facendomi stordire, fino a quando non mi aggrappai ai suoi pantaloni, per poi toglierli con mani tremanti. Il calore su tutto il mio corpo a contatto col suo mi frastornò così tanto da farmi chiudere gli occhi con foga, mentre mi baciava la pancia. Poi non riuscii più a formulare nessun pensiero: in un attimo, ancorata al suo collo, dopo avermi levato gli ultimi indumenti, riuscii solo a dirgli che l’amavo.

 

***

 

«Allora, fate attenzione».

Yukiko Kudo guardò suo figlio e suo marito, mentre si infilavano i giacconi pesanti e ricambiavano il suo sguardo stranamente preoccupato con un sorriso tiepido. Poco lontano da loro, Eri Kisaki guardava sulle spine Kogoro, che le lanciava occhiate titubanti.

«Andrà tutto bene», la rassicurò suo marito, abbracciandola dolcemente. Aggrappandosi a lui, cercò di auto convincersi. Dopo quello che le sembrò veramente poco tempo, si ritrovò lontana da lui.

«Mamma».

Yukiko si voltò verso Shinichi, il quale si avvicinò stanco a lei. «Fammi un favore, ti prego», le mormorò in un orecchio. Lei alzò un sopracciglio.

«Dopo va in camera mia», le diede le sue chiavi. «E fa in modo che Eri non si accorga di niente».

Confusa, Yukiko guardò il figlio senza capire. Lui sorrise appena.

«Grazie», bisbigliò, dopo averle dato un fugace bacio sulla guancia. Poi, stanco e con gli occhi circondati da occhiaie pesanti, affiancò Heiiji, che salutava per l’ennesima volta una Kazuha che non faceva che ricordargli di tenere il loro amuleto proprio sul cuore.

«Te lo devi tenere lì! E non la in basso!», ripeté esasperante, facendolo sbuffare.

«Se è lungo lo spago come faccio a tenerlo lì?!».

«Te lo tieni con una mano!».

«Mi sembra logico, con un matto alle spalle pronto ad ammazzarmi io mi tengo questo diavolo di coso sul cuore!».

Shinichi scosse la testa, per poi guardare di soppiatto Kogoro al suo fianco.

«Ran non è venuta a salutarci…», notò con disappunto. Shinichi sospirò, aprendo la porta per uscire

«E’ solo stanca», mormorò, ma lui non lo sentì. Quindi, col cuore in gola, si buttò in quella mattina fredda. Sarebbe sopravvissuto? Non lo sapeva. Ma almeno aveva il profumo di Ran impregnato addosso ad addolcirgli quella pericolosa giornata.

  
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