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Autore: The Mad Tinhatter    08/08/2014    2 recensioni
"Si trattava di un modello particolare di Pensatoio: mentre normalmente l'unica cosa permessa era di osservare i ricordi da un punto di vista esterno, quell'esemplare, assieme ad altri che erano stati prodotti negli anni, permetteva di rivivere i propri ricordi in prima persona e con la coscienza del momento, pur conservando ogni sensazione provata anche una volta tornati alla realtà. E quello era esattamente ciò che la giovane donna voleva fare."
[Questa storia partecipa al contest "OC mania!" indetto da ColeiCheDanzaConIlFuoco]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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There's No Life Without Love


Cap. 1: The Beginning


Elizabeth posò le mani sulla fredda pietra del Pensatoio. Aveva iniziato il trattamento qualche anno prima, quando le esperienze del suo passato avevano iniziato ad avere effetti deleteri sulla sua vita presente.

Non era stata l'unica, in quegli anni, a richiedere le attenzioni degli psicologi del San Mungo, così erano stati sviluppati dei piani di cura alternativi, che richiedevano l'uso del Pensatoio. Nel suo caso, le cure avevano avuto effetto, nonostante tutto. Così, ormai per la maggior parte del tempo, il Pensatoio veniva riposto in un angolo del solaio, quasi dimenticato.

Qualcun altro avrebbe cercato di sbarazzarsi dell'oggetto, una volta esaurito il suo utilizzo. Elizabeth conosceva un sacco di persone che l'avevano fatto, ma i medici lo sconsigliavano, e lei non voleva farlo.

Almeno una volta all'anno, Elizabeth voleva ricordare. Ora che rivivere quei momenti non le faceva più così male, lei voleva che restassero impressi nella sua mente. Così, in quel momento di quel giorno, la giovane si trovava davanti a quel bacino colmo di materia argentea, pieno di quei ricordi che, dal più felice al più traumatico, l'avevano aiutata a tornare a vivere. Si trattava di un modello particolare di Pensatoio: mentre normalmente l'unica cosa permessa era di osservare i ricordi da un punto di vista esterno, quell'esemplare, assieme ad altri che erano stati prodotti negli anni, permetteva di rivivere i propri ricordi in prima persona e con la coscienza del momento, pur conservando ogni sensazione provata anche una volta tornati alla realtà. E quello era esattamente ciò che la giovane donna voleva fare.

Elizabeth fece un bel respiro, ed immerse la testa nel liquido. Subito sentì la familiare sensazione di instabilità, come se stesse per cadere....

*

- Mamma, perché devo andare a giocare con quelle bambine? - domandò la piccola Elizabeth, mentre sua madre le faceva la treccia.
- Perché adesso sono le nostre vicine di casa, tesoro - rispose la donna, prendendo un nastro rosa per capelli da un cofanetto. - Sono di buona famiglia, e tu sei una piccola Selwyn. È ora che tu faccia davvero amicizia con loro, dato che a Settembre le rivedrai a scuola. Sicuramente tu e Astoria sarete compagne di stanza. Daphne vi avrà già raccontato un sacco di cose, immagino!

Per una giovane purosangue c'era poco di che essere sorpresa, ad Hogwarts. Tutto ciò che Daphne aveva fatto fino a quel momento era stato parlare di quanto tutti i suoi amici di scuola fossero ricchi, e lamentarsi di qualche occasionale incontro con qualcuno il cui sangue non fosse completamente puro.

Elizabeth sapeva che la sua famiglia incoraggiava quel modo di pensare, ma lei non era ancora sicura del perché. In fin dei conti, il bersaglio preferito delle battute di Daphne, tale Hermione Granger, era mezzosangue, ma ciò non le aveva impedito (con grande irritazione della Greengrass) di prendere voti più alti dei suoi.

- Sono antipatiche - disse Elizabeth.
- Devi solo imparare a conoscerle. Prendi come esempio tuo fratello.

Edgar. La persona che, da quando era tornata a casa per le vacanze, non aveva più trovato un momento per stare con lei, tutto preso dai suoi nuovi amici.

Sua madre la fece voltare, e la guardò negli occhi. - Devi solo avere un po' di pazienza, tesoro - disse, poi le diede un bacio sulla fronte e la invitò ad andare.

Non appena chiuse la porta principale, il sole del sud della Francia le baciò la pelle. Quello era il primo anno che trascorrevano le vacanze lì, e da quando i Greengrass, i Malfoy e i Nott avevano deciso di passare l'estate nello stesso loro paesino magico, per sua madre ogni occasione era buona per un tè tutti assieme.

Elizabeth lisciò il vestito verde che sua madre le aveva fatto indossare. Aveva detto che faceva risaltare i suoi occhi blu, per quello l'aveva scelto. Attraversò il cortile per raggiungere le sorelle Greengrass. Si trattava di un giardino che si affacciava su tre case: la casa dei Greengrass, la casa della sua famiglia ed infine, la casa di una famiglia che ancora non avevano avuto l'opportunità di incontrare.

Daphne e Astoria stavano chiacchierando su una panchina. O, per meglio dire, Daphne parlava senza fermarsi, mentre la sorellina la osservava con curiosità. Di sicuro non si poteva dire che Daphne fosse timida, dato che faceva così con chiunque.

- Ciao – disse Elizabeth, quando fu vicina alle altre due bambine.
- Oh, ciao, Elizabeth – fece Daphne, interrompendo per un attimo il suo monologo. - Stavo giusto descrivendo ad Astoria il nostro dormitorio. Dicevo... i letti sono stupendi, davvero. Le lenzuola sono verdi, naturalmente, e i cuscini sono più comodi di quelli di casa. Per questo ho chiesto a papà di farli cambiare. Non voglio certo tornare a casa e farmi venire il torcicollo!

Elizabeth quasi smise di ascoltarla. Sapeva bene che sia i Selwyn che i Greengrass erano famiglie privilegiate che potevano permettersi i cuscini migliori del mondo, ma non le sembrava il caso di farne una questione di stato. Lei era soddisfatta di quello che aveva.

Guardò davanti a sé, e vide quasi subito qualcosa, o, meglio, qualcuno, che attirò la sua attenzione.

Si trattava di un ragazzino, seduto davanti ad un tavolino di pietra, che leggeva, da solo. Elizabeth cercò di capire che cosa stesse leggendo, ma era troppo lontano.

Probabilmente abita nell'altra casa.

Dei passi interruppero il discorso di Daphne, ed Elizabeth si voltò. Si trattava di suo fratello.

- Stiamo giocando a SparaSchiocco, in casa. Volete unirvi a noi? - disse.
- Va bene – rispose Daphne, alzandosi. La sorella si limitò ad annuire, e a seguirla.
- Io arrivo tra poco, voi iniziate ad andare – disse Elizabeth. Il ragazzino che leggeva l'aveva incuriosita, e voleva conoscerlo.

Elizabeth aspettò che gli altri fossero rientrati in casa, poi si incamminò verso il ragazzo.

- Ciao – disse, sedendosi davanti a lui. Gli occhi del ragazzo erano blu, proprio come i suoi.
- B-bonjour! - fece lui, mettendo giù il libro di scatto.

Oh, è francese.

- Comment tu t'appelles? - disse Elizabeth, ricorrendo ad una delle poche frasi di francese che conosceva.
- Mi chiamo Julian – rispose lui – e parlo anche inglese.

La ragazza sorrise. Lui aveva un accento simpatico.

- Io mi chiamo Elizabeth, piacere – disse lei, porgendogli la mano. Il ragazzino la strinse.
- Cosa stai leggendo? - continuò.

Julian sollevò il libro, facendole vedere la copertina.

Il mago dei numeri”, di Hans Magnus Enzensberger.

- È un libro babbano – spiegò. - Me l'ha regalato mio padre. Parla di matematica.
- Oh, sembra molto interessante – disse lei, e non stava fingendo. Da piccola aveva ricevuto, come tutti i piccoli maghi della sua età, le nozioni di base. I numeri l'avevano sempre affascinata, ma essendo la matematica una disciplina strettamente babbana, i suoi genitori le avevano proibito di coltivare questo suo interesse. E lì, davanti a lei, c'era un giovane mago a cui, invece, questo non era stato impedito.

Continuarono a parlare, ed Elizabeth notò che Julian era un ragazzo molto diverso da quelli attorno a cui era cresciuta: suo padre era un astrofisico babbano (Julian, stupito, dovette spiegarle cosa un astrofisico fosse, perché in quasi dodici anni di vita Elizabeth non aveva mai sentito quella parola), mentre sua madre era una Guaritrice che lavorava nell'ospedale magico di Nizza. Parlare con lui era molto diverso che parlare con le sorelle Greengrass, o con chiunque altro lei avesse mai conosciuto: nonostante potesse capire che anche la famiglia di Julian fosse messa bene economicamente, i beni materiali sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri. Aveva anche un certo interesse per i libri, sia magici che babbani, e l'appartenenza ad entrambi i mondi gli dava più possibilità sia in termini di conoscenza che in termini di divertimento. Infatti, fu con un'espressione divertita che lui si alzò, e le fece cenno di seguirlo.

- Sei sicuro che non ci faremo male? - chiese Elizabeth, mentre si arrampicava sui rami. Non l'aveva mai fatto in vita sua, e la cosa era evidente: Julian era più avanti, e lei cercava (abbastanza inutilmente) di non sporcarsi il vestito e di non impigliarsi da nessuna parte.
- Tranquilla, non saremo molto vicini alle api. Specialmente se hai paura – rispose lui, fermandosi. Evidentemente era arrivato nel punto giusto.
- Intendevo per l'altezza – disse Elizabeth, cercando di arrampicarsi più in fretta.

Finalmente, giunse anche lei al punto raggiunto da Julian. Il ragazzo indicò qualcosa davanti a lei. Era giallo, anche se poco della sua superficie era allo scoperto, dato che era quasi completamente circondato da api.

Ma certo, un nido!

Julian le spiegò varie cose, mentre lei, tutta orecchi, cercava di non mettere un piede in fallo e cadere. Si mise a parlare di api, della loro organizzazione, dei loro ruoli e della struttura del loro nido. Elizabeth lo ascoltava, affascinata, domandandosi quante altre cose non conoscesse del mondo che anche lei abitava.

- Non vi hanno mai spiegato tutte queste cose, a scuola? - le chiese lui.
Elizabeth scosse la testa. - I miei genitori mi hanno insegnato le conoscenze base. La mia famiglia è purosangue, sarebbe una tragedia se frequentassi una scuola babbana.

L'espressione di Julian si rabbuiò, come se fosse davvero triste per lei. - Mi dispiace – disse. - Ma se vuoi, finché saremo qui, potrò insegnarti io qualcosa!
Elizabeth sorrise, entusiasta. - Va bene!

Ben presto il sole cominciò a tramontare, e arrivò il momento di tornare a casa. Sicuramente tutti si stavano chiedendo dove fosse finita, e lei non avrebbe avuto troppe scuse da tirare fuori, specialmente viste le condizioni del suo vestito.

- Mamma non sarà contenta – disse, indicando uno strappo nel tessuto verde.
- Scusa – fece Julian.
- Non importa, mi sono divertita un sacco.
- Oh, tieni questo – disse lui, porgendole il libro. - Credo che potrebbe piacerti.

Elizabeth lo ringraziò, prima di rientrare in casa. Riuscì a sgattaiolare in camera sua per nascondere il libro (non osava immaginare cosa avrebbe detto suo padre se l'avesse beccata con un libro babbano tra le mani), ma per il vestito c'era poco da fare.

- Dove sei stata? I tuoi amici ti hanno aspettato per ore – disse suo padre, seduto a capotavola, non appena la vide entrare in sala da pranzo. Sua madre osservò il vestito strappato con aria di rimprovero, ma non importava: se solo avesse voluto, avrebbe potuto fargliene confezionare uno identico in uno schiocco di dita.
- Io... beh... - fece Elizabeth, titubante. Una cosa era certa: mai avrebbe tirato fuori il nome di Julian, perché i suoi genitori le avrebbero impedito di vederlo per il resto dell'estate.
- Non stavi facendo qualche gioco da Babbani, vero? - disse suo padre, alzando la voce.
Elizabeth strinse gli occhi. Suo padre le faceva davvero paura, quando usava quel tono minaccioso. - Io... ecco... ho provato ad arrampicarmi su un albero. Volevo vedere le api. Sono interessanti.

Sono caduta, avrebbe potuto dire. Sono inciampata, e sono finita in un cespuglio. Invece no, doveva proprio sputare fuori la verità. Che stupida.

La reazione di suo padre non si fece attendere. Si alzò in piedi, posando le mani sul tavolo.

- Ti sei arrampicata su un albero? - urlò, furioso. - Credi che ti abbiamo educata per diventare così, come la peggiore delle ragazzine babbane? Dodici anni di insegnamenti, e guarda un po' che cosa ne è uscito!

L'uomo si spostò dal tavolo, dirigendosi verso di lei.

A quel punto, Elizabeth stava per scoppiare a piangere per la paura. Non poteva dire che suo padre picchiasse spesso lei e suo fratello: la maggior parte del tempo, li viziava come se fossero stati i figli migliori del mondo. Tuttavia, quando si arrabbiava particolarmente tendeva a dare qualche sculaccione, cosa che, naturalmente, non le piaceva per nulla.

L'uomo fu bloccato dalla mano della moglie sul suo braccio.

- Edward, basta – disse lei. - Adesso, Elizabeth, prometti che non lo farai mai più, così chiudiamo la faccenda.
- Promesso – disse. Suo padre tornò a posto, visibilmente più calmo.
Sua madre le sorrise. - Tesoro, ora siediti qui e mangia.

Cenarono in silenzio, ed Elizabeth cercò di fare più veloce che poté: non vedeva l'ora di tornare in camera sua. Quando, finalmente, ci riuscì, chiuse la porta dietro di sé e si buttò sul letto, prendendo poi il libro dal cassetto del comodino in cui l'aveva riposto.

Sorrise, stringendoselo al petto. Forse, per la prima volta da quando era arrivata in quel luogo, aveva trovato un amico.

*

La giovane donna si tirò su. Il ricordo era finito e, come ogni volta in cui lo riviveva, stava sorridendo. Quell'incontro e quel libro le avevano cambiato la vita, ed era certa che, se non fosse stato per gli avvenimenti di quell'estate, in quel momento non si sarebbe di certo trovata lì.

Ricordò con nostalgia le nottate passate a leggere quel libro, e la sua curiosità che aumentava ad ogni pagina. Ricordò i pomeriggi trascorsi con Julian a chiacchierare, magari bevendo una cioccolata nella grande biblioteca di casa sua. Era stato triste dover tornare in Inghilterra per l'inizio della scuola, ma lui le aveva promesso che le avrebbe scritto durante l'anno, e così era stato.

Ora, però, era il momento di passare ad un altro ricordo.

   
 
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