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Autore: Darlene Hannigan    10/08/2014    3 recensioni
Headley Grange, al ritorno da un glorioso tour.
I quattro membri dei Led Zeppelin si ritrovano nel meraviglioso casale in una veste "diversa".
Quella di genitori.
Ma cosa può accadere in giorni in cui la parola d'ordine è fantasia?
Genere: Demenziale, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jimmy Page, John Bonham, John Paul Jones, Robert Plant, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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‘Til your singing eyes and fingers

 

Sbuffò, pizzicandosi lievemente il naso.

L’odore dell’erba fresca e il profumo settembrino nell’aria era piacevole fino a quando non faceva pizzicare le narici. Così, sollevò pigramente le braccia sopra la testa, gonfiando il petto in un grosso sbadiglio prima di mettersi in piedi, restando all’ombra del grande salice piangente che cresceva ai confini dei possedimenti di Headley Grange.

Aveva trascorso ore intere a passeggiare a vuoto, quasi misurando ogni metro di terra con i propri passi, ma l’ispirazione tardava, facendosi attendere come la più esclusiva delle ospiti.

- Non ce la farò mai. – sussurrò tra sé e sé, portando l’armonica sul bordo delle labbra sottili, soffiando piano e scrutando il cielo terso come i suoi occhi.

The people turned away, the people turned away…

Le parole continuavano a rincorrersi nella testa senza incontrarsi mai, evitando quel filo logico che lui cercava. Riprese a camminare, mani e armonica cacciate nelle tasche, un filo d’erba tra i denti. Si fermò soltanto quando, attraversata una piccola radura spennellata di rosso autunnale, si trovò davanti ad un laghetto, ben nascosto da rocce vestite di muschio e arbusti sempreverdi ancora fioriti.

Non credevo ci fosse un lago da queste parti, pensò, avvicinandosi piano, in sincronia con il sorriso che iniziava a sollevargli le guance, fino ad essere abbastanza vicino da poter contemplare l’immobilità dell’acqua, la luce che si rifletteva su di essa.

- Dio, sembra un lago incantato! – sussurrò, quasi come se qualcuno potesse sentirlo.

Poi, con la sorpresa di un acquazzone in pieno Agosto, le parole si precipitarono nella sua testa, chiare e limpide come gocce di pioggia.

Out in the country, hear the people singin'…

Singin' 'bout their progress, knowin' where they're goin'.

Oh, oh, oh, oh, the people turned away

Yes, the people turned away

Iniziò a rovistare nervosamente nelle tasche posteriori, impaziente, timoroso di poter perdere le parole; poi finalmente trovò il foglietto, ridotto quasi a brandelli, e la matita che, controllò attentamente, aveva ancora la mina perfettamente intatta. Frettolosamente la fece passare sulla punta della lingua, in quel gesto che tante volte aveva visto fare da suo padre, quando era immerso nei suoi calcoli infiniti, rifugiato sotto la luce verdognola dell’abat-jour appoggiata sulla scrivania al centro del suo studio, accompagnato solo da silenzio e concentrazione.

Sorrise a quel ricordo, mentre canticchiava le parole e le scriveva nella sua accurata calligrafia, piegato sulle ginocchia e foglio appoggiato su una coscia, così perfettamente immerso nell’attimo d’ispirazione che nemmeno si accorse che stava perdendo l’equilibrio. Fece giusto in tempo a reggersi sulle punte dei piedi, ma nel farlo perse di mano la matita, andata a rotolare poco distante dalla riva del laghetto. Sospirò di sollievo.

- Wow! – disse, mettendosi in piedi – Che culo! – esclamò, avviandosi a raccoglierla, ma c’era una cosa che quella mattina Mr. Plant non aveva messo in conto. Qualcosa ce l’aveva con lui.

E così, mentre era ad un passo dal raccogliere la matita, inciampò contro la radice di un albero e, ciò che vide prima di sbattere con la testa contro il suolo roccioso, fu soltanto la scia luccicante della superficie dell’acqua.

 

 

*

 

 

Arricciò il naso, in un gesto che gli sembrò di aver già fatto quel giorno.

Infatti si chiese subito se per caso non avesse sognato tutto mentre continuava a tenere gli occhi chiusi.

Invece no.

Man mano che si svegliava, sentì che un forte mal di testa batteva contro la tempia sinistra in maniera allucinante, quasi come se a percuoterla fosse stato un martello, mentre scoprì che a fargli arricciare il naso era qualcos’altro, come se una mosca dispettosa ci stesse girando intorno.

Aprì lievemente gli occhi, lasciando che la luce si facesse strada poco a poco, senza abbagliarlo. Quando furono aperti, però, dovette stropicciarli bene con i pugni, per poter mettere a fuoco il volto sopra il suo.

La chioma fulva le ricadeva su una spalla sola, mentre l’espressione corrucciata e preoccupata non gli impediva di scorgere i bei lineamenti della ragazzina che aveva di fronte. Labbra carnose, naso all’insù e occhi azzurri.

Anzi no, viola, pensò.

- Ciao! – sussurrò, tentando di sfoderare il solito sorriso da marpione, ma scoprì subito che ciò gli costava aumentare la fitta alla testa. Così, rinunciò volentieri alla sua arma di conquista preferita, preferendo portarsi una mano alla fronte e mettendosi a sedere, giusto per vedere in che condizioni si trovasse. Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che non c’era sangue, se non un leggero graffietto sulla pelle e un gonfiore che andava aumentando.

Si guardò intorno e dalla luce capì che non era passato molto tempo da quando aveva perso conoscenza, ma tornando a guardare la piccola creatura di fronte a lui, si accorse che era completamente sola.

- Come hai fatto a trovarmi qui? – chiese, guardandosi intorno ancora una volta, giusto per essere certo di ciò che diceva.

Lei non rispose, si limitò soltanto a fare spallucce, facendo scivolare giù una spallina dell’anonimo vestitino bianco che la copriva a malapena fino alle ginocchia. Robert se ne accorse subito, nonostante il dolore che continuava ad aumentare, e non perse l’occasione di passare lo sguardo su ogni singolo pezzo di pelle della giovane. Questa se ne accorse, arrossì di vergogna e frettolosamente sollevò la spallina e portò le braccia avanti, come a volersi coprire fino ai piedi.

- Hey! – sussurrò lui, sconvolto da tanto timore – Non ti mangio mica. – disse, in quello che era il tono più rassicurante che riusciva ad imitare, ma, guardandola negli occhi, vide che non era imbarazzata, bensì spaventata a morte.

- Che ti hanno fatto? – chiese, questa volta analizzando il suo corpo in cerca di lividi, tagli, qualcosa che gli desse da pensare, ma trovò quella pelle più candida di come gli era sembrata cinque secondi prima. Lei continuò a restare in silenzio, abbassando gli occhi e arricciando un angolo della bocca.

Non so nemmeno come ci sono finita qui, questo sembrò dire.

- Ho capito! – disse lui, alzando un dito in aria con fare ironico – Ti hanno tagliato la lingua! – esclamò puntandole il dito, sperando di farla ridere. Si sbagliò di nuovo. La ragazzina arricciò le labbra, tirandole dentro e trasformando quell’espressione spaesata in un broncio che le riempì gli occhi di lacrime.

Robert non seppe cosa pensare. Si era svegliato da soli venti minuti e in così poco tempo era riuscito a terrorizzare la ragazzina che lo aveva gentilmente risvegliato. Bel traguardo, Plant, si disse, dovrai rivedere le tue tecniche di seduzione.

- Scusami! – disse, profondamente amareggiato e portandosi una mano al petto - È che ero qui, completamente da solo e mi chiedevo come fossi riuscita a trovarmi, tutto qui. – aggiunse tutto d’un fiato, mentre le spalle della ragazza iniziavano a rilassarsi. Robert, senza ombra di malizia, avvicinò una mano ad una di esse. Si sorprese quando la ragazzina gli permise di massaggiarla piano, con una delicatezza che per certe donne non avrebbe usato e sorridendo intenerito vedendo che lei lo fissava ipnotizzata.

- Come ti chiami? – le chiese gentilmente senza interrompere il contatto.

Anche a quella domanda, rispose il silenzio, mentre gli occhi della fanciulla diventavano sempre più tristi. Poi, la vide muoversi in modo quasi impercettibile e notò che stava allungando una mano vicino al proprio fianco, con la punta del dito indice rivolta verso il selciato, tracciandoci sopra alcune lettere con una grafia sottile e tonda.

Iris

- È il tuo nome? – chiese lui e finalmente la vide annuire e sorridere insieme, in un’espressione luminosa che la rendeva ancora più bella – Ma non puoi proprio parlare? – chiese lui, sinceramente curioso. Lei fece di “no” con la testa, ma senza perdere la sua aria allegra e spensierata.

Robert non insistette oltre. La poverina era di certo muta e farle altre domande al riguardo le avrebbe fatto perdere di nuovo quel sorriso meraviglioso. Poi la vide portarsi una mano sulla fronte, come se stesse per scordare qualcosa, così si alzò di scatto andando a raccogliere qualcosa nascosta sotto un cespuglio di more.

Quando tornò, Iris porse a Robert il suo foglietto malandato, ma ancora intatto e con le parole ben scritte e leggibili, mentre lui sentì che qualcosa di grande gli cresceva nel petto. La gratitudine.

- Oddio, hai trovato anche questo! – esclamò, raccogliendo delicatamente il foglio – Tu non sei una ragazza, sei un miracolo! – aggiunse, facendola ridere e sentì che, pur essendo muta, Iris aveva una voce incredibile, cristallina. Gli bastò quel piccolo suono per intuirlo. Dopo qualche secondo, si rese conto che la stava fissando e che Iris aveva smesso di ridere, guardandolo con un’aria curiosa e incerta, come se stesse aspettando il suo prossimo passo.

- Vuoi sentire? È una canzone che sto scrivendo. – disse lui, facendola annuire una seconda volta.

Iris unì le gambe insieme e le portò entrambe da un lato, sedendosi con le mani sul grembo, pronta ad ascoltare Robert che aveva già iniziato a cantare con voce bassa e soffiata. Lo ascoltò ad occhi chiusi, ondeggiando impercettibilmente seguendo il ritmo della canzone, mentre Robert la guardava con un moto di tenerezza che non credeva di poter trovare. Era la prima volta che, pur trovando attraente una donna, sentiva tenerezza per questa, quasi di fronte a lui ci fosse Carmen intenta ad ascoltare ogni sua nuova canzone o farsi ripetere quelle che di solito ascoltava lui.

- Ti piace? – le chiese quando finì.

Lei annuì ancora, sinceramente convinta e battendo piano le mani; poi si guardò intorno, in cerca di qualcosa, alzandosi di scatto non appena il suo sguardo si fermò.

- Ma dove vai? – le chiese, vedendo che andava verso il laghetto.

Quando tornò, Iris aveva tra le mani una ninfea, bianca quasi come la sua pelle.

- Ma … che fai? – chiese Robert quando la vide avvicinarsi ad un soffio dal suo viso, credendo per un attimo che la donna nascosta dentro Iris stesse per uscire fuori. In realtà, la ragazzina andò a sistemargli il fiore tra i capelli, adagiandolo all’altezza dell’orecchio.

Robert non seppe decifrare quel gesto. Nessuno (o nessuna) aveva mai provato ad adornargli i capelli, la maggior parte delle volte si limitavano a criticarli, adorarli o tirarli. Iris, invece, aveva scelto quel gesto che invece lui aveva rivolto ad altre donne. Non sapeva se ad imbarazzarlo era “sentirsi” quasi una donna o l’incapacità di capire l’intenzione di Iris. Così, tentando anche lui la strada del silenzio, si limitò a guardarla, a capire attraverso i suoi occhi cosa le stesse passando per la mente.

Non trovò nulla di particolare, se non una voglia di portare a termine il lavoro e di farlo nel migliore dei modi, quasi volesse sdebitarsi di quella canzone mezza cantata e mezza sussurrata.

Quando ebbe finito, Iris si allontanò di poco per vedere la sua opera, per poi sorridere compiaciuta.

- Sto bene? – la assecondò lui, gonfiandosi i capelli con le dita, attento a non far cadere il fiore. Iris fece di “sì” con la testa, mordendosi le labbra con fare infantile.

Piccola Iris, pensò, sei così innocente da farmi provare affetto per te.

Non osò confessarglielo. Semplicemente si avvicinò alla giovane, sentendone il profumo fresco come la brezza marina, e le lasciò un innocente bacio sulla guancia, senza sentire il minimo desiderio di fiondarsi sulle labbra carnose o di addentarle il collo. Quella era una bambina vera, non un semplice nomignolo da appioppare alla prima che passa. Ne aveva rispetto, quasi fosse sacra e la guardò come se fosse stata una sorella minore quando sì alzò in piedi. Vista da lì, sembrava ancora più piccola.

- Sì è fatto tardi, Iris. – disse lui, notando subito la repentina espressione di delusione sul volto della ragazzina – I miei amici potrebbero preoccuparsi non vedendomi ritornare. – si giustificò, per poi chinarsi e prenderle una mano - È stato un piacere, principessa. – le sussurrò, baciando il dorso della mano minuta – Spero di incontrarti ancora, prima o poi! – concluse, mentre lei lo guardava senza lasciar trapelare alcuna emozione che non fosse lo sgomento.

Robert impiegò tutte le sue forze per non sentire il senso di colpa di fronte alla delusione di Iris, così si incamminò subito verso il casale e trovandolo dopo appena venti minuti di passeggiata. Il sole era ormai nascosto alle spalle dell’edificio, dipingendolo di ombre e di una calda luce rossa. Poi, qualcuno lo chiamò.

- Robert! – e solo allora si accorse che la porta d’ingresso era aperta, Maureen appoggiata all’uscio. In quel momento, si ricordò che aveva ancora il fiore tra i capelli e, per paura che lei iniziasse a sospettare qualsiasi cosa, se lo sfilò senza danneggiarlo. Quando fu abbastanza vicino alla moglie, questa gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo e sfiorandogli le labbra con le proprie.

- Dov’eri? – gli chiese curiosa.

- In cerca d’ispirazione. – sospirò lui.

- E l’hai trovata? – fece lei, stringendosi ancora di più a lui.

Robert sollevò il fiore alle spalle della moglie, senza che lei lo vedesse, poi rispose: - Sì.

- Perfetto. – esclamò lei, baciandolo una seconda volta. Quando si staccarono, lui le porse il fiore.

- Robert, è bellissimo! Dove l’hai trovato? – chiese lei, prendendo il fiore con aria stupefatta.

- Dopo il confine, c’è un laghetto nascosto tra le rocce. – rispose con tono monocorde.

- Wow! – esclamò lei – Non sapevo ci fosse un laghetto da queste parti.

- Nemmeno io. – disse lui, mettendosi le mani in tasca, mentre sua moglie portava il fiore tra i propri capelli.

In quel momento, sentì come un gemito di pianto sollevarsi dalla radura, ma abbastanza forte da essere scambiato per un urlo. Si voltò di scatto.

- Robert? Che succede? – chiese Maureen.

- Non hai sentito?

- Cosa? Io sento solo il rumore del vento. – constatò lei, iniziando a guardarsi intorno preoccupata – Robert, tutto bene?

- Devo andare. – disse, proprio mentre si avviava verso la radura con Maureen che lo pregava di fermarsi. Non le diede ascolto, inoltrandosi in poco tempo fino al laghetto. Quando fu arrivato, Iris non c’era più.

Solo una cosa notò. L’acqua non era più cristallina, coperta da una lieve schiuma bianca e luminosa.

Come la pelle di Iris.

- No, non può essere. – sussurrò, proprio mentre nel bel mezzo della schiuma iniziarono a sbocciare delle piccole e bellissime ninfee bianche.
















Angolo dell'autrice
Salve!
Perdonate il ritardo. Siete state così tante a recensire che avrei voluto pubblicare questo capitolo molti giorni fa. La verità è che ho finito di scriverlo solo ora. ^^'
Ok, iniziamo con i credits:
- Down to the seaside, Led Zeppelin;
- Song to the siren , Robert Plant.
Detto ciò spero abbiate intuito cosa accadrà nei prossimi nei capitoli ma, nel caso in cui invece non si sia capito una mazza, ve lo dico...
Ad ogni componente, verrà abbinata una favola di Andersen.
E, come avrete notato (spero), quella abbinata a Robert è "La Sirenetta".
Ok, date queste piccole informazioni, non vi resta che scommettere sulla prossima favola con il rispettivo componente.
Ovviamente, ogni favola è riadattata in modo che possa sembrare almeno verosimile e, per quanto riguarda "La Sirenetta", mi sono ispirata alla trama originale della favola, in cui appunto il principe non ricambia affatto la povera principessa dei mari.
Detto ciò, vi do appuntamento alla prossima favola.
D.H.
   
 
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