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Autore: Rayon_    11/08/2014    1 recensioni
Capelli neri, occhi dello stesso colore con qualche tonalità di bianco in più, viso pallido come il resto del corpo minuto. Tante paure e tanti complessi. Tanta solitudine e un forte bisogno di un faro per salvarsi.
Capelli neri, occhi color nocciola e profondi da far paura. Tanta ingenuità e tanta voglia di conoscere. Tanta determinazione e un forte istinto nell'avvicinarsi alle persone.
Shannon White Wood, Zayn Jawaad Malik.
La vita non è una favola, se non è vissuta come la loro.
Dal capitolo 7.
«Qual è il problema, Shannon?» Senza aprire gli occhi mi vennero in mente decine di parole, di frasi, che avrei voluto urlare a quella domanda.
"Tutto. Fa tutto schifo. Ho paura. Sto male. Non sono nessuno. Ho perso la mia vita. Ho perso me stessa. Dolore. Non provo più niente se non quello. Solitudine. Voglia di scappare. Desiderio di arrendersi. Scomparire. Tutto non va nella mia vita."
Presi un forte respiro che somigliava più ad un singhiozzo ma non piansi, nè parlai per i primi secondi.
«Quand'è la verifica di fisica?» Riaprii gli occhi prima di chiederlo, li sentivo umidi e gonfi.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 7- White.
 
I seguenti incontri furono più ordinari e alle sei avevo già finito, così decisi di andare a casa e provare, ancora una volta, a studiare. Indossai una tuta, mi raccolsi i capelli e mi sedetti a gambe incrociate sul letto, con un libro e gli appunti. Fisica non era mai stata una mia passione e in tutta la mia vita avevo preso forse due sufficienze scarse, e dopo due ore quello che ero riuscita ad assimilare era ben poco. Avevo cambiato tutte le posizioni possibili e mi ero trovata seduta a terra, con la testa poggiata al materasso, sfinita. Posai tutto sulla scrivania, mi rifeci la coda e per qualche strano motivo, dopo aver guardato l'ora, decisi di andare in cucina. Mi guardai intorno chiedendomi perché ci fossi entrata, era vuota. Come a voler dare un senso a quel gesto bevvi un bicchiere d'acqua e andai in bagno con la nausea che già mi faceva venire brutti pensieri. Guardai nello spazio tra la vasca e il lavandino, avevo già notato quella pesa, quadrata, bianca. La fissai per qualche attimo come se fosse stata il mio peggior nemico, poi decisi di prenderla. Era tempo che ormai non mi pesavo, principalmente per paura delle conseguenze. Chiusi gli occhi, vi restai sopra, col fiato sospeso, e li tenni serrati per due buoni minuti prima di riuscire ad aprirli e spostarli dal muro bianco alla scritta digitale.
Quarantuno chili e due.
Rimasi quasi indifferente all'esterno mentre internamente provavo solo paura e schifo.
Provavo schifo perché dall'ultima volta avevo preso mezzo chilo, ma allo stesso tempo perché sapevo che continuando così non avrei fatto altro che peggiorare le cose. Provavo schifo, e mi sentivo uno schifo. La nausea aumentò e ringraziai il fatto che la tavoletta fosse alzata mentre mi giravo di scatto per vomitare.

Ascoltai la sveglia suonare finché la canzone non fu finita, mi alzai, mi lavai i denti, mi vestii con gli abiti del giorno precedente, preparai lo zaino ed andai a scuola. Giusto prima di uscire mi ricordai della felpa nera che Zayn mi aveva dato, gliel'avrei riportata.
Camminai per le solite strade e non mi fermai davanti alla scuola, diretta al parcheggio.
Scrutai in cerca della macchina scura a cui l'avevo visto appoggiato il giorno precedente.
Mi sentii cadere quando una macchina mi passò dietro provocando un colpo d'aria, ma chiusi gli occhi e mi ripresi. La macchina si fermò, e scese lui. Per la prima volta mi soffermai a guardarlo. Aveva i capelli neri, senza ombra di riflessi castani, vagamente spettinati, come se si fosse pettinato ma senza uno specchio davanti. Indossava un paio di jeans stretti il giusto, che gli fasciavano i polpacci non troppo grandi. Il suo fisico non era molto possente per quanto si potesse intravedere dalla maglietta bianca, da cui trasparivano anche diversi tatuaggi. Gli occhi erano indifferenti e forse un po' annoiati, non lasciavano percepire alcuna emozione, nonostante la loro profondità e il loro color nocciola. Soffermandomi sul viso chiaro notai che quel giorno non aveva il velo di barba che mi ricordavo. Prese una sigaretta dalla tasca del giubotto di pelle e un'accendino blu dall'altra. Improvvisamente volevo camminare ma non riuscivo, non capivo perché. Forse per paura di andare da lui, forse perché non avrei saputo cosa dire. 
Forse per paura che leggesse troppo di me dai miei atteggiamenti e dai miei occhi, che a differenza dei suoi stavano sempre lì a gridare.
Iniziò a girarmi un po' la testa e mi venirono i brividi, sapevo che molto probabilmente mi aveva vista ormai.
Scossi un po' la testa per evitare di collassare lì in mezzo e senza ripensarci mi incamminai.
Era seduto sul sedile del conducente con la portiera aperta e stava facendo gli ultimi tiri di quella che sembrava una Marlboro alla menta. Quando fui a pochi metri la testa riprese a girare, lui mi vide e io strizzai gli occhi per poi riaprirli, mi stava guardando, indifferente.
«Ciao.» Fu lui a salutarmi mentre facevo l'ultimo passo. Tentai un sorriso ma no riuscii a rispondere. Allungai il braccio per porgergli la felpa.
«I-io.. Grazie.» Lui la prese e la posò mentre io chiudevo gli occhi e mi schiarivo la voce.
Mi sentii improvvisamente debole.
«Almeno ora non hai la polmonite» ironizzò lui mentre si girava di nuovo, senza troppo entuisiasmo.
Vidi solo l'asfalto che si avvicinava velocemente ai miei occhi e poi il buio.

Un muro azzurro pallido, una brandina, una piccola scrivania e una porta. Furono le prime cose che focalizzai della stanza. Mi faceva male la testa e mi pizzicava un braccio. Iniziai ad immaginare dove mi trovavo quando identificai il vociare che proveniva dall'esterno, un ospedale. Dall'altra parte della stanza, dietro di me, proveniva una luce bianca, fioca, come quella che passa tra le persiane chiuse male al mattino, ma un po' più forte. Pensai che probabilmente ci fosse una finestra con le tende chiuse. Mossi prima le gambe per girarmi, ma quando cercai di spingere col braccio destro per girare il busto mi bloccai: non appena riprovai a muovere il braccio sinitro provai una fitta e sentii il rumore metallico di qualcosa che si spostava. Subito dopo sentii il rumore di una sedia che strisciava.
«Attenta.» Conoscevo quella voce, somigliava a quella di qualcuno che non ricordavo. Che poi in quel momento non ricordavo nemmeno perché fossi lì dentro.
Sentii di nuovo il rumore metallico e poi una mano mi sposto il braccio mentre l'altra mi aiutava a girarmi. Mi accorsi di non riuscire praticamente a muovermi. Quando fui di nuovo ferma, questa volta sul fianco sinistro, provai a riaprire gli occhi. Mi trovai davanti una maglietta bianca dalla quale si intravedevano disegni scuri. Alzai lo sguardo nonostante la testa mi facesse male e lo vidi armeggiare con un filo, che andava dalla cima di un'asta in ferro fin sotto al lenzuolo. Era una flebo, in quel momento diedi una spiegazione alla fitta al braccio. Dopo alcuni secondi il filo era di nuovo a posto e Zayn si sedette sulla sedia dov'era prima. Raccolse un libro che aveva probabilmente poggiato a terra per alzarsi. Era abbastanza spesso e aveva qualche scritta a penna sulla copertina sulla quale si notava il titolo "Manuale di fisica" in arancione acceso. Se lo posò sulle gambe e mi guardò.
«Come stai?» Mi ricordai di quando avevo pensato che quella voce somigliasse a quella di qualcuno: avevo perfettamente ragione, mi ricordava la sua voce, ma era diversa dalle poche volte in cui l'avevo sentita, era più leggera, forse più sincera. Alzai le spalle senza dare una risposta precisa. La testa mi faceva male e continuava a pulsare e la vista mi si appannava a colpi.
«Cosa ci faccio qui?» Era una delle domande che principalmente mi stavo ponendo al momento. Lui appoggiò i gomiti alle ginocchia arrivando così con la testa all'altezza della mia.
«Hai perso i sensi nel parcheggio e ti ho portata qui.» Strizzai gli occhi e le scene si ravvivarono nella mia mente. Quando li riaprii mi tornò in mente la flebo. Lui mi stava fissando e mi sentii piuttosto in soggezione sotto quello sguardo.
«Che cos'è?» chiesi indicando il sacchettino con un lieve movimento del viso.
«Una flebo, non lo so di preciso. Ho sentito dire che eri molto debole e che avevi bisogno di nutrimento.» Davanti a me comparve l'immagine di una qualche sostanza, densa, grassa, di colore biancastro come il sacchetto, che riempiva le mie vene rendendole gonfie e pesanti.
Per poco non diedi sfogo al conato di vomito ma con qualche forza scossi la testa e cercai di pensare ad altro. Come al fatto che, mentre stavo per andare a consegnarli la felpa, io avessi paura che scoprisse troppo di me, mentre in quel momento sapeva ancor di più di quel che immaginavo. Da come aveva parlato sembrava non aver capito quali erano i miei problemi, ma sapevo che non era stupido e che ci voleva ben poco a fare due più due. 
Presi un respiro. Mi sentivo frustrata all'idea di qualcuno che mi aveva conosciuto così a fondo senza che io sapessi niente di lui. Sapeva della storia di Travis, sapeva dei miei disturbi alimentari e continuava a scrutarmi con quegli occhi, come se avesse voluto scavare fino in fondo. Incorciai il suo sguardo che, al contrario del mio, era sicuro e fisso, ma lo distolsi subito e pensai a una domanda da fare per riempire il silenzio.
«Da quanto tempo sono qui?» Mi feci un po' di coraggio e incrociai di nuovo il suo sguardo.
Lui infilò la mano nella tesca dei pantaloni e tirò fuori il cellulare.
«Due ore e mezza.» 
Rimasi in silenzio e poi sospirai. La mia mente era vuota, non riuscivo a formulare niente di sensato. Era solo una gran confusione tra soggezione, nervosismo, mal di testa, imbarazzo, mi sembrava di essere in procinto di una crisi. Sapevo che mi stava guardando e cercai di non piangere lì, in quel momento, davanti a lui. La vista si appannò, strizzai gli occhi e mi morsi il labbro mentre la testa girava.
«Qual è il problema, Shannon?» Come prima cosa mi chiesi come conoscesse il mio nome. Poi mi ricordai di tutte le volte che Travis lo aveva pronunciato davanti a lui e del fatto che avevamo alcune lezioni in comune. Poi, senza aprire gli occhi, mi vennero in mente decine di parole, di frasi, che avrei voluto urlare a quella domanda.
"Tutto. Fa tutto schifo. Ho paura. Sto male. Non sono nessuno. Ho perso la mia vita. Ho perso me stessa. Dolore. Non provo più niente se non quello. Solitudine. Voglia di scappare. Desiderio di arrendersi. Scomparire. Tutto non va nella mia vita."
Presi un forte respiro che somigliava più ad un singhiozzo ma non piansi, ne parlai per i primi secondi.
«Quand'è la verifica di fisica?» Riaprii gli occhi prima di fare la domanda, li sentivo umidi e gonfi. Feci la prima domanda che mi era venuta in mente ricordandomi del libro.
Non lo guardai negli occhi, non ne avevo il coraggio, ma notai con la coda dell'occhio, mentre fissavo il muro, che le sue ciglia erano corrucciate.
«Domani.» 
Ci fu silenzio. Io guardavo il muro e lui guardava me.
«Vado a chiamare il dottore.»
La sedia in legno strisciò sulla moquette e dopo pochi secondi rimasi sola. Non pensai a niente per evitare di piangere. Sentivo il vuoto in quel momento, tutte le emozioni si annullavano tra loro lasciando il bianco.
Dopo alcuni minuti in cui avevo fissato le tende blu sentii la porta aprirsi.
Zayn e un uomo in camice mi si piazzarono davanti.
«Buongiorno signorina. Sono il dottor McGuire.» Non mi venne nemmeno in mente di rispondere tanto mi sentivo inutile.
«Allora, come lei ben saprà e sotto peso, e questo le ha provocato un forte calo di energie.»
Teneva un paio di fogli in mano, pinzati insieme da una penna.
«La terremo qui ancora per un'ora, finché non si riprende un minimo, poi il suo amico la porterà a casa.» Annuii lentamente senza distogliere lo sguardo dal muro. Stavo giusto per stupirmi del fatto di non aver sentito nessuna ramanzina quando lo sentii di nuovo parlare.
«Non sono un dietologo e non me ne intendo molto, ma le posso assicurare che tutto questo non le fa per niente bene. Io sono in ufficio, vieni a chiamarmi quando si sarà ripresa.» Zayn annuì alla seconda frase e poi rimanemmo di nuovo soli. La constatazione del dottore non mi aveva nemmeno sfiorato tanta era la confusione che rimbombava nella mia testa.
Vidi il ragazzo davanti a me sedersi, prendere il libro e aprirlo.
Probabilmente aveva capito che non avrei detto niente di giusto.
Probabilmente aveva capito che non ne valeva la pena.

«Sto meglio.» Affermai catturando la sua attenzione. Era passata più di un'ora, lui scriveva, leggeva, girava le pagine, e un paio di volte mi aveva chiesto di ascoltarlo e leggere sul libro se quel che diceva era giusto.
Ero seduta sul letto, con la schiena poggiata al muro, mi sentivo un po' meno debole e la testa non martellava più come prima.
Lui mi guardò distogliendo gli occhi da un foglio, poi guardò l'ora.
«Va bene, vado a chiamare il dottore.»
Rimasi sola e pensai che in quell'ultima ora, o quel che era, er quasi del tutto riuscita a non pensare a nulla se non alla fisica, nonostante l'ora prima stessi per andare in crisi.
Mi sentivo strana, ma meglio di prima.
«Eccomi, come stai ora?» Cercai di sorridere per sembrare un po' più in forma.
«Meglio grazie.» Giocherellai con il bordo del lenzuolo sentendomi in soggezione, ancora.
«Beh non ci vuole molto, sembravi in fase di collasso» cercò di ironizzare lui, probabilmente per alleggerire l'atmosfera che tuttavia non era così pesante come lui pensava, al momento.
«Comunque sono passate quasi altre due ore, quindi puoi andare. Vorrei solo che passassi tra un paio di settimane per un controllo dei livelli nel sangue.» Acconsentii con un verso senza neanche aver recepito quel che diceva mentre scriveva appoggiato alla scrivania.
«Ecco, devi solo firmare qui per uscire, poi puoi cambiarti ed andare.»
Mi guardai addosso, non mi ero nemmeno accorta che spora ai jeans invece che la mia maglia indossavo un camice bianco. Firmai e il dottore uscì dalla stanza con Zayn per permettermi di vestirmi.
Nonostante fossero usciti li potevo sentire attraverso la porta socchiusa
«Portala a casa e assicurati che ingerisca qualcosa, anche mimimamente, entro questa sera, d'accordo?» Sentii Zayn acconsentire con un verso.
«E tienila un po' d'occhio, potrebbe ricapitare una cosa del genere mentre si trova sola e non è l'ideale.» Zayn disse qualcosa che no riuscii a capire, poi si salutarono. Mi scostai dalla porta, tolsi il camice e infilai il mio maglione che era appoggiato alla scrivania.
Raccolsi il mio zaino, da terra, e lo appoggiai alla spalla prima di uscire.
«Andiamo?» Aveva anche lui lo zaino sulle spalle. Che in realtà non era uno zaino ma una tracolla, di colore nero.
Annuii. Mentre uscivamo compose un numero al cellulare e lo portò all'orecchio.
«Chloe? Per oggi niente, d'accordo? No, scusa, mi ero dimenticato di una cosa. Non sono venuto perché ero stanco e volevo studiare fisica.» Ogni tanto mi mandava un'occhiata mentre parlava.
«No no, a pranzo ci sono, solo a casa tua vengo un altro giorno, magari domani. D'accordo, ciao Chloe, ci sentiamo.» Non appena le grandi porte a vetri furono chiuse terminò la chiamata. Per quanto mi ricordassi Chloe era la ragazza con i capelli rossicci che sedeva vicino a lui. Mi sentii - sicuramente non per la prima volta - un peso. Zayn doveva uscire con una ragazza ma aveva disdetto perché doveva tenermi d'occhio.
Lo vidi tirare fuori una sigaretta e l'accendino e feci lo stesso per poi seguirlo sulla strada.
Ci trovammo alla sua auto in meno di un minuto e imitai lui che si era seduto al posto del conducente con la portiera aperta, sedendomi al posto del passeggero. Quando lui aveva finito mi rimanevano un paio di tiri che non finii subito.
«N-non sei costretto a fare quello che ti ha detto il dottore, posso cavarmela.» Lui mi guardò e misi tutto il mio impegno per sostenere il suo sguardo. Tuttavia lui non rispose, ma si voltò e chiuse la portiera. Unii gli ultimi due tiri in uno solo, più lungo, e buttai il mozzicone a terra per poi chiudere a mia volta.
Il viaggio fu silenzioso, nemmeno la radio era accesa. Guardai fuori per orientarmi tra le strade e capire come arrivare all'ospedale. Probabilmente non era ancora ora di pranzo perché le strade erano quasi completamente deserte e oltre agli anziani non c'erano persone in giro. Il cielo era grigio chiaro, non minacciava pioggia, come era stato la maggior parte dei giorni da quando ero lì. In cinque minuti arrivammo in Wawerlay road.
«Dove devo girare?» Chiese rallentando. Mi risvegliai  e portai lo sguardo dentro alla macchina. 
«In Woodstock avenue.» La macchina girò e ci ritrovammo nel viale dove stava il mio appartamento.
«Quella lì, quella bianca con la porta in legno.» Indicai con la mano l'edificio e lui si fermò esattamente davanti. Non spense il motore, ma quando feci per aprire la portiera la sua voce mi bloccò.
«Vado a pranzo, poi verso le tre passo per studiare fisica, d'accordo?» Rimasi abbastanza sbigottita da quel che aveva detto e volevo dirgli che non doveva, che io non volevo, ma riuscii solo ad annuire. Aprii la portiera, scesi, e prima di richiuderla salutai.
«Ciao.» Chiusi e lui mi fece un segno con la mano prima di ripartire. Presi le chiavi dallo zaino, aprii la porta, e appena entrata spalancai una finestra per far uscire l'odore di chiuso che c'era. Lasciai tutto sul divano e tolsi le scarpe all'entrata, accesi il riscaldamento prima di andare in bagno per una doccia.
E di nuovo mi accorsi che le emozioni confuse e contrastanti che provavo si annullavano lasciando il bianco. Che per qualche strano motivo sembrava un po' meno vuoto di prima, anche se non sapevo se in bene o in male.





 
Salve!
Un po' deludente come capitolo, dopo aver aspettato tutto questo tempo.
Lo so, mi dispiace. Solo che ho avuto veramente pochissimo tempo, e in oltre gli avvenimenti della storia, anche se importanti, non contribuiscono a renderla interessante. Ma ancora un po' di pazienza e giuro che i due, come starete notando, si avvicineranno sempre di più.
Come state? Io bene, e sono felice perché questa mattina ho rifatto la tinta nero-blu, ew.
Sono felice anche perché un sacco di persone hanno iniziato e seguire Belonging e non vedo l'ora di entrare nel vivo della storia per vedere le reazioni.
Bene credo di non avere molto da dire, in verità mi erano venute in mente un sacco di cose ma non me ne ricordo una.
Grazie mille per le recensioni, siete davvero speciali.
Non mi risentirete fino almeno al 28 di agosto, perché vado al mare, quindi vi saluto.

 
Baci, Rayon.
  
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