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Autore: Gabri_1266    16/08/2014    2 recensioni
«Sei in pericolo» le disse Cèline.
«No, se sono con te, se sono con la mia famiglia non lo sono.»
«Sei la Elements Eva, la prima Elements»
«Cosa…?»
«Ci sono certe persone che ucciderebbero per averti»
«Tipo chi?»
«Tipo me.»
Sanno usare le quattro magie, Sanno usare i quattro elementi. I più vulnerabili, i più ricercati, i più potenti. Gli Elements.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1° Capitolo

CAMBIAMENTO



 
Dopo che Jeva fu sparita, Eva guardò attentamente il cratere: sembrava che finisse nella sala da pranzo.


Non provarci nemmeno, non sei mica così avventata! le disse una parte della sua coscienza. Ma, evidentemente, quel giorno avventata lo era perché, infiammata di un nuovo coraggio che non aveva mai avuto né provato prima, si buttò di sotto e atterrò sul parquet rosso prugna. Quando si rimise in piedi, un dolore cieco la percosse per tutto il corpo.


Eva si diede della stupida. Ma che diavolo aveva fatto! Ora gli sarebbe successo qualcosa di terribile alle gambe, anche se, stranamente, il dolore passò in un attimo e lei riuscì a muoversi come sempre era riuscita a fare. Okay. Forse stava diventando anche lei un mostro...


E' solo un sogno, Eva cercò di ripetersi Tra un po' ti risveglierai e farai come se non fosse successo nulla...


Ahimé! Mi duole dirlo, ma non è così semplice come Eva si faceva credere. Se solo avesse scoperto prima chi realmente era...


Una volta che si rimise in piedi, guardò la scena da un angolo remoto della stanza, nascosta dietro ad una pianta.


La sala da pranzo non era grandissima. Era tappezzata da broccato rosa e bianco, i tavoli erano di vimini con tovaglie a fiori ricamati: il tavolo del buffet era vuoto e la sala era completamente mutata.


I tavoli erano tutti gettati a terra e le tovaglie erano scivolate ed erano tutte stropicciate.


Al centro della sala vi erano cinque figure: due a terra e tre in piedi.


Eva sudava. Niente paura s'incoraggiò, anche se in realtà di paura ne aveva sin troppa Tra un po' accorrerà qualcuno e mamma e papà saranno salvi!. Ma sapeva che quello era solo un futile tentativo di autoconvinzione.


«Lo ripeterò un'ultima volta» ribadì glacialmente Jeva, con gli occhi improvvisamente ridotti a due fessure «Datemi la Element. ORA»


Ma chi o cosa diavolo era questa Element e perché Jeva insisteva tanto per farsela consegnare?!


Eva era nel panico totale. Quella donna sembrava già cattivissima di suo e, ora che era arrabbiata, sembrava potesse ammazzare un uomo solo con lo sguardo.


«Lo ripeterò un'ultima volta» gli rispose velenosa la madre di Eva, fissandola negli occhi «Scordatelo». Diana non sembrava temerla quanto Eva. Pareva una sua antica rivale, una che aveva odiato sin dal principio.


Dagliela e basta, mamma! avrebbe voluto urlare la ragazza. Stai giocando col fuoco! Non te ne rendi conto?


«Bene, lo hai voluto tu» dichiarò infine la donna, assumendo un aria tranquilla che stonava con l'espressione di poco prima.


Fece un cenno del capo ad uno dei due scagnozzi dietro di sé e questo si fece avanti, ingrandendo a dismisura le mani.


... Aspettate un attimo!


Da quando le persone sono intrise di potere? Okay che quelle non erano sicuramente persone normali... ma ad Eva non era mai riuscito di sollevare una tazza solo con la forza del pensiero.


Ma dato che la ragazza (così ingenua, eppure così cosciente) si ripeteva con tutte le forze che era solo un sogno, continuò la sua recita facendo la parte della ragazza impaurita e indifesa.


Insomma. Quello che realmente era.


No... Eva conficcò le unghie nella carne delle mani No, ti prego....


Al posto delle unghie dell’uomo c’erano ora affilatissimi artigli che, dopo un impercettibile annuire di Jeva, cercarono di conficcarsi nel petto di Diana Altec.


Ma la madre di Eva fu più veloce: schivò e fece per andare addosso a Jeva. Ma, mentre Diana si stava lanciando verso la donna, questa puntò infastidita i suoi lattiginosi occhi bianchi su di lei, fece apparire un pugnale da non si sa dove e, una volta che l'altra si fu avvicinata abbastanza, questa lo andò a conficcare nello stomaco della rivale.


Il tempo sembrò fermarsi, il sangue rosso vivido colava in vellutati movimenti sulle pieghe del vestito di sua madre come gocce di vino su vetro di bottiglia. Suo padre urlò, ma era un urlo attutito e a Eva arrivò in ritardo come se avesse le orecchie tappate dal cerume.


Lei invece, spalancò solamente la bocca in un sconcertato urlo muto, mentre calde e tonde lacrime le stavano rigando le guance in una lenta discesa. Solo allora Eva si accorse che, stranamente, non vi era anima viva nell’albergo.


È solo un brutto sogno. Ora mi risveglierò dentro la doccia con l’acqua calda che mi scorre sui capelli cercò di consolarsi flebilmente Eva dentro la testa.


Ma non era vero, diamine, non era assolutamente vero! Lo sapeva benissimo che quella scena era fin troppo palpabile e concreta per essere qualcosa di palesemente fasullo. Però non riusciva a crederci: era come se il suo cervello avesse staccato la spina e fosse partito per la tangente.


E Eva, nonostante fosse una con la testa sulle spalle e anche intelligente, era sempre una ragazza innocua e talvolta anche imbranata. Per lei, una perdita di un parente, sarebbe stato devastante quanto la bomba nucleare di Hiroshima e Nagasaki.


Intanto, Jeva, i suoi scagnozzi e il padre di Eva erano spariti nel nulla.


Eva uscì dal suo nascondiglio.


E solo allora urlò.


«Mamma!» gridò con il dolore che si faceva mano a mano strada nel suo corpo.


Sua madre volse uno sguardo infelice al suo viso, mentre il sangue usciva a fiotti dalla sua bocca ad ogni sillaba che pronunciava. « Pic... cola... » riuscì a mormorare.


Eva si accasciò vicino a sua madre. Le poggiò la testa sulle ginocchia, disperata e piangente. «Mamma…» sussurrò con le lacrime agli occhi «MAMMA TI PREGO NON ANDARE!» questa volta urlò, incurante se fosse rimasto qualcuno nei paraggi «SONO STATA COSI' STUPIDA PRIMA! ME LA SONO PRESA PER NIENTE! NON VOLEVO! AVEVO COME IL PRESENTIMENTO CHE SAREBBE SUCCESSO QUALCOSA E TU... E PAPA'...» la voce le si smorzò in gola e le bruciava in maniera orribile, come se avesse ingerito quintali di acido solforico.


«Non... importa pic... cola mia…» bisbigliò lei. Il sangue le imbrattava i vestiti in una vermiglia colorazione di fluidi. Ma alla ragazza non importava: in quel momento, voleva solo riavere indietro i suoi genitori. «Mamma... tu guarirai...» cercò di sorridere tra le lacrime, sfiorandole piano la ferita con la mano insanguinata. Eva le mise una mano sul cuore. Aveva un battito leggero, attutito. «Tu guarirai e ritorneremo insieme a papà... e faremo come se nulla di tutto questo fosse successo... come un brutto incubo... di quelli che avevo quando ero piccola, ti ricordi?» e le cantò la canzone che i suoi genitori usavano per farla riaddormentare, con voce rauca e spezzata.


«Pic... cola...» disse sua madre in un bisbiglio appena appena udibile «Vi... vi...».


Solo allora Eva interruppe la canzone. Sua madre non respirava più.


E, come se fossero state racchiuse in una bolla d'aria che le isolava dal resto del mondo fino a quell'attimo, quest'ultima scoppiò, rivelando un pubblico che sembrava fosse stato invisibile fino a quel momento: decine e dozzine di persone, divise fra personale e clientela, si muoveva e sedeva compostamente sui tavoli magicamente rimessi a posto, con tovaglie, cibo e tutto il resto. Poi tutti gli occhi si andarono a soffermare sulle due figure al centro della sala, dapprima leggermente scombussolati, successivamente perplessi e, solo alla fine, spaventati e sconvolti.


Non è uno spettacolo di tutti i giorni una mamma uccisa e una figlia piangente apparse improvvisamente dal nulla nel bel mezzo della cena pensò Eva con una punta rimasta di sprezzante ironia.


E, solo un secondo dopo che Eva ebbe formulato quel pensiero, ci fu un gran casino. La gente cominciò ad urlare e ad agitarsi, mamme allarmate che coprivano gli occhi ai loro figli impauriti, cameriere che facevano rovesciare vassoi con alimenti tipici della cucina francese imbrattando il pavimento, cuochi e maggiordomi che si spingevano per andare alla reception a denunciare il fatto o a telefonare la polizia.


La ragazza fissò con fastidio tutta quella confusione, non chiedendosi come diavolo avevano fatto i tavoli a rimettersi a posto e le persone a ricomparire dal nulla.


E' solo un incubo si ripeté per l'ennesima volta quel pomeriggio Solo un orribile incubo dove le vittime di turno siamo io e i miei genitori. Quando mi sveglierò, sarà tutto normale e forse avrò fatto un macello nel bagno con tutta l'acqua uscita dalla vasca.


Eva prese la mano di sua madre. Così concreta...


Solo un incubo... questa fu l'ultima cosa che accompagnò la mente della ragazza mentre i contorni delle cose si facevano più sfocati e una sagoma si soffermava nella sua visuale.


La mano di sua madre era ancora nella sua quando si accasciò stremata a terra.
Solo un incubo...


Poi non seppe più nulla.


***


La prima cosa che invase il suo campo visivo, quando si risvegliò, fu un'accecante luce bianca.


Dio...? pensò sul momento, non riflettendo. Poi, di colpo, si ricordò tutto e immaginò fossero i raggi del sole che filtravano oltre le cortine della sua finestra al primo piano della stanza d'albergo. Ma certo! I suoi genitori devono averla messa a letto dopo l'allagamento del bagno e adesso doveva essere mattina presto! Si, perché doveva essersi lavata verso il crepuscolo e Eva, che fin da piccola aveva il sonno lungo e pesante, si doveva essere ridestata quando ancora tutto l'hotel era nel sopore più profondo. Quindi, appena si sarebbe girata di lato, avrebbe visto i suoi dormire beatamente nell'altro letto, abbracciati e con un'espressione distesa sul viso aperto.


Così, colta da un moto di speranza, guardò dall'altra parte e...


Un comodino. Un odiosissimo, maledettissimo comodino. Un odiosissimo, maledettissimo comodino di plastica termoindurente grigia con sopra un vaso di fiori. E una flebo. Una flebo infilata nella carne del suo braccio. Una flebo infilata nella carne del suo braccio proprio vicino al comodino.


Le venne da piangere. Era tutto vero, dunque? Quel sogno, Jeva, i due tipi, i suoi genitori, sua madre morta... non se l'era semplicemente immaginato.


La ragazza si girò dalla parte occupata dal mobile e si rannicchiò su sé stessa, piangendo silenziosamente e con i singhiozzi che la scuotevano da capo a piedi. Non era tanto il dolore fisico quanto quello che sentiva dentro. Sembrava fosse diventata del tutto incapace di pensare razionalmente, perché la sofferenza aveva preso possesso di ogni cosa. Era viva. Ma allo stesso tempo era morta, perché la donna che l'aveva messa in quel pazzo e scellerato mondo adesso non c'era più.


Non seppe per quanto tempo rimase così, con la flebo che non le permetteva completamente di piegare il braccio sinistro e la disperazione che le pervadeva il corpo e l'animo. Fatto sta che sentì una porta aprirsi e di colpo smise di piangere.


Sentì delle persone confabulare. Era troppo triste per badare a cosa avevano da dirsi, e tra l'altro quelli parlavano in fitto francese. Però si fece un'idea di chi potessero essere.


«Non sto dormendo e non sono neanche sorda» disse non riuscendo a trattenersi «Però voi fate finta di niente, eh! Tanto, anche se mi rendeste partecipe, non me ne importerebbe e soprattutto non ci capirei niente di quello che dite».


Da quando era diventata così scettica? E poi non l'avrebbero mai compresa...


Gli altri smisero di colpo e Eva riconobbe un sussurro del tipo “Anglais...” prima di uno sbattere di una porta e di un silenzio carico di tensione, pesante.


Una voce familiare le giunse alla colonna vertebrale. «Ciao» disse, con un leggero accento inglese.


Eva si voltò. Miss Ellis le sorrideva benevola, gli opali che portava al collo e alle dita luccicavano alla luce al neon dell'ospedale come oro puro. «Come stai? Ti senti meglio?».


In un altro momento, in un'altra situazione, in un'altra vita, la ragazza si sarebbe sorpresa di vedere chi per lei era ancora una sconosciuta preoccuparsi e impensierirsi per le sue condizioni. Ma tutto era diventato irrilevante nel momento stesso in cui aveva decretato che la sua sanità mentale era completamente andata. Perché la sofferenza aveva preso possesso di ogni cosa. «Lei cosa ci fa qui? Non c'entra niente in questa storia» disse neutra.


Sembrò che l'anziana donna si aspettasse una reazione come quella, perché sospirò e le parlò con gentilezza. «Ho sentito cos'è successo e mi sono precipitata qui non appena ho saputo che eri viva».


Eva scoppiò in una breve e amara risata sarcastica. «Cos'ha, la palla di cristallo per sorvegliarmi?» domandò ironica «Prima con il braccialetto e adesso qui in ospedale. Guardi, non ho bisogno della sua pietà... tanto meno di vomitevoli parole di conforto che non farebbero altro che darmi sui nervi. Quindi, se è venuta qui solo per confortarmi, la prego di andarsene... al diavolo, possibilmente» e si rigirò, inveendo mentalmente contro la superficialità delle persone.


Perché la sofferenza aveva preso possesso di ogni cosa.


La donna non sembrò arrabbiarsi, né replicò. Semplicemente, rimase lì mentre lei le voltava le spalle.


A Eva tutta questa cortesia dette ancora più fastidio. Guardò appena sopra la sua spalla, verso la signora inglese che la guardava muta e senza batter ciglio. «Be'? Che fa ancora lì? Se ne vada!» esclamò furiosa.


La donna sembrò penetrarla con quei suoi occhi dell'argento liquido e la cosa non le piacque. «L'hanno ammazzata» disse «Non è così?».


A quelle parole, la ragazza scattò su come una molla. «Ma lei che cosa vuole da me, eh? Chi le da il diritto di sapere cosa accade nella mia stramaledettissima vita?!» urlò, pentendosene subito dopo dato che la porta si riaprì sbattendo.


Un ragazzo sui sedici anni entrò, i disordinati capelli castano scuro che gli finirono davanti la faccia. Aveva intensi occhi azzurri cielo e il colore della pelle molto pallido. Era abbastanza alto, con addominali leggermente scolpiti che si potevano notare sotto la maglietta bianca e Eva pensò subito fosse una bel ragazzo. Ma l'espressione preoccupata aveva un che di innocente che lo faceva apparire quasi un bambino ai suoi occhi. «Tutto bene nonna? Gliel'hai detto?» chiese lui.


Subito la ragazza assunse un'espressione furibonda. «Dirmi cosa? Ma siete per caso impazziti?!» ruggì.


La signora guardò suo nipote, incurante di Eva e delle sue occhiate incendiarie. «Sta' tranquillo Marc, qui ci penso io» lo rassicurò con voce calma e composta.


Marc tentennò, ma poi, lanciando uno sguardo preoccupato a sua nonna e un altro ben più duro a Eva, richiuse la porta e le lasciò sola.


Miss Ellis fissò Eva dritta negli occhi. «Dobbiamo parlare. Adesso. Sarà una chiacchierata lunga, per cui mettiti comoda e ascolta».


Eva, se ben fosse ancora parecchio scossa e sospettosa nel dover ascoltare una persona con la quale non aveva nulla a che fare, stranamente ubbidì e ascoltò una storia che, da quel giorno, le avrebbe aperto una visione del mondo ben più infida e minacciosa.


Perché la sofferenza aveva preso possesso di ogni cosa.


E quella sofferenza l'avrebbe travolta di nuovo. Oh come l'avrebbe travolta di nuovo, Eva ancora non lo sapeva.

 



NOTE:Ringrazio vivamente Francesca che ha saputo trasformare un capitoletto di tre pagine circa in cinque abbondanti facciate colme di fiumi di parole! Spero che questa storia comincia a piacervi sempre di più e spero che mi recensirete al più presto qualche vostra opinione :)!
Alla prossima!
Gabri_1266
   
 
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